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UN PASSO INDIETRO PER FARNE UNO AVANTI.

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L'amore in un libro: parte ottava.

Post n°1156 pubblicato il 07 Aprile 2016 da lascrivana

Lidia decise di non dire nulla alla sorella, almeno per il momento. Era certa che Virginia, trovandosi sola in una città grande e sconosciuta, si sarebbe presto spaventata e avrebbe fatto ritorno a casa nel volgere di qualche ora. Di contro, il marito Antonio, intuì subito che la colpa di quella fuga era da attribuirsi a Eugenio. Conoscendo molto bene l’arroganza del figlio, sapeva bene cosa potesse essere accaduto in quel breve lasso di tempo. Decise così di cercarla passando parola agli amici del bar che era solito frequentare, avrebbe fatto il giro delle università e si sarebbe dato da fare, anche se avrebbe demandato volentieri tutto alla moglie. Era solo colpa sua se si era venuta a creare quella situazione, come se dei loro guai non ne avessero già abbastanza.

 

La corsa in moto con Peter si rivelò piacevole e rilassante, mi sembrava di volare. Nonostante l'apparente gracilità, le sue spalle erano forti e le braccia muscolose, d’istinto mi strinsi ancora più forte a lui. Inoltre era abile nella guida, districandosi nel traffico con estrema facilità, per poi dare gas allo scooter nei quartieri più isolati. Appena scesi davanti all’ingresso del suo palazzo, fui assalita da un attimo di panico, avrei avuto voglia di scappare. Ripensando a Eugenio però, Peter era decisamente il male minore, o almeno lo speravo.

La madre, una donnina piccola e compita, mi accolse con una freddezza cortese che mi mise a disagio. L’appartamento, a differenza di quello degli zii, era più luminoso e le pareti erano tinteggiate con colori tenui. I pochi mobili apparivano raffinati e scelti con cura, tutto sapeva di pulito e ordinato. Dopo le presentazioni, Peter, mi mostrò subito la mia stanza. Come il resto della casa, l’arredo era semplice ma accogliente. Il letto, privo di testata, era ricoperto da un telo stampato con colorati disegni geometrici. Una lampada cinese, in tinta con i colori del copriletto, faceva bella mostra su un piccolo tavolino laccato di bianco, vicino la finestra. Dopo che Peter mi ebbe lasciata sola, mi lasciai andare sul letto e fissai il soffitto. Nonostante l’accoglienza di sua madre, sentivo che in quella casa mi sarei trovata bene. Anche se ci conoscevamo solo da poche ore, mi sembrava di conoscerlo da una vita, stavo veramente bene in sua compagnia.

La cena si svolse in un assordante silenzio. La tensione era palpabile e, nonostante i tentativi di Peter per farmi sentire a mio agio, l'atteggiamento della madre rimase immutato. Emilia, così si chiamava, era una cuoca straordinaria, ma non riuscii a godermi appieno le sue prelibatezze. Giusto per non offenderla, buttai giù a forza qualche boccone, adducendo poi un terribile mal di testa come scusa per potermi ritirare. Poco dopo, nella mia stanza, mi coricai sul letto e chiusi gli occhi, ma il sonno non voleva saperne di arrivare. Come facevo spesso, presi il libro dallo zaino e ripresi la lettura.

 

[Lo sguardo della donna la fece fremere dentro, era più una supplica che a una richiesta.

-Vito, così si chiama mio marito, era ancora al lavoro quando quella bestia si è presentato. Mi ha insultata, colpita più volte e sbattuta a terra, ho creduto veramente di morire-

Agata deglutì. Si rese ben conto che la ragazza stava dicendo la verità, bastava leggerle negli occhi, c'era ancora tutto il terrore scritto in quelle iridi.

-Ma, forse, dall'alto qualcuno decise d'intervenire- proseguì la giovane cullando il bambino.

-Vito non stava molto bene quel giorno, una leggera influenza, e chiese al datore di lavoro se poteva rincasare prima, fu la mia salvezza. Non appena aprì la porta di casa mio padre cercò di fuggire, ma io urlai, urlai con tutta la forza che avevo in corpo. Il resto è stato solo un susseguirsi di corpi aggrovigliati e colpi furenti, con la comparsa improvvisa di un coltello. Quando tutto finì, il mio unico ricordo sono gli occhi spalancati di mio padre e il manico del coltello che sporgeva dal suo torace. E il sangue, tanto sangue-

Nonostante facesse caldo, Agata avvertì chiaramente i brividi percorrerle tutto il corpo. Quasi senza volerlo, allungò un braccio e accarezzò la guancia della ragazza, rigata di lacrime.

-Come ti chiami?- chiese semplicemente.

-Sofia, e Samuel è la mia vita- disse indicando il bimbo che, ignaro, continuava a dormire.

-E' stata legittima difesa, ha cercato di salvare te e il bambino che portavi in grembo, come hanno potuto condannarlo?-

Sofia annuì mestamente, poi sorrise, un sorriso rassegnato.

-Sai come vanno le cose in questo paese. Eccesso colposo di legittima difesa, così hanno sentenziato i giudici. Non deve scontare molto, ma è già fin troppo-

In quello stesso istante, l'uomo che aveva detto di essere una guardia carceraria si alzò avvicinandosi a loro]

Danio e Laura

 
 
 
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Un blog di: lascrivana
Data di creazione: 19/09/2010
 
 

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