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La solitudine

Post n°203 pubblicato il 29 Agosto 2011 da lontano.lontano
 

Ragazzo triste sono uguale a te, a volte piango e non so perché, tanti son soli come me e te ma un giorno spero cambierà. Nessuno può star solo, non deve stare solo quando si e' giovani così.”
Ragazzo triste è una canzone del 1968 ma non è una semplice canzonetta del periodo.
Ragazzo triste è un grido disperato, è la rivolta, la lotta, per usare vocaboli in voga in quegli anni, contro la solitudine e la depressione,

della quale, è logica conseguenza.

In poche frasi è scritto un trattato di psico-sociologia, è la descrizione sintetica ma precisa e puntuale di una condizione, non solo di quegli specifici anni ma dell’esistenza umana tutta.

Ho sempre pensato che quel testo volesse rappresentare il disagio giovanile dell’epoca, forse perché ascoltare “quando si è giovani così” mi ha indotto all’errore, forse perché anch’io, dodicenne all’epoca, cominciavo a comprendere quelle parole “dal di dentro”.

Oggi rivedo il mio pensiero alla luce dell’esperienza maturata col passare del tempo ma, soprattutto, alla luce delle situazioni di decine e decine di realtà con le quali vengo a contatto.

“A volte piango e non so perché” è una frase ricorrente, la sento da sempre ma non riesco ancora ad abituarmi.

Sono le parole che più mi lasciano sgomento perché non ho risposte.
 E’un’invocazione d’aiuto lanciata con discrezione, da chi, senza aspettarsi nulla, la sradica dal profondo di un cuore sprofondato nell’angoscia, con l’amarezza di chi, ascoltandola, non vorrebbe lasciarla cadere nel vuoto.

E’ la solitudine che parla, la solitudine dell’adolescente che si sente estraneo ad un ambiente che lo isola o dal quale, esso stesso si vuole isolare.

La solitudine che, chi ha coraggio, affronta pur di non uniformarsi ad un pensiero che non riconosce, è la solitudine nella quale chi, non avendo lo stesso coraggio è imprigionato ugualmente, pur credendosi libero.

E’ la solitudine di una persona che ha interrotto un rapporto, o di chi ha affrontata una separazione che, giustificata o no, ha lasciato quantomeno impreparati e soli, forse più o quanto la solitudine preesistente.
E’ la solitudine di chi, mai avrebbe pensato di staccarsi da una persona e mai avrebbe pensato che il destino potesse farlo in sua vece.

“Tanti son soli come me e te ma, un giorno, spero, cambierà” già perché questo è un mondo di soli e, come accennato sopra, si è soli anche quando soli, almeno sulla carta, non si dovrebbe essere.

Si è soli anche in due, quando le due solitudini non si uniscono più formando una gratificante complicità, quando le incomprensioni dilatano due spazi che si spalancano in una voragine.

E’ brutta questa solitudine, forse quanto le altre ma, a differenza delle altre, non ha neppure l’alibi della malevola mano esterna di un fato ingrato.

Si nasce soli e si muore soli, è vero ed è falso nello stesso momento, e questo la dice lunga sulla complessità dell’argomento sia che venga affrontato a livello filosofico che pratico.

Si muore soli perché con noi e per noi muore il mondo; non gli apparteniamo più, come lui non ci appartiene più ma è altrettanto vero che, morire stringendo una mano o dando un’ultimo sguardo ad una persona cara, non è esser soli del tutto.

A volte, rifletto sul fatto che la nostra società, così poco incline al rapporto, così individualista e persa in una fretta senza senso, sia la causa della solitudine, però la canzone ha affrontato questo tema quarantatre anni fa, quindi non è cambiato nulla, nonostante sia cambiato tutto.

Allora cos’è, in fin dei conti, questa solitudine, questo malessere col quale l’umanità si scontra e confronta da sempre, avendo l’ovvia soluzione a portata di mano, senza però riuscire a coniugare l’ovvietà con l’efficacia?

Che dire alla persona che ripete le parole di una canzone che mai vorrebbe cantare: “Nessuno può star solo, non deve stare solo……... nulla, nulla si può dire a chi sente il destino accanirsi perfidamente su di sé.

Nulla, perché avverto che non hanno presa i suggerimenti tratti dalla mia personale esperienza.

E’ difficile far passare il concetto “Non sei sola perché hai te”, è difficile comprendere che, se si è soli anche essendo in due, la vera ed unica compagnia è quella di noi stessi.

Lo comprendo bene che sia quasi impossibile accettare questa teoria, quando la vita, ogni giorno, te ne combina una, e avresti il desiderio ed il bisogno fisico di un conforto.

“Tu parli bene”, mi dicono, “ma ci riesci a farlo?” io ci riesco e sto bene con me stesso, io non sono affatto una persona sola, proprio perché ho me e mi basto ma, che io ci riesca oppure no per chi soffre, non ha alcuna importanza.

Che io cerchi la solitudine, o meglio, che non esista per me, suona di bizzarria o peggio ancora di difficoltà a livello mentale, ma che io sia un essere “alieno”, se non proprio alienato, ormai è a me cosa nota e non ci faccio neppure più caso.

Non ho suggerimenti validi se non questo, non penso sia di conforto fare un elenco delle cose da fare fuori casa, non penso sia neppure sensato ottimizzare strategie e tattiche rivolte all’acquisizione di una compagnia.

Se non si sta bene con sé stessi, non si può star bene neppure con gli altri, questo è il mio pensiero, la soluzione del problema “solitudine” passa per questa tortuosa via.

Si deve arrivare a star bene con noi stessi, a bastarci, a dialogare con i nostri pensieri, a farci delle domande alle quali noi stessi daremo poi  delle risposte.

Parlo da solo, o meglio, penso da solo, come i pazzi, ma allora sono pazzo?

Un esempio della mia pazzia?
Quando comincio a scrivere so a malapena l’argomento, sento che una forza mi spinge a farlo ma, non so minimamente a ciò che scriverò.

Le dita vanno sulla tastiera e agiscono sotto dettatura, il mio cervello, o quello che è, detta e io scrivo e, mentre scrivo penso e mentre penso arrivano nuove idee e nuove parole e ancora idee e ancora parole.

Io sono abituato a farlo, lo faccio ogni volta che posso, ogni volta che mi trovo a camminare per strada, dovendo andare in una via precisa e immancabilmente ritrovandomi dalla parte opposta.

Succede quando si è infervorati in un discorso, succede quando si conversa con una persona mentre si cammina, succede quando non si è soli.

E non sono solo neppure in questo momento che faccio ciò che mi piace fare e non, perché non ho altro da fare o perchè mi costringo a farlo, tanto per far qualcosa, perché, la solitudine dev’esser libertà e non coercizione.
Solo così sarà vivibile, solo così sarà esorcizzata, ma si deve passare per quella via stretta e tortuosa che è dentro di noi, non ci sono scorciatoie: prima di cercare gli altri, dobbiamo trovare noi stessi.

 
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Commenti al Post:
ninive60
ninive60 il 05/09/11 alle 12:57 via WEB
Sai....mi ritengo una donna fortunata....io nella vita ho provato quasi tutti i generi di emozioni e sentimenti,Dall'amore smisurato per un uomo( e non conta,se solo idealizzato o reale, conta ciò che si prova )all'amore materno e quello filiale.Ho condiviso grandi momenti della mia vita e nel farlo,ne ho goduto.E ora che tutto è scemato.....come è naturale che sia,mi son trovata spiazzata,ma dopo ricerche interiori e aiuti esterni da persone libere mentalmente,.....ho capito. A chi mi dice,che mi sono isolata, e che sto diventando asociale, io posso rispondere serenamente,che appena posso,io vado dall'unica persona che so che mi amerà per sempre.Vado da me stessa.Da quella Silvana che ho imparato a non giudicare.Dalla sola persona che mi evita di cadere nel baratro della depressione.Hai ragione,bisogna imparare ad amarsi senza riserve,senza se,senza ma.La solitudine è solo la mancanza di percezione di se stessi.Se riesci a sentirti,senza riserve,ad ascoltarti,senza sensi di colpa,ad assecondarti,senza sentirti egoista......non sarai mai solo...... Mi piace leggerti.....mi aiuta a riflettere Baciotto
(Rispondi)
 
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