Il problema è se il pazzo è chi crede in se stesso e combatte per realizzare i propri sogni o chi invece ha rinunciato a credere in se stesso e nei propri sogni, accontentandosi delle briciole che di tanto in tanto gli vengono concesse dalla vita come si fa con i bambini cui si danno le caramelle per tenerli buoni.

L’innamorato dei tarocchi, l’uomo che integra in sé ragione e istinto.

I tarocchi è un mazzo di carte usato in cartomanzia diviso in due sezioni. La prima è composta da ventidue carte, dette anche lame, numerate e nominate singolarmente da 0 a 21 che costituiscono gli arcani maggiori. La seconda è caratterizzata dagli arcani minori, cinquantasei carte divise a loro volta in quattro sottogruppi, denominati semi, ognuno di quattordici carte da 1 a 10 più quattro figure – fante, cavaliere, regina e re. I semi delle carte sono denari, bastoni, coppe e spade gli stessi delle carte napoletane.

In cartomanzia per la divinazione del futuro quasi sempre vengono utilizzati solo gli arcani maggiori. Tuttavia c’è chi si serve anche degli arcani minori per avere un responso più dettagliato.

Gli arcani maggiori vanno dalla carta numero 0, Il Matto, alla carta numero 21, Il Mondo. La sequenza completa è la seguente:

  • 0 Il Matto
  • 1 Il Bagatto
  • 2 La Papessa
  • 3 L’Imperatrice
  • 4 L’Imperatore
  • 5 Il Papa
  • 6 L’Innamorato
  • 7 Il Carro
  • 8 La Giustizia
  • 9 L’Eremita
  • 10 La ruota della Fortuna
  • 11 La Forza
  • 12 L’Appeso
  • 13 La Morte
  • 14 La Temperanza
  • 15 Il Diavolo
  • 16 La Torre
  • 17 Le Stelle
  • 18 La Luna
  • 19 Il Sole
  • 20 La Resurrezione
  • 21 Il Mondo

Dal mio punto di vista sbaglia, però, chi pensa che i Tarocchi, specificamente gli arcani maggiori, servirebbero esclusivamente alla funzione cartomantica. Essi sarebbero invece dei veri e propri simboli riferiti alla psicologia umana.

Di tarocchi se ne è occupato anche C. G. Jung, il quale studiò in maniera approfondita il rapporto tra Psicologia e alchimia sostenendo che il procedimento alchemico, ovvero la trasmutazione dei metalli vili in oro, in realtà simbolegiasse la trasposizione metaforica dello sviluppo interiore dell’essere dallo stato inconscio a quelle cosciente.

A seguito dei suoi studi, in Mysterium coniunctionis Jung sostenne che uno dei punti chiave della crescita interiore dell’essere fosse l’integrazione, ovvero la congiunzione, di quella parte di se stessi che piace con quell’altra che invece non piace e di cui ci si vorrebbe disfare sopprimendola.

Secondo Jung, invece, quell’aspetto di se stessi che non piace, anziché contrastarlo, bisognerebbe impegnarsi a integrarlo in sé in quanto parte imprescindibile di se stessi. Rifiutandolo si commetterebbe un atto di negazione della propria personalità, determinando inconsciamente quei conflitti interiori che determinano instabilità e insicurezza in molte persone.

In questa logica di integrazione degli opposti, riferendoci agli arcani maggiori, ci sovviene alla mente la carta numero sei, l’Innamorato.

Essa ritrae un uomo tra due donne. Quella alla sua sinistra ha un aspetto discinto e rappresenterebbe la tentazione o il vizio. Ma anche l’istinto naturale simboleggiato dal serto di fiori che le ricopre il capo dai lunghi capelli verdi, con i nudi poggiati uno sulla terra l’altro sul prato verde.

La donna alla sua destra, dall’aspetto regale e composto, rappresenterebbe invece la spiritualità. La corona d’oro che ha sul capo rifletterebbe la sua natura divina che le colora di biondo i capelli e, suppuniamo, i pensieri in modo che dalla sua mente abbiano origine solo idee positive che l’avvicinino sempre più a Dio. Diversamente dall’altra donna, i suoi piedi sono ammantati dal manto celeste simboleggiante la celestialità, dunque il piano divino, affinchè la propria natura non si corrompa toccando il piano materiale.

Secondo l’interpretazione classica questa carta metaforicamente rappresenterebbe l’uomo che, giunto al bivio della propria esistenza, prima di proseguire, deve compiere la scelta tra l’amore spirituale e quello materiale. Ma è davvero così?

Se ci soffermiamo ad analizzare la carta dell’innamorato del mazzo dei Tarocchi marsigliesi di Grimauld, tanto cari a Jung, riprodotta in alto, vediamo che l’uomo, più che essere fermo a un bivio, sembra trovarsi all’apice di una piramide anche perché alle proprie spalle non si dispiegherebbero una strada o un sentiero da cui sarebbe giunto, bensì si spalancherebbe uno spazio vuoto, una sorta di infinito verso cui dovrebbe poi tendere, una volta integrate in sé le due nature.

Ciò potrebbe indicare che l’uomo sia salito da una parete della piramide, quella materiale o quella spirituale. A questo punto, giunto al vertice, prima di girarsi e proseguire verso l’ignoto alle proprie spalle, deve integrare in sé virtù e vizio, bene e male. Non a caso la sua gamba destra, ammantata dalla calzamaglia rossa indice di passione amorosaa, poggia nel lato della spiritualità. Ciò potrebbe significare che la spiritualità senza passione non conduce da nessuna parte.Quella sinistra, ammantata di verde colore della natura, occupa invece lo spazio della natura e indicherebbe che non bisogna rinnegare la propria natura essendo essa una delle due basi su cui poggia il tempio dell’uomo. In questo modo egli trarrebbe energie da entrambi lati.

Ciò ci ricorda il simbolo dello Yin e dello Yang dove nello spazio bianco compare un punto nero e nello spazio nero un punto bianco a significare che ogni aspetto contiene in sé una piccola parte del proprio contrario.

Cupido volteggiante sull’innamorato sta per scoccare la freccia giusto nel centro della sua testa. Ciò rafforzerebbe l’idea che l’uomo, anziché compiere una scelta tra une delle due donne, le amerebbe entrambe.

A sostegno di questa ipotesi di congiunzione degli opposti Jung evidenzia che in natura ogni cosa ha il proprio contrario – luce/tenebre, vita/morte, maschio/femmina, freddo/caldo, liquido/solido – da cui non si può prescindere. Pertanto anche in campo psicologico esiste una coppia di opposti rappresentata da coscienza/inconscio .

In questo caso la coscienza, luogo in cui convergono gli aspetti positivi dell’essere, sarebbe rappresentata dalla donna alla destra dell’innamorato; viceversa l’inconscio, luogo dove albergano gli istinti e le origini delle fobie di ognuno di noi, dalla donna alla sua sinistra.

Fino a quando l’uomo tenderà a sfuggire il confronto col proprio inconscio non sarà mai se stesso. Rifuggendo dalle cause che generano le nostre paure noi fuggiamo da quell’aspetto della nostra personalità che inconsciamente riconosciamo essere la causa delle nostre instabilità interiori di cui ci vergogniamo al punto da volerlo sopprimere.  Ma la sua soppressione è impossibile in quanto, se lo facessimo, compiremmo un vero e proprio suicidio interiore cui spesso si associa quello vero e proprio.

La carta dell’innamorato ci dice che dobbiamo accettarci per quello che siamo. Questa è l’unica possibilità che abbiamo per proseguire speditamente nel cammino esistenziale. Ma per farlo dobbiamo essere consapevoli che in noi è racchiuso sia il bianco che il nero.

Rifiutando il nero inconsciamente rifiutiamo anche il bianco in quanto l’uno rappresente l’altra metà dell’altro per cui l’uno senza l’altro non hanno ragione di essere.

Fino a quando non impareremo ad accettarci e a dialogare con la nostra ombra faticheremo ad andare avanti nella vita.

Accettarsi per quello che si è probabilmente è una delle cose più difficili che l’individuo possa fare. Anche perché accettandosi, dunque mostrandosi per ciò che realmente si è, si corre il rischio di dover confliggere con l’opinione pubblica la quale tende ad aggredire chi ha il coraggio di essere se stesso, di credere nei propri sogni fino a sfidare il mondo per realizzarli.

Agli occhi della massa sono pazzi quanti si affannano nella realizzazione di un sogno a costo di rimetterci tempo, salute e denaro.

Il problema è se il pazzo è chi crede in se stesso e combatte per realizzare i propri sogni o chi invece ha rinunciato a credere in se stesso e nei propri sogni, entrando a far parte del gregge. Accontentandosi delle briciole che di tanto in tanto la vita gli concede come si fa con i bambini cui si danno le caramelle per tenerli buoni.

L’innamorato non si accontenta delle caramelle. Egli ha capito che per realizzare se stesso e i propri sogni prima di tutto deve accettarsi per quello che è, sia nel bene che nel male. Nel momento in cui tale accettazione è avvenuta ed egli non ha più paura di fronteggiarsi con la propria ombra, sarà in grado di tenere a bada e di governare quegli aspetti di se stesso che precedentemente lo terrorizzavano tanto da desiderare di sopprimerli. Essi diventeranno come quegli animali selvaggi che, una volta addomesticati, obbediscono ciecamente alla volontà del padrone.

L’Alchimia secondo Jung

L’Alchimia secondo Jung

Quando si parla di alchimia in molti infastiditi storcono perché ritengono l’argomento un’insulsaggine.

A dire il vero tutti i torti non hanno visto che per secoli, anzi per millenni, l’alchimia ha rappresentato uno dei sogni irrealizzati e irrealizzabili dell’uomo: tra(s)mutare il piombo in oro mediante un lungo e laborioso processo di laboratorio che prevede la fusione e la distillazione dei metalli.

Chiuso nel suo laboratorio, avvolto dai vapori che si di diffondevano dalle storte e dagli alambicchi posti sui fornelli in cui cuocevano gli elementi da cui ricavare la materia prima da porre nell’athanor, il forno degli alchimisti, per ottenere l’oro, l’alchimista conduceva una vita di solitudine e speranze vane, ponendosi alla mercé di truffatori pronti a sfruttare la sua credulità per arricchirsi alle sue spalle proponendogli formule e pietre misteriose che, se correttamente praticate e usate, gli avrebbero consentito la realizzazione del suo sogno.

Nonostante ciò solo il fatto che di alchimia se ne parli da millenni – secondo alcuni il termine alchimia deriverebbe dall’antico egitto per indicare la terra nera di quelle zone, secondo altri sarebbe invece di origine araba, al-kimia, la chimica – indicherebbe che l’alchimia è molto più di una chimera (un sogno irrealizzabile non può durare in eterno com’è invece il caso dell’alchimia). Se unitamente a ciò consideriamo i grandi uomini che nel corso dei tempi se ne sono occupati – Tommaso d’Aquino, Raimondo Lullo, Nicolas Flamel, Isaac Newton, Gianbattista della Porta, Giordano Bruno per citarne alcuni –, è evidente che non è da trascurare la probabilità che l’alchimia non fosse solo una chimere ma qualcosa di molto più serio non alla portata di tutti.

Certo c’è chi sostiene di essere riuscito nella realizzazione materiale del piombo in oro, ad esempio l’alchimista che si firmava Fulcanelli. Tuttavia anche Fulcanelli nelle sue opere – Il mistero delle cattedrali e Le dimore filosofali – lascia intendere che l’opera è molto complessa e per realizzarla lui ci impegò oltre trent’anni e alla fine ciò avvenne solo per volontà di Dio.

Secondo Eugène Canseliet, biografo e allievo di Fulcanelli, il maestro la trasmutazione del piombo in oro l’avrebbe realizzata per davvero. Ma i dubbi che ciò fosse vero sono tanti. Anche perché, seppure stando alle attuali conoscenze, è possibile produrre l’oro in laboratorio, la quantità che se ne produrrebbe sarebbe talmente irrisoria e richiederebbe dei costi notevoli per cui non varrebbe la pena impegnarsi in un’operazione del genere.

Come sarebbe stato possibile a Fulcanelli, vissuto a cavallo tra XIX e il XX secolo, operare la trasmutazione del piombo in oro visto gli alti costo, le elevate conoscenze e, soprattutto, l’imponente tecnologia che ciò richiedeva?

Non sarebbe molto più probabile invece che Fulcanelli avesse realizzato la Grande Opera, come viene definita la realizzazione alchemica, in rapporto alla propria persona, elevandosi dallo stato di uomo a quello di Super Uomo in termini psicologici tanto cari a Nietzsche?

Di alchimia se ne è occupato in maniera approfondita anche lo psicologo Carl Gustav Jung il quale all’alchimia e ai suoi simboli ha dedicato anni di studi, pubblicando due interessanti volumi, Psicologia e Alchimia e Mysterium Coniunctionis. Nel primo Jung confronta le immagini di quattrocento sogni di alcuni suoi pazienti con quelle che accompagnano i testi di alchimia. Nel secondo, invece, prende in esame l’unione degli opposti, ossia la capacità dell’individuo di accettarsi, integrando in sé quell’aspetto della propria personalità che rinnega anziché accettarlo come parte imprescindibile di sé.

In questa logica il rapporto maschio/femmina sarebbe rappresentato dall’unione della coscienza con l’inconscio/anima. Ciò determinerebbe uno hiero gamos, matrimonio sacro, dove dall’unione del Re con la Regina (la coscienza e l’inconscio/anima) nasce il figlio sacro, il rebis, che racchiuderebbe in sé la natura maschile e quella femminile.

A seguito dei suoi studi Jung giunse alla conclusione che l’alchimia rappresentasse lo sviluppo interiore dell’individuo dallo stato inconscio a quello cosciente, armonizzando lentamente il proprio io con il mondo esterno attraverso un percorso di studi dove la filosofia assume un ruolo apicale.

Citando uno dei tanti testi alchemici Jung propone un brano in cui si esortano gli individui a leggere e rileggere i testi alchemici, seppure inizialmente risultasse difficile comprenderli, perché il segreto dello svelamento dell’arcano starebbe proprio nella costanza con cui ci si approccia allo studio che, alla lunga, in maniera del tutto inconscia attiverà nello studioso dei meccanismi interiori rendendolo sempre più vicino alla comprensione dei testi e dunque allo svelamento del mistero rappresentato da se stesso.

La purificazione interiore avverrebbe attraverso la lettura dei testi di filosofia la cui funzione, com’è noto, consiste nel contribuire alla crescita interiore dell’individuo. Tale processo psicologico lo troveremmo rappresentato nel dogma dell’Immacolata Concezione dove, diversamente da quanto si crede, con il termine concezione non si indicherebbe il concepimento di un figlio da parte della Madonna senza commettere peccato, bensì l’acquisizione di un pensiero puro che darà vita all’Uomo Nuovo. In questa logica la Madonna rappresenterebbe la conoscenza sacra i cui dettami consentirebbero all’uomo di elevarsi a figlio di Dio.

Secondo Wikipedia il termine concepimento, sinonimo di concezione, deriva dal latino cum capere, cioè “accogliere in sé” o “prendere insieme” ed indica l’atto del concepire un figlio. Il prodotto del concepimento prende il nome di concepito. Tuttavia, come riferisce il vocabolario dei sinonimo e contrari Treccani, il termine concepire non è riferito soltanto al concepimento di un figlio ma anche ad accogliere nel proprio animo, nel proprio intelletto.

Attraverso la lettura e, soprattutto, attraverso lo studio alimentiamo in noi una concezione. Per cui è ovvio che leggendo e studiando testi il cui fine è quello di contribuire alla crescita interiore dell’individuo, alla fine ci riscopriremmo diversi da quello che eravamo prima che ci approcciassimo a essi.

Dunque il dogma dell’Immacolata Concezione si presterebbe a una seconda chiave di lettura: per diventare figli di Dio bisogna purificare il proprio pensiero. E ciò sarebbe possibile solo nutrendolo leggendo e studiando le opere dei filosofi, come appunto afferma più di un testo alchemico citato da Jung.

Secondo questa visione psicologica il laboratorio dell’alchimista sarebbe rappresentato dall’inconscio dello studioso il quale, attraverso le letture e lo studio della filosofia, attiverebbe in sé un processo di crescita interiore che alla lunga culminerà nella trasmutazione del piombo in oro, ovvero dell’individuo dallo stato umano a quello “divino”.

Scritto agli inizi del 2000, prendendo spunto da fatti di cronaca vera che registrarono una recrudescenza di riti satanici a Napoli e in provincia con il coinvolgimento di insospettabili professionisti e personaggi della cosiddetta alta società, Signature Rerum affronta la tematica del satanismo e del fascino che il mondo dell'occulto suscita nell'animo di tante persone, dei giovani in particolare, che molto spesso, è proprio il caso di dirlo, scherzano con il "fuoco" senza esserne consapevoli

SIGNATURE RERUM – IL SUSSURRO DELLA SIBILLA

Riccardo viene lasciato dal Monica a poche settimane dal matrimonio. Per affrontare il trauma dell’improvvisa separazione decide di trasferirsi a Bacoli nella villa al mare della sorella. Qui conoscerà Laura, una ragazza piena di vita con la passione per la corsa che lo aiuterà a far chiarezza e a ritrovare lentamente se stesso. Ma Laura nasconde un segreto! Scritto agli inizi del 2000, prendendo spunto da fatti di cronaca vera che registrarono una recrudescenza di riti satanici a Napoli e in provincia con il coinvolgimento di insospettabili professionisti e personaggi della cosiddetta alta società, Signature Rerum affronta la tematica del satanismo e del fascino che il mondo dell’occulto suscita nell’animo di tante persone, dei giovani in particolare, che molto spesso, è proprio il caso di dirlo, scherzano con il “fuoco” senza esserne consapevoli; spesso indotte a farlo da individui privi di scrupoli che sfruttano la loro curiosità e le loro fragilità interiori per i propri loschi fini, introducendole in un mondo governato dal male, da cui è difficile fuggire una volta entrati. Il linguaggio crudo e spregiudicato con cui è scritto non è una forzatura dell’autore ma l’unico che si adatta a questo tipo di storia dove realtà e fantasia si confondono, alimentando il dubbio dov’è che inizia l’una e finisce l’altra . Considerando i miti, le storie e i misteri che li caratterizzano da sempre, l’ambientazione nei Campi Flegrei era la più idonea a questo tipo di storia

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Sabato 21, gennaio durante la presentazione del mio romanzo L’ULTIMA NOTTE (Edizioni Helicon) , il prof. Magliulo, uno dei relatori insieme al prof. Ernesto Salemme presenti quella sera in sala, parlando dell’amore divinizzato, a loro dire tema centrale del racconto, ha citato Dante Alighieri, suscitando in me viva gioia e dandomi modo di parlare del presunto rapporto tra il sommo poeta e i Fedeli d’Amore.

A proposito di Dante e dei Fedeli d’Amore

Sabato 21, gennaio durante la presentazione del mio romanzo L’ULTIMA NOTTE (Edizioni Helicon) , il prof. Magliulo, uno dei relatori insieme al prof. Ernesto Salemme presenti quella sera in sala, parlando dell’amore divinizzato, a loro dire tema centrale del racconto, ha citato Dante Alighieri, suscitando in me viva gioia e dandomi modo di parlare del presunto rapporto tra il sommo poeta e i Fedeli d’Amore.

A riguardo nella mia raccolta di articoli sull’ermetismo – DISCUSSIONI SU MARIA MADDALENA – UN VIAGGIO NELLA TRADIZIONE ERMETICA disponibile su Amazon – vi è un capitolo dedicato proprio a Dante e al suo rapporto sia con i templari sia con i Fedeli d’Amore che ripropongo in questo post al fine di chiarire a quanti non li conoscessero chi erano i Fedeli d’Amore.

DANTE TEMPLARE E ALCHIMISTA

Tra i massimi capolavori letterari di sempre, la Divina Commedia vanta un gran numero di saggi critici e analitici, alcuni dei quali non si limitano ad analizzarne la struttura compositiva, la storicità e il significato filosofico ma, entrando nell’anima dell’opera, tentano di dimostrare come Dante non si fosse limitato a infondervi simbolicamente le proprie ideologie politiche e religiose. Bensì vi avesse trasfuso il proprio credo spirituale/misteriosofico di matrice gnostica in quanto avrebbe fatto parte, insieme ad altri stilnovisti, dei Fedeli D’Amore. […]

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Scritto nel 2017, LA STELLA NERA di Gary Lachman (edizioni TLON) ha un sottotitolo per molti versi intrigante e, nello stesso tempo, inquietante: Magia e potere nell’era di Trump.

LA STELLA NERA, ovvero come la magia sarebbe in grado di influenzare le sorti politiche del mondo

 

Scritto nel 2017, LA STELLA NERA di Gary Lachman (edizioni TLON) ha un sottotitolo per molti versi intrigante e, nello stesso tempo, inquietante: Magia e potere nell’era di Trump.A tanti ciò farà storcere il naso, ritenendo improprio e fantasioso l’accostamento tra politica e magia. Eppure chi è avvezzo a tematiche umanistiche e psicologiche sa benissimo che quando si parla di magia non ci si riferisce soltanto a quella disciplina fatta di formule, simboli, filtri e rituali il cui fine consta nel catalizzare in terra le energie universali e le entità soprannaturali per risvegliare il potere divino che alberga nell’uomo e collaborare con lui alla realizzazione dei suoi più reconditi desideri.
La magia di cui si parla nel libro e che, stando all’autore, ha consentito a Trump di diventare prima uno degli uomini più ricchi del mondo – a riguardo Lachman pone comunque dei dubbi sulla liceità della ricchezza del tycoon e i metodi utilizzati per arricchirsi – e successivamente assurgere alla Casa Bianca, deriverebbe dalla capacità di Trump di saper pensare in positivo e gestire il proprio pensiero al fine di accrescere la stima in se stesso e sottomettere la massa mediante l’utilizzo dei media di cui è proprietario, convinto di essere in grado di poter realizzare tutto ciò che desidera tanto da riuscirvi davvero – la Trump Tower che svetta nel cielo di New York è l’emblema del suo successo. […]

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In questo volume ho raccolto una serie di articoli tratti dal mio sito www.vincenzogiarritiello.it in cui affronto argomenti di natura esoterica che vanno dall’alchimia, alla magia, ai tarocchi. In essi mi confronto con temi quali il presunto rapporto amoroso tra Gesù e Maria Maddalena, il segreto delle cattedrali gotiche, le figure iniziatiche di Dante, Leonardo Da Vinci e Victor Hugo.

Discussioni su Maria Maddalena – Un viaggio nella tradizione ermetica

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In questo volume ho raccolto una serie di articoli tratti dal mio sito www.vincenzogiarritiello.it in cui affronto argomenti di natura esoterica che vanno dall’alchimia, alla magia, ai tarocchi. In essi mi confronto con temi quali il presunto rapporto amoroso tra Gesù e Maria Maddalena, il segreto delle cattedrali gotiche, le figure iniziatiche di Dante, Leonardo Da Vinci e Victor Hugo. Senza tralasciare la filosofia, in particolare quella platonica, il mistero della morte, l’esistenza dell’anima e i Cavalieri Templari la cui misteriosa e affascinante figura è tuttora interesse di studi approfonditi e di teorie controverse. […]

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Fino a quando nel 62 d. C. non fu completato il porto di Ostia, quello di Pozzuoli fu l’approdo obbligato delle navi provenienti dalle province romane di Africa e d’oriente cariche di viaggiatori e merci dirette a Roma. Fu questo il motivo per cui San Paolo, l’apostolo illuminato sulla Via di Damasco, sbarcò a Pozzuoli da dove intraprese la sua opera apostolica in occidente.

Altra figura importante che più di una volta sarebbe sbarcata a Pozzuoli – nell’ultimo caso per scampare alla morte – fu il filosofo/mago Apollonio di Tiana, come racconta Filostrato nella sua VITA DI APOLLONIO DI TIANA.

Anche Apollonio di Tiana passò per Pozzuoli

Fino a quando nel 62 d. C. non fu completato il porto di Ostia, quello di Pozzuoli fu l’approdo obbligato delle navi provenienti dalle province romane di Africa e d’oriente cariche di viaggiatori e merci dirette a Roma. Fu questo il motivo per cui San Paolo, l’apostolo illuminato sulla Via di Damasco, sbarcò a Pozzuoli da dove intraprese la sua opera apostolica in occidente.

Altra figura importante che più di una volta sarebbe sbarcata a Pozzuoli – nell’ultimo caso per scampare alla morte – fu il filosofo/mago Apollonio di Tiana, come racconta Filostrato nella sua VITA DI APOLLONIO DI TIANA.

Ma chi fu Apollonio di Tiana?

Coevo di Gesù, di lui si racconta che, oltre a essere un filosofo seguace della dottrina pitagorica – praticava un’alimentazione vegetariana, non indossava abiti confezionati con pelli animali, esecrava i sacrifici animali, praticava il silenzio, dominava i sensi sublimandoli, praticava il celibato – come Cristo, sarebbe stato in grado di compiere miracoli guarendo gli infermi e, addirittura, resuscitando i morti.

Al pari dei Vangeli che furono scritti molto tempo dopo la scomparsa di Gesù – quello di Marco, redatto in greco, ritenuto il più antico dei canonici, risalirebbe tra il 65 e il 70 d. C. – anche l’opera di Filostrato sulla vita di Apollonio di Tiana fu scritta molti anni dopo la sparizione del filosofo. Precisamente tra il II e il III secolo d. C. su commissione di Giulia Domna, moglie dell’imperatore Settimio Severo e devota di Apollonio, donna di profonda sensibilità e cultura tanto da potersi ritenere a giusta ragione una femminista dell’epoca. […]

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Tra i massimi capolavori letterari di sempre, la Divina Commedia è tra quelli che sicuramente vanta un gran numero di saggi critici e analitici, alcuni dei quali non si limitano ad analizzarne la struttura compositiva, la storicità e il significato filosofico, ma, entrando nell’anima dell’opera, tentano di dimostrare come Dante non si fosse limitato a infondervi simbolicamente le proprie ideologie politiche e religiose. Bensì vi avesse trasfuso il proprio credo spirituale/misteriosofico di appartenenza rosacrociana in quanto avrebbe fatto parte, insieme ad altri stilnovisti, ai Fedeli d’Amore.

Dante templare e alchimista

Tra i massimi capolavori letterari di sempre, la Divina Commedia è tra quelli che sicuramente vanta un gran numero di saggi critici e analitici, alcuni dei quali non si limitano ad analizzarne la struttura compositiva, la storicità e il significato filosofico, ma, entrando nell’anima dell’opera, tentano di dimostrare come Dante non si fosse limitato a infondervi simbolicamente le proprie ideologie politiche e religiose. Bensì vi avesse trasfuso il proprio credo spirituale/misteriosofico di appartenenza rosacrociana in quanto avrebbe fatto parte, insieme ad altri stilnovisti, ai Fedeli d’Amore.

Sull’esoterismo di Dante, soprattutto tra il secolo scorso e l’attuale, sono stati scritti brevi saggi tipo L’ESOTERISMO DI DANTE di René Guénon (Adelphi), o tomi come IL LINGUAGGIO SEGRETO DI DANTE E DEI FEDELI D’AMORE di Luigi Valli (Luni Editrice). Tuttavia basta fare una ricerca su internet per rendersi conto quanto sia stato scritto sull’argomento. Da poco a questa enorme mole di libri e articoli si è aggiunto DANTE TEMPLARE E ALCHIMISTA di Primo Contro ( BastogiLibri),dal titolo quanto mai inequivocabile. […]

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Quando parliamo di alchimia ci sovviene alla mente l’immagine di un uomo immerso in un ambiente cupo, circondato da scaffali colmi di libri, fiale e contenitori vari, avvolto da una densa nuvola di fumo acre, seduto davanti a un fornello su cui è poggiata una storta di vetro in cui bolle una misteriosa sostanza frutto di lunghissimi esperimenti finalizzati alla trasformazione del piombo in oro.

Alchimia, solo una chimera?

Quando parliamo di alchimia ci sovviene alla mente l’immagine di un uomo immerso in un ambiente cupo, circondato da scaffali colmi di libri, fiale e contenitori vari, avvolto da una densa nuvola di fumo acre, seduto davanti a un fornello su cui è poggiata una storta di vetro in cui bolle una misteriosa sostanza frutto di lunghissimi esperimenti finalizzati alla trasformazione del piombo in oro.

Sull’eventualità se fosse possibile ottenere l’oro in laboratorio, se ne discute da millenni. Negli ultimi anni è stato dimostrato che ciò sarebbe possibile mediante reazioni nucleari, ma il procedimento sarebbe talmente costoso, lungo e complesso che, rispetto alla bassissima quantità di oro che si ricaverebbe, non ne varrebbe la pena.

Secondo altre versioni, invece, l’alchimia consentirebbe a chi riuscisse nella realizzazione dell’opera a garantirsi l’immortalità, al pari di chi, in possesso del Sacro Graal, bevesse ciò che il calice contiene.

Ritornando alla possibilità di creare l’oro in maniera artificiale, quest’aspetto dell’alchimia rappresenterebbe solo una fase di un cammino molto più articolato e profondo attinente alla realizzazione spirituale dell’essere. Ovvero la “trasformazione” dell’uomo comune in quella di santo. Seppure in questo caso l’utilizzo del vocabolo santo è inappropriato.

Le antiche civiltà del passato – da quella vedica a quella egizi passando per i sumeri, fino a quella medievale e, in epoca molto più tarda, quella seicentesca/settecentesca fino agli inizi del ventesimo secolo – si occupavano della possibilità di poter fabbricare l’oro.

Nei loro testi, scritti con un linguaggio simbolico non privo di avvertimenti al lettore a non lasciarsi ingannare dalle apparenze ma a penetrare il senso delle parole, come afferma il moderno alchimista francese Fulcanelli sia ne IL MISTERO DELLE CATTEDRALI che ne LE DIMORE FILOSOFALI, gli alchimisti non vi avrebbero racchiuso le indicazioni per la fabbricazione dell’oro metallico, bensì quelle di un procedimento psicofisico in grado di modificare sia interiormente che fisicamente l’operatore.

Riferendoci alle civiltà del passato, quando si parla di alchimia, si è portati subito a pensare all’antico Egitto. Tale associazione è dovuta alla parola alchimia  la quale sarebbe la traslitterazione della parola egiziana El-Kemè, sale della terra nera, identificando con terra nera l’antico Egitto. Essa, però, non sarebbe solo un’indicazione geografica, ma soprattutto simbolica in quanto la nigredo, l’opera al nero, è la prima delle tra fasi caratterizzanti il processo alchemico, le altre due sono albedo e rubedo.

Altre fonti attribuiscono l’origine della parola alchimia all’arabo Kimiya, uno dei nomi con cui si indicava il reagente per la trasformazione dei metalli. Senza escludere che sempre in arabo la parola significherebbe pietra nera il cui rapporto con quella conservata nella mosche della Mecca, oggetto di venerazione da parte degli islamici, è indiscutibile.

Nella tradizione occidentale riscontriamo un forte legame tra l’alchimia e la filosofia: la pietra, o la sostanza che consentirebbe agli alchimisti di trasmutare il piombo in oro, è chiamata pietra filosofale.

Se davvero le parole sono pietre, è fuori discussione che l’associazione tra pietra e filosofia indicherebbe quale aspetto l’individuo debba curare per crescere come uomo.

In tutte le loro opere gli alchimisti avvertono i lettori che quanto hanno scritto rappresenta il contrario di quel che volevano dire, non essendo l’alchimia alla portata di tutti. Per poi spiazzarli affermando che la Grande Opera, la realizzazione alchemica, è un gioco da bambini. Così dicendo gli alchimisti volevano forse affermare la semplicità dell’opera, o invece che, affinché la trasmutazione avvenisse, occorreva che l’operatore avesse l’animo immacolato come quello di un bambino, riportandoci alla mente la frase di Gesù, lasciate che i bambini vengano a me?

La falsa interpretazione dei loro scritti da parte di chi era ossessionato dall’idea di creare l’oro in laboratorio ha dato origine alla moderna chimica. Un aspetto, questo, certamente non secondario per lo sviluppo della società umana, ma limitare l’alchimia alla sfera materiale la svilisce.

Tenendo presente quanto lo studio possa influire positivamente sulla crescita non soltanto professionale, ma prima di tutto personale di un individuo, il fatto che lo strumento in grado di trasmutare il piombo in oro fosse definito dagli alchimisti Pietra Filosofale dovrebbe farci riflettere sul fatto che l’opera alchemica riguarderebbe gli aspetti psicologici dell’essere.

Non è un caso se Carl Gustav Jung, uno dei padri della psicologia, abbia dedicato una parte consistente della propria vita professionale allo studio dell’alchimia e dei sui simboli dando origine alla Psicologia Alchemica. È fuori discussione, come afferma non solo la medicina alternativa ma anche quella ortodossa, che la serenità mentale influisce positivamente sull’equilibrio interiore di un individuo garantendone il benessere fisico: così come esistono le malattie psicosomatiche, altrettanto devono per forza esistere le guarigioni psicosomatiche. Diversamente non si capisce perché il pensiero debba influire solo negativamente sulla vita degli individui!

Imparare a pensare in maniera positiva, cosa non affatto semplice in una società come la nostra dove siamo quotidianamente oggetto di bombardamenti mediatici che non ci lasciano il tempo di riflettere, può già considerarsi una grande conquista, a prescindere dalla possibilità o meno di realizzare l’oro in laboratorio. Del resto tutti i Padri Spirituali nei loro insegnamenti invitano a trascurare i beni materiali e a cercare in noi stessi il vero tesoro in grado di garantirci la pace e la serenità.

A riguardo l’alchimia sarebbe davvero la scienza capace di trasmutare il metallo grezzo in oro. Solo che l’oro cui vi sa fa riferimento sarebbe quello “interiore”, non certo quello che si trova nelle miniere: l’uomo comune rappresenterebbe il metallo grezzo; l’oro inteso come metallo, invece, simboleggerebbe l’uomo elevatosi spiritualmente attraverso una lunga serie di studi, sacrifici ed esercizi spirituali.

Non dimentichiamo che gli stessi alchimisti irridono quanti, ossessionati dalla sete di ricchezza, dilapidano le proprie fortune trascorrendo la vita chiusi in un laboratorio da cui si diffondono vapori puzzolenti nella speranza di fabbricare l’oro.

Come ogni cosa, anche l’alchimia possiede due facce della stessa medaglia. Il problema è quale scegliere!

Ad aprile del 2003 negli USA fece la sua comparsa IL CODICE DA VINCI di Dan Brown, pseudonimo di Daniel Gerard Brown. In Italia il romanzo fu pubblicato da Mondadori a novembre di quello stesso anno. Da allora il libro ha venduto oltre 85 milioni di copie, affermandosi in assoluto tra le opere letterarie più vendute e conosciute al mondo.

Pistis Sophia, quando l’eresia sconfessa l’eresia

Ad aprile del 2003 negli USA fece la sua comparsa IL CODICE DA VINCI di Dan Brown, pseudonimo di Daniel Gerard Brown. In Italia il romanzo fu pubblicato da Mondadori a novembre di quello stesso anno. Da allora il libro ha venduto oltre 85 milioni di copie, affermandosi in assoluto tra le opere letterarie più vendute e conosciute al mondo.

La fortuna del romanzo è certamente dovuta al battage pubblicitario che lo accompagnò fin dal primo istante che apparve nelle librerie, esaltandone la trama intrigante e pruriginosa strutturata sul presunto rapporto amoroso tra Gesù e Maria Maddalena da cui avrebbe avuto origine una stirpe di re sacri, la dinastia Merovingia (?). Argomento per altro già affrontato nel 1982 da IL SANTO GRAAL di Michael Baigent, Henry Lincoln e Richard Leigh che a sua volta vendette milioni di copie. […]

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