“Cuma”, racconto

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Di seguito l’incipit del racconto pubblicato su “comunicare senza frontiere”, per leggerlo tutto basta cliccare qui 

 

L’ultima volta che Corrado aveva visitato l’acropoli di Cuma fu all’epoca del liceo. Successivamente, nonostante si fosse ripromesso di recarvisi non appena potesse, gli impegni universitari prima e l’attività di cardiologo poi lo avevano costretto a tenere in naftalina quel proposito.

Spesso la sera, rientrando a casa da un’estenuante giornata di lavoro tra ospedale e ambulatorio, dopo aver cenato con la famiglia informandosi sul come fosse trascorsa la giornata di Alberto e Luca, i suoi figli, e di sua moglie Rosaria funzionaria alla regione, mentre i ragazzi si ritiravano in camera per guardare la tv o giocare alla play station e sua moglie si barricava nello studio davanti al PC per continuare il lavoro d’ufficio, lui si sdraiava sulla comoda poltrona nel soggiorno, immergendosi nella lettura di uno dei tanti saggi sui Campi flegrei che riempivano la libreria di casa. Possedeva l’opera omnia del Maiuri, nonché una sfilza di libri di archeologi e studiosi della “terra ardente”. Spesso alternava a quei testi la lettura di Omero e Virgilio che nelle loro opere ponevano l’ingresso all’Ade, la terra dei morti, proprio nei Campi flegrei. Precisamente Virgilio collocava la discesa agli inferi sul Lago d’Averno. Uno dei passi che prediligeva dell’Eneide era il capitolo VI dove si narrava dell’incontro di Enea con la sibilla. A volte meditando su quei luoghi mitici, adagiandosi nella poltrona con un bicchiere di whisky tra le dita, chiudeva gli occhi sussurrando le parole che Enea proferì quando incontrò la pitonessa, <<Vergine, non sorge davanti alla mente inatteso o nuovo l’aspetto del dolore: l’animo esperto lo prevede ed è pronto ad accoglierlo: ma soltanto di una cosa ti prego: se qui vicina è la soglia di Dite e l’opaca palude donde salgono i gorghi nebulosi di Acheronte, io vorrei scendere giù a rivedere l’immagine cara del mio genitore: insegnami la via, aprimi tu quelle porte sacre. In mezzo alle fiamme fuggendo e sotto mille dardi su le mie spalle lo presi e lo strappai al nemico; lui, compagno al cammino, lui invalido, vecchio, sopportava audace con me tempeste di tutti i mari e i nembi oscuri del cielo; e ch’io venissi supplice a te, ai tuoi penetrali, lui stesso m’impose. Tu, santa, abbi pietà, ti prego, di me e di mio padre: tu certo puoi tutto né fosti invano preposta Ecate ai boschi d’Averno. Se Orfeo poté richiamare dai Mani l’amata fidando nel suono della cetra, se Polluce scambia col fratello la morte, e va tante volte e ritorna per questa via – dovrò ricordare il grande Teseo ed Ercole? – anche il mio sangue deriva da Giove>>.

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L’insolito freddo che quei giorni attanagliava il centro sud aveva scoraggiato i pazienti dal recarsi allo studio. Pertanto, come accadeva solo ad agosto, l’anticamera dello studio era vuota. Più volte nel corso del pomeriggio s’era alzato dalla scrivania per affacciarsi nell’atrio a controllare se qualcuno aspettasse il proprio turno. Sempre incrociava lo sguardo sornione di Monica, la sua assistente alla porta che, seduta dietro alla scrivania, era impegnata a risolvere un cruciverba. <<Penso che ormai non verrà nessuno>> disse fissando l’orologio al polso. <<Il freddo e l’influenza mi stanno regalando un inatteso pomeriggio di riposo. Tu va’ pure, io mi intrattengo ancora una mezz’oretta>>. Fece un cenno di saluto col capo e rientrò nello studio. Si avvicinò alla libreria di fianco alla finestra; lanciò un’occhiata attraverso il vetro del pannello scorrevole ai libri e alle riviste mediche addossate sul ripiano; lo fece scorrere per prendere una vecchia edizione dell’Eneide risalente all’epoca del liceo. Non ebbe il tempo di sedersi che il campanello bussò alla porta. Con il libro nella mano andò ad aprire. <<Buonasera>> lo salutò un uomo di media statura togliendosi il cappello. <<Sono in tempo per una visita?>> domandò, lanciando un’occhiata alle sedie vuote nella stanza. <<Certo, si accomodi pure>> rispose Claudio, spostandosi di lato perché lui entrasse.

<<Si direbbe che il gelo di questi giorni abbia potuto più dei medicinali>> sorrise volgendo lo sguardo sulle sedie vuote, precedendo lo sconosciuto nello studio. <<Si accomodi>> disse, indicando con la mano una delle sedie davanti alla scrivania. A sua volta si sedette di fronte all’uomo, poggiando l’Eneide sul bordo del tavolo. <<E’ la prima volta che la vedo, è mio paziente da poco?>>. Prima di rispondere, l’uomo volse interessato lo sguardo sulle stampe seicentesche alle pareti ritraenti diversi luoghi storici dei Campi flegrei. <<Mi tolga una curiosità>> fece tornando a incrociare lo sguardo di Claudio, <<Tutte queste stampe sono un abbellimento casuale oppure frutto di una scelta mediata dalla passione per quei luoghi?>> <<Una scelta mediata>> rispose tormentandosi il mento tra le dita, fissandolo con curiosità. <<Perché me lo chiede?>> domandò poi, raddrizzandosi nella poltrona girevole. <<Perché anch’io li amo, uno in particolare!>> <<Quale?>> <<L’acropoli di Cuma!>> <<Ma guarda>> sorrise Claudio <<Anch’io sono innamorato di quel posto. Tuttavia ci manco da circa vent’anni, non le sembra un paradosso?>> fece divertito. <<Per niente>> rispose seriamente l’uomo. <<L’acropoli di Cuma non è un comune sito archeologico da visitare quando si vuole. E’ l’acropoli, ovvero lo spirito ctono del luogo, a decidere chi dei tanti visitatori dovrà ritornarci e quando… Fino a che lo spirito dell’acropoli non farà udire la propria voce nessuno sentirà il bisogno di ritornarci!>> Ascoltandolo, Claudio fu colto da un leggero tremore. Per un istante temette di trovarsi al cospetto di un pazzo. Fissando la fredda lucidità che traspirava negli occhi dell’uomo, accantonò l’idea considerandolo un appassionato come lui del mito virgiliano. <<Guardi cosa avevo deciso di leggere poco prima che lei arrivasse>> disse, mostrando l’Eneide all’uomo. Questi sorrise. <<Come vede avevo ragione!>> <<In che senso?>> <<Nel senso che la sibilla la sta chiamando!>> Lo studio cadde in un profondo silenzio. Gli uomini sembravano sfidarsi con gli sguardi. Alla fine Claudio sfuggì quello dell’uomo insolitamente intenso e luminoso. <<Lei chi è?>> chiese aprendo un cassetto, cercandovi il nulla. <<Certo non quello che pensa lei!>> <<Ossia?>> <<Né un pazzo, né un paziente! Se domani mattina sarà così gentile da raggiungermi all’acropoli conoscerà la verità!>> concluse accennando un leggero sorriso.<<Ma domani devo andare in ospedale…>> <<Si prenda un giorno di riposo>> lo interruppe, <<perché non accadrà nulla di così grave da richiedere la sua presenza. L’aspetto domattina a Cuma>> disse. Si alzò, aprì la porta dello studio e sparì. […]

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INCONTRO CON LA SCRITTRICE MATILDE IACCARINO

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Di seguito l’intervista integrale pubblicata su comunicaresenzafrontiere.it

Venerdì 1 febbraio alle ore 17,30 a Villa De Gemmis/Villa Avellino – Via Carlo Rosini, 21 – Pozzuoli – si presenterà il libro ARSENALE DI MEMORIE di Ida Di Ianni e Matilde Iaccarino edito da Volturnia Edizioni. Per l’occasione abbiamo posto alcune domande a Matilde Iaccarino, ripromettendoci quanto prima di fare altrettanto con Ida Di Ianni.

Matilde Iaccarino nasce a Pozzuoli (Na), è giornalista, appassionata di letteratura (ha pubblicato alcune raccolte di poesie e racconti) ed è impegnata da molti anni nella ricerca storica. Si occupa principalmente di storia contemporanea, alternando al lavoro d’archivio quello legato alla storia orale e ai giornali d’epoca. È stata borsista presso prestigiosi istituti di ricerca, come l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e l’Istituto Italiano per gli Studi Storici “Benedetto Croce”; attualmente fa parte della redazione del «Bollettino Flegreo» e insegna italiano e latino presso l’Istituto superiore di Bacoli (Na).

Matilde posso definirti scrittrice di genere?

Scrittrice di genere è una bella definizione ma anche complicata in quanto fa riferimento a quell’area femminista, pseudo femminista o femminile. Io mi definirei “scrittrice di genere non puro”. Mi spiego: in quanto donna porto il mio punto di vista di donna in qualsiasi narrazione, ricerca, intervista che faccio. Tuttavia non mi piace parlare esclusivamente di donne o dei soliti topic femminili perché non mi piace l’idea di donne che parlano di donne. Per capirci meglio, rispetto alle vere scrittrici di genere che si occupano esclusivamente di temi inerenti la donna e la sua condizione, io mi guardo intorno e osservo il mondo in toto, non solo quelle delle donne ma anche degli uomini o il sociale in cui sono impegnata e da cui trassi spunto per la mia precedente raccolta di racconti LA TEORIA DELLA BUONA FORMA, per poi dare la mia interpretazione di donna in maniera obliqua e periferica, cogliendo sfumature che invece a un uomo sfuggirebbero in quanto, secondo me, essendo lo sguardo maschile più d’impatto si focalizza su un punto e non lo abbandona più. Ecco perché non mi definirei una scrittrice di genere.

Preferisci essere definita scrittrice, giornalista o professoressa?

La domanda è complicata in quanto attinente al prisma dell’essere donna. Fare l’insegnate è stata una mia scelta ponderata e non un ripiego. Insegno da diciotto anni e non ho mai pensato di aver sbagliato strada: mi appassiona, mi piace, sono una di quelle che quando si sveglia la mattina non ha paura di annoiarsi. Parallelamente quando scrivo, in qualunque momento, percepisco me stessa, la mia autenticità. Il giornalismo è invece l’aspetto che più ho trascurato nel corso degli anni: è stata una grande passione giovanile che come tutti i grandi amori giovanili sono destinati a finire ma ti lasciano un segno che traccerà il prosieguo della tua vita. Io oggi sono un’insegnante e una scrittrice: né l’una cosa prevale sull’altra né l’una smentisce l’altra.

Se non sbaglio sei anche moglie e madre… Come riesci a integrare tra di loro questi ruoli rispetto alla scrittura non rubando spazi alla famiglia?

Ti ringrazio molto per questa domanda che per una donna è fondamentale visto la pluralità di ruoli che è costretta a coprire. Io dedico alla scrittura tutti i momenti morti della mia vita: porto sempre con me un quadernetto nel quale appunto qualsiasi idea mi venga in mente nel corso della giornata per non perderla e nei momenti “morti” scrivo: sia se sono in piscina in attesa che esca mio figlio; sia la sera dopo che si è addormentata la bambina o ho finito di correggere i compiti; o se sono in attesa alla posta. È in quei momenti che la mia creatività si manifesta e do vita alle mie storie. Lasciami inoltre ringraziare mio marito che in questa attività mi ha sempre sostenuta rispettando le mie esigenze da scrittrice, lasciandomi gli spazi necessari perché possa non solo scrivere ma rivedere come si conviene i miei elaborati.

Che letture prediligi?

Da ragazza ho amato molto i grandi classici. Poi c’è stata una fase in cui mi sono aperta all’ultra moderno, andando a caccia di scrittori misconosciuti leggendo la quarta di copertina. Inoltre sono un’appassionata di Simenon, non solo dei Maigret in quanto mi piacciono i gialli, ma soprattutto dei romanzi psicologici in cui a mio parere lo scrittore belga è un maestro.

C’è uno scrittore che ha influito sul tuo stile di scrittura?

Agli inizi molti sostenevano che avessi una scrittura minimalista, accostandomi a Carver. La cosa simpatica è che io Carver non l’avevo mai letto, l’ho letto poi. Mi è sempre piaciuto scrivere storie brevi, essenziali, non a caso finora non ho scritto un romanzo, ma non ho mai avuto un punto di riferimento. Lo stile me lo sono formata da me; oserei dire che è una cosa naturale dovuta alla mia indole artistica.

Venerdì 1 febbraio a Pozzuoli si presenterà Arsenale di Memorie scritto a quattro mani con Ida Di Ianni. Non voglio entrare nel merito perché, mancando l’altra autrice, non mi sembra corretto parlarne, lo faremo in altra sede insieme a Ida. Ti chiedo solo, che libro dobbiamo aspettarci?

Un libro, totalmente diverso da quelli che ho scritto finora. Prima di tutto perché abbandono la tematica sociale e poi perché è un libro molto intimo, molto femminile, molto personale. È il libro che avrei voluto scrivere per mia madre, fondato sulla memoria come farmaco: il ricordo non fa male ma serve a guarire i vuoti e a lenire quelle ferite che ci procuriamo nel corso della vita. È diviso in due sezioni: la prima si chiama LA BAMBINA AMERICANA curata da Ida; la seconda DI MADRE IN FIGLIA è un dialogo tra me e mia madre scritto dopo la sua scomparsa che spazia dalla fine degli anni settanta fino ai giorni nostri in cui ripercorro le parte fondamentali del nostro rapporto che fu molto difficile e conflittuale. Solo dopo che si decise di pubblicarlo, rivedendolo, mi sono accorta che fu semplicemente quello che è il rapporto di ogni madre e figlia.

Progetti per il futuro?

Sto lavorando alla sceneggiatura di PENSIERI DI CARTA un racconto tratto dalla TEORIA DELLA BUONA FORMA e a un libro sul periodo del bradisismo a Pozzuoli nel 1983.

Fatti una domanda, datti la risposta

Che donna avresti voluto essere?… Quella che sono!

 

VINCENZO DI BONITO PRESENTA IL SUO SAGGIO SULLE RELIGIONI

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Di seguito la versione integrale dell’articolo pubblicato su comunicaresenzafrontiere.it 

Chi conosce Vincenzo Di Bonito – ex dirigente del Comune di Pozzuoli, laureato in Lettere e Istituzioni dell’Europa occidentale all’Orientale di Napoli – sapendolo persona schiva e di poche parole, sarà rimasto piacevolmente sorpreso dalla vivacità con cui sabato 19 gennaio da Lux In Fabula, nell’ambito della rassegna QUATTRO CHIACCHIERE CON L’AUTORE, ha parlato del suo saggio sulle religioni “PROFEZIE MIRACOLI INCANTESIMI”.

Partendo in sordina come si addice a un buon maratoneta – Vincenzo è un runner e insieme a un gruppo di amici storici ha corso e corre maratone per il mondo – man mano che la discussione incalzava, stimolato dalle domande del pubblico, ha spiegato che il volume è una sorta di bignami sulla storia delle religioni e lo spunto per scriverlo lo ha tratto nel corso dei tanti viaggi, altra sua grande passione, che insieme a un altro gruppo di amici storici, tra cui il fotografo Aldo Adinolfi in calendario nella rassegna il 30 marzo con una proiezione di diapositive, lo hanno portato dalle Orcadi all’Alaska, dal Tibet alla Nuova Zelanda, evitando le rotte del turismo di massa in quanto di un paese ama conoscerne gli aspetti veri anziché quelli stereotipati da cartolina offerti dai tour operator.

A riguardo l’autore ha raccontato che spesso in queste sue peregrinazioni planetarie si è dovuto confrontare con situazioni estreme, che però lo hanno messo nelle condizioni di conoscere di ogni popolo aspetti culturali ignoti, specialmente per quanto concerne le credenze religiose spingendolo ad approfondire l’argomento di cui il libro è il compendio.

Il volume è articolato in quattro parti dove in ognuna si affronta un singolo aspetto. Nella terza si parla delle religioni rivelate cui appartengono il giudaismo, il cristianesimo e l’islam. Soffermandosi su quest’ultima Vincenzo ne ha smentito il presunto messaggio di violenza che traspare dalla stortura ideologica omicida fattane dall’estremismo islamico, facendo presente che gli estremismi appartengono a tutte le religioni, cristianesimo incluso il quale in passato, pur di affermarsi e estendersi sul pianeta, in nome di dio ha commesso i peggiori crimini; che quasi sempre è la voglia di potere di un ristretto gruppo di persone a interpretare e tramandare in maniera distorta e opportunistica l’originario messaggio tracciato dal fondatore al fine di sottomettere a sé la massa ignorante per poi farne pecore da pascolo o da macello a seconda dei propri intenti.

Non a caso gli insegnamenti di Buddha che li tramandava in maniera rigorosamente orale comparvero per la prima volta scritti a quattrocento anni dalla sua morte mentre quelli di Gesù a non meno di ottanta anni dalla sua scomparsa dal mondo: è facile travisare il senso di un messaggio quando la fonte originaria, l’unica che potrebbe smentirci, non c’è più, affermando tutto e il contrario di tutto rispetto a quanto si voleva davvero intendere, soprattutto se si è investiti di un’autorità…

Un aspetto del libro che merita d’essere segnalato è la semplicità e la fluidità del linguaggio con cui è redatto che lo rendono alla portata di tutti. Soprattutto di chi avrebbe intenzione di approcciarsi alla storia delle religioni ma, non avendo un’infarinatura accademica, se sfogliasse un saggio classico sull’argomento rischierebbe di non capirlo a causa del discorso articolato e complesso nonché per la mancanza di adeguate conoscenze storiche e politiche che non gli permetterebbero di comprendere l’affermarsi e lo svilupparsi di un credo in una specifica comunità.

A Vincenzo Di Bonito va riconosciuto il merito di aver affrontato il tema coniugando conoscenza e semplicità in maniera calibrata, offrendoci un gustoso abbecedario della storia delle religioni di cui dovrebbe munirsi chiunque fosse intenzionato a conoscerne la loro origine; un punto di partenza fondamentale per spaziare in un campo dove spirito e materia in alcuni casi sembrano essere in conflitto in altri in simbiosi a seconda se stiamo in occidente o in oriente.

VANIA FERESHETIAN, ‘A PUTECA ‘E LL’ARTE

Da venticinque anni impegnata nel campo dell’associazionismo, Vania Fereshetian è la fondatrice e responsabile dell’associazione culturale ‘A PUTECA ‘E LL’ARTE con sede a Pozzuoli in Località San Martino.

Vania da quanto tempo esiste “’a puteca ‘e ll’arte”?

Da tre anni anche se sono ben venticinque che mi interesso di associazionismo: con mia sorella fondammo l’associazione Il Filo della Fortuna. Poi lei si ammalò e per diverso tempo sono rimasta ferma, ma alla fine l’amore per l’arte ha prevalso e ho ripreso le mie attività. Nello specifico ‘a pu­teca fa parte di un progetto molto più vasto qual è l’Associazione San Martino che si occupa di tante altre cose. Ci siamo divisi un poco i compiti, io mi interesso di arte, spettacolo e cultura.

Qual è realmente la tua professione?

Sono insegnante elementare, al momento insegno psicomotricità. In campo artistico sono sceneggiatrice e regista.

Come regista cosa hai fatto?

Diverse cose di teatro. Non a caso ho sempre avuto un’associazione con una compagnia teatrale. Oggi abbiamo la possibilità di avere questa bella struttura e il nostro intento è di essere presenti attivamente sul territorio flegreo.

Perché questo “intento” ambizioso, se posso permettermi?

Io credo che la nuova generazione debba crescere nel rispetto della cultura. Attraverso la nostra associazione ci proponiamo di curare specifici aspetti culturali come la tradizione napoletana.

In tre anni di attività cosa avete fatto?

Tanto! Ci siamo molto mossi sul territorio: siamo stati negli ospedali, abbiamo fatto spettacoli per raccolte di beneficenza, siamo stati nei canili. In generale cerchiamo di essere molto attenti e propositivi rispetto alle problematiche che ci circondano. Abbiamo realizzato anche eventi riguardanti appunto la cultura napoletana.

Per essere più precisi, voi vi occupate solo di teatro o spaziate nei vari campi artistici?

Per noi tutto è arte, non solo la scrittura, che io amo, o la pittura ma può esserlo anche il ritaglio del giornale fatto in un certo modo. Secondo me arte è tutto ciò che viene dal cuore e dalla manipolazione mettendosi in gioco con se stessi e con gli altri.

Voi fate anche laboratori?

Sì! Cerchiamo di incentivare i laboratori teatrali e musicali; facciamo propedeutica musicale per i più piccoli per avvicinarli all’arte intesa come crescita dell’anima e quindi crescita interiore. Considera che abbiamo a che fare con bambini “speciali” ai quali questo tipo di attività serve per renderli fantastici più di quanto già non sono.

Sul territorio esattamente che cosa avete fatto?

Per lo più eventi musicali anche se devo ammettere con rammarico che abbiamo qualche difficoltà a “muoverci” nell’area flegrea…

In che senso?

Ho la sensazione che in generale le persone siano restie ad avvicinarsi e ad avvicinare i propri figli a questo tipo di attività, forse perché ne minimizzano il valore rispetto all’andare in palestre o al frequentare una scuola calcio. Ecco noi vorremmo che la gente capisse l’importanza di questo tipo di attività finalizzate allo sviluppo interiore dell’essere.

Avete anche collaborato con le scuole?

Sì, ma purtroppo anche in quel caso non abbiamo avuto dei riscontri entusiasmanti ma non saprei dirti il perché!

Avete una programmazione?

La programmazione la facciamo di volta in volta dato che a me non piace stringermi e operare su una specifica cosa perché programmata a monte su carta. Mi piace invece tener conto delle esigenze del momento e muovermi rispetto a quelle per cercare di soddisfare i bisogni attuali delle persone. Oddio, una programmazione in linea generale l’abbiamo nel senso che già so cosa faremo – laboratori, eventi -, ma spaziando senza restrizioni. I nostri laboratori sono “aperti”, ossia i partecipanti non sono assoggettati a una singola idea su cui lavorare bensì sono liberi di dare spazio alla propria creatività senza vincoli tematici e di altro genere.

La vostra sala può ospitare fino a cento posti a sedere, come spettacoli teatrali cosa avete realizzato?

Per lo più spettacoli legati alla tradizione napoletana: l’ultimo riguardava la “posteggia” a cui hanno aderito tanti artisti napoletani famosi che ebbero la sensibilità di capire quanto fosse importante dare un contributo all’associazione e soprattutto alla causa per cui ci battevamo.

La risposta del pubblico come fu?

Certamente non negativa, anche se non mi sarebbe dispiaciuta qualche presenza in più.

Per l’anno in corso che progetti avete?

Cercare di far sì che i ragazzi si avvicinino alle nostre attività, essendo loro la fonte del domani. Dico questo perché avendo già lavorato in passato con i giovani, soprattutto con gli adolescenti, ho avuto modo di appurare che la vicinanza all’arte li rende migliori; acquisiscono una buona capacità di reazione con il mondo esterno dove purtroppo l’etica e la morale assurgono sempre più a utopie! Rischiando di sembrare immodesta, lasciami dire che molti di quelli che in passato hanno lavorato con noi ancora oggi mi chiamano per ringraziarmi. Alcuni attualmente sono all’accademia a Roma o sono diventati importanti a livello musicale, ma non chiedermi di fare nomi perché per rispetto non li farò mai. Attraverso questa attività ho avuto più di una testimonianza di come l’arte possa risolversi in maniera positiva per il futuro dei giovani. Ovviamente con l’ausilio delle famiglie, senza quello sarebbe difficile se non addirittura impossibile!

 

INTERVISTA AL MAESTRO ZEN VINCENZO CROSIO

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Di seguito la versione integrale dell’intervista a Vincenzo Crosio pubblicata su comunicaresenzafrontiere.it; a margine la successiva puntualizzazione di Vincenzo in un commento su Facebook

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Pozzuoli. Sabato 12 gennaio, per la rassegna “Quattro Chiacchiere Con L’Autore”, presso Lux In Fabula si è svolto l’incontro con il maestro zen Vincenzo Crosio che, presentando il  suo libro IL KOAN DEL RAMO SPEZZATO edito da Aletti Editore dove si affronta il tema dell’ikebana, l’arte giapponese di disporre in un vaso i fiori spezzati, ha discusso in maniera diffusa della filosofia zen e del concetto secondo cui nell’universo nulla è perfetto ma perfettibile, ossia migliorabile.

Per essere più chiaro Vincenzo ha mostrato ai presenti prima una composizione di fiori e foglie colti e disposti da lui stesso nel vaso in modo da formare con le loro estremità una spirale tendente verso l’alto, simbolo della vita in eterna evoluzione; quindi una tazza  di ceramica  giapponese: mostrandone il fondo grezzo, ha spiegato che non si trattava di un errore dell’artigiano bensì di una caratteristica voluta apposta per testimoniare che nell’universo nulla di perfetto; che si parte dal grezzo per ottenere, dopo un lungo processo di raffinazione mediante il lavoro, la tazza e le sue delicate decorazioni.

Poiché tale procedimento di purificazione, secondo lo zen, sarebbe infinito, ecco il motivo della presenza di un piccolo errore in qualsiasi opera si rifaccia a tale filosofia. Ciò ricalca il concetto, sempre cinese, dello yin e dello yang, il nero e il bianco, dove nel nero vi è una goccia di bianco e viceversa a testimonianza che gli opposti non sono mai separati l’uno dall’altro.

A fine serata abbiamo posto alcune domanda al maestro Crosio.

E’ un’anomalia che un occidentale rivesta il ruolo di maestro zen o rientra nella norma?

Rientra nella norma perché l’incontro tra Oriente e Occidente è destinato a verificarsi. In fondo si tratta di capirsi: due più due fa quattro sia in Oriente che in Occidente, come diceva Newton.

Enzo come ti sei avvicinato a questa realtà?

Da giovane ho avuto un’esperienza molto dura, la mia generazione negli anni settanta si è impattata con gli anni di piombo. Mi trovai a Parma e fui letteralmente ospitato, curato ed educato dal monastero zen di Fudenji in quanto ero un samurai sconfitto.

In che senso eri un samurai sconfitto?…

Sono stato un guerriero del movimento del settantasette. Alla fine tutto questo cozzava contro le imperizie, una non conoscenza che lo Zen invece ha formato.

Oggi che attività svolgi?

Sono pensionato. La mia attività era quella di insegnante e sono stato anche rettore e direttore del seminario teologico avendo l’attitudine a quella che definisco la teologia della grazia: io sono un teologo della grazia, spero che gli uomini siano felici!

Quindi il tuo ruolo di maestro zen ti sarà stato di aiuto nel rapporto con gli studenti…

Moltissimo! Non lo dico per vanteria ma capire tutte le dinamiche di una ragazzo, soprattutto quelle di chi viveva nei rioni a rischio, ha significato letteralmente salvare dalla criminalità, dalla droga e dall’alcol tanti giovani. A scuola avevamo una “scuola del samurai” che era molto disciplinata ma nello stesso tempo molto aperta alle affettività. Tutto ciò l’ho sempre considerato come un compito affidatomi da Dio di cui non ne ero consapevole: di fronte al dolore estremo di alcune persone è come se mi fossi gettato nel fuoco insieme a loro per salvarle.

Suggeriresti a chiunque di avvicinarsi all’ikebana?

Si! Ordinare i fiori nel vaso, che sembrerebbe una sciocchezza, introduce a un fatto pratico, ossia le mani devono comporre un vaso di fiori seguendo dei criteri personali ma che ubbidiscono a un gusto che alla fine fa sì che questo gesto semplice produca la bellezza in un salotto, in una cucina, perfino in un bagno. Attraverso l’ikebana possiamo rendere vivibili anche gli spazi più imbarazzanti, a conferma che gli opposti, in questo caso bello e brutto, si compenetrano l’uno nell’altro. Proprio come indicano i simboli dello yin e dello yang!

Secondo alcuni, noi occidentali in virtù del nostro vivere caotico non saremmo portati per le dottrine meditative di tipo orientale. Tu che da occidentale sei assurto al grado di maestro zen ovviamente sconfessi questa teoria…

Assolutamente sì! Ogni popolo ha dentro di sé un cuore zen, ossia generoso, e una delle città occidentali dove si attua in maniera inconsapevole la filosofia zen è Napoli, essendo per natura disposta all’accoglienza e alla generosità verso il prossimo. In qualche modo l’incontro tra Oriente e Occidente è esattamente l’incontro che descrive il mio maestro il quale chiese a un monaco tibetano “scusi ma l’occidente non le ha insegnato niente?”.

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Commento all’articolo di Vincenzo Crosio apparso su Facebook: “Grazie a Vincenzo Giarritiello, una persona colta e molto disponibile…anche se chiamarmi maestro e poi maestro zen è un po’ eccessivo. Ho raggiunto nella ordinazione laica – ripeto laica- il grado di Maestro assistente I, che non è poi così oneroso, anzi. L’unico maestro per me è uno solo, il principio creatore, l’infinita misteriosa genesi ed evoluzione del tutto. Sono solo un praticante e nemmeno così bravo! Come spiego nell’intervista la ‘regola morale’ ,la ‘paramita’ , mi ha forgiato all’attenzione degli altri, questo sì e lo devo ai miei maestri del Monastero Zen di Salsomaggiore che ho avuto l’onore di servire per oltre 20 anni con dedizione. In cambio ne ho ricevuto educazione, nutrimento e sapienza. Mi ha forgiato come uomo, consapevole che esistono delle pratiche e dei doveri, in cui tutti siamo chiamati ad agire. Agire oggi significa aver cura di sé e degli altri, dell’uno e dei molti, con una felice espressione di un famosissimo Sutra , il ‘Sandokai’, la via dell’uno e dei molti. Ecco la via di mezzo è esattamente la via dell’uno e di molti.”

INTERVISTA AL PITTORE CIRO D’ALESSIO

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Di seguito l’intervista integrale al pittore Ciro D’Alessio pubblicata su comunicaresenzafrontiere.it 

Ciro sei napoletano o puteolano?

Napoletano.

Come mai hai lo studio a Pozzuoli?

Pozzuoli è una città tranquilla, vivibile, piena di storia e, per quanto mi riguarda, molto interes­sata alle manifestazioni artistiche per cui quando trovai questo gruppo di amici che esponeva sulle Rampe Causa decisi di unirmi a loro e successivamente aprii questo mio spazio proprio accanto alla sede di Terra di Pozzuoli. (Via Marconi, 3A – nei pressi del Rione Terra)

Esporre sulle Rampe Causa cosa rappresenta per un pittore di professione come te?

Rispetto ad altre esposizioni di questo genere che si fanno a Napoli e in tante altre città, questo è un luogo in cui si sta tra amici. Per cui questa familiarità rende l’esposizione un momento non solo professionale ma di simpatica aggregazione. Oltre ovviamente alla visibilità che ne deriva per chi espone in quanto le rampe, congiungendo la zona alta di Pozzuoli con quella del porto, sono frequentatissime soprattutto nei fine settimana.

Osservando i tuoi dipinti mi sembra di capire che tu ami dipingere con la spatola…

Sì, sono oli applicati a spatola.

Hai dei riferimenti artistici?

No, seguo il mio percorso cercando di ricavarmi un mio spazio nel mondo dell’arte contemporanea. Certo, faccio riferimento sia alla lezione ottocentesca prestando attenzione alla natura, sia a quella novecentesca dove l’arte viene intesa come una forma autonoma, ovvero espressione di un pensiero tramite colori e gesti.

I tuoi quadri sono pieni di luce. Poiché si dice che l’espressione artistica riflette lo stato interiore di chi la manifesta, ciò indicherebbe che sei una persona solare!

Non saprei: la nostra interiorità è complicata per cui a volte le manifestazioni artistiche sono solari ma l’intimità di chi le realizza vive una condizione totalmente diversa che non esterna quel che si è ma ciò che si vorrebbe essere. Se non addirittura qualcosa di molto più profondo che va al di là della personalità descrittiva dell’individuo.

Ogni artista ha qualcosa da comunicare, il tuo messaggio qual è?

Non credo di avere un messaggio specifico da comunicare, diversamente non sarebbe arte ma opera messianica. Personalmente ritengo che l’arte sia la sintesi tra l’universale e il particolare che si esprime in un’immagine; l’incontro tra relativo e assoluto da cui ha origine la vita stessa, in questo caso rappresentata dall’espressione artistica!

Tu dipingi in quanto senti il bisogno naturale di dipingere…

Certo, ma penso che questo valga per tutti essendo l’arte una necessità espressiva.

Quindi il significato delle tue opere lo deleghi all’interpretazione di chi le ammira?

Anche! Per me dipingere è un giocare, un dialogare con l’osservatore: io propongo l’immagine, lui la completa con la sua immaginazione interpretativa.

Volendo accostarti a un grande pittore, alcuni tuoi quadri mi ricordano Van Gogh, Renoir, Mo­net…

Grazie per l’accostamento che mi lusinga molto. Per quanto mi riguarda cerco di fare il mio per­corso individuale, anche se ci sono dei grandi maestri che sono punti di riferimento imprescindibili per chiunque dipinga, ma ognuno deve rilucere di luce propria attraverso un lavoro di ricerca perso­nale, altrimenti non “fai” ma “rifai”, il che è diverso! Sicuramente ciò che accomuna me e tanti altri artisti ai grandi pittori da lei citati è il gusto per la materia intesa come materia pittorica che non si riduce a immagine ma che fuoriesce dalla superficie e sembra avere una vita propria.

Tu dipingi da che eri ragazzo?

Sì! Ho fatto il mio primo quadro a olio a diciassette anni e da allora non ho più smesso.

Hai fatto studi specifici?

No! Presi la licenza classica e successivamente iniziai a studiare filosofia. Inizialmente la pittura rappresen­tava un momento di svago dalla fatica degli studi. Poi quel momento diventò più importan­te dello studio e decisi di farne il mio lavoro.

Auspici per il 2019?

Da poco ho allestito questo studio e spero diventi un punto d’incontro e di riferimento per chi ha interesse per la pittura. Fare parte di Terra di Pozzuoli mi consente di confrontarmi con altri pittori ricevendo sempre nuovi stimoli e idee e, spero, dando a mia volta suggerimenti utili agli altri. Del resto ritengo sia questo il senso dell’associazionismo: crescere insieme!

 

A YANN MOIX BISOGNAVA RISPONDERE “GRAZIE AL CAZZO!”

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Alcuni giorni fa lo scrittore francese Yann Moix ha confidato alla rivista Marie-Claire la propria incapacità di amare una donna di 50 anni, preferendo quelle di 25 anni, possibilmente asiatiche, in quanto “il loro corpo è straordinario” mentre “quello di una cinquantenne non lo è affatto”.

Come era prevedibile la dichiarazione ha innescato un vespaio di polemiche che si sarebbero potute tranquillamente spegnere sul nascere rispondendogli con un colorito “grazie al cazzo!”

Scusate il francesismo…

Leggendo la dichiarazione si deduce infatti che lo scrittore utilizzasse il verbo amare per intendere il rapporto sessuale anziché un rapporto di coppia dove le componenti che uniscono i due sono molteplici; dove la sfera sessuale è una dei tanti collanti della coppia ma non l’unico.

Ovvio che se un uomo dell’età dello scrittore dovesse scegliere una donna con cui trascorrere qualche ora di sesso, soprattutto se fosse costretto a pagare per farlo, si orienterebbe verso una molto più giovane di lui per sentirsi a sua volta giovane mentre stringe a sé quel corpo fresco, sodo e profumato di vita.

A essere sinceri dalla dichiarazione di Moix non si capisce se lo scrittore ami andare a prostitute, ma la sua confessata predilezione per le orientali lo lascerebbe supporre…

Tuttavia se così fosse, non ci sarebbe nulla di male essendo ognuno libero di vivere come meglio crede la propria sessualità e di fare del proprio denaro ciò che vuole.

Parlando di amore come sentimento esso si nutre non solo di emozioni sensuali – quelle appartengono alla sfera del desiderio e una volta appagate spesso non ritornano più allontanando per sempre coloro che avevano condiviso quel momento di passione – ma di interessi comuni, intelligenza, educazione, attenzione verso l’altro, la complicità e il gusto di divertirsi insieme. Aspetti   che inducono a pianificare un progetto di vita comune e a ritrovarsi in maniera naturale l’uno nelle braccia dell’altra in quanto l’amore fisico tra chi si ama è unione di anime. I corpi non sono altro che un involucro per cui chi amiamo ci apparirà sempre bellissimo in barba agli anni che avrà perché l’amore non ha età. Viceversa un rapporto tra chi si piace solo fisicamente è sesso e nel tempo è condannato a morire perché a tenerlo vivo c’è solo la bellezza fisica la quale negli anni sfiorirà.

Per non essere frainteso, specifico che non ho assolutamente nulla contro il sesso fine a se stesso. La chiarificazione era necessaria per spiegare qual è per me la differenza tra fare l’amore e fare sesso. Punto!

Evidentemente Moix ha usato in maniera impropria il verbo amare, volendosi riferire al rapporto sessuale; chi si è sdegnato per la sua affermazione o non ha colto il senso reale delle sue parole, o le ha strumentalizzate per attaccarlo.

A mio avviso lo scrittore ha detto una tale banalità che mi verrebbe da replicare il francesismo di cui sopra…

INTERVISTA A SALVATORE VOLPE, COORDINATORE DI “TERRA DI POZZUOLI”

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Di seguito l’intervista integrale pubblicata su comunicaresenzarontiere.it

Come nasce l’idea di fondare Terra di Pozzuoli?

A Pozzuoli e in generale sul territorio flegreo abbiamo sempre avuto la necessità di esprimere arte in quanto riteniamo fosse necessario dare spazio ai tanti artisti, non solo pittori, che abitano in loco.

Anche perché da sempre Pozzuoli porta la nomea di avere una sua scuola e un suo stato di artisti. Per cui il nostro scopo iniziale, a partire da Nino D’Amore fondatore e Presidente dell’associazione, era quello di raccogliere principalmente artisti di origine flegrea. Seppure in parte, ci siamo riusciti e per il secondo anno consecutivo ci proporremo sul territorio. A riguardo abbiamo già presentato la richiesta al Comune per poter nuovamente usufruire di quelle che ormai riteniamo le “nostre” scale, le Rampe Raffaello Causa, su cui esponiamo in maniera da dare visibilità ai nostri associati.

Dell’associazione fanno parte solo artisti flegrei?

Purtroppo pochi e questo è un nostro grande rammarico! A Pozzuoli vivono tantissimi artisti di valore ma, non so perché, sono restii a partecipare. Alla nostra associazione sono iscritti artisti provenienti da ogni parte di Napoli, dal giuglianese, perfino dalla provincia di Avellino. Non capisco perché invece quelli puteolani e flegrei latitino.

Ha cercato di dare una spiegazione a questa latitanza?

Personalmente in alcuni casi ho riscontrato una sorta di ritrosia ad esporre o perché timidi o perché non si reputassero all’altezza per un confronto pubblico: diciamo mancanza di autostima.

Voi raccogliete solo pittori o anche artisti di altro genere?

Siamo aperti a tutte le forme d’arte. A esempio quella presepiale, la ceramica, la scultura. In particolare l’arte presepiale è legatissima alla cultura napoletana ed è molto bella sia da praticarsi che da vedersi.

Chi ebbe l’idea di “occupare” artisticamente le rampe Causa?

In passato esisteva già un’associazione di artisti flegrei, Arte/Artisti di cui anch’io facevo parte, presieduta da Lino Chiaromonte con cui siamo rimasti amici, che usufruiva di questo spazio per esporre. Entrambi frequentavamo il bar Il Grottino che sta sulle scale. Originariamente Lino aveva un’associazione a Napoli, ma nel momento in cui si trasferì a vivere a Pozzuoli e ci conoscemmo, a entrambi venne l’idea di “adottare” le scale come luogo di esposizione. Successivamente, quando con Nino D’Amore abbiamo fondato Terra di Pozzuoli, ritenemmo giusto proseguire su questa linea in quanto, essendo le Rampe Causa frequentatissime, si prestavano a dare visibilità a coloro che vi avrebbero esposto. Inizialmente all’associazione eravamo cinque o sei iscritti, fino ad arrivare a un massimo di cinquanta. Poiché in seguito il Comune ci ridusse lo spazio espositivo per timore che sulle scale si potessero creare degli assembramenti e qualcuno si potesse fare male, per conseguenza logica si è anche ridotto il numero di iscritti. A tutt’oggi siamo una ventina.

Presumo che la riduzione di spazio avrà ridotto anche i vostri progetti futuri…

Certamente! Le nostre ambizioni organizzative contemplavano tra l’altro delle estemporanee e delle manifestazioni allargate sul territorio, oltre a laboratori di pittura che teniamo in sede. Purtroppo tale limitazione ci ha costretti a rivedere i piani originari, lasciandone molti nel cassetto con il proposito di riprenderli in futuro.

Quali sono i vostri propositi per il 2019?

Fermo restando la possibilità di continuare a usufruire delle Rampe Causa – cosa che sapremo non prima di febbraio perché solo allora il Comune dovrebbe rispondere alla nostra richiesta di riutilizzo delle stesse – le quali per noi hanno un significato affettivo in quanto la gente ha imparato a conoscerci in virtù della nostra presenza sulle Rampe, gli obiettivi per il 2019 contemplano la crescita sia in termini di associati che di organizzazione di eventi; sperando che quest’anno collaborino con noi anche altri artisti flegrei in modo da sfatare l’antipatica voce secondo cui a Pozzuoli è impossibile fare comunità. Se ci riuscissimo, potremmo dire di avere ottenuto un grosso risultato!

Auguri!

CON LA MAFIA NIGERIANA L’ITALIA FA POKERISSIMO

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Che sul litorale casertano ci fosse qualche problema di illegalità dovuto agli immigrati, soprattutto di colore, è cosa nota da tempo a quanti vivono tra Castelvolturno e Mondragone o sono costretti a transitare su quel tratto di Domitiana per motivi di lavoro o per recarsi al mare; non fosse altro per la presenza costante sul ciglio delle strade di giovani prostitute di colore, in molti casi dalle eloquenti fattezze minorili, che a qualunque ora del giorno esercitano il mestiere più antico del mondo, non per loro volontà ma perché costrette con la forza dai loro stessi connazionali, o per la presenza, sempre a bordo strada o a ridosso di villette fatiscenti un tempo edificate con l’ambizione di essere case di villeggiatura sul mare ma poi abbandonate e successivamente occupate dagli immigrati, di uomini di colore di tutte le età che apparentemente oziano o discu­tono tra loro ma che in realtà hanno tutta la parvenza di essere delle vere e proprie “sentinelle” con il compito di vigilare e avvertire chi di dovere dell’arrivo delle forze dell’ordine.

Malgrado le reiterate denunce nel corso degli anni degli amministratori comunali e delle associazioni di cittadini per il degrado e l’esponenziale crescita della criminalità a causa della presenza degli immigrati, sembrava che davvero quelle zone fossero terra di nessuno, in quanto nemmeno il presidio costante delle forze dell’ordine riusciva ad arginare il fenomeno immigratorio che alimentava le attività criminali, per lo più spaccio di droga e sfruttamento della prostituzione.

Il proliferare dei crimini in molti lo attribuivano alla presenza dominante del clan dei casalesi sul territorio che, a loro dire, aveva stipulato un accordo con la criminalità straniera, in particolare con la mafia nigeriana, per la gestione del traffico di stupefacenti e di armi e della tratta umana ricavandone benefici economici.

Malgrado le attività illegali si svolgessero alla luce del giorno, sembrava che nulla e nessuno potesse arginarle, alimentando nei cittadini la convinzione dell’impotenza dello Stato nei confronti del crimine organizzato.

Ad accrescere questa amara supposizione si aggiunge la notizia di pochi giorni fa che uomini dell’FBI americana stanno giungendo in Italia per indagare con l’ausilio di investigatori italiani sul fenomeno della mafia nigeriana che non si “limiterebbe” allo spaccio di droga e allo sfruttamento della prostituzione ma sarebbe dedita all’orribile e redditizio traffico di organi umani.

Come si sia potuto arrivare a tanto resta un mistero. Magari se, non appena sul litorale casertano si manifestarono i primi sintomi del male cui seguirono gli allarmi dei cittadini, chi di dovere fosse intervenuto con decisione per sradicare a monte le radici di quel cancro che oggi, con oltre centomila affiliati, è tra le più pericolose ed efferate organizzazioni criminali presenti in Italia contemplando tra i propri riti di affiliazione molto probabilmente anche il cannibalismo, forse oggi non staremmo qui a discutere di mafia nigeriana.

Speriamo che l’interazione tra investigatori italiani e americani dia i suoi frutti, annientando almeno questo mostro.

In un paese in cui le mafie spadroneggiano da sud a nord in maniera tentacolare, dove in molti casi è acclarata la collusione tra criminalità e politica, l’insorgere sul territorio nazionale della mafia nigeriana sarebbe l’estrema, triste testimonianza che in Italia la lotta alla criminalità organizzata è un’utopia.

Dopo ma “mafia” siciliana, la “ndrangheta” calabrese, la “sacra corona unita” pugliese e la “camorra” campana, con il proliferare della mafia nigeriana l’Italia fa un pokerissimo di tutto rispetto che le non fa certo onore!