POZZUOLI, UN INIZIO MARZO CARICO DI EVENTI CULTURALI

marzo cultura pozzuoli

Sarà un inizio marzo all’insegna della cultura e dello spettacolo quello che si prospetta a Pozzuoli per il prossimo fine settimana.

Si incomincia sabato 2 marzo alle ore 17 all’Art Garage – Viale Bognar, 21 nei pressi della metropolitana – con l’inaugurazione della mostra fotografica “Viaggio a Tecla e Moriana” di Lorenzo Leone. L’evento è il secondo appuntamento della rassegna fotografica a scadenza bisettimanale curata da Gianni Biccari. Apertura: lunedì-venerdì dalle 10 alle 22; sabato dalle 10 alle 20; domenica chiuso. Ingresso libero.

Quello stesso giorno alle ore 21 presso ‘A PUTECA ‘E LL’ARTE – Via Traversa Provinciale Pianura, 16/Pozzuoli (direzione Pozzuoli-Pianura di Fronte BA.CO.GAS) – si terrà il concerto del cantautore Nicola Dragotto, “DIVAGAZIONI (tu chiamale se vuoi)”. Costo del biglietto 10 euro.

Domenica 3 marzo per commemorare il 49° anniversario dello sgombero del Rione Terra, a partire dalle ore 10,30 un gruppo di ex abitanti della rocca si ritroveranno nel piazzale d’ingresso del Rione per raccontare episodi di vita vissuta fino al giorno dello sgombero nell’attesa si facciano le 12, ora in cui ebbe inizio l’evacuazione, per chiudere il raduno con una sorpresa commemorativa. Ingresso libero, partecipazione aperta a tutti.

La tre giorni culturale si concluderà lunedì 4 marzo al cinema Sofia: per ricordare il sesto anniversario dell’incendio di Città della Scienza che cade proprio quel giorno, alle ore 20,30 si proietterà il docufilm VOCE ‘E SIRENA del regista Sandro Dioniso con Cristina Donadio, Rosaria De Cicco e Agostino Chiummariello. Ingresso libero fino a esaurimento posti.

Non c’è che l’imbarazzo della scelta.

Buon divertimento!

Vincenzo Giarritiello

RAFFAELE BENDANDI, UN GENIO DISCONOSCIUTO PERCHE’ FALEGNAME

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Andando a ritroso nel mio blog ho ritrovato questo post che scrissi il 12 marzo del 2011, all’indomani del devastante terremoto che colpì il Giappone causando danni alla centrale atomica di Fukushima, in cui  esponevo delle considerazioni personali riguardanti l’eventualità di prevedere i terremoti…  Mi piace riproporlo.

Ogniqualvolta un terremoto devastante come quello che ieri ha colpito il Giappone, cui è seguito uno tsnunami ancora più distruttivo, scuote a morte un’area della terra, puntualmente l’indomani ci si interroga sulla possibilità concreta di poter prevedere i terremoti in maniera da avvertire la popolazione salvando un gran numero di vite. Secondo la comunità scientifica ciò non è possibile, e anche se lo fosse, sarebbe difficile individuare con precisione assoluta l’area e l’esatto momento in cui l’evento catastrofico si manifesterebbe, evacuando in tempo la zona interessata. A sostegno di questa tesi molti prendono come riferimento proprio il Giappone, terra dei terremoti per antonomasia, all’avanguardia nel campo delle costruzioni antisismiche, ma del tutto inerme di fronte all’imprevedibilità della natura. Tant’è che, escludendo la fuga radioattiva dalla centrale nucleare di Fukushima segnata dal sisma, i danni maggiori  li ha fatti lo tsnunami che si è abbattuto sulle coste del nord-est del paese spazzando via interi villaggi, strade e ferrovie, lasciandosi alle spalle un “mare” di morte e distruzione.

Alcune settimane prima del terremoto del 6 aprile 2009 che distrusse L’Aquila e comuni limitrofi, per intensità mille volte inferiore a quello del Giappone ma che provocò più crolli e vittime per colpa della disonestà di chi vi costruì case e palazzi facendo la cresta sui materiali di costruzione, il ricercatore Gianpaolo Giuliani avvertì le autorità che per la fine di marzo vi sarebbe stato un violento terremoto nell’aquilano. La sua previsione si basava sui dati ricavati dai rivelatori di gas randon da lui stesso sistemati nell’area di Sulmona in quanto ritiene, e pare non sia il solo, che poco prima di un sisma aumentino a dismisura le emissioni di questo tipo di gas nelle aree che saranno interessate dall’evento.  Giuliani si beccò una denuncia per procurato allarme ma poi il terremoto del 6 aprile dimostrò che la sua previsione non era sbagliata ma solo anticipata di circa una settimana.

Caso ancora più eclatante è quello del faentino Raffaele Bendandi il quale, osservando le maree, risultato dell’influsso gravitazionale della luna sulla terra, teorizzò che la combinzione dell’influsso lunare con quello del sole e di altri pianeti poteva determinare rivoluzioni sulla crosta terrestre tali da dare vita ai terremoti.

Secondo Bendandi “l’origine dei terremoti è prettamente cosmica”, e avverrebbe “quando nel giro mensile di una rivoluzione lunare l’azione del nostro satellite va a sommarsi a quella di altri pianeti” (per ascoltare Bendandi enunciare la sua teoria spostare su 6,50 il contatore del filmato tratto da Voyager). Per cui i terremoti sarebbero prevedibilissimi… A sostegno di queste sue speculazioni vi sono dati a dir poco inequivocabili che ne attesterebbero la validità – Bendandi previde diversi terremoti, tra cui quello del Friuli del 1976. Tuttavia nessuno gli dette mai ascolto. Eppure, anche in questo caso, la comunità scientifica pare non tenere affatto conto dei suoi studi, forse perché Bendandi applicava l’astronomia e l’astrologia alla geologia, commettendo un’eresia agli occhi degli scienziati.

Tra le 100 previsioni  di terremoti che Bendandi ci avrebbe lasciato, almeno 60 riguarderebbero l’Italia. Tra queste ve ne sarebbero almeno due che prevedono due forti terremoti nel Lazio rispettivamente l’11 maggio del 2011 e un altro ancora più devastante il 5/6 aprile del 2012 in concomitanza con altri eventi sismici che sconvolgerebbero in quel periodo l’intero pianeta tanto che in molti associano la previsione di Bendandi alla profezia dei maya secondo cui la fine del mondo si verificherebbe il 21 dicembre del 2012.

Tralasciando l’aspetto profetico, sta di fatto che negli ultimi trent’anni anche degli studiosi americani hanno elaborato una teoria per prevedere i terremoti in base agli influssi planetari sulla terra a conferma che Bendandi non era un visionario ma uno scienziato vero il cui unico torto fu quello di essere un falegname autodidatta sottostimato dai baroni della scienza.

Quanti hanno letto IL MULINO DI AMLETO di Giorgio de Santillana e Hertha von Dechend o IMPRONTE DEGLI DEI e CIVILTA’ SOMMERSE dello studioso inglese Graham Hancoock conoscono la teoria scientifica secondo cui, periodicamente, esattamente ogni 13 mila anni, a causa della precessione degli equinozi che determina uno squilibrio tra l’orizzonte terrestre e quello astronomico, avverrebbe un’inversione dei poli con conseguenti cataclismi epocali dove tutto ciò che geograficamente era al nord si sposterebbe al sud e viceversa. In rapporto a questa teoria il mitico continente di Atlantide non si sarebbe inabissato ma “semplicemente” sarebbe l’attuale Antartide!

Sembra che applicando la sua teoria a circa 20 mila terremoti avvenuti in passato per verificarne l’attendibilità, Bendandi calcolò che nel 10420 a.c. si verificò un evento catastrofico di dimensioni inimmaginabili tale da determinare l’inversione dei poli e probabilmente la distruzione di Atlantide dovuto all’insolita convergenza sulla terra dell’influsso di più pianeti la quale avviene ciclicamente ogni 13mila anni per cui la prossima si ripresenterebbe poco dopo il 2500.

Fantasie? Non proprio visto che finanche la stessa scienza ufficiale ammette la possibilità che nel corso dei millenni periodicamente possono manifestarsi eventi simili in rapporto alla precessione degli equinozi…

Ritornando al discorso iniziale, ossia alla possibilità  di poter prevedere i terremoti, la smentita categorica da parte degli scienziati su questa eventualità lascia interdetti. Non fosse altro perché sia le teorie di Bendandi, sia quelle più recenti, ma non nuove, di Giuliani sul gas randon vengono messe al bando a prescindere, senza essere prima verificate come si conviene. È come se un medico desse per scontato che una malattia non potrà mai curarsi, trascurando il valore essenziale della ricerca per migliorare il tenore di vita e la salute dell’umanità. Alimentando il dubbio che, anziché non potersi prevedere, i terremoti non li si vogliano prevedere. E se così fosse, perché?…

E’ evidente che a ogni distruzione consegue una ricostruzione che mette in moto una marea di soldi e di interessi privati a scapito della comunità ferita: terremoti dell’Irpinia e de L’Aquila docet!

SCAFFALE: “LE MIE RAGAZZE-RAGAZZE ROM SCRIVONO”, DI VINCENZO GIARRITIELLO

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(Nella foto in alto l’autore con il dottor Gianluca Guida, Direttore dell’IPM di Nisida)

Di seguito la versione integrale della recensione a LE MIE RAGAZZE – RAGAZZE ROM SCRIVONO pubblicata su comunicaresenzafrontiere.it

Sono passati quasi tredici anni da quando lo scrittore Enzo Giarritiello coordinò un laboratorio di scrittura creativa presso la sezione femminile del carcere minorile di Nisida. “La più tosta ma anche la più bella delle esperienze di laboratorio con i ragazzi“,  ci tiene a precisare.  Quest’ultima rientra tra le attività creative che l’autore ha tenuto a Pozzuoli (per anni ha coordinato un laboratorio di scrittura creativa presso la libreria per ragazzi “CionCionBlu” e uno di nove settimane presso il IV Circolo di Pozzuoli con due quinte accorpate).

L’esperienza nel carcere di Nisida, raccolta in un diario che all’epoca aggiornava regolarmente quando rientrava dagli incontri, non si era mai pensato di pubblicarla per non disattendere l’impegno assunto con chi gli aveva concesso quella possibilità. Gli incontri avvenivano ogni sabato tra fine giugno e fine luglio del 2006.

Allora allo scrittore fu suggerito di realizzare un libro sulla sua esperienza con l’intento di fornire un ulteriore strumento di supporto per chi lavora con realtà sociali disagiate.
A distanza di tanto tempo, rileggendo il diario, resosi conto che non violava la privacy delle ragazze né di altri, lo scrittore ha deciso di darlo alle stampe con il self publishing di Amazon.

Il volume è composto di otto capitoli, ognuno con un titolo indicativo sull’argomento, ne segnaliamo tre: “L’AMORE NON VINCE TUTTO”, il terzo capitolo, racconta il punto di vista sull’amore delle ragazze. Nel settimo capitolo, LA RABBIA DI UNA FIGLIA, si argomenta la divertente insistenza delle ragazze quando appresero che era padre di due maschi. A loro dire, “si doveva dare da fare” per mettere al mondo una femmina: “Solo se ti incazzi anche con una figlia puoi dire d’essere un vero padre. Le incazzature con i figli maschi non ti danno nulla di nuovo essendo tu maschio e avendo quindi vissuto le loro stesse problematiche da piccolo. Solo se avrai confronto con una femmina potrai comprendere cosa vuol dire essere veramente padre e sentirti un uomo completo. Finché non lo farai sarai un uomo a metà in quanto conoscerai solo una faccia della medaglia, l’altra ti sarà ignota!“.

Una menzione a parte merita il sesto capitolo, “INCUBO”, dove Giarritiello raccoglie la testimonianza di una delle secondine: la donna riferisce le proprie esperienze precedenti in vari penitenziari femminili, raccontando con le lacrime agli occhi degli orrendi crimini di cui si macchiavano alcune detenute.

Il volume, scritto in modo fluido e scorrevole, si legge velocemente riuscendo a dare uno spaccato femminile su un universo poco affrontato, quello rom. L’etnia, oggetto da sempre di una visione stereotipata in termini negativi, racchiude un retaggio culturale profondo e articolato che meriterebbe d’essere approfondito per capire le tante dinamiche, anche contraddittorie, che la caratterizzano.

Il Libro è disponibile su Amazon

La Redazione

POZZUOLI: ALL’ART GARAGE “ZEITGEIST”, LA MOSTRA FOTOGRAFICA DI MARCO IANNACCONE/SCARLET LOVEJOY

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Sabato 16 febbraio all’Art Garage – Parco Bognar 21, Pozzuoli -, s’è inaugurata la mostra fotografica “ZEITGEIST” di Marco Iannaccone/ScarletLovejoy. L’esposizione durerà fino al 1 marzo. Abbiamo colto l’occasione per fare qualche domanda al maestro.

Zeitgeist cosa rappresenta?

Zeitgeist significa “spirito del tempo”. Attualmente si parla molto di una possibile eruzione del Vesuvio. Visitando gli scavi di Pompei ho visto i calchi di coloro che morirono durante l’eruzione che la distrusse. A loro modo sono una rappresentazione dello spirito del tempo in quanto possono essere considerati alla stregua di fotografie: la fotografia congela il tempo, i calchi hanno congelato un periodo storico. La stessa cosa voglio fare con zeitgeist rappresentando l’attualità.

In pratica, se non ho frainteso, ti sei immaginato un’attuale eruzione del Vesuvio, rielaborando le foto in modo da farle apparire come una sorta di calchi di coloro che furono uccisi dal terremoto immortalandoli nel loro ultimo gesto esistenziale come è avvenuto a Pompei con i calchi…

Sì, lo spirito del tempo del 2019!

Oltre a zeitgeist quali altri progetti hai realizzato?

Ne ho realizzato tanti di svariate tipologie, perfino quello in cui il soggetto era un condominio raccontandone le infinite storie che vi si articolano nel suo interno in quanto un condominio a modo suo è un universo. In sintesi mi piace ritrarre il sociale ricostruito a modo mio, non mi piace il reportage. Le storie si possono raccontare anche in maniera costruita.

Il fotografo è un testimone del nostro tempo, prediligi soffermarti su un soggetto particolare o spazi ad ampio raggio?

Cerco di rappresentare il sociale in tutte le sue sfumature: ho affrontato il femminicidio, un progetto che tenni in stand by per due/tre anni; mi sono interessato del fenomeno del nuovo fascismo di cui oggi si parla con insistenza, seppure è un argomento che non mi piace.

Quando fotografi ti identifichi nel soggetto che stai ritraendo o te ne distacchi?

In parte non mi distacco, partecipo a ciò che sto rappresentando sia da un punto di vista compositivo sia emotivo perché se ho deciso di ritrarlo significa che mi emoziona: fotografare è eternare un’emozione.

Napoli è una città con tante sfumature sociali per cui a un artista potenzialmente offre miriadi di soggetti: vivere a Napoli artisticamente ti ha favorito?

No. Per un periodo della mia vita ho vissuto a Milano e ho fatto progetti anche lì. Milano e Napoli, essendo delle metropoli, hanno le stesse problematiche. Tuttavia riconosco che a Milano difficilmente avrei potuto ritrarre una donna con il paniere come invece ho fatto a Napoli. Certe immagini giocose le può offrire solo Napoli.

Tra poco assisteremo a una sorta di spettacolo denominato Tarallucci e Vino di cui sei il protagonista, di cosa si tratta?

Durante le inaugurazioni delle mostre si è soliti offrire un buffet. Bene, la mia è una critica al fatto che molto spesso le persone vengono alle inaugurazioni solo per approfittare del buffet, mangiando e bevendo a scrocco; oppure per intessere public relations al fine di crearsi dei contatti da sfruttare in seguito per proprio uso personale, fregandosene dell’artista e delle sue opere. In questo breve spettacolo verrò rappresentato come una statua fatti di palloncini che contengono del vino a cui piedi ci sono piattini con taralli: delle persone verranno verso di me per prendere un tarallo e faranno scoppiare i palloncini per bere il vino contenuto distruggendo la statua di cui sono parte integrante. In questo modo voglio affermare che quando il pubblico va alle mostre solo per mangiare e bere distrugge l’arte: la gente non si rende minimamente conto di quanto lavoro c’è dietro la creazione artistica e all’allestimento di una mostra. Personalmente ho la sensazione che a Napoli, ma mi sento di dire in Italia in generale, molte persone non hanno rispetto per l’arte.

Perché la gente non avrebbe rispetto per l’arte?

E’ un problema di educazione e anche perché oggi l’attenzione delle persone è distolta da molti oggetti di distrazione di massa. Non a caso tra i soggetti che ho ritratto ce ne è uno che si fa un selfie mentre il Vesuvio sta eruttando non avvedendosi del rischio che corre.

Progetti per il futuro?

Dopo Pozzuoli, scelta come luogo d’anteprima, da luglio ad agosto porterò Zeitgeist al PAN a Napoli e sempre al Pan riproporrò un progetto dal titolo Ritrovarsi che ho già esposto a ottobre scorso.

 

Vincenzo Giarritiello

ALDO CHERILLO RACCONTA IL LAGO DI AGNANO

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Pozzuoli.

Forse non tutti sanno che un tempo all’interno della conca d’Agnano esisteva un lago, probabilmente formatosi nel X secolo, sulle cui sponde oltre alla pesca e alla caccia si praticava la coltivazione della canapa tessile: una volta raccolta e caricata sui carri, la fibra veniva trasportato alle fabbriche di Miano lungo una strada impervia che si estendeva da Agnano a via Terracina fino alla Loggetta, risalendo per Via Pigna, scollinando sui Camaldoli e giungendo a destinazione.

La bonifica del lago, ideata per fronteggiare i casi di malaria che d’estate decimavano la popolazione, fu progettata nel 1835 in epoca borbonica ma venne realizzata solo dopo l’avvento dell’unità d’Italia tra il 1865 e 1871. Quando l’invaso fu prosciugato, sul fondale vennero scoperte ben 72 sorgenti d’acqua sorgiva che vanificarono le speranze di chi aveva investito capitali in quel progetto per poter poi lucrare sul terreno bonificato.

Di tutto ciò e altro ancora ha parlato Aldo Cherillo sabato 16 febbraio da Lux In Fabula a Pozzuoli in QUANDO C’ERA IL LAGO DI AGNANO nell’ambito della manifestazione QUATTRO CHIACCHIERE CON L’AUTORE.

Supportato da immagini fotografiche e disegni tratti dal volume IL LAGO DI AGNANO di Libero Campana, storico locale residente sul Pendio di Agnano che del lago conosce vita morte e miracoli, per oltre un’ora Cherillo ha illustrato alla platea con una narrazione semplice e chiara, inframmezzando dotte dissertazioni a simpatici aneddoti, la storia del lago nel corso dei secoli, fino al suo svuotamento mediante la costruzione di un canale sotterraneo lungo un chilometro e mezzo che sbucava a mare, tuttora visibile nei pressi del Dazio a Bagnoli, il cui scavo costò un caro prezzo in termini di vite umane.

Sul lago sorgeva la famosa “grotta del cane” – un ipogeo artificiale, molto probabilmente un sudatorio delle antiche terme greche – oggi interdetta al pubblico, così denominata per via delle esalazioni venefiche di anidride carbonica che vi si diffondevano: essendo l’anidride carbonica più pesante dell’ossigeno, il gas si depositava al suolo per cui qualunque animale vi entrasse e respirasse restava tramortito.

Per fronteggiare la miseria, gli abitanti del luogo accompagnavano i turisti in visita alla grotta recando con sé un cane che facevano entrare nel cunicolo. Non appena l’animale vi accedeva e perdeva i sensi, lo immergevano nel lago perché si riprendesse. Da qui la leggenda che le acque del lago fossero “miracolose”.

Con la passione tipica degli autodidatti, Cherillo ha fatto scoprire ai presenti aspetti dei campi flegrei ignoti che meriterebbero di essere divulgati, magari organizzando visite guidate per non dimenticare che la conca di Agnano è un cratere vulcanico spento da millenni.

La natura vulcanica della zona è testimoniata dalle intense fumarole in località Pisciarelli e dalle gloriose terme di Agnano, un tempo fiore all’occhiello di Napoli, che meriterebbero il giusto rilancio a livello locale e nazionale tornando a fungere da volano turistico per un territorio ricco di risorse ma povero di menti imprenditoriali capaci di sfruttarle al meglio.

 

Vincenzo Giarritiello

VOCE ‘E SIRENA, IL GRIDO DI RABBIA DI SANDRO DIONISIO AL CINEMA SOFIA DI POZZUOLI

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Di seguito l’intervista integrale al regista Sandro Dionisio pubblicata su comunicaresenzafrontiere.it

La sera del 4 marzo 2013 un incendio doloso distrusse quattro dei sei capannoni che componevano Città della Scienza uno dei luoghi simbolo della cultura napoletana. Da quel tragico evento il regista Sandro Dionisio trasse spunto per il suo film VOCE ‘E SIRENA che sarà proiettato lunedì 4 marzo al cinema Sofia di Pozzuoli nel sesto anniversario dell’incendio. Per l’occasione lo abbiamo intervistato.

Sandro Voce ‘E Sirena è un grido di rabbia contro la distruzione di un luogo simbolo della cultura napoletana o contro la distruzione dell’intera città?

Entrambe le cose. Chiaramente il film nasce come reazione d’impulso all’atto vandalico: come tanti napoletani, anch’io vedendo in televisione le immagini del rogo mi indignai pensando che gli intellettuali napoletani dovevano reagire alla distruzione di quello che era uno dei luoghi di cultura più importanti di Europa. Di conseguenza scrissi di getto un film che raccontasse la protesta della civiltà civile contro quel gesto criminale non limitandomi a documentarlo né a dar vita a un’inchiesta per individuarne i colpevoli e il movente, ma ho cercato di far sì che l’incendio simboleggiasse la rovina della città. Nei secoli Napoli è stata oltraggiata e saccheggiata dalle dominazioni straniere e dai potenti di turno. Sopportare tutto ciò stoicamente va a onore dei napoletani.

Non pensi che paradossalmente ciò potrebbe essere invece inteso come una sorta di ignavia da parte dei cittadini?

No, decisamente. Piuttosto credo sia una forma di incapacità a strutturare la protesta in termini rivoluzionari

Ci vorrebbe un Masaniello…

Questa è proprio la frase che dice Sofia, una delle due protagoniste del film. Io rispondo di no, perché Masaniello non ha mai risolto i problemi di Napoli così come non li ha risolti la Pimentel de Fonseca e tanti altri eroi cittadini. Napoli è sempre stata salvata dalla coesione sociale, dal popolo unito. Secondo me gli eroi non fanno le fortune di un popolo.

Nel film ci sono due figure femminili, Patrizia interpretata da Cristina Donadio, Sofia da Rosaria De Cicco: una rappresenta la borghesia, l’altra il popolo, perché questa dualità?

Napoli è l’unica città europea in cui questi due aspetti sociali convivono in spazi minimi, che addirittura a volte invadono l’uno il campo dell’altro; e poi perché in questo modo il film si è avvalso di una dinamica particolarmente felice grazie alla straordinaria interpretazione delle due attrici cui si associa Agostino Chiummariello: se in un film i personaggi fossero tutti uguali la narrazione sarebbe monotona. Mentre credo che, avendo messo a confronto due anime diverse, sono riuscito a creare momenti di enfasi derivanti dal rogo. Ovviamente nel film ci sono anche aspetti comici perché spesso allegria e dolore camminano a braccetto a testimonianza dell’eterno dualismo esistenziale.

Perché hai scelto di girare un crossover, ovvero un mix tra film e documentario?

Il crossover somiglia a Napoli nel senso che questa contaminazione attiene al racconto che volevo portare alla luce: Napoli è una città contaminata per eccellenza, forse è la prima città multietnica del mondo. Non a caso in città abbiamo una fitta presenza di minoranze etniche che sono storiche. Napoli non è una metropoli lineare per cui bisognava girare il film con un linguaggio che mettesse in luce queste caratteristiche.

Possiamo dire che sei voluto uscire dagli stereotipi?

Diciamo che più che cercare di essere originale ho voluto essere aderente alla realtà. Quando una storia mi chiama – secondo me sono sempre le storie a offrirsi gli autori, non viceversa – e decido di mettermi al suo servizio, mi nascondo dietro di essa; divento invisibile evitando che si percepisca la mia incisività di regista in quanto non amo le regie muscolari il cui fine quasi sempre è quello di mostrare quanto si è bravi. Tutto questo non mi interessa. Per me la regia deve essere strumentale a quello che il film deve raccontare e in questo seguo le tracce di grandi maestri quali De Sica o Zavattini.

Dunque ti rifai al neorealismo…

Seppure il neorealismo è stato un movimento che è durato un breve arco di tempo,deve ritenersi come la vera rivoluzione del cinema mondiale. Personalmente cerco di pormi dietro la macchina da presa come facevano i maestri citati prima, in maniera sobria ponendo attenzione alla storia.

Nel film compaiono anche personaggi della cultura napoletana quali Aldo Masullo, Marino Niola, Enzo Moscato, ossia un mix culturale: perché questa scelta?

Perché volevo e voglio che gli intellettuali napoletani riflettessero e riflettano sul motivo di questa nuova ferita arrecata alla città; che, così come avvenne ai tempi del mio maestro Franco Rosi con Mani Sulla Città, la città esprimesse un pensiero su quanto è accaduto.

Quindi il film è anche una denuncia contro l’inazione degli intellettuali napoletani…

Assolutamente sì! Secondo me gli intellettuali napoletani, pur essendo spesso la punta di diamante dell’intellighenzia europea, hanno il grande difetto di non fare rete, per cui di non servire adeguatamente la città. Io ho messo il mio film al servizio di quest’azione collettiva a mo’ di trait d’union. Mi piacerebbe che gli intellettuali napoletani fossero più vicini l’uno all’altro in modo dare esito alle esigenze del popolo.

Da uomo di cultura e amante di Napoli come stai vivendo l’azione che la città sta intraprendendo verso gli immigrati dicendosi pronta ad aprire le porte del porto per farli sbarcare?

Su quest’argomento nel 2011 ho girato il film “Un Consiglio a Dio” dove Vinicio Marchioni interpreta un trovacadaveri che recupera da una spiaggia i corpi degli extracomunitari deceduti a mare durante il naufragio dei barconi della speranza. La mia opinione è che i migranti sono una ricchezza: come faremmo senza le ucraine che fungono da badanti ai nostri anziani e ammalati? Come faremmo senza i cingalesi e i cinesi che hanno portato un indotto economico fortissimo? Non dimentichiamo che al momento gran parte del nostro PIL è affidato ai guadagni delle persone di colore. Ormai è sancito che gli immigrati non sono solo disperati in fuga dalle guerre e dalla carestie ma sono addirittura imprenditori che portano risorse al nostro paese.

Dunque Napoli è obbligata ad aprirgli il proprio porto…

A imporglielo è la sua natura di città multietnica e patria di migliaia di emigrati all’estero!

Quali sono come regista le tue aspettative per il futuro?

Razionalmente mi verrebbe da dire nessuna perché, per quanto mi riguarda, ritengo che questo paese non abbia alcun futuro, soprattutto per i giovani: insegno cinematografia all’Accademia delle Belle arti a Napoli e ti dico che da insegnante sono molto preoccupato per il futuro dei miei ragazzi i quali esprimono bellezza e grande intelligenza. Tuttavia l’uomo di cultura che è in me rifugge da questo cinismo e reagisce esprimendo la propria arte perché fino a quando c’è alito nel corpo bisogna resistere e lottare affinché le cose cambino in meglio!

 

Vincenzo Giarritiello

INTERVISTA AL CANTAUTORE NICOLA DRAGOTTO

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A seguire l’intervista integrale pubblicata su comunicaresenzafrontiere

Sabato 2 marzo alle ore 21 presso ‘A PUTECA ‘E LL’ARTE (direttore artistico Vania Fereshetian), a Pozzuoli in via Provinciale Pianura 16, (di fronte la stazione di servizio BA.CO.GAS.), si terrà il concerto del cantautore Nicola Dragotto.

Per l’occasione gli abbiamo posto alcune domande sulla sua attività artistica.

Nicola sono trascorsi quasi due anni dalla pubblicazione del tuo primo disco L’ULTIMA CAUSA. In questo frangente cosa è cambiato in Nicola Dragotto artista?

Più che cambiato è maturato l’approccio verso la musica e un po’ verso il mondo che mi circonda. Penso di aver raggiunto una maggior maturazione e nello stesso tempo serenità nel rapportarmi con le problematiche esistenziali da cui trarre ispirazione e humus per le mie composizioni.

Dopo tanti anni in cui il tuo riferimento artistico è stato Giorgio Gaber – non a caso ti definivi cantattore – ti sei degaberizzato, come ti piace dire, dando spazio a te stesso: un’acquisizione di autostima o una scelta conseguente all’uscita del disco?

Gaber è stato un punto di partenza in quanto, riprendendo la mia strada artistica in età matura, avevo pensato bene di dedicarmi al teatro canzone per riannodare un filo conduttore col mio essere artista. Il degaberizzarmi è legato a un momento di presa di posizione nel volermi sentire cantautore nel senso classico della parola. Però devo dire che anche negli ultimi spettacoli che ho fatto sono riuscito a raggiungere quella che mi sembra la formula vincente: una via di mezzo tra cantautore e teatro canzone. Unisco, infatti, alle mie composizioni musicali anche dei monologhi tratti dai miei precedenti spettacoli e brevi incursioni di poesia con versi di Pasolini perché mai come oggi Pasolini si sta rivelando profetico, quindi mi è sembrato giusto onorare colui che è stato non solo un faro ma sicuramente uno dei maggiori esponenti della cultura italiana di tutti i tempi.

La tua parentesi con il Be Quiet ti ha maturato a livello artistico o dobbiamo considerarla semplicemente una parentesi professionale?

L’esperienza del BE Quiet è stata unica, irripetibile di per sé, perché ritrovarsi in un locale underground, una cantina, partire da là e nel giro di sette anni approdare a un palcoscenico come quello del teatro Bellini, ritengo sia una soddisfazione unica per chi ci ha creduto e per chi ha avuto la forza di andare fino in fondo. Però adesso, pur rimanendo il Be Quiet nel mio cuore, vivo un momento di ricerca artistica personale.

Pubblicamente, anche sui social, non ti fai scrupoli di attaccare in maniera diretta un certo mondo dello spettacolo come ad esempio, hai fatto,all’indomani della serata finale di Sanremo. Sulla tua pagina Facebook hai scritto, cito testuale: “Anche quest’anno è andata. Caro Sanremo, io sono fra quelli che davvero non ti hanno onorato. Lo so, sono un peccatore. Non sono venuto alla messa. Non mi sono confessato sui social, non ho invocato questo o quel vincitore e addirittura non ti giustifico come fenomeno di costume. Non trovo utile criticare i soggetti partecipanti, sia i nuovi che i vecchi colpiti dalla sindrome di Dorian Gray. Quello che sento di criticare è la perdita del coraggio. La bellezza, la forza e la profondità di un testo sono oggetto di ghettizzazione. I mecenati hanno lasciato il posto a miopi ed avidi imprenditori dell’usa e getta. Ci si è dimenticato dei poeti: la voce del popolo, l’incarnazione della identità, dell’appartenenza. Il problema non è emergere, quanto cercare di restare a galla senza diventare uno stronzo. Il vero problema è questo andare avanti tanto per andare mentre tutto si va spegnendo lentamente, un camminare senza senso e chi va controsenso in modo ostinato e contrario, trova la risposta a tutta questa follia imperante, nella sua sola solitudine…”

Io non attacco il sistema di per sé. Per chiarirci, artisticamente credo di essere stato sempre ironico ma moderatamente misurato ed oggetto, finora in positivo, della critica altrui. Quello che non sopporto è l’atteggiamento irriverente di taluni che vivono una subnormalità aculturale definendosi o peggio, venendo definiti da cannibali addetti ai lavori e da spettatori buoi, artisti o addirittura poeti. Per me la poesia è un momento sacro che si fa carne e sangue. Il poeta è un Atlante condannato a portare sulle spalle l’imbarazzante peso della memoria del suo popolo. Credo che oggi ci sia molto edonismo da parte di sedicenti poeti e l’aspetto più triste e preoccupante è che vengono definiti tali anche dalla pletora per lo più incolta di facebucchini, che confonde frasi lanciate troppo spesso ad capocchiam nel mare magnum di internet, con la poesia.

Tu sei consapevole che tenendo questo atteggiamento ti fai nemici nell’ambiente?…

Scusa, di che ambiente parliamo? Se ci riferiamo a quello artistico puro, credo che possano soltanto sposare le mie affermazioni perché non ne faccio una questione di superiorità ma di buongusto, di educazione e di rispetto verso coloro che devono ascoltarti e leggerti e comunque non ho mai pensato di condizionare il mio lavoro e il mio pensiero su ciò che può dire o pensare di me la gente.

Per ora L’ultima causa è stato il tuo unico disco, hai in programma di inciderne un altro?

Se trovassi una produzione volenterosa, disposta ad accogliere le mie divagazioni, ne sarei ben lieto. L’importante da parte mia è riuscire a coltivare sempre le parole giuste anche attraverso l’amore che mi viene contraccambiato per quello che cerco di donare dal mio cuore agli altri.

Nicola quanto incide la presenza della famiglia in questo tuo affrontare a viso aperto il mondo dello spettacolo?

La mia famiglia ha compreso le mie esigenze e mai come in questo momento, quando serve, mi è vicina sostenendomi. Diciamo che è passato il tempo in cui mi si chiedeva, mentre componevo, se i ceci dovessero essere cotti con l’aglio o con la cipolla. Ora la porta la si apre in silenzio e, se sto componendo, la si richiude, rimandando la domanda a data da destinarsi anche rischiando di restare digiuno!

Dallo spettacolo che il prossimo 2 marzo terrai a Pozzuoli, che Dragotto ci dobbiamo aspettare?

Il Dragotto di sempre: spontaneo, naturale, agrodolce. All’occorrenza sono critico, duro, ma anche molto irriverente verso me stesso. Quel che conta è divertirmi divertendo, invitando a riflettere e ridere di noi stessi, inventandomi il giusto registro per non annoiare chi ha deciso di investire su di me un paio di ore della propria vita.

Cosa vorresti che si dicesse di te, artisticamente parlando, quando non ci sarai più?

Ti rispondo alla Bukowski: uno stronzo di meno!

 

Vincenzo Giarritiello

DA LUX IN FABULA ELEONORA PUNTILLO, PROFESSIONE GIORNALISTA

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Di seguito la versione integrale dell’articolo pubblicato su comunicaresenzafrontiere

Sabato 9 febbraio presso Lux In Fabula, a Pozzuoli, nell’ambito della manifestazione Quattro Chiacchiere Con l’Autore, si è svolto l’incontro con Eleonora Puntillo. Giornalista dal 1961, nel corso di oltre cinquant’anni di attività ha collaborato con L’unità, Paese Sera, La Repubblica, Il Roma, Il Corriere del Mezzogiorno, Il Corriere della Sera e con la rivista Polizia e Democrazia partendo dal ruolo di cronista fino a rivestire quello di capo servizio e inviato.

In poco meno di due ore di chiacchierata, Eleonora ha raccontato svariati episodi della propria carriera giornalistica, iniziando dalla vicenda di Felice Ippolito da lei narrata nel libro FELICE IPPOLITO UNA VITA PER L’ATOMO edito da EDIZIONI SINTESI, in cui racconta dello scienziato Felice Ippolito che, per le sue vedute avveniristiche in campo energetico tese all’utilizzo dell’energia atomica, fu osteggiato e deriso dai poteri, politici e non, dell’epoca.

Stimolata dalle domande e dalle riflessioni del pubblico, commentando la funzione del giornalismo moderno, la Puntillo ha espresso il proprio parere sull’avvento di internet e del digitale; riconoscendo alle nuove tecnologie il merito di aver reso possibile a chiunque l’accesso alle notizie, ma nello stesso tempo stigmatizzandone l’abuso indiscriminato che a suo dire avrebbe svilito una professione “nobile” dando a chiunque la possibilità di fornire informazioni in rete spesso con l’intento di divulgare falsità al fine di confondere le idee al lettore.

Come si conviene a un giornalista di “vecchio stampo”, la Puntillo ha ammesso di essere rimasta indissolubilmente legata alla carta stampata raccontando di quando, inviata a seguire un processo a Salerno, la mattina prima di entrare in aula invitava i colleghi a fare un’abbondante colazione e di come questi invece si limitassero a prendere un caffè per entrare subito in sala, mentre ella si attardava al buffet mangiando di tutto e di più. Ciò comportava che a un certo orario tanti giornalisti, vittime dei morsi della fame, erano costretti a recarsi al bar per mangiare un cornetto “sereticcio”, perdendo l’anima della discussione processuale che proprio in quel momento entrava nel vivo. Viceversa lei, proprio in virtù dell’essersi saziata abbondantemente prima che iniziasse il dibattimento processuale, non essendo afflitta dalla fame, era in grado di raccogliere tutte le informazioni e al momento che dettava il pezzo comunicava dettagliatamente al giornale la notizia, a differenza degli altri colleghi i quali, preso atto di questa sua prerogativa, nei giorni a seguire incominciarono a spulciare alle sue spalle quando scriveva, approfittando della leggibilità della sua scrittura chiara e lineare. Per evitare che continuassero a copiare, essendo laureata in filosofia, iniziò a scrivere gli appunti in greco scalzando tutti.

Parlando dello sgombero del Rione Terra avvenuto il 2 marzo del 1970, e di cui tra due settimane si ricorrerà il 49° anniversario, la giornalista non ha potuto fare a meno di manifestare le proprie perplessità sull’effettiva necessità di quel provvedimento che non solo lei reputa quanto meno avventato.

Ascoltare la Puntillo raccontare della propria esperienza professionale è equivalso a presenziare a una lezione di giornalismo dove il professore ha spalancato senza filtri il proprio animo agli “allievi”.

Grazie Eleonora!

LETTERA APERTA A LUIGI DI MAIO, 10 MESI DOPO LA PRIMA

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Illustrissimo Signor Ministro del Lavoro Luigi Di Maio,

in data 2 aprile 2018 il sottoscritto Le scrisse da questo blog una lettera aperta in cui sperava che mai faceste un governo con la Lega, così come invece all’epoca si vociferava, adducendo tutta una serie di motivazioni a sostegno delle proprie speranze che non sto ora a ribadirle per motivi di spazio, (se eventualmente volesse conoscerle, basta che clicchi qui.)

In quelle righe senza remore ammisi che, pur turandomi il naso o ingerendo un Malox, avrei preferito faceste il governo con il PD. Viceversa, se quest’ultima opzione si fosse mostrata irrealizzabile per il “niet” di Renzi e c., personalmente avrei preferito vi irrobustiste politicamente restando ancora per una legislazione all’opposizione, tanto con i numeri che avevate in Parlamento, soprattutto alla Camera, avreste influito in maniera incisiva sulle scelte di qualsiasi governo.

Alla fine quelle che sembravano solo voci si concretizzarono e il 1° giugno nacque il governo M5S/Lega ribattezzato governo giallo/verde.

Da allora, seppure più di un addetto ai lavori riconosce che in termini di azioni di governo ha fatto più il M5S che la Lega che per ora si è limitata a partorire il famigerato decreto sicurezza che, sempre stando agli addetti ai lavori, più che aumentarla diminuirebbe la sicurezza, il M5S ha sempre dato l’impressione di essere succube dell’esondante personalità di Matteo Salvini.

Tale impressione sarebbe avallata dai sondaggi che da giugno ad oggi dicono che la Lega avrebbe raddoppiato i consensi mentre il M5S avrebbe perso circa 6 punti scendendo dal 32% del 4 marzo a un attuale 26/27%.

Per carità, nessuno mette in discussione la relatività dei sondaggi che, registrando gli umori dell’elettorato giorno per giorno, possono cambiare in qualunque momento, ma se in più di nove mesi essi davano la Lega in crescita, l’esito elettorale abruzzese, dove il rappresentante del centro destra, di cui facevano parte Lega/FI/FdI, ha preso il 48,03% delle preferenze davanti al candidato della coalizione di centrosinistra con il 31,28%, terzo quello del M5S con il 20,20%, ci dice che su quel territorio, rispetto al 4 marzo in cui prese poco più del 13%, trascurando l’astensionismo anche in questo caso in crescita, la Lega ha raddoppiato le preferenze avendo preso domenica come partito il 26%. Mentre il M5S ha più che dimezzato i voti in quanto, dal quasi 40% del 4 marzo, domenica ha ottenuto circa il 18%, poco meno della metà.

Illustrissimo Signor Ministro del Lavoro Luigi Di Maio,

è vero, come sostengono molti del suo partito, pardon movimento, per minimizzare la sconfitta, che quello di domenica in Abruzzo era un voto locale ma la mazzata c’è stata, è innegabile. Per cui bisogna prenderne atto, anziché comportarsi come un’altra forza politica la quale, invece di analizzare la sconfitta del 4 marzo, tuttora l’attribuisce alla stupidità degli elettori scaricandosi in tal modo da ogni responsabilità, oscillando da mesi nel limbo del 15/17% di preferenze…

Quella stessa forza politica, il Pd, domenica, coalizzata in un cartello di centrosinistra che ha preso poco più del 31%, da sola ha ottenuto il 12%, meno di quanto raccolse alle politiche di marzo dove ottenne poco più del 13%.

Ergo il voto abruzzese rifletterebbe ciò che da una vita dicono i sondaggi: da quando è al governo la Lega avrebbe raddoppiato i consensi mentre il M5S li avrebbe persi, attestandosi attualmente intorno al 25%. Una percentuale non certo disprezzabile ma che la dice lunga su quanto stare al governo stia facendo bene a Salvini, non a voi.

Illustrissimo Signor Ministro del Lavoro Luigi Di Maio,

chi vi ha votato, sottoscritto incluso, da quando siete assurti a Palazzo Chigi si aspettava da voi maggiore risolutezza verso quei partiti che hanno sottratto illegalmente denaro allo Stato, come ad esempio la Lega che ha truffato 49 milioni di rimborsi elettorali ed è stata condannata a risarcirli in comode rate da 100 mila euro ogni due mesi per complessivi ottanta anni. Quale cittadino normale potrebbe mai confidare in un simile, privilegiato trattamento? Voi che da sempre vi dichiarate paladini dell’onestà, come potete sopportare ciò?…

Per quanto poi riguarda la richiesta di autorizzazione a procedere avanzata dal Tribunale dei Ministri di Catania contro Salvini accusato di sequestro di persona per la vicenda della nave Diciotti, voi che dal primo Vaffa day predicavate che un politico indagato dovesse dimettersi per salvaguardare la credibilità delle istituzioni, come potrete giustificare un eventuale vostro voto contrario all’autorizzazione adottando come la linea difensiva la tesi che fu l’intero governo ad approvare le scelte di Salvini quindi, nel caso specifico, bisognerebbe processare tutto il governo e non un suo singolo membro? Che opinione pensate si faranno di voi gli elettori nel caso votiate no all’autorizzazione?

Senza contare il Sì al TAV di Salvini rispetto al vostro No: alla fine scenderete a un accordo, pur di non rompere la coalizione o che?…

Illustrissimo Signor Ministro del Lavoro Luigi Di Maio,

vorrei tanto sbagliarmi ma credo che le perplessità che Le espressi nella lettera del 2 aprile trovino conferma ogni giorno che passa: pur di governare vi siete lasciati imbrigliare dall’astuzia politica di Salvini e ora ne state pagando le conseguenze in termini di voti, malgrado siate riusciti a realizzare, con tutti limiti del caso, il reddito di cittadinanza vostro cavallo di battaglie e l’abolizione della Fornero sostituendola con la quota 100 tanto cara non solo a voi ma anche Salvini; non trascurando l’inasprimento alla lotta contro la corruzione nella pubblica amministrazione, altro vostro cavallo di battaglia, seppure anche questo caso pare l’abbiate realizzata con diverse limitazioni rispetto a quanto prevedevate all’origine per non irritare la Lega.

Bene, la realizzazione di tali vostri cavalli di battaglia non sembra rendervi in termini elettorali, domandatevi perché?

Le elezioni europee si avvicinano e, seppure Salvini continui a garantire che mai tradirà il patto di governo, credo che dopo quella data il leader leghista vi presenterà il conto, facendo saltare il banco per prenderselo tutto per sé con gli interessi, contando sull’appoggio incondizionato di Berlusconi e della Meloni, e magari confidando sull’appoggio esterno del Pd, passando da vicepremier a Premier.

Illustrissimo Signor Ministro del Lavoro Luigi DiMaio,

un’ultima cosa e poi la lascio: tuttora mi domando come abbia potuto un figlio del sud quale Lei è stipulare un contratto di governo con chi fino a “ieri” dei meridionali ne diceva peste e corna, non facendosi scrupoli di cantare a una festa di partito, “senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani”?

È vero, Salvini per quelle e tante altre offese alle genti del sud ha chiesto pubblicamente scusa ma, considerando le dichiarazioni di alcuni giorni fa del Ministro dell’Istruzione Busetti secondo il quale al sud non servono più soldi bensì più impegno da parte degli insegnanti, dando l’impressione rispolverasse il mantra leghista dei meridionali fannulloni, personalmente credo che quelle di Salvini siano solo scuse di facciata; un gesto opportunistico per ammaliarsi i meridionali al fine di garantirsene i voti, come sta avvenendo.

Come recita il proverbio, “il lupo perde il pelo ma non il vizio!…

Distinti saluti.

Vincenzo Giarritiello

POZZUOLI: TOBIA IODICE PRESENTA IL SUO SAGGIO SU D’ANNUNZIO A NAPOLI

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A seguire la versione integrale dell’articolo pubblicato su comunicaresenzafrontiere.it

Piacevole serata venerdì 8 febbraio alla Biblioteca Comunale di Pozzuoli dove si è presentato il volume COME UN SOGNO RAPIDO E VIOLENTO di Tobia Iodice, edito da CARABBA: relatori Grazia Ballicu e Matilde Iaccarino; moderatore Antonio Alosco; in rappresentanza delle istituzioni Maria Teresa Moccia di Fraia Assessore alla cultura del comune di Pozzuoli.

Il libro, un saggio in chiave romanzata, narra il soggiorno di Gabriele D’Annunzio a Napoli tra il 1891 e il 1893: in fuga da Roma dove è pressato dai creditori che, alla sua partenza, gli depredano casa, il 31 agosto del 1891 il vate, uomo sconfitto, giunge in treno a Napoli.

Dopo i continui rifiuti dell’editore Treves a pubblicare L’Innocente ritenendolo un romanzo osceno trattando di un infanticidio, grazie alla pubblicazione in appendice dello stesso sul Corriere di Napoli fondato dai suoi amici Eduardo Scarfoglio e Matilde Serao, la figura di D’annunzio come autore e come uomo si riabilita agli occhi dell’opinione pubblica tanto che non sarebbe errato presumere che da Napoli parta la sua inarrestabile ascesa nell’empireo della poesia.

Amante delle donne e della bella vita che lo portano a essere perennemente a corto di danaro, anche a Napoli il poeta non esita a indebitarsi fino al collo attribuendo le cause della propria “sventura” finanziaria a chi gli suggerì di vivere al civico 9 di viale Elena, oggi viale Gramsci, attribuendogli l’etichetta di iettatore e non alla propria sventatezza nello spendere. Questo suo aspetto superstizioso lo spinge a frequentare gli ambienti occultistici di Napoli dove spicca la figura della medium Eusapia Palladino: D’annunzio partecipa ad alcune sedute spiritiche non tanto per sondare la presunta esistenza del mondo ultraterreno ma per avere un bel terno da giocare al lotto.

Narrando questo particolare peridio dannunziano, il volume di Iodice si avvale di una ricca documentazione storica, arricchita da lunghi spezzoni dell’epistolario tra D’annunzio e la sua amante romana Barbara Leoni a cui il poeta nelle sue quotidiane lettere giura eterno amore e fedeltà quando a Napoli aveva già intessuto la relazione con Maria Gravina, moglie del conte di Anguissola, da cui ebbe Renata la sua unica figlia, e altre liaison che ne rafforzano la fama di irresistibile seduttore.

Mentre nel suo intervento la Iaccarino ha tracciato un quadro pressoché completo dell’opera, soffermandosi su come nel libro si evinca un D’annunzio ottimo imprenditore di se stesso, capace di trovare i fondi necessari per la pubblicazione dei suoi libri, la Ballicu ha messo in risalto gli aspetti tecnici della scrittura di Iodice definendola “analitica e raffinata”, evidenziando il modo in cui l’autore tratteggia in maniera precisa i vari episodi narrati offrendo al lettore tutti i riferimenti affinché si faccia un’idea chiara di quanto avveniva.

Da fine storico qual è il professore Alosco non si è limitato a moderare il tavolo ma ci ha tenuto a precisare che, contrariamente a quanto si presume, D’annunzio non era affatto un nazionalista ma un radical socialista. A sostegno di questa sua considerazione l’illustre storico ha citato la Costituzione del Carnaro, scritta da D’annunzio e promulgata l’8 settembre del 1920 a Fiume, da tanti esperti ritenuta in assoluto la più bella Costituzione finora mai redatta.

Nel suo intervento conclusivo, dopo aver ringraziato il pubblico in sala, l’Assessore Moccia di Fraia ha supposto che durante il suo soggiorno napoletano D’Annunzio avesse visitato anche Pozzuoli, ricevendo assoluta conferma dall’autore a riprova che in passato anche il capoluogo flegreo era meta ambita degli ambienti culturali dell’epoca.

La serata si è conclusa con l’attore Marco Sgamato che ha letto in maniera intensa e coinvolgente alcuni passi del libro, supportato dal commento musicale del maestro Francesco Maggio.

Vincenzo Giarritiello