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Lessico Famigliare - Natalia Ginzburg

Post n°441 pubblicato il 14 Luglio 2020 da Cherrysl

Lessico famigliare, Natalia Ginzburg. Trama e recensione - Le ...

 

Natalia Levi nasce il 14 luglio del 1916 a Palermo da Giuseppe Levi scienziato triestino di origine ebraica, e da Lidia Tanzi, milanese di religione cattolica. Il padre è professore universitario antifascista e insieme ai tre fratelli di lei sarà imprigionato e processato con l'accusa di antifascismo. Nel 1938 si unisce in matrimonio con l'intellettuale Leone Ginzburg, arrestato poi anche lui e nel 1944 a causa delle torture subite morì. Nel libro compaiono anche queste tristi vicende, ma affrontate marginalmente

 

Lessico Famigliare è un romanzo autobiografico stampato nel 1963. Natalia, trascorse l'infanzia e l'adolescenza a Torino, in cui è ambientata la storia e ci racconta in modo ironico- affettuoso, la vita quotidiana della famiglia Levi, dagli anni '20 agli anni '50. La famiglia, di origine ebrea,  dominata dalla  figura del padre, Giuseppe Levi, scienziato, dispotico e tenero allo stesso tempo, appassionato della montagna e dell'attività fisica che obbligava l'intera famiglia a faticose gite sulla neve e amante di detti e motti e parole inventate che usava spesso per rimproverare i figli e che questi, anche da grandi, avrebbero sempre ricordato tra loro con allegria

 

"Non avevo molta voglia di parlare di me. Questa diffatti non è la mia storia, ma piuttosto , pur con vuoti e lacune, la storia della mia famiglia. Nel corso della mia infanzia e adolescenza mi riproponevo sempre di scrivere un libro che raccontasse delle persone che vivevano intorno a me. Questo è in parte il libro,ma solo in parte, perchè la memoria è labile e perchè i libri tratti dalla realtà non sono spesso che esili barlumi e schegge di quanto abbiamo visto e udito".  

Dal libro:

"Nella mia casa paterna, quando ero ragazzina, a tavola, se io o i miei fratelli rovesciavamo il bicchiere sulla tovaglia, o lasciavamo cadere un coltello, la voce di mio padre tuonava:Non fate malagrazie! Se inzuppavamo il pane nella salsa, gridava: - Non leccate  i piatti! Non fate sbrodeghezzi! Non fate potacci! Sbrodeghezzi e potacci erano, per mio padre, anche i quadri moderni, che non poteva soffrire. Diceva: - Voialtri non sapete stare a tavola! Non siete gente da portare nei loghi! E diceva: - Voialtri che fate tanti sbrodeghezzi, se foste  una table d'hote in Inghilterra, vi manderebbero subito via"

 

"Poi, una mattina, a Mario, la luna gli era passata. Entrava in salotto, si sedeva in poltrona, e si accarezzava le guance con un sorriso assorto, con gli occhi socchiusi. Cominciava a dire: Il baco del calo del malo -. Era un suo scherzettino e gli piaceva molto, lo ripeteva insaziabilmente. - Il baco del calo del malo. Il beco del chelo del melo. Il bico del chilo del milo.
Mario! - urlava mio padre. - Non dir parolacce!
- Il baco del calo del malo, - riprendeva Mario, appena mio padre era uscito...".

.

"Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all'estero: e non ci scriviamo spesso. Quando c'incontriamo, possiamo essere, l'uno con l'altro, indifferenti o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia. Ci basta dire: «Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna» o «De cosa spussa l'acido solfidrico», per ritrovare a un tratto i nostri antichi apporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle parole.Una di quelle frasi o parole, ci farebbe riconoscere l'uno con l'altro, noi fratelli, nel buio d'una rotta, fra milioni di persone. Quelle frasi sono il nostro latino, il vocabolario dei nostri giorni andati, sono come i geroglifici degli egiziani o degli assiro-babilonesi, la testimonianza d'un nucleo vitale che ha cessato di esistere, ma che sopravvive nei suoi testi, salvati dalla furia delle acque, alla corrosione del tempo. Quelle frasi sono il fondamento della nostra unità familiare, che sussisterà finché saremo al mondo, ricreandosi e risuscitando nei punti più diversi della terra, quando uno di noi dirà - Egregio signor Lipmann, - e subito risuonerà al nostro orecchio la voce impaziente di mio padre: Finitela con questa storia! l'ho sentita già tante di quelle volte!"

 

"Ma mia madre era quanto mai mutevole nelle sue simpatie, e instabile nelle sue relazioni: e le persone, o le vedeva tutti i giorni, o non voleva vederle mai. Era incapace di coltivare conoscenze per puro spirito di urbanità. Aveva sempre una paura matta «di stufarsi», e aveva paura che la gente venisse a farle visita quando lei voleva andare a spasso. [...] Se una delle sue anziane conoscenze le mandava a dire che sarebbe venuta a farle visita, era presa dal panico. - Allora oggi non potrò andare a spasso! - diceva disperata".

 

" mia madre...riprese ad abitarlo con lietezza, perchè il temperamento era lieto. Il suo animo non sapeva invecchiare e non conobbe mai la vecchiaia, che è starsene ripiegati in disparte piangendo lo sfacelo del passato"

  

 

 
 
 

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