I SOCIAL SONO IL TERRORE DEL POTERE

In questi giorni fa notizia, ma nemmeno tanto, lo scandalo facebook: milioni di utenti del social sarebbero stati “spiati” dalla società di analisi Cambridge Analytica legata all’ex consigliere di Trump, Steve Bannon, attraverso i dati personali forniti al momento dell’iscrizione e successivamente condizionati nelle proprie scelte politiche mediante una serie di notizie accuratamente manipolate e diffuse sullo stesso social per far breccia sulla loro personalità affinché votassero in un “certo” modo. Ciò sarebbe successo negli USA con l’elezione di Trump e in Gran Bretagna per la brexit.

Da qui le scuse ufficiali del fondatore di Facebook Mark Zucherberg, in lungo post apparso sulla propria pagina social. Ma anche l’indignazione di quanti, proprio in relazione a questa vicenda, vorrebbero che i social venissero chiusi o quanto meno limitati, perché ritenuti pericolosi per la tenuta democratica di una nazione.

Una scusa, quest’ultima, che definire puerile è un eufemismo visto che, prima dell’avvento di internet e dei social, i cittadini erano informati attraverso i giornali e telegiornali i quali, avendo il monopolio dell’informazione ed essendo nella maggioranza dei casi schierati con il potere, non si può escludere che a loro volta non informassero in maniera subdola l’opinione pubblica al fine di orientarla a favore o a sfavore di un tale partito, di un tale politico o perché votasse una specifica scelta referendaria; comportandosi allo stesso modo dei social verso cui oggi si indignano.

Una famosa locuzione latina recita divide et impera. Essa sta ad indicare che solo tenendo disunita la massa si può affermare una tirannide o un qualsiasi forma di governo.

Essendo la funzione dei socia network quella di unire, seppure virtualmente, le persone, consentendogli di scambiarsi in rete in tempo reale idee, informazioni, opinioni, o semplicemente di chiacchierare chattando, restando “comodamente” sedute dietro al computer di casa, è ovvio che tutto ciò crea problemi al potere in quanto non gli consente più di mettere in pratica quanto suggerito dal motto latino sopraccitato, ossia dividere la massa per poi condizionarla a proprio uso e consumo.

Pertanto ecco probabilmente spiegato il motivo per cui in ogni modo, perfino nel democratico occidente, si starebbero cercando validi pretesti per chiudere o limitare internet e i social network: l’unione, seppure virtuale, fa la forza e ciò fa paura al potere!

UN GOVERNO CDX/PD E’ LA LOGICA CONSEGUENZA DEL ROSATELLUM

È paradossale quanto sta succedendo in Italia da lunedì 5 marzo, ossia da quando sono noti i risultati elettorali delle elezioni politiche 2018. In tanti auspicano nel senso di responsabilità delle forze politiche affinché vincitori e sconfitti riescano a mettersi d’accordo per  varare un governo che garantisca un minimo di stabilità politica al paese. Cosa niente affatto semplice, già ben nota molto prima che si andasse al voto, dato che la legge elettorale con cui abbiamo votato, rosatellum –  varata in tutta fretta dal Governo Gentiloni con ben otto voti di fiducia, con l’appoggio di PD, Forza Italia, Lega e Alternativa Popolare e osteggiato dal M5S e dalle sinistre,  dopo la bocciatura dell’Italicum, la legge elettorale che, a detta dell’allora segretario del Pd Matteo Renzi, tutta Europa ci avrebbe copiato, fu bocciata dalla Corte Costituzionale per incostituzionalità – per la caratteristica che favorisce le coalizioni rispetto ai singoli partiti, ha creato una fase di stallo. Se da un lato il M5S s’è affermato come partito di maggioranza relativa con oltre  il 32% di preferenze, la coalizione di centrodestra Lega/FI/FdI ha ottenuto complessivamente il 37% (Lega 17%, FI 14%, FdI 4%, 2% altri partiti) mentre il Pd poco più del 18%.

Poiché il rasatellum premia le coalizioni, la naturale vincitrice delle elezioni dunque  è la coalizione di centrodestra. La quale però, avendo ottenuto un risultato inferiore al 41%, non ha la maggioranza assoluta dei seggi per poter dar vita a un governo autonomo. Pertanto se Salvini e soci volessero governare, avrebbero bisogno dell’appoggio del M5S o del PD. Ma non avendo il M5S votato a favore del rosatellum, non si capisce per quale motivo dovrebbe allearsi con il centrodestra per dar vita a un governo. Sarebbe molto più logico che ad allearsi con Salvini e c. fosse il Pd. Non solo perché il rosatellum è frutto del pensiero di Ettore Rosato, capogruppo alla Camera del Pd nella legislatura uscente, ed il Pd l’ha sostenuto unitamente all’intero centrodestra. Ma anche perché non sarebbe questa la prima volta che il Pd si alleerebbe con il centrodestra per governare. L’ha già fatto con il Patto del Nazareno per varare insieme a Berlsuconi la riforma costituzionale e la legge elettorale, l’Italicum, e poi con ALA di verdini.

Che il M5S vada pure all’opposizione. Il caos che da lunedì sta agitando la politica italiana è frutto del rosatellum. È giusto che a farsi carico di risolverlo siano gli stessi partiti che, votando il rosatellum, posero le basi perché si manifestasse!

 

I TERRONI FANNULLONI E CAMORRISTI LA CAUSA DEI GUAI DEL PD!

Fino a quando ad attaccare il sud per aver votato compatto M5S, contribuendo in maniera determinante alla debacle del Pd alle elezioni, fosse Vittorio Sgarbi per non aver digerito il cappotto subito nel collegio di Pomigliano dove nell’uninominale è stato clamorosamente sconfitto da Di Maio con un 63,4% a 20,37%, ci sta. Sentir dire da uno, Sgarbi, che ha impostato la propria campagna elettorale facendosi ritrarre sul water nell’atto di defecare associando Di Maio a un lassativo, che al sud hanno votato per il M5S attratti dal reddito di cittadinanza perché non hanno voglia di “fare un cazzo”, fa parte del personaggio. Ma non lo giustifica!

Ma che a farlo in maniera seria, ovviamente con linguaggio non colorito come quello di Sgarbi, siano rappresentanti del mondo culturale di centrosinistra, tipo l’architetto Massimiliano Fuksas questa mattina ad AGORA’, francamente lascia l’amaro in bocca. Così come l’amaro in bocca ha lasciato il tweet con cui ieri Vittorio Zucconi “informava” che a Napoli il M5S aveva vinto i tutti quei collegi a rischio camorra. Dando l’impressione insinuasse che i voti dei grillini fossero voti della camorra. Senza domandarsi se invece quel voto non fosse un voto di protesta di quelle tante persone oneste che vivono in quelle aree depresse della periferia napoletana stanche della vecchia politica collusa con la camorra o incapace di fronteggiarla.

Cercare ad ogni costo di addebitare le responsabilità della disfatta elettorale del Pd alla dabbenaggine e svogliatezza degli elettori meridionali e non invece all’inconsistenza di una certa politica è l’ulteriore conferma di come chi dovrebbe rappresentarle disattende le istanze dei cittadini.

Attribuire la vittoria nel sud del paese del M5S alla naturale improduttività e al loro essere camorristi o mafiosi è un’offesa che ci aspetteremmo da un leghista tipo Salvini. Non certo da chi per cultura ideologica dovrebbe farsi carico delle esigenze delle regioni arretrate del paese e delle popolazioni meno abbienti che vi risiedono; difendendole anziché offenderle solo perché, sentitesi abbandonate da chi si fidavano, hanno avuto il coraggio di cambiare votando il nuovo.

Se poi il loro coraggio sarà ricambiato, lo sapremo solo se il M5S andrà al governo.

Cosa difficile visto che con l’obbrobriosa legge elettorale con cui abbiamo votato, opera del PD e non certo del M5S, l’ingovernabilità è garantita. A meno di inciuci!

SCALFARI INCORONA DI MAIO E IL M5S, PANICO NEL PD

Sono certo che ieri sera molti attivisti e elettori del centrosinistra come minimo saranno caduti dalle sedie e dalle poltrone, se non addirittura qualcuno sarà stato colto da un coccolone, ascoltando Eugenio Scalfari – intellighenzia per eccellenza del centrosinistra, fondatore de L’Espresso e di La Repubblica -, intervistato a Di Martedì da Giovanni Floris, osannare Di Maio per il modo con cui ha modificato il proprio modo di fare politica, “dimostrando notevole intelligenza politica”; auspicando che sarà lui il leader della nuova sinistra italiana. Preferendolo di gran lunga a Salvini.

Lo stesso Scalfari solo poche settimane prima del voto, sempre da Floris, alla domanda chi preferisse tra Berlusconi e Di Maio, senza esitare aveva risposto “Berlusconi”. Suscitando non poche perplessità e polemiche negli ambienti di centrosinistra, partendo da Repubblica.

Ora, come si possa cambiare in così poco tempo opinione su un leader politico e il suo partito, verso cui fino a poche ore prima del voto Scalfari ne diceva e scriveva peste e corna francamente lascia stupiti, costernati.

A meno che dall’alto della propria indiscussa autorità intellettuale e politica Scalfari non abbia voluto mandare un messaggio criptato a qualcuno del PD affinché tra un’ipotetica alleanza di governo, tra Lega e M5S, scegliesse di appoggiare un governo targato Di Maio. Non fosse altro perché, stando all’analisi dei flussi elettorali, molti dei voti persi dal Pd sarebbero confluiti al M5S a testimonianza che una buona fetta dell’elettorato di centrosinistra ormai si riconosce sempre più nel M5S. E sempre meno nel PDR, (partito di Renzi). Di conseguenza, così facendo, non si può escludere che appoggiando un governo Di Maio, nell’attesa il Parlamento vari l’ennesima legge elettorale, sperando non truffaldina come l’attuale da cui deriverebbe l’ingovernabilità in cui il paese rischia di cadere, il Pd abbia il tempo di rifarsi il look, incominciando dall’elezione di un segretario che sia davvero un uomo di sinistra e non un democristiano camuffato da democratico che con la sinistra non ha nulla da spartire.

Solo così potrebbe spiegarsi l’improvviso endorsement di Scalfari verso Di Maio. Nemmeno per un istante vogliamo pensare che le sue parole, che tanti nasi hanno fatto storcere a partire da quelli di Vittorio Zucconi e Massimo Giannini presenti in studio, siano conseguenza della veneranda età del decano dei giornalisti italiani.

POLITICHE 2018: M5S E LEGA FANNO BOOM, PD E FI FANNO CRACK

Solo questa sera, se non addirittura domattina, conosceremo i risultati definitivi delle elezioni politiche. Tuttavia quelli parziali un risultato inequivocabile già lo hanno decretato: il Pd di Renzi con l’intero centrosinistra e Berlusconi sono i veri sconfitti di queste elezioni. M5S e Lega i vincitori. A dirlo sono i numeri, non i sondaggi o gli exit pool: M5S 32% alla Camera, poco meno al Senato; Lega circa il 18% sia alla Camera che al Senato; Pd introno al 19% in entrambi i rami del Parlamento; FI 14% alla Camera, poco più al Senato; Fratelli d’Italia della Meloni poco più del 4% sia alla Camera che al Senato; Liberi Uguali poco del 3% in entrambi le Camere; +Europa della Bonino poco più del 2% sia alla Camera che al Senato.

Se questi dati trovassero, come quasi certamente avverrà, conferma in quelli finali, il M5S è il primo partito di maggioranza relativa e sia alla Camera che al Senato sarà il primo gruppo parlamentare, realizzando quello che era, e tale è restato, il sogno di Renzi.

Tuttavia, pur essendo il M5S primo partito di maggioranza relativa è improbabile che vada al governo. Non tanto perché Mattarella, come gli impone la Costituzione, non darà a Di Maio l’incarico di formare il governo, ma perché, avendo il M5S preventivamente presentato pubblicamente la lista dei ministri, le poltrone che contano già sono assegnate, per cui è impensabile che gli altri partiti, fino a ieri abituati a spartirsi la torta “per il bene del paese”, accettino di convergere sul programma del M5S sostenendolo senza riceverne nessuna poltrona in cambio, consentendo a Di Maio e c. di governare.

Molto più probabile che, una volta ricevuto l’incarico dal Presidente della Repubblica, Di Maio non riesca a trovare una maggioranza che lo sostenga per cui rimetterà il mandato a Mattarella. Aquesto punto lo scenario che dovrebbe seguire sarà quello di un governo di scopo a guida Gentiloni per consentire al Parlamento di varare una nuova legge elettorale che consenta finalmente a chi vince le elezioni di governare anziché andare all’opposizione come succede con l’attuale legge.

C’è da sperare che, se davvero dovesse realizzarsi la seconda ipotesi, ossia quella di un governo di scopo a guida Gentiloni, i partiti tutti, ad iniziare da quelli del Patto del Nazareno Pd e FI, abbiano il buon senso e, soprattutto, l’umiltà di fare le cose in assoluta sintonia con la Costituzione, riconsegnando ai cittadini la possibilità di votare non solo la lista ma anche di scegliersi il candidato. Anziché cercare di modificarla a proprio uso e consumo, la Carta va attuata.

Se all’indomani delle elezioni già si parla di un governo transitorio nell’attesa di varare una nuova legge elettorale per poi andare nuovamente alle urne, è evidente che chi ci ha governato nella legislatura appena conclusasi l’ha fatto in maniera pessima, arruffata, incapace!

Con i suoi ipotetici oltre 200 parlamentari alla Camera e poco più di 100 al Senato, percentuali che richiamano alla memoria quelle di quando il PCI era all’opposizione della DC, il M5S potrà fare un’opposizione forte e, se vorrà, costruttiva, costringendo i vecchi partiti nel momento delle scelte topiche per il Paese di tenere conto che nell’aula del Parlamento siede una forza politica che da sola rappresenta il 30% dei cittadini.

Per quanto riguarda il Pd è inutile che Renzi e suoi neghino quello che anche le pietre sapevano da tempo: la mazzata era nell’aria e anche i numeri con cui si è manifestata. La vicenda Banca Etruria e l’inchiesta Consip, nonché la sconfitta al referendum, il jobs act e tanti altri provvedimenti controversi varati dagli ultimi governi di centrosinistra che, più che tutelare i cittadini, hanno dato l’impressione di fare gli interessi dei “soliti noti”, non possono non aver giocato un ruolo determinante nelle scelte dell’elettorato di centrosinistra. Ma soprattutto non può non aver condizionato l’esito negativo del voto per il PD il Patto del Nazareno e i ripetuti endorsement verso un’alleanza con Berlusocni da parte di politici del centrosinistra e uomini di cultura che lo sostengono i quali tutto avrebbero sostenuto e votato pur di evitare la vittoria del M5S.

Oggi il PD è un partito, se non morto, in coma profondo. Conseguenza naturale della mancanza di identità che lo caratterizza da quando è nato – un’accozzaglia tra ex comunisti e ex democristiani – la quale ha portato alla distruzione de L’Unità, quotidiano che per anni è stato il riferimento informativo degli operai e di quanti votavano a sinistra.

Con la sua ascesa alla Segreteria del Pd Renzi ha lentamente distrutto quei residui di riferimento che legavano il PD al PCI. Ciliegina sulla torta, candidare nelle liste del PD nel collegio di Bologna un democristiano doc come Casini.

Diverso il discorso per FI: per quanto Berlusconi, malgrado l’età avanzata e i suoi guai giudiziari, fosse sceso in campo per garantire al proprio partito di conquistare una percentuale di voti tale da consentirgli di porsi alla guida del centrodestra subito dopo le elezioni, le sue confuse apparizioni pubbliche con dichiarazioni che dal comico al surreale, hanno dimostrato che l’ex cavaliere non ha più quella lucidità mentale che lo contraddistingueva in passato. Per cui gli elettori gli hanno preferito Salvini, consegnando al leader della Lega la possibilità concreta di puntare a Palazzo Chigi.

In sintesi, se oggi non sappiamo chi ci governerà lo dobbiamo a Renzi e al Pd che, pur di chiudere al M5S ogni accesso alle stanze del potere, non si sono fatti scrupoli di fare alleanze prima con Berlusconi e poi con Verdini, varando una legge elettorale orrenda che, se da un lato doveva penalizzare il M5S, ha punito il PD e potrebbe consegnare il paese nelle mani della Lega Nord.

Per quanto riguarda Liberi Uguali, un partito fondato da chi in Parlamento prima faceva la voce grossa contro Renzi per la proposte di legge che, a suo dire, avrebbero penalizzato i cittadini ma poi le votava tutte perché “non si può andare contro la ditta”, forse il 4% è pure tanto!

ISABETTINI RICORDA LO SGOMBERO DEL RIONE TERRA

Il 2 marzo 1970, dopo essersi consultato con gli esperti dell’osservatorio vesuviano, il Prefetto di Napoli Francesco Bilancia firmava un’ordinanza di sgombero immediato del Rione Terra, l’anima storica di Pozzuoli, causa imminente pericolo di eruzione, lasciando senza parole lo stesso Sindaco di Pozzuoli Angelo Nino Gentile in quelle ore convocato a Roma dal Ministro degli Interni e dal Prefetto Capo dei servizi per la Protezione Civile. I segnali che da un momento all’altro la terra a Pozzuoli stesse per  “esplodere” con conseguenze catastrofiche per l’intera popolazione furono una repentina ripresa dell’attività bradisismica registrata nelle settimane precedenti con perentorio innalzamento del sottosuolo e intensificazione delle fumarole. Nel breve giro di due soli giorni, circa tremila persone – non fu evacuato solo il Rione Terra ma anche una buona parte del centro storico – fu trasferita, mediante l’ausilio di camion e di pullman dell’esercito, negli alberghi del litorale flegreo e nei comuni limitrofi. E successivamente nelle palazzine antisismiche del Rione Toiano, edificato per fronteggiare le esigenze degli sfollati.

Per non dimenticare quanto accadde a Pozzuoli, in particolare al Rione Terra, quasi mezzo secoli fa, ieri nei locali dell’associazione culturale LUX IN FABULA presieduta da Claudio Correale, si è svolto un incontro con il pittore Antonio Isabettini, memoria storica di Pozzuoli, il quale, con l’ausilio di filmati e foto d’epoca, non solo ha raccontato quanto avvenne in quei due giorni ma soprattutto le tante incongruenze che li contraddistinsero: l’ordinanza di sgombero prevedeva solo l’evacuazione del Rione Terra e non anche quella delle aree adiacenti e sottostanti quali il centro storico per cui, a seguito dello sgombero della rocca, molte famiglie decisero di abbandonare spontaneamente le proprie abitazioni perché sembrava loro, giustamente, impossibile che l’evento sismico ormai imminente avrebbe interessato solo il Rione Terra e non anche l’intera Pozzuoli o quanto meno la zona a ridosso della rocca e del mare. Cosa strana, la sede vescovile restò “tranquillamente” attiva sul Rione Terra fino agli inizi di dicembre 1980. Fu evacuata solo a “seguito” del terremoto del 23 novembre 1980, quando vennero “staccate” le utenze di acqua e luce, costringendo il vescovo Sorrentino a trasferire l’episcopato presso la Casa del Fanciullo.

Nei giorni successivi allo sgombero, malgrado l’area del Rione Terra fosse stata interdetta al pubblico, e dunque si presume dovesse essere presidiata dalle forze dell’ordine per evitare atti di sciacallaggio a danno delle abitazioni private e del patrimonio artistico presente, furono completamente saccheggiati gli arredi sacri del Duomo/Tempio di Augusto e della chiesa di San Celso. Alcuni dei reperti trafugati furono rinvenuti per puro caso tra gli arredi di qualche struttura alberghiera e, solo a seguito di regolare denuncia alle autorità competenti,  riportati nel loro luogo d’origine.

Un evento che molti considerano tristemente premonitore di quale sarebbe stata la sorte del Rione Terra fu l’incendio che tra il 16 e il 17 maggio del 1964 distrusse il Duomo di Pozzuoli, portando alla luce i resti del Tempio di Augusto su cui tra il V e il VI secolo d.c. i puteloani edificarono la basilica di San Procolo loro santo patrono. Raccontando dell’incendio Isabettini ha fatto un interessante parallelismo temporale con l’uscita del film denunci di Francesco Rosi LE MANI SULLA CITTA’ in cui si affronta la questione dell’abusivismo edilizio che tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta vide la massiccia cementificazione a Napoli delle colline del Vomero e di Posillipo, estendendosi a macchia d’olio verso le campagne a valle, interessando successivamente le zone di Fuorigrotta, Cavaleggerri, Bagnoli per poi spingersi fin verso l’area flegrea dominata da Pozzuoli e dal suo splendido golfo.

L’evacuazione del Rione Terra per il rischio di un’imminente eruzione e la successiva apertura ventidue anni dopo dei cantieri per la ristrutturazione della rocca con l’affidamento dei lavori di recupero l’11 gennaio 1992 al Consorzio Rione Terra  sono un’evidente contraddizione che alimentano più di qualche dubbio se all’epoca fosse effettivamente necessario evacuare il Rione. O se dietro l’evacuazione vi fossero ben altri interessi.

Nella sua lunga e dettagliata esposizione Isabettini ha posto più di una questione che tutt’oggi resta un mistero. Una su tutte “quale sorte toccherà al rione Terra, una volta che si completeranno i lavori di ristrutturazione?”. Davvero lo si vuole trasformare in un albergo diffuso? A questa eventualità Isabettini si oppone da sempre ritenendola improponibile per tutta una serie di motivi di natura logistica, primo tra tutti dove parcheggeranno le auto i turisti e come si sposterebbero vista la deficienza dei mezzi pubblici locali? Al di là dei controversi aspetti logistici segnalati da Isabettini, la scelta di adibire il Rione Terra ad albergo diffuso lascia perplessi visto che, mai come ora l’attività sismica dei Campi Flegrei è monitorata con particolare attenzione dagli esperti i quali temono “un’imminente eruzione”con conseguenze catastrofiche non solo per Pozzuoli e comuni limitrofi ma anche per Napoli estendendosi la caldera dei Campi Flegrei fin oltre la collina di Posillipo e i Camaldoli.

Possibile mai che, nonostante gli avvertimenti della comunità scientifica, si pensi di allestire un albergo laddove si evacuarono gli abitanti per il ridestrarsi di un attività vulcanica che da sempre, periodicamente, caratterizza Pozzuoli e le zone circostanti come dimostrano la città sommersa di Baia e altri rilevamenti archeologici sommersi nel golfo di Pozzuoli?

Nell’attesa di conoscere quale sarà il futuro del rione Terra, al momento l’unica realtà sotto gli occhi di tutti è che, a parte il Duomo riaperto nel 2014, esattamente cinquant’anni dopo l’incendio che lo distrusse, i cantieri per la ristrutturazione della rocca proseguono a singhiozzo. Sembra che i piani originari di consegna dei lavori  contemplerebbero la completa apertura dell’area nel 2020, esattamente a cinquant’anni dall’evacuazione. Tuttavia per motivi burocratici e finanziari pare che prima del 2022 non sarà possibile rendere l’area totalmente sgombra dala cantiere.

A meno di due anni dal mezzo secolo dallo sgombero del Rione Terra, ci risulta che l’incontro di ieri da Lux in Fabula con Isabettini sia stato l’unico evento organizzato sul territorio per ricordare quanto avvenne il 2 marzo del 1970. Quasi che non interessasse tenere viva la memoria storica della città.

La memoria storica di un popolo va alimentata, non obliata, affinché le nuove generazione sappiano quali sono le loro reali radici e si adoperino per ridare lustro alla città anziché emigrare all’estero per trovare uno scampolo di lavoro.

Un popolo senza radici è un popolo alla mercé di chiunque. Un popolo alla mercé di chiunque non è un popolo ma un gregge di pecore!