SCANDALO UNIVERSITA’, PASSERA’… MA LA TESI DELLA MADIA?

Il Ministro della Pubblica Amministrazione Marianna Madia durante la conferenza stampa a Palazzo Chigi , Roma 11 luglio 2014. ANSA / LUIGI MISTRULLI

Secondo un assioma non scritto, ogniqualvolta si leva il coperchio su uno scandalo, si scopre che il marcio non è limitato laddove è stato svelato bensì è diffuso a macchia d’olio per tutto l’ambiente in cui è scoppiato. Così sta avvenendo anche per quanto riguarda lo scandalo delle presunte nomine pilotate all’insegnamento  nel settore del diritto tributario all’Università di Firenze, su cui sta indagando la procura di Firenze dopo la denuncia da parte del ricercatore Philip Laroma Jezzi.

Nell’ambito della stessa inchiesta, stando a quanto riferisce questa mattina Il Fatto Quotidiano, starebbero emergendo elementi che indurrebbero gli inquirenti a ritenere che le nomine fossero conseguenti a un sistema nepotista.

Se ci spostiamo al sud, precisamente a Napoli, altra università a essere nell’occhio del ciclone per nomine pilotate è il Suor Orsola Benincasa il cui Rettore Lucio D’Alessandro è indagato dalla Procura di Napoli con l’accusa di aver favorito un figlio dell’ex Ministro Zecchino per un posto di ricercatore al Suor Orsola.

È presumibile, ma speriamo non avvenga, che con il passare dei giorni altre università balzeranno alle cronache giudiziarie perché al loro interno gli esami, le lauree, le nomine di ricercatori e professori avvenivano con criteri poco ortodossi tesi a favorire i figli, i parenti, gli amici “di”. O semplicemente per appagare i pruriti di qualche professore o rettore desideroso di spassarsela con qualche studentessa, neolaureata, professoressa in cambio di un voto alto o di un posto come ricercatrice, associata o ordinaria seppure dotata di un curriculum inferiore rispetto a chi quel posto lo meriterebbe davvero ma, purtroppo per sé non ha santi né in paradiso né un’indole da puttana.

Tuttavia si sbaglia chi pensasse che lo svelamento dello scandalo metterà finalmente  fine al malcostume dilagante. Già in passato l’ambiente universitario fu scosso da un’inchiesta che partì da Bari, con il coinvolgimento dell’ex Ministro Anna Maria Bernini, per poi estendersi in tutta Italia. E tuttavia, da quanto starebbe oggi emergendo, quel malcostume anziché essere sconfitto sembra essersi talmente radicato nell’ambiente, seppure ogni tanto qualcuno denuncia inducendo le procure a indagare in quel mondo deputato a formare il gotha dei professionisti e la classe dirigente nazionale, al punto da far presumere che il sistema va avanti così e nessuno lo può fermare, nemmeno la legge.

Del resto, non a caso siamo il paese di tangentopoli.  All’epoca, venticinque anni fa, quando deflagrò lo scandalo degli scandali che coinvolse tutti i partiti, tranne il PCI, con conseguenze in alcuni casi veramente tragiche –diversi suicidi tra cui quello di Raul Gardini – tutti pensavano che in Italia il cancro della corruzione nella pubblica amministrazione fosse stato finalmente estirpato. Viceversa siamo tuttora  tra i più corrotti tra i paesi europei. Un triste primato che sta a indicare quanto tangentopoli fosse servita a ben poco.

Ritornando allo scandalo che sta travolgendo il mondo universitario, seppure non c’entra nulla con l’inchiesta in corso, mi sovviene alla mente il caso della Ministra della Semplificazione e Pubblica amministrazione Marianna Madia la cui tesi di dottorato, stando a quanto riferì  Il Fatto quotidiano, sarebbe stata in parte frutto di copia-incolla di brani tratte da altre pubblicazioni senza però indicarli come si conviene, almeno così sembra.

Se davvero la tesi non fosse tutta farina del sacco della Ministra, bisognerebbe capire quali termini di valutazione adottò chi nel 2008 le conferì il dottorato in Economia del Lavoro all’IMT di Lucca.

A tutt’oggi nulla si sa sull’effettiva regolarità o meno della tesi della Ministra Madia.

CORRUZIONE ALL’UNIVERSITA’, ECCO PERCHE’ L’ITALIA E’ AL PALO

corruzione universitaria

L’assoluta indifferenza, o al massimo amara ironia, con cui l’opinione pubblica sta reagendo alla notizia dell’inchiesta dei concorsi truccati per diventare professori universitari avviata dalla Procura di Firenze e che ha portato finora all’arresto di 7 professori e alla sospensione dall’attività di altri 22, in cui è coinvolto anche l’ex Ministro della Repubblica Fantozzi, è la naturale reazione allo svelamento di una realtà che molti sarcasticamente hanno ribattezzato come “la scoperta dell’acqua calda!”.

Ascoltando i racconti di quanti frequentano l’università, in primis studenti e diversi professori, si ha la netta sensazione che molto spesso le valutazioni avvengano non per meriti di studio o professionali bensì per appartenenza a un determinato ambiente – per lo più politico -, a un legame di parentela, di amicizia o professionale tra il candidato e il professore, o per essere riuscite – è il caso di diverse studentesse o professoresse associate alla ricerca di una cattedra sicura, senza scrupoli – ad assicurarsi le “simpatie” del professore o rettore di turno, presentandosi alla lezione o nel suo studio vestite in maniera succinta, mostrandosi “molto” disponibili verso lui, accettando di incontrarlo fuori dall’ambiente universitario per prendere un caffè, cenare insieme o accompagnarlo a un convegno di alcuni giorni fuori sede…

Aneddoti noti a tanti ma che tuttavia, trattandosi solo di “aneddoti”, o al massimo di voci di corridoio, mancando chi ha il coraggio di confermarne la veridicità, probabilmente per timore di compromettere il proprio percorso universitario o la propria carriera professionale, si dissolvono nel vento senza lasciare traccia se non nell’animo di chi ha subito il torto ma è costretto ad ingoiare il rospo per timore di farsi del “male” da solo.

Già in passato l’ambiente universitario fu scosso da inchieste che mettevano in forse il regolare corso degli esami, in alcuni casi si parlò addirittura di sesso consenziente da parte delle studentesse in cambio della promozione.

Un’indecenza che fece storcere ipocritamente il naso a molti settori dell’ambiente universitario, seppure sembra che l’indecenza fosse, e presumibilmente lo è ancora, prassi consolidata non solo a Bari.

In un paese in cui i politici, in maniera trasversale, si riempiono la bocca invocando la meritocrazia quale elemento di valutazione e selezione del personale non solo a livello universitario, ma in qualunque settore della pubblica amministrazione. E magari anche nel privato. Evitando che nel paese si sviluppi un ambiente professionale sempre meno “professionale”, dove emergono i figli di papà o i raccomandati laureatosi a pieni voti, magari con lode e bacio accademico, ma incapaci di distinguere un raffreddore da un’influenza o di gestire al meglio un’azienda.

Costringendo chi davvero vale a espatriare nella speranza di vedersi riconosciuti all’estero i propri meriti. Subendo oltre al danno anche la beffa di sentiirsi offeso dal Ministro del Lavoro il quale auspica che resti dov’è.

A subire i pessimi effetti di questo cancro dilagante è l’utenza la quale, costretta a rivolgersi a un ambiente professionale decadente perché strutturatosi per lo più sulle conoscenze, sulla corruzione o sulla “prostituzione” ion cambio di un voto alto a un esame o con un lavoro di prestigioso, all’atto della prestazione lavorativa non sarà in grado di garantirne la perfetta riuscita.

Da qui il dramma di chi, costretto a ricorrere alle cure mediche di molti medici d’oggi, alla fine sta peggio di quanto non stesse prima di consultarli per una visita.

Questa potrebbe essere una spiegazione dei crescenti casi di malasanità in cui spesso i pazienti periscono durante una banale operazione o subiscono menomazioni che ne condizioneranno il resto della vita. Ma anche del perché l’Italia in molti settori sia il fanalino di coda d’Europa. La mancanza di una classe dirigente di alta qualità, capace di governare al meglio il paese, potrebbe essere una delle spiegazioni di questo pessimo record europeo di cui dovremmo vergognarci!

RENZI DA BERLINGUER, DETTO E NON DETTO

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Ieri sera intervistato a Carta Bianca da Bianca Berlinguer, parlando dell’inchiesta CONSIP, nemmeno per un attimo né Renzi né la giornalista hanno accennato al fatto che tra gli indagati per traffico di influenze c’è Tiziano Renzi, papà del segretario del Pd, né che l’ex ad di CONSIP Marroni, posto in quel ruolo dall’allora Premer Renzi, davanti ai pm di Roma ha confermato quanto aveva già dichiarato a quelli di Napoli, ossia di aver avuto la soffiata delle sistemate cimici nel proprio ufficio – sulla scia di questa informazione Marroni fece “bonificare” l’ufficio, mandando all’aria l’indagine – dall’allora sottosegratario alla Presidenza del Consiglio, attualmente Ministro dello Sport, Luca Lotti e dai due generali dei carabinieri Tullio Del Sette e Emanuele Saltalamacchia, a loro volta sotto inchiesta per la diffusione di notizie, tanto da essere stato costretto a dimettersi da chi lì lo aveva posto, il Pd…
Anche ieri sera, malgrado l’insistenza della Berlinguer che lo rintuzzava affinché rispondesse alle domande senza divagare, alla fine, a mio avviso, abbiamo assistito al solito detto e non detto, teso più a confondere le idee ai cittadini che a chiarirle. Soprattutto a quelli che si informano solo attraverso il mezzo televisivo.
Al di là di ciò, va riconosciuto a Renzi il merito di non essersi spinto oltre – parlando ad esempio di complotto o addirittura di colpo di stato, come invece hanno fatto alcuni esponenti del suo partito, e lo stesso Berlusconi commentando la propria estromissione da Palazzo Chigi nel 2011 – in riferimento agli ultimi sviluppi dell’inchiesta CONSIP da cui risulterebbe che alcuni ufficiali dei carabinieri avrebbero manomesso le prove per incastrarlo. Ma di aver espresso massima fiducia al lavoro dei magistrati, all’arma dei carabinieri e ai servizi segreti. Aggiungendo però, giustamente, con fare deciso che chi ha sbagliato pagherà!
Per quanto riguardo la politica, più volte il segretario del Pd, parlando del M5S, ha ribadito “un partito fondato da un pregiudicato”, riferendosi a Grillo condannato in definitiva per omicidio colposo in seguito a un incidente automobilistico in cui perì una coppia di amici… Nessuno in studio, la Berlimnuer o giornalisti presenti gli ha fatto notare che all’epoca del Patto del Nazareno lui, Renzi, non si fece alcuno scrupoli di dialogare con Berlusconi condannato in definitiva a quattro anni per frode fiscale, e proprio per questo decaduto dai pubblici uffici e impossibilitato a sedere in Parlamento per via della Legge Severino approvata dallo stesso centrodestra di cui era leader; nonché indicato dal boss Giuseppe Graviano, intercettato durante un colloquio in carcere con un altro detenuto, quale possibile mandante delle stragi di mafia degli anni 90…
Anche qui il doppiopesismo l’ha fatta da padrone.

BOMBE D’ACQUA, ALIBI BIPARTISAN

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Da alcuni anni – credo non più di quattro/cinque al massimo – i meteorologi italiani hanno coniato il termine bomba d’acqua per indicare “un gavettone di pioggia dannoso e imprevedibile” conseguenza del riscaldamento globale.

Da quando questo “neologismo” s’è diffuso, gli enti locali, comuni e regioni, hanno trovato un alibi di ferro per giustificare le proprie inadempienze nella prevenzione dei danni prodotti da quello che non è altro se non il nubifragio di vecchio stampo. Nemmeno tanto imprevedibile per l’intensità della pioggia che scaricherà in terra, considerando i costanti bollettini meteo diffusi dall’aeronautica militare per allertare le zone che saranno interessate dal fenomeno affinché gli amministartori prendano i dovuti provvedimenti per evitare il peggio.

Provvedimenti come la pulizia delle caditoie e dei tombini fognari o la pulizia degli alvei dei fiumi e dei torrenti e il rafforzamento dei loro argini, che per la verità dovrebbero essere effettuati periodicamente, a prescindere dall’allerta meteo, al fine di non farsi trovare impreparati quando la natura, soprattutto a fine estate, si scatenerà. Come puntualmente avviene ogni anno, da che mondo è mondo.

Come dicevamo l’utilizzo di questo neologismo s’è rivelato un alibi di ferro per gli enti locali i quali, ogni qualvolta la furia del maltempo provoca distruzione e morte, allargano le braccia desolati, dando ad intendere che nulla possono contro l’imprevedibilità e la forza della natura. Pazienza che a smentirli ci sarebbero i bollettini di allerta meteo diffusi loro dalla protezione civile.

Ogni anno Liguria, Toscana, Lazio, Campania, solo per citare alcune delle regioni maggiormente martoriate dalla furia degli elementi tra settembre e novembre, subiscono vere e proprie tempeste tropicali con violente precipitazioni che in poche ore riversano al suolo la stessa quantità d’acqua che solitamente si riversa nel corso di alcuni mesi. Con danni ingenti per persone e cose prodotti dall’otturazione delle fogne, dallo straripamento dei fiumi, dal crollo dei ponti e delle strade, dallo smottamento del sottosuolo con violente frane.

Tutti questi danni non sono però imputabili alla natura ma alla negligenza umana: fiumi e torrenti che tracimano perché chi avrebbe dovuto non s’è premurato di dragare gli alvei per pulirli dai detriti che li ostruiscano al fine di rendere fluido il corso dell’acqua alla foce, oppure perché non si sono rafforzati gli argini, o perché, se lo si è fatto, si sono rotti in quanto consolidati con il polistirolo; ponti e strade costruiti con materiali scadenti, pertanto incapaci di resistere alla forza della natura, che vengono giù come birilli, mietendo spesso vittime; frane che si verificano in zone dove d’estate la mano criminale dei piromani ha appiccato incendi, bruciando flora e fauna, privando il terreno delle radici degli alberi che, fungendo da filtro, drenano l’acqua dal sottosuolo evitando che ristagni nel terreno fino a farlo franare; strade e piazze metropolitane invase dall’acqua e dal fango perché nessuno ha avuto il buon senso di dare mandato agli addetti al servizio fognario di sturare tombini e caditoie dalla sporcizia e di spurgare le fogne per evitare che con le prime piogge si ingrossino facendo saltare i tombini e fuoriuscendo per le vie, allagando negozi, box auto, sottoscale, sottopassi, rendendo un inferno la vita dei cittadini.

Tutto ciò non si può certo imputare alla natura ma alla sprovvedutezza umana che, anziché intervenire a monte per evitare il peggio, interviene solo dopo che i danni sono stati fatti, attribuendo la responsabilità alla forza della natura. Non alla propria dabbenaggine.

Qualunque sia il colore delle amministrazioni, da nord a sud della penisola, isole incluse, tutte le volte che il maltempo fa danni, malgrado sia evidente che le cause dei disastri contingenti sono da addebitarsi alla mancanza di prevenzione di chi amministra, tutti scaricano le responsabilità sulla forza della natura.

Forse convinti che i cittadini hanno la memoria corta e che, una volta passata la tempesta, quando sarà il momento opportuno, nell’urna rinnoveranno la fiducia a chi, davanti al disastro, non ha saputo fare di meglio che versare lacrime di coccodrillo, chiamando il medico quando ormai per il paziente non c’era più niente da fare!

CIRCO ZUZZURELLONI, CRESCENDO CON ALLEGRIA A RAGGIOLO

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La prima volta che a Raggiolo sentii parlare del Circo Zuzzurelloni fu nell’estate del 1998. Mentre con l’auto entravamo nel paese, due cartelloni pubblicitari su cui erano ritratti un pagliaccio e un circo, sistemati uno all’ingresso del centro abitato, l’altro a ridosso della piazza, ne annunciavano lo spettacolo poco prima di ferragosto.

All’epoca Lorenzo e Alessandro, i miei figli, avevano rispettivamente 5 e 3 anni. Le due piccole pesti, non appena intravidero, attraverso i vetri dell’auto, i manifesti che annunciavano l’imminente spettacolo, pur non sapendo leggere, intuirono di cosa si trattava e furono preda di un incontenibile entusiasmo: “papà, il circo!”, urlarono in coro. “Quando ci sarà?” chiesero, poi. Mia moglie e io ci guardammo, sorridenti: “tra pochi giorni”, rispose la mamma,  girandosi a guardarli agitarsi felici sul sedile posteriore.

I giorni che precedettero lo spettacolo furono un continuo ripetersi  di ammonimenti da parte nostra e del nonno alle due pesti affinché facessero i bravi altrimenti per punizione non avrebbero visto il circo. Per tutta risposta, i diavoletti si trasformarono in angioletti, o quasi, stupendoci per la solerzia con cui ubbidivano, seppure malvolentieri, alle nostre richieste: lavatevi le mani, mangiate composti, andate a riposare, non litigate con nessuno, non date confidenza agli estranei e non andate con loro seppure vi dicessero che li mandiamo noi, non fate tardi .

“Ci vorrebbe un circo al giorno per  tutto l’anno” sentenziò mia moglie, particolarmente soddisfatta per quell’insolita disponibilità dei figli ad ubbidire.

Finalmente giunse il fatidico giorno. Lo spettacolo sarebbe iniziato in piazza alle 20,30. Alle 20 le pesti avevano già cenato, s’erano lavate mani e denti  ed erano pronte per avviarsi su per prendere i posti migliori.

Essendo Raggiolo un piccolo borgo dove tutti conoscono tutti, i miei figli erano noti con l’appellativo di “i nipoti del pittore” – mio suocero era pittore, nonché professore di scenografia all’accademia delle belle arti di Napoli, baritono e regista lirico. Aveva acquistato lì una piccola proprietà per dare vita a una casa d’arte museo in cui raccogliere la propria produzione artistica.

Fin da quando furono in grado di camminare da soli, a Raggiolo i miei figli si sono sempre mossi autonomamente, salendo in piazza per giocare insieme agli altri bambini sotto lo sguardo vigile, ma discreto, dei vecchi del luogo seduti sulle sedie sistemate fuori agli usci delle case che affacciavano sull’ampio slargo.

Quella sera solenne mia moglie affidò Alessandro a Lorenzo: “Mi raccomando, Lorenzo, tu sei il più grande e devi vigilare su tuo fratello perché non gli capiti nulla”. Poi si rivolse a Alessandro, “tu devi ubbidire a Lorenzo, non devi mai allontanarti da lui, capito?”. Per tutta risposta Ale fece più volte di sì con la testolina, scalpitando perché non vedeva l’ora di salire a vedere il circo.

Vedendosi insignito di quell’enorme responsabilità, Lorenzo rispose impettito, “non ti preoccupare, mamma”. Prese tra la sua la manina di Alessandro e insieme si incamminarono sulla salita che conduceva alpaese.

Guardandoli salire tenendosi per mano, facendo forza sulle esili gambette che fuoriuscivano dai pantaloncini, mia moglie  e io fummo colti da un moto di commozione.

Abituati a vederli continuamente litigare tra di loro per qualunque sciocchezza, osservarli tenersi per mano in maniera tanto tenera fu una gioia che tuttora si ripete mentre la memoria rivà a quegli attimi.

Sistemata velocemente casa, anche noi salimmo in piazza, non perché fossimo attratti dallo spettacolo ma per vedere i nostri figli cosa stavano facendo.

“Cerchiamo di non farci vedere”, disse mia moglie quando fummo su. Attenti a non mostrarci, sbirciammo da dietro il muro di pietre che delimita la piazza nel centro dove erano sistemate le file di sedie. In prima fila c’erano loro, Lorenzo e Alessandro, che continuavano a tenersi per mano in trepidante attesa.

Non mi vergogno ad ammettere che sia i miei occhi che quelli di mia moglie si riempirono di lacrime di gioia. Per quanto fossimo consapevoli che quell’idillio sarebbe terminato subito dopo lo spettacolo, in quell’attimo avemmo la consapevolezza che i due fratellini si volevano bene più di quanto immaginavamo.

Con il passare degli anni , tale convinzione è rimasta immutata: anche oggi che hanno rispettivamente ventiquattro e ventidue anni, e spesso non lesinano a litigare, dando a volte l’impressione di essere a un passo dal venire alle mani, ci sono momenti  in cui i due fratelli mostrano una complicità e una solidarietà  da cui capisci che, pur non sembrando, si vogliono bene più di quanto si pensi.

Chiedo scusa per questa lunga digressione di nostalgia: come già ho avuto modo di scrivere in precedenti post, a Raggiolo mi legano ricordi indimenticabili dell’infanzia e dell’adolescenza dei miei figli e non appena ho l’opportunità di parlarne, mi è impossibile non cadere nei sentimentalismi.

Il circo Zuzzurelloni  è una compagnia di artisti di strada, presumo tedeschi, austriaci o svizzeri visto l’idioma che parlano, che d’estate gira per il casentino toscano. Ma non escludo che tocchi anche altre regioni del centro Italia. Da diciannove anni, poco prima di ferragosto, la compagnia puntualmente tiene uno spettacolo nella piazza di Raggiolo che per l’occasione si gremisce di gente che giunge anche dai paesi vicini.

Dopo diversi anni che non assistevo allo spettacolo, quest’anno mi sono concesso il piacere di guardarlo.

A spingermi è stata soprattutto la curiosità di vedere se i membri della compagnia e i loro numeri fossero gli stessi degli anniscorsi o se, nel tempo, c’era stato un naturale cambio generazionale e di programma.

Molti degli artisti erano gli stessi di diciannove anni fa. In primis Hans, il “direttore” del circo. Su di sé sembra che il tempo non abbia infierito, vuoi per il fisico tuttora asciutto, vuoi  per il trucco marcato che gli copriva il viso, nascondendo possibili rughe. Credo che Hans abbia più o meno la mia stessa età. Gli invidio la possibilità, la capacità e il coraggio di fare ciò che più gli piace con estrema semplicità, coinvolgendo gli altri come se fosse un gioco di ruolo. E forse per lui e la sua troupe il circo un gioco di ruolo lo è davvero…

In alcuni degli artisti che quest’anno hanno dato vita allo spettacolo ho riconosciuto diversi bambini e ragazzi che negli anni addietro facevano da spalla ai funamboli dell’epoca. Non escludo che qualcuno di loro che quest’anno si è cimentato nel ruolo di mangiafuoco, acrobata, pagliaccio, equilibrista o semplice comparsa, diciannove anni fa riempisse il pancione di alcune delle donne che facevano da supporto al circo, suonando nell’orchestra o girando con il piattino tra il pubblico a fine spettacolo per raccogliere le offerte, unico sostentamento economico del circo Zuzzurelloni.

Tra i tanti giovani che si sono alternati sulla scena, ho riconosciuto in uno biondo con il codino alla vichinga il ragazzino biondo che anni addietro dava una mano ad allestire il palco, a smontarlo e a pulire la piazza dalle tante bottiglie di birra che gli artisti del circo bevono prima, durante e dopo lo spettacolo.  Osservandolo esibirsi nelle vesti di giocoliere facendo roteare tra le mani birilli e palline, ho fatto mentalmente i conti, chiedendomi quanti anni potesse avere. Come termine di paragone, manco a dirlo, ho preso i miei figli: se all’epoca in cui Lorenzo aveva cinque, quindi diciannove anni fa, lui era poco meno di un adolescente, oggi non doveva avere più di trent’anni. Quindi mi domandavo cosa facesse nella vita reale, dando per scontato che quella del circo è un’attività secondaria, un mezzo per girare la Toscana e altre regioni d’Italia divertendosi facendo divertire la gente.

Con piacere ho assistito alle due ore di spettacolo, circondato da una folla di gente divertita come me dalle performance di quegli artisti di strada. E quando volgevo lo sguardo dietro le “quinte” coperte da un telo appeso a un filo le cui estremità erano tese ai lati della piazza, intravedendo un bambino o una bambina di pochi anni schizzare come un fulmine da dietro il panno e intrufolarsi, correndo, tra la gente, inseguito dalla mamma sorridente, non ho potuto fare a meno di chiedermi se tra qualche anno quegli stessi bambini prenderanno il posto degli artisti che in quel momento animavano il circo.

Penso che si possa affermare senza suscitare il biasimo di alcuno che il circo Zuzzurelloni è diventata una realtà radicata delle estati di Raggiolo.

Seppure  lo spettacolo si tiene una sola volta l’anno, come la notte di San Lorenzo, questo circo di stelle di strada, che per lo più si regge sull’improvvisazione di molti dei suoi componenti,  malgrado lo spettacolo si dipana su un canovaccio teatrale ben strutturato, merita d’essere visto. Non fosse altro per l’allegria che sprizza da tutti i suoi membri che, come una piacevole epidemia, contagia il pubblico in piazza, strappando più di un sorriso e di una risata che, mai come di questi tempi, sono merce sempre più rara.

Il circo Zuzzurelloni è uno dei tanti bagliori di luce che Raggiolo regala d’estate ai turisti e ai suoi cittadini.  Nello stesso tempo il circo zuzzurelloni è una delle preziose perle che compongono la collana dei miei ricordi di padre.

Averlo rivisto, dopo tanto tempo, ha arricchito la collana!

 

1 settembre 2017

slogan-contro-razzismo

In undici anni e passa di blog ho affrontato tematiche di ogni genere, senza mai pormi più di tanto il problema se i miei post suscitassero o meno l’approvazione di quanti, anche solo per mero caso, li leggevano. Consapevole come sono che, nel momento in cui si ha il coraggio di rendere pubblico il proprio pensiero- in maniera scritta, orale o altro non fa distinzione – ci si espone al consenso generale o alla pubblica gogna, incorrendo spesso in critiche che travalicano il buon gusto, ho sempre cercato di affrontare in maniera equilibrata qualunque argomento, preoccupandomi soprattutto di non offendere alcuno dei soggetti dei miei scritti.

Impegnandomi a non contravvenire  mai meno a queste premesse, ho trattato di tutto e di più. L’unico argomento verso cui ho sempre nutrito una sorta di reticenza, tanto che penso di averlo affrontato solo una volta, è quello dell’immigrazione. Tale ritrosia è conseguenza della delicatezza e della complessità della questione. Se è difficile in poche righe cercare di esprimere chiaramente il proprio pensiero riguardo un qualsiasi argomento di attualità, soprattutto politico, parlare di immigrazione risulta ulteriormente problematico in quanto si rischia di essere tacciati di razzismo, senza esserlo, solo perché non si è riusciti a spiegare in maniera esaustiva il proprio pensiero.

I fatti di questi ultimi giorni, mi riferisco agli stupri perpetrati molto probabilmente da immigrati clandestini o da immigrati regolari verso cui era stato emesso successivamente un mandato di espulsione per essersi già resi protagonisti di crimini del genere, stanno alimentando una scia di polemiche allargando il fronte che separa  chi è pro immigrati e chi è contro.

Ma soprattutto ogni giorno che passa si percepisce crescere in una buona fetta di opinione pubblica l’avversione contro gli immigrati.

In molti quest’avversione è alimentata da chi politicamente sfrutta gli immigrati per fini politici, facendo credere loro che lo Stato tutela più gli stranieri che i cittadini. Omettendo di parlare dei vari accordi internazionali che impongono alle nazioni di garantire la sicurezza agli immigrati.

Il punto è che tale tutela contempla i cosiddetti immigrati regolari, non i tanti “clandestini” che fino a pochi giorni fa sbarcavano a migliaia sulle coste italiane dai barconi provenienti dalla Libia mettendo in crisi i vari centri di raccolta sparsi sul territorio nazionale.

La recente vicenda di alcune ONG – secondo la magistratura, facevano la spola nel mediterraneo per caricare sulle proprie navi i profughi lasciati alla deriva sui barconi dai trafficanti di uomini, in combutta con gli stessi i trafficanti, e, proprio per le inchieste in corso, hanno smesso di svolgere questa funzione umanitaria, anche perché contrarie a imbarcare uomini delle forze dell’ordine regolarmente armati -, ha dimostrato una volta di più quanto difficile sia la gestione della vicenda.

Puntare il dito contro gli immigrati è come sparare sulla croce rossa. Ma se ciò avviene probabilmente è perché, da come finora ha gestito la questione, lo Stato ha dato impressione di precarietà mista a inefficienza o poco meno, (com’è possibile che un espulso continui a vagare per le strade nazionali giungendo a violentare una donna?)….

In un paese come il nostro con un alto tasso di disoccupazione soprattutto giovanile, è facile che il malessere dei cittadini identifichi nell’immigrato l’origine dei propri mali solo perché vede con quanto interesse le istituzioni si preoccupano di lui. Fa niente che i soldi devoluti per la sua assistenza provengano dalle organizzazioni internazionali preposte alla gestione dell’immigrazione in europa.

Altrettanto è difficile per un cittadino comprendere come sia possibile che una comunità di immigrati occupi un intero stabile in un quartiere, aumentandone il degrado sociale, se non addirittura creandolo senza che nessuno intervenga per mettere ordine!?

Ecco, forse il malessere di tanti italiani nei confronti degli immigrati, che molti definiscono razzismo, in realtà non èa ltro che la reazione alla volontà repressa di molti italiani di non potersi rivalere contro lo stato per la cattiva gestione dell’immigrazione, della pubblica sicurezza e per la mancata garanzia di un lavoro dignitoso per tutti come prevede la Costituzione.

Credo che razzisti non lo si nasca. Bensì lo si diventa nel momento in cui chi dovrebbe garantire l’ordine, il benssere ela sicurezza nella società, si mostra incapace di adempiere al proprio ruolo.

A quel punto la paura di vedere i proprio diritti calpestati a favore della salvaguardia di quelli del “diverso” sarebbe conseguenziale, originando l’avversione verso lui.

Da lì al razzismo il passo, purtroppo, è breve!