Eravamo nel 1968 ed io dodicenne mi guardavo intorno per capire cosa stessi cercando, cosa volessi ma soprattutto, chi fossi. Un adolescente che vedeva intorno a sè un mondo cambiare, forse in maniera troppo rapida per capire, forse in maniera troppo lenta per i sogni che si hanno in mente a quell'età. Un mondo nuovo arrivato addosso, che portava con sè nuove parole, nuove mode, nuova musica. Ascoltavo come tutti in quegli anni la prima radio "libera", quella Radio Montecarlo che si faceva preferire ai canali Rai a cui per forza di cose eravamo legati. Ricordo tutte le canzonette dell'epoca e non mi vergogno nel dire che molte non mi dispiacciono neppure ora. Arrivavano i primi complessi stranieri di una certa importanza e i compagni di scuola si buttavano a comprare i loro dischi. Io continuavo ad ascoltare tutto ciò ma li ascoltavo solo, non li sentivo, non mi riconoscevo, nulla era ciò che stavo cercando, ero solo sballottato da sonorità che non mi prendevano e poco mi appassionavano. Un giorno mi capita di ascoltare questo tema, per caso arrivato fino a me, una musica che mi ha attirato a sè o per meglio dire mi ha attirato a me, una musica che è stata lo specchio della mia anima, una musica che è diventata mia proprio come io diventavo suo. Non sapevo da dove venisse, non immaginavo neppure fosse una colonna sonora, non sapevo dove andarla a ritrovare. L'ho cercata, l'ho scovata ed è con me da quarant'anni, non potrei fare a meno di lei perchè perderei la parte migliore di me, sarebbe come specchiarsi e non vedersi, sarebbe come mangiare e non nutrirsi, sarebbe come vivere senza pensare. Io per mia natura non sono geloso, perchè penso che la gelosia, in fondo, non sia che la nostra insicurezza che ci fà credere di non esser all'altezza di sostenere una comparazione con qualcuno che, diamo già per scontato, esser meglio di noi. Lo sono però verso questa musica che sento mia e solo mia e non mi fà molto piacere se altri mi dicono di riconoscersi in lei, sarebbe come vedere all'improvviso spuntare un nostro replicante mentre fino ad oggi credevamo di essere unici. La capisco e lei mi capisce, mi prende per mano e mi porta in posti tranquilli, mi asciuga gli occhi dalle lacrime dopo averli bagnati, così senza neppure un perchè, mi stringe forte la gola togliendomi quasi il respiro, facendomi male ma riportandomi in vita. Chi mi vede quando sto con lei mi dice che cambio espressione, che mi perdo in un mondo lontano, che trattengo, senza riuscirci, un'emozione che raramente mi capita di avere. E' vero, e non chiedetemi perchè, non saprei rispondere, non si motivano le sensazioni, non si riescono a spiegare i tumulti del cuore, non si sà nulla degli sconvolgimenti dell'anima, non si razionalizza l'amore. Una dolcezza infinita che mi prende la mente e se la porta con sè e non sono più io, proprio quando sono più io che mai, mentre io divento lei e lei diventa me, uniti in un sogno che finirà solo quando non avrò più la forza per sognare.
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Non importa l'approvazione, non importa il facile consenso o la complicità del branco. Non importa esser fuori dai giochi o salire sul carro di chi vince, non importa cercare il complimento o piacere a tutti a tutti i costi. Ciò che conta è essere se stessi con le proprie idee ed i propri convincimenti anche se, tutti intorno, li riterranno sbagliati ma, è meglio sbagliare credendo in ciò che si fa piuttosto che fare ciò in cui credono gli altri.
Qualche giorno, fa avrete compiuta l'operazione che, ogni anno, in questo periodo, eseguite. Avrete sostituito il calendario dei dodici mesi appena trascorsi con quello di questi appena iniziati. Fino al Gennaio scorso, ho fatta esattamente la stessa cosa. Quest'anno, invece, ho tolti, si, i dodici mesi vecchi, ma li ho sostituiti con un un'unica pagina, una sola scritta, senza numeri, senza colonne, senza nulla, se non una dicitura: “Oggi”. E' un calendario anomalo ma ritengo che sia l'unico esatto. Quello che, con tanta indifferenza usiamo, altro non è, che una delle tante prese in giro di questo strano mondo e di questa menzognera civiltà, un qualcosa che si usa per convenzione e non per assoluta convinzione. Voi avrete attaccato al muro i dodici mesi dell'anno 2017 ma da dove è uscito questo calcolo? L'esistenza umana risale a soli 2017 anni? Cosa è finito e cosa è cominciato 2017 anni fa? Se scrivessimo un altro numero, magari a 5 o 6 cifre, cambierebbe qualcosa? Io ho appeso al muro il calendario esatto, non ci sono voluti calcoli a posteriori per determinarlo, non è frutto di aggiustamenti o improbabili teorie, “Oggi” è “Oggi”, è incontrovertibile ed incontestabile. Lasciandolo appeso al muro, qualunque cosa accada, io lo guarderò e saprò con esattezza assoluta quando si è verificata ….. oggi. “Oggi” nevicherà o ci sarà il sole più splendente, oggi uscirò di casa o non metterò il naso fuori, oggi sarà con me una gioia o una tristezza, è oggi che sarà il giorno del tutto o il giorno del nulla, non è stato ieri, non sarà domani, perché, se ci fosse un domani, nient'altro sarebbe che un “Oggi” E' un calendario che rimarrà appeso li, immutabile nel tempo, mentre tutto intorno a lui potrà cambiare. Già il tempo! Quella cosa indefinita e, probabilmente indefinibile, che scorre su tutto, tranne che su una pagina appesa ad un muro. L'”Oggi” si contrappone al tempo, lo ignora e lo deride; prescinde da lui, anche se si fermasse, ciò avverrebbe, in quel ”Oggi” che resta immutabile. Ogni mattina, guardando il calendario, saprò che è “Oggi” la data importante, è oggi che dovrò fare ciò che, per distrazione o incuria, ancora non ho fatto, oggi, non “domani” perché non esiste quella pagina li. Un mio amico mi ha detto: “Io non vivo più alla giornata, vivo alle mezza giornata” ed ha ragione, perché persino l'imminente è fatto di precarietà. Non esiste il domani nei fatti, è solo un'ipotesi fortunata, se si verificherà, è l'incertezza assoluta che si scontra con l'incerta certezza dell'attuale momento. E' un calendario che sopravviverà a me e ad ognuno di voi; quando non potremo più guardarlo, qualcuno, certamente, lo farà. In quella data, in quel'”Oggi”, qualcosa finirà e qualcosa inizierà, come sempre è stato e come, probabilmente, sempre sarà. Dodici mesi passano in fretta e tra 358 giorni toglierete dal muro l'elenco vecchio per sostituirlo col nuovo, come avete sempre fatto. Dandogli un'ultima occhiata, prima di metterlo nell'apposito contenitore, forse, penserete che, quei numerini e quelle scritte non hanno avuto molto significato per voi, beh, probabilmente, non vi siete resi conto che non stavate solo cancellanto dei numeretti ma, quell'”Oggi” che non avete vissuto credendo di avere tutto il tempo per viverlo domani. Siete ancora in tempo affinché non si concretizzi tutto ciò; non concentratevi troppo su tutte quelle date, il giorno che conta, quello importante, guardatelo è scritto chiaro li sul calendario: “Oggi”.
Sarà successo a molti di voi personalmente o, anche se non siete stati coinvolti in prima persona, sarete a conoscenza della situazione che qui vorrei proporvi. Se, in una stanza con tanti giocattoli disponibili, sono presenti due bambini e, uno dei due va a prendersene uno, subito, l'altro, va a contenderglielo. Probabilmente, è un meccanismo mentale insito nell'uomo, probabilmente, prescinde dalla ragione e dalla razionalità, probabilmente è un comportamento che non è solo infantile e che, difficilmente, si può correggere neppure in età adulta. Ma, detto questo, possiamo trovare una ragione, più ragionata? Appare evidente che, fino al punto in cui i due bambini, sono disinteressati ai giocattoli a disposizione, questi ultimi, son tutti uguali, nessuno, dei tanti, assume alcuna rilevanza. Solo dopo esser stato scelto, il giocattolo assume una valenza diversa e da quel preciso istante, comincia ad essere considerato. Tale considerazione, non gli è stata attribuita, come parrebbe logico supporre, dalla scelta del solo bambino che l'ha effettuata ma, anche dell'altro che, invece di sceglierne un altro tutto per se, vuole impossessarsi proprio di quello, adesso, posseduto dall'altro. Sicuramente, il giocattolo conteso, non è il più bello di tutti, certamente, non è quello che attrae in modo particolare, è semplicemente un balocco, un qualcosa di nessuna importanza un attimo prima, diventato importante, solo un attimo dopo. Non è tanto interessante discutere circa i motivi della scelta primaria; poco importa stabilire se un giocattolo viene opzionato per un mero fatto emotivo o per un ragionamento, se è frutto del caso o del momento, intanto, potremmo ipotizzare qualunque cosa senza mai venirne a capo. E' molto più affascinante, invece, addentrarci in una riflessione che, porti a comprendere, cosa scatti nella mente, di chi desidera un qualcosa, solo a fronte, e al momento, dell'appagamento di un altrui desiderio. A mio parere succede per emulazione, per una deduzione mentale che porta a pensare che, se qualcuno ha effettuata una scelta, quella, probabilmente, è la scelta migliore o, quantomeno è ritenuta tale. Diciamo che, potrebbe trattarsi di pigrizia intellettiva, dell'apatia che induce a fidarsi dell'altrui istinto e non del proprio, della poca fiducia in se stessi e della troppa fiducia nelle scelte di altri. Potremmo paragonare il tutto alla moda del momento; tutti la seguono, per il solo fatto che qualcuno l'abbia lanciata, prescindendo da cosa essa sia e dalle attitudini proprie. I bambini si accapigliano per un trastullo, per un qualcosa che non importa più dopo averlo avuto; i grandi, che bambini son rimasti, perdendo però le squisite doti infantili, arrivano a commettere atti di violenza inaudita per contendersi un bene materiale o affettivo. Però, non è soltanto questo. In un bambino, scatta anche un'illogica gelosia in quanto, non possiede il giocattolo, non può avanzare alcun diritto su di esso, eppure lo rivendica in nome, persino, di un ipotetico diritto futuro. E' una forma di egoismo che gli fa pensare che, ogni giocattolo presente nella stanza, sia virtualmente suo e non accetta che nessun altro, al di fuori di lui possa servirsene. Per questo sostengo che un tale atteggiamento prescinda dalle doti dell'oggetto, il bimbo non ne fa una questione di qualità ma di assoluta totalità dell'ipotetico privilegio. E' possessivo, il giocattolo è “suo” e deve rimanere “suo” fino a quando persiste l'interessamento dell'altro, quando questo verrà a scemare, e conseguentemente, si rivolgerà su un altro oggetto, la guerra non finirà, ma si sposterà su un nuovo fronte. Non fa differenza se la disputa è per un pallone, una macchinina o dei soldatini, lo scontro è tra chi dei due deve prevalere sull'altro, l'oggetto conteso è soltanto il pretesto per conquistare una posizione di predominio. Mentre scrivo, mi viene in mente un'ulteriore riflessione: Che cos'è un giocattolo? E' un oggetto con il quale si gioca. Se estendiamo il concetto alla definizione: “Oggetto del desiderio”, ci appare in tutta la sua nitidezza, la sconfortante tristezza di chi, umano, si trovi nella condizione di giocattolo conteso. Una persona “giocattolo” da soggetto diventa automaticamente oggetto. L'umano, a differenza di una cosa inanimata, però, è perfettamente cosciente di ciò; una persona sa benissimo che, se altre persone hanno nei suoi riguardi un interesse, tale situazione equivale a quella che vede per protagonisti due bambini. Non può sfuggirgli/le che è l'oggetto del contendere, del momento e, soprattutto, sa che non farebbe alcuna differenza se un'altra persona si trovasse al suo posto. Solo per un caso fortuito del destino si trova a vivere tale condizione ed è perfettamente conscio/a che mai si sarebbe verificata in un contesto diverso. Una persona, sa che il suo ruolo finirà nel momento in cui finirà la disputa e, come un giocattolo, verrà accantonato/a perché non ha più senso giocare con qualcosa che, a quel punto, non interessa più a nessuno. Penso che non sia un vanto per nessuno essere oggetto di una contesa, perché il verbo “contendere” mal si coniuga col verbo “amare” e la parola “oggetto” toglie la dignità alla parola “soggetto”.
Ci sono persone che sono convinte che il loro destino sia una condanna, e che lo stesso, sia una sorta di maledizione che le obbliga ad un'esistenza infelice. Sono in guerra perenne con i fantasmi di una dannazione virtuale che, riescono a far diventare reale, nel momento stesso in cui ne proclamano l'esistenza. Non esistono le maledizioni della vita, esistono invece, atteggiamenti personali che, certamente, sono la causa di situazione negative che vanno ben oltre un ipotetico anatema lanciato dalle forze del male. Pur capendo il meccanismo mentale di cui sono vittime, non riesco a vederle solamente, ed unicamente, come tali. Pertanto, penso che sia giusta la loro infelicità perché noto che il loro vittimismo è un comodo alibi dietro il quale ripararsi ed adagiarsi. Non tollero la posizione assunta da chi si sgrava delle proprie responsabilità per addossarle immancabilmente, a qualcun altro, umano o divinità, cambia poco. Troppo facile asserire che il marchio della disgrazia sia talmente impresso che non ci sia alcun modo per affrancarsi da esso, troppo semplicistico non fare nulla per l'inutilità provata del fare, troppo ipocrita il pensiero che porta sempre e comunque ad un'auto assoluzione. Per queste persone, è sacrosanta la pena all'infelicità, il loro vittimismo deve causare gli effetti per il quale è nato, deve personificarsi e realizzarsi nella condizione auto designatasi. E' giusta l'infelicità di coloro che rifiutano la felicità perché sembra sempre poca, anzi, così poca da non vederla neppure, così poca da risultare assente. Potrebbe esser moderatamente felici, se si accorgessero di ciò che hanno; potrebbero esser molto felici se si rendessero conto che ciò che hanno oggi, domani potrebbero non averlo più. Ma non arriveranno mai a questo perché vogliono sempre di più, non hanno la misura nel chiedere, esigono la perfezione, non godono del “momento” perché tal “momento” è vissuto come quel minimo sindacale che non soddisfa e non si lascia godere. Ho avuto modo di scriverlo centinaia di volte, non bisogna mai usare il verbo “accontentarsi”; non posso suggerire a nessuno di accontentarsi di ciò che si ha, ma di “apprezzare”, ciò che si ha. Coloro che si accontentano, sminuiscono e svalorizzano il bene materiale o immateriale posseduto, coloro, invece, che si rendono conto di ciò che hanno, o vivono, lo apprezzano e gli donano dignità. Non capire dove è situata la zona limite è da irresponsabili, continuare ad oltrepassarlo, consapevolmente, è un gioco al massacro del quale si dovranno poi assumere le proprie responsabilità. Non merita la felicità chi fa di tutto per perderla. Non comprendo la corsa affannosa e assillante a quel “di più” che, anche se raggiunto, non sarà sufficiente, tanto da chiedere ancora, e poi ancora, fermandosi soltanto quando non si avrà più nulla. Per fortuna, sono esente da questa “patologia”, la vivo soltanto in un unico caso: Col mio computer. Ho una macchina che funziona bene ma, spesso, perdo ore per cercare soluzioni e programmi per migliorarla ulteriormente. Cerco sempre un qualcosa di nuovo e di “magico” per aumentarne le prestazioni; quando mi pare di trovarlo, scarico i programmi indicati e sperimento. Di solito le operazione avvengono senza traumi, l'elaboratore rimane pressapoco nelle condizioni originarie ma va bene così. Capita, invece, la volta che faccio dei casini, traffico troppo, e vado a cancellare elementi vitali per il suo funzionamento. In quel momento, mi rendo conto di quanto imbecille sia stato, nel credere nel ”effetto miracolo”, superficiale nel non rendermi conto che la macchina mi sta già dando il massimo delle sue possibilità e della fortuna che ho nel poterne ancora usufruire. Dopo i primi minuti di panico e pentimento, mi impegno a trovare le soluzioni del caso ma, la complessità del danno mi induce poi a rinunciare. Me la cavo sempre ricorrendo al ripristino della configurazione di sistema che riporta il pc allo stato precedente alle mie presunte cure. Ma è stata una scelta razionale la mia? Ho rischiato di guastare irrimediabilmente la macchina, non ho certamente migliorato il suo utilizzo, ho perso del tempo che avrei potuto utilizzare in maniera più proficua, mi sono stressato e arrabbiato con me stesso, il tutto per aver chiesto di più, per il gusto di chiedere di più, ne è valsa la pena? Solo un pazzo di direbbe di si e solo un pazzo non realizzerebbe che la condizione umana è del tutto opposta a quella di una macchina. Una persona non può usare il “ripristino”, non può tornare indietro nel tempo alla ricerca di una situazione da cui ripartire. Una persona quando ha compromessa la situazione, difficilmente riesce a recuperarla, una persona può solo darsi del ”imbecille”, pentirsi, stressarsi, arrabbiarsi con se stessa, chiedersi se ne sia valsa la pena, esattamente come faccio io con il mio pc, ma quel “no” che le urla dentro non cambierà la situazione. Chi potrebbe esser felice e ci rinuncia perché gli sembra insufficiente è giusto che non debba esserlo. Chi, quel poco ha, ma per lui è troppo poco, e vuole di più, sempre di più, un giorno, quando avrà perso tutto, si renderà conto che quel “poco” non era poi così “poco” ma era “tutto” quel “tutto” che, adesso, è diventato niente.
Inviato da: Faitù
il 09/03/2024 alle 17:43
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il 09/03/2024 alle 13:22
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il 23/01/2024 alle 11:36
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il 23/01/2024 alle 09:24
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il 13/01/2024 alle 14:41