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Juliet Berto: "Bisogna tenere a mente il colore della propria ferita per farlo risplendere al sole"

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Post N° 277

Post n°277 pubblicato il 28 Dicembre 2005 da ossimora
 
Foto di ossimora

E’ improvvisamente

quando meno te l’aspetti

che sbucano fuori

da vicolini* cadenti

(dove vite anacronistiche

scorrono malinconicamente

al ritmo di grosse sveglie)

da cucine e seminterrati

odoranti d’umido

misto a polvere atavica,

suoni e odori e immagini

che comunicano

conati di gioia

in forma di ricongiunzione

ad un ‘infanzia obliata

ed amata.

Una piccola altalena

quanto meno cigolante,

il tralcio di una festa di quartiere

il lampioncino di carta colorata,

l’odore di pasta e fagioli

il riso bianco,stracotto

ed una gonna minuscola

a quadrettini

divengono simulacri

vibranti nuova vita

in forma empirica.

A.

*Secondo alcuni storici vicolo è un termine improprio per una stradina che ha sbocco in entrambe le estremità, anche se da sempre è molto usato come diminutivo di via. Nella città moderna il vicolo è la stradina a fondo cieco, mentre nell'antica Roma si distingueva il vicus dal pagus. Gli abitanti dei dintorni dell'Urbe erano detti vicini (da vicus, villaggio) fino al decimo miglio delle mura serviane, mentre i pagani (da pagus, borgo, cantone) erano gli abitanti delle borgate prossime alla città. Tacito parlava di vicus come di una piccola via, un borgo, mentre Orazio lo intendeva come un quartiere, un rione.  In Cicerone vicus vale come villa. Nel dialetto romanesco vi sono alcune espressioni in cui gioca la parola vicolo: abbità ar vicolo der bove (essere cornuto); annà pe' vicoli (nascondersi). Nel Belli il vicolo è anche sinonimo di soluzione o pretesto: er vicolo lo trova de sicuro.


 
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