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DIVAGAZIONI IN FORMA DI RECENSIONE

Post n°889 pubblicato il 01 Luglio 2007 da bargalla

 http://publicanary.blogdiario.net/img/mujer2.jpg

Accolgo volentieri l’invito della “padrona di casa” e, per quanto i giorni siano per me tutti uguali, approfitto di questa caldissima domenica che ormai volge al termine per continuare nella tradizione felicemente invalsa in questo blog in cui la domenica e le altre feste comandate, si scrive e si parla di versi e di poesia.
Lo faccio con piacere perché niente come e più della poesia riesce a dare una certa sensazione di levità che a volte rende meno faticoso “il mestiere di vivere” alleviando quella che pur sempre rimane “l’insostenibile leggerezza dell’essere”.
Per formazione ricevuta prediligo naturalmente i Classici, verso i quali nutro una particolare venerazione, ma, come nel caso di questo post, non disdegno i contemporanei, specie se nei loro versi trovo l’eco che ha reso Immortali quegli Autori che toccano il cuore e la mente dei lettori con una metrica, una corporeità quasi tattile e una sonorità del verseggiare che suscitano sempre nuove emozioni.
Probabilmente la cosa mi prende ancor di più perché la raccolta che ho fra le mani è scritta da una figlia di questa terra e stanotte forse per magia, anche la luna, astro da sempre associato al principio femminile, contribuisce a suggestionarmi oltremodo, dandomi lo spunto per queste divagazioni in forma di recensione.
Sfoglio un libro di poesie scritto come dicevo da una donna, una giovane poetessa salentina, leggo e rileggo qualche verso a caso e soggiogato dal fascino che da essi traspare, immagino che il cuore delle donne spesso evoca ed invoca la luna eleggendola a nume tutelare. E lo fa graffiando e gemendo, trasalendo e sorridendo con grazia e con stupore, mai con violenza, con la semplice e ispirata liricità che si coglie leggendo, per esempio, la raccolta di poesie “Utero di donna” di Marthia Carrozzo, edita dall’ editrice Besa, con una bella prefazione di Alda Merini.
Quando la notte scende e copre col suo nero manto ogni cosa lasciando che sia il lucore lunare a rischiarare nel buio delle tenebre, c’è un grido sordo che si innalza dalle profondità uterine di Madre Terra e giunge fino al Cielo inondandolo di femminilità.
Un poetare molto ritmico, con un certo che di musicale, che indugia nelle assonanze, travolgendo quasi il contenuto lirico che ritrae, riverberandole, le immagini di donne senza tempo, arcaiche e contemporanee, visceralmente umorali, tutte suscettibili di variazioni sul tema: “donne, madri amanti” come mutevole e cangiante è appunto il ciclo “lunare” del quale seguono la tempesta ormonale che le rende feconde.
E’ questo che affascina dell’universo femminile, l’influenza che la luna sembra esercitare sulle funzioni vitali di una creatura che ha in sé il potere di generare, un potere “divino” che le assimila all’immagine archetipica della Grande Madre che nei millenni ha assunto nomi diversi fino a giungere alla nostra Myriam, Vergine e Madre.
Immagini di donne del Sud, streghe e sibille, ninfe ammaliatrici e muse ispiratrici, spose e vestali fedeli, madri dal ventre avvizzito come tronchi rugosi d’ulivi secolari e figlie prosperose di rigogliose promesse:

                                      
       “Vegliarda sempiterna bambina
                                                   
feconda vergine salentina
                                                       
dai capelli di vento
                                                               
malcontento”

scrive la poetessa in una dedica che ha il sapore di una scoperta e al tempo stesso di una resa incondizionata alla consapevolezza di un destino
                                            “che implode di vita tamburellante”.
Una bella immagine e un’aggettivazione non estranea al ritmo che la “pizzica” d’estate da queste parti impone ricreando gli effetti coreografici del morso di un ragno (innamoramento, infatuazione?) per guarire dal quale bisogna solo ballare accompagnati dal ritmo trascinante e coinvolgente dei tamburelli, una danza che richiama spossanti movenze erotiche fino a cadere esausta nell’acme di un abbraccio senza fine. 
Ma perché la femminilità si realizzi e “imploda” in tutto il suo splendore è necessario che l’uomo partecipi alla danza propiziatoria e segua un percorso ancestrale ed estremo che parte dalla genesi dell’utero creatore ed “esplode” nel godimento di una pura fisicità in cui non è difficile cogliere la scintilla dell’Eternità:

                                
La lingua del mio uomo sa di fichidindia maturi
                                  
la pelle del mio uomo è vino e sangue che pulsa.
                                         
E’ melagrana centellinata in chicchi
                                                        
Che bevo, sorseggio.
                                               
Divoro verdi molecole d’eterno".

Una poesia carnale, dalla forte impronta mediterranea, un affresco di mille colori che a volte diventa sogno e segno privo di figure, ma fatto solo di sensorialità, quasi palpabile, sanguigna e umorale, duttile ai tentativi di razionalizzare ciò che è al centro dell’esistenza di una donna: un atto d’amore compiuto da “un mistero senza fine bello”.

 
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