Creato da: lontano.lontano il 22/01/2008
la poesia, la musica ed il loro contrario.

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C'era una volta il west- Il mio sogno

 

Eravamo nel 1968 ed io
dodicenne mi guardavo intorno
per capire cosa stessi cercando,
cosa volessi ma soprattutto,
chi fossi.
Un adolescente che vedeva
intorno a sè un mondo
cambiare, forse in maniera
troppo rapida per capire, forse
in maniera troppo lenta per i
sogni che si hanno in mente a
quell'età.
Un mondo nuovo arrivato
addosso, che portava
con sè nuove parole, nuove
mode, nuova musica.
Ascoltavo come tutti in quegli
anni la prima radio "libera",
quella Radio Montecarlo che
si faceva preferire ai canali
Rai a cui per forza di cose
eravamo legati.
Ricordo tutte le canzonette
dell'epoca e non mi vergogno
nel dire che molte non mi
dispiacciono neppure ora.
Arrivavano i primi complessi
stranieri di una certa
importanza e i compagni
di scuola si buttavano a
comprare i loro dischi.
Io continuavo ad ascoltare
tutto ciò ma li ascoltavo solo,
non li sentivo, non mi
riconoscevo, nulla era ciò
che stavo cercando, ero solo
sballottato da sonorità che
non mi prendevano e poco
mi appassionavano.
Un giorno mi capita di
ascoltare questo tema, per
caso arrivato fino a me, una
musica che mi ha attirato a sè
o per meglio dire mi ha
attirato a me, una musica che
è stata lo specchio della mia
anima, una musica che è
diventata mia proprio come
io diventavo suo.
Non sapevo da dove venisse,
non immaginavo neppure fosse
una colonna sonora, non
sapevo dove andarla a ritrovare.
L'ho cercata, l'ho scovata ed è
con me da quarant'anni, non
potrei fare a meno di lei perchè
perderei la parte migliore di me,
sarebbe come specchiarsi e non
vedersi, sarebbe come mangiare
e non nutrirsi, sarebbe come
vivere senza pensare.
Io per mia natura non sono
geloso, perchè penso che la
gelosia, in fondo, non sia che
la nostra insicurezza che ci
fà credere di non esser
all'altezza di sostenere una
comparazione con qualcuno
che, diamo già per scontato,
esser meglio di noi.
Lo sono però verso questa
musica che sento mia e solo
mia e non mi fà molto piacere
se altri mi dicono di
riconoscersi in lei, sarebbe come
vedere all'improvviso spuntare
un nostro replicante mentre fino
ad oggi credevamo di essere unici.
La capisco e lei mi capisce, mi
prende per mano e mi porta in
posti tranquilli, mi asciuga
gli occhi dalle lacrime
dopo averli bagnati,
così senza neppure un perchè,
mi stringe forte la gola
togliendomi quasi il respiro,
facendomi male ma
riportandomi in vita.
Chi mi vede quando sto con lei
mi dice che cambio espressione,
che mi perdo in un mondo
lontano, che trattengo,
senza riuscirci, un'emozione che
raramente mi capita di avere.
E' vero, e non chiedetemi perchè,
non saprei rispondere,
non si motivano le sensazioni,
non si riescono a spiegare
i tumulti del cuore,
non si sà nulla degli
sconvolgimenti dell'anima,
non si razionalizza l'amore.
Una dolcezza infinita che
mi prende la mente e
se la porta con sè e non sono
più io, proprio quando sono
più io che mai,
mentre io divento lei e
lei diventa me, uniti in un sogno
che finirà solo quando
non avrò più la forza per sognare.

 
 
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Desideri contrastanti.

Post n°388 pubblicato il 19 Novembre 2019 da lontano.lontano
Foto di lontano.lontano

Per capire qualcosa di più di ciò che leggerete, devo far un breve cenno alla genesi umana, quando "Quelli la", modificando la nostra struttura originale, ci hanno fatti diventare quello che ora siamo.
Essendo loro appartenenti ad una civiltà avanzatissima, molto più evoluta persino di quella che per noi oggi è fantascienza, potevano disporre di conoscenze in ogni campo dello scibile umano.
Sono venuti sulla terra perché occorreva loro un materiale prezioso, non certo per le proprietà di bellezza ma per utilità pratiche: L'oro.
Lo utilizzavano nell'ambito di una tecnica legata ai "Telomeri", da cui "Telomerasi", materia inerente i cromosomi e il DNA, su cui non mi dilungo, visto che potrete approfondirla personalmente.
Per sintetizzare, "trattando" l'oro, riuscivano a ottenere una longevità che quella che i miti ci hanno tramandato è stata associata ai Patriarchi.
Tornando al racconto, so di una persona che, accidentalmente, in maniera del tutto casuale, trafficando con una sterlina d'oro, dono di nozze; non chiedetemi sul come, perché non lo so, ha modificato qualcosa nei suoi geni, riuscendo a fermare il suo invecchiamento.
Non aveva assolutamente contezza di ciò che gli era successo e che mai avrebbe immaginato, per cui la sua vita, procedeva similmente a quella di ogni altro essere umano.
Il suo tempo biologico però, anno dopo anno, gli diceva qualcosa di diverso; non tutto andava come stava andando per tutta l'altra gente.
Le cose, le persone, il suo mondo, non erano più in relazione con quello che, ormai, era diventato un mondo parallelo, due emisferi che, nascevano da uno in origine unito.
Dapprima, vedere il suo fisico fermo a quei 50 anni che, pur aumentando, anno dopo anno rimaneva uguale, destava in lui un compiacimento personale e invidia negli altri ma, è ormai assodato, che la vita sia una "partita doppia", sistema contabile che, mi pare sempre più confacente alla filosofia piuttosto che alla ragioneria.
Ciò che la nostra esistenza ci concede si mette, nella colonna dell'"avere", ciò a cui dobbiamo rinunciare, in quella del "dare" ma, non è affatto scontato che il bilancio finisca poi in pareggio.
La persona di cui parlo, sapeva tutto ciò perché disponeva di una sensibilità tanto accentuata quanto particolare che gli permetteva di andar persino oltre la filosofia ma, soltanto successivamente, avrebbe capito che la nuova dimensione del suo pensiero sarebbe sfociata nell'inimmaginabile.
Restare giovani, penso sia il desiderio di tutti ma, è tale perché non lo si concepisce distaccato dalla contemporaneità.
Non invecchiare, pertanto, in una situazione che non invecchia è auspicabile ma non potrebbe esserlo altrettanto se ciò avvenisse unicamente a livello individuale.
Il modo di pensare di noi umani è un po' troppo superficiale, ci si limita ad una considerazione epidermica e la si esprime così com'è, senza soffermarsi sui concetti successivi alla stessa.
Purtroppo, per lui però andava tutto diversamente, non riusciva ad invecchiare mentre invecchiava l'universo che lo circondava.
Invecchiavano i genitori per poi andarsene, probabilmente, dove la disputa col tempo non lacera più, ma questa era l'unica cosa "normale" che gli stesse accadendo, l'unica, proprio la sola cosa normale.
Piano piano, o velocemente, non saprei trovare un confine tra le due sensazioni che, sono talmente soggettive, da sovrapporsi a seconda di percezioni che prescindono da tutto, anche dal tempo.
Se ne andava così, anche la persona che aveva accanto, quelle che gli erano accanto anche senza esserci, i nipoti, i loro figli e quelli dei loro figli, soltanto lui restava, li, dove capiva che non era più il posto, né il momento giusto per restarci.
Un vecchio di 50 anni, giovane nel corpo, nella mente e nella disperazione che, come lui, non riusciva ad invecchiare e che, restando giovane, gli provocava un dolore che rinnovandosi continuamente, assieme a lui invecchiava.
Era arrivato il momento di mettere gli accadimenti che ogni giorno recava con se, solo nella colonna delle passività. 
Nulla era per lui, non dico, fonte di gioia ma, almeno, di non sofferenza, e pensare che gli sarebbe bastato anche solo quello ma, quel poco era diventato troppo da poter esigere.
Ogni affetto lo aveva abbandonato, solo il ricordo di quello, sentiva trasformarsi in parole, in musica, poteva leggerlo in qualche pagina, poteva persino ingigantirlo fino a diventare mito e leggenda ma il mito, a quel punto non è che un rimpianto ancora maggiore della realtà.
Il suo desiderio era sfuggire a quella che era ormai la sua maledizione.
E' strano, come la vita possa trasformare una benedizione divina in dannazione, la fortuna in sfortuna e, a seconda di come gira il vento, ogni cosa nel suo contrario e il contrario persino nel suo opposto.
Non sorprenderà nessuno se affermerò che il condannato a quella semi eternità avrebbe voluto veder esaurirsi il suo tempo, come è concesso a tutti gli altri esseri umani.
Quello che sorprenderà invece voi che leggete di questa storia, come sorprende me che ne scrivo, è rendersi conto di come la morte, spesso, si possa considerare una concessione, piuttosto che una pena da scontare.
Non ci si pensa, perché la morte fa paura, come tutto ciò che non si conosce d'altronde, ed è su questa paura e nella conseguente rassicurazione, che le religioni fondano la loro ragione di vita.
Vogliamo sentirci dire che non moriremo mai del tutto e che, addirittura, vivremo in eterno.
Già, vivere in eterno sarà una grande e allettante prospettiva, forse in altre dimensioni ma qui, dove siamo in questo momento può esserlo altrettanto?
No, alla luce di quanto sto scrivendo, penso proprio di no.
Morire è un diritto e sono abbastanza certo che tutti ne abbiano usufruito ma il problema che ci si deve porre è ... quando.
Il tempo, ancora lui, il mistero insoluto con il quale da sempre l'uomo si trova ad aver a che fare.
Non amo dire tutti ma, non posso neppure fare dei distinguo ogni volta che affermo qualcosa, e se dico che tutti vorremmo andarcene il più tardi possibile, so benissimo che ci sono forzatamente tanti "distinguo" ma il caso della persona di cui parlo penso sia l'unico che non si possa razionalmente contemplare.
Morire prima di un certo momento è il desiderio universale delle persone che fanno della ragione e non della fede cieca un fondamento.
Morire prima dell'umana sofferenza che di umano non ha niente; morire prima che il tempo umili un essere umano, togliendogli i requisiti indispensabili che gli consentano di continuare ad esserlo, sarebbe davvero un diritto che mai, dovrebbe scadere a mero privilegio soggettivo.
E quella persona adesso desiderava farlo valere ma il riuscire ad esigerlo in mancanza di un interlocutore plausibile non era la cosa più semplice.
Non gli restava che una cosa da farsi, quel passo che da uomo semplice lo avrebbe elevato a divinità o a padrone del tempo, a padrone del destino o, ad esser lui stesso il destino.
Certo, non c'era altro da fare ma, fare quello, è soltanto facile a dirsi ma mai a farsi.
Ci vuole coraggio o tanta viltà, ed anche in questo caso gli opposti si confondono, tanto coraggio o tanta disperazione, la sola, probabilmente, che riesca a dare il coraggio quando non lo si possiede.
Se lo abbia trovato non so dirvelo e non so come sia finita questa storia, non avendo neppure nessuna certezza che sia finita.
Ciò che so è che questa persona sia andata via dalla mia città, sia andata sulle montagne che abbiamo alle spalle del mare, o appena sotto di esse, in uno di quei boschi di cui sempre mi aveva parlato quando io ero ancora molto giovane e lui cominciava a non esserlo più pur rimanendolo.
Se vi capiterà di andare in un bosco, magari per funghi o in una giornata di quelle in cui la tramontana sferza il cielo ripulendolo, chissà che non vi imbattiate in una persona che si aggira nei pressi del proprio rifugio.
Fermatevi a fare due parole con lui, senza accennare, però, a ciò che vi ho raccontato.
Se invece vedrete un rifugio disabitato, dove il fumo non esce dal camino e fuori la legna è accatastata in un angolo, fermatevi lo stesso e dedicate un pensiero a chi è riuscito a vincere il tempo ed al tempo si è arreso. 
A chi ha vinta la morte per poi abbandonarsi ad essa perché, in fondo, è l'unica che possa davvero mettere fine a certe sofferenze che, in altra maniera, non riusciamo a sopportare.  

 

 

 

 
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