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Juliet Berto: "Bisogna tenere a mente il colore della propria ferita per farlo risplendere al sole"
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E’ improvvisamente quando meno te l’aspetti che sbucano fuori da vicolini* cadenti (dove vite anacronistiche scorrono malinconicamente al ritmo di grosse sveglie) da cucine e seminterrati odoranti d’umido misto a polvere atavica, suoni e odori e immagini che comunicano conati di gioia in forma di ricongiunzione ad un ‘infanzia obliata ed amata. Una piccola altalena quanto meno cigolante, il tralcio di una festa di quartiere il lampioncino di carta colorata, l’odore di pasta e fagioli il riso bianco,stracotto ed una gonna minuscola a quadrettini divengono simulacri vibranti nuova vita in forma empirica. A. *Secondo alcuni storici vicolo è un termine improprio per una stradina che ha sbocco in entrambe le estremità, anche se da sempre è molto usato come diminutivo di via. Nella città moderna il vicolo è la stradina a fondo cieco, mentre nell'antica Roma si distingueva il vicus dal pagus. Gli abitanti dei dintorni dell'Urbe erano detti vicini (da vicus, villaggio) fino al decimo miglio delle mura serviane, mentre i pagani (da pagus, borgo, cantone) erano gli abitanti delle borgate prossime alla città. Tacito parlava di vicus come di una piccola via, un borgo, mentre Orazio lo intendeva come un quartiere, un rione. In Cicerone vicus vale come villa. Nel dialetto romanesco vi sono alcune espressioni in cui gioca la parola vicolo: abbità ar vicolo der bove (essere cornuto); annà pe' vicoli (nascondersi). Nel Belli il vicolo è anche sinonimo di soluzione o pretesto: er vicolo lo trova de sicuro.
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