I tarocchi è un mazzo di carte usato in cartomanzia diviso in due sezioni. La prima è composta da ventidue carte, dette anche lame, numerate e nominate singolarmente da 0 a 21 che costituiscono gli arcani maggiori. La seconda è caratterizzata dagli arcani minori, cinquantasei carte divise a loro volta in quattro sottogruppi, denominati semi, ognuno di quattordici carte da 1 a 10 più quattro figure – fante, cavaliere, regina e re. I semi delle carte sono denari, bastoni, coppe e spade gli stessi delle carte napoletane.
In cartomanzia per la divinazione del futuro quasi sempre vengono utilizzati solo gli arcani maggiori. Tuttavia c’è chi si serve anche degli arcani minori per avere un responso più dettagliato.
Gli arcani maggiori vanno dalla carta numero 0, Il Matto, alla carta numero 21, Il Mondo. La sequenza completa è la seguente:
- 0 Il Matto
- 1 Il Bagatto
- 2 La Papessa
- 3 L’Imperatrice
- 4 L’Imperatore
- 5 Il Papa
- 6 L’Innamorato
- 7 Il Carro
- 8 La Giustizia
- 9 L’Eremita
- 10 La ruota della Fortuna
- 11 La Forza
- 12 L’Appeso
- 13 La Morte
- 14 La Temperanza
- 15 Il Diavolo
- 16 La Torre
- 17 Le Stelle
- 18 La Luna
- 19 Il Sole
- 20 La Resurrezione
- 21 Il Mondo
Dal mio punto di vista sbaglia, però, chi pensa che i Tarocchi, specificamente gli arcani maggiori, servirebbero esclusivamente alla funzione cartomantica. Essi sarebbero invece dei veri e propri simboli riferiti alla psicologia umana.
Di tarocchi se ne è occupato anche C. G. Jung, il quale studiò in maniera approfondita il rapporto tra Psicologia e alchimia sostenendo che il procedimento alchemico, ovvero la trasmutazione dei metalli vili in oro, in realtà simbolegiasse la trasposizione metaforica dello sviluppo interiore dell’essere dallo stato inconscio a quelle cosciente.
A seguito dei suoi studi, in Mysterium coniunctionis Jung sostenne che uno dei punti chiave della crescita interiore dell’essere fosse l’integrazione, ovvero la congiunzione, di quella parte di se stessi che piace con quell’altra che invece non piace e di cui ci si vorrebbe disfare sopprimendola.
Secondo Jung, invece, quell’aspetto di se stessi che non piace, anziché contrastarlo, bisognerebbe impegnarsi a integrarlo in sé in quanto parte imprescindibile di se stessi. Rifiutandolo si commetterebbe un atto di negazione della propria personalità, determinando inconsciamente quei conflitti interiori che determinano instabilità e insicurezza in molte persone.
In questa logica di integrazione degli opposti, riferendoci agli arcani maggiori, ci sovviene alla mente la carta numero sei, l’Innamorato.
Essa ritrae un uomo tra due donne. Quella alla sua sinistra ha un aspetto discinto e rappresenterebbe la tentazione o il vizio. Ma anche l’istinto naturale simboleggiato dal serto di fiori che le ricopre il capo dai lunghi capelli verdi, con i nudi poggiati uno sulla terra l’altro sul prato verde.
La donna alla sua destra, dall’aspetto regale e composto, rappresenterebbe invece la spiritualità. La corona d’oro che ha sul capo rifletterebbe la sua natura divina che le colora di biondo i capelli e, suppuniamo, i pensieri in modo che dalla sua mente abbiano origine solo idee positive che l’avvicinino sempre più a Dio. Diversamente dall’altra donna, i suoi piedi sono ammantati dal manto celeste simboleggiante la celestialità, dunque il piano divino, affinchè la propria natura non si corrompa toccando il piano materiale.
Secondo l’interpretazione classica questa carta metaforicamente rappresenterebbe l’uomo che, giunto al bivio della propria esistenza, prima di proseguire, deve compiere la scelta tra l’amore spirituale e quello materiale. Ma è davvero così?
Se ci soffermiamo ad analizzare la carta dell’innamorato del mazzo dei Tarocchi marsigliesi di Grimauld, tanto cari a Jung, riprodotta in alto, vediamo che l’uomo, più che essere fermo a un bivio, sembra trovarsi all’apice di una piramide anche perché alle proprie spalle non si dispiegherebbero una strada o un sentiero da cui sarebbe giunto, bensì si spalancherebbe uno spazio vuoto, una sorta di infinito verso cui dovrebbe poi tendere, una volta integrate in sé le due nature.
Ciò potrebbe indicare che l’uomo sia salito da una parete della piramide, quella materiale o quella spirituale. A questo punto, giunto al vertice, prima di girarsi e proseguire verso l’ignoto alle proprie spalle, deve integrare in sé virtù e vizio, bene e male. Non a caso la sua gamba destra, ammantata dalla calzamaglia rossa indice di passione amorosaa, poggia nel lato della spiritualità. Ciò potrebbe significare che la spiritualità senza passione non conduce da nessuna parte.Quella sinistra, ammantata di verde colore della natura, occupa invece lo spazio della natura e indicherebbe che non bisogna rinnegare la propria natura essendo essa una delle due basi su cui poggia il tempio dell’uomo. In questo modo egli trarrebbe energie da entrambi lati.
Ciò ci ricorda il simbolo dello Yin e dello Yang dove nello spazio bianco compare un punto nero e nello spazio nero un punto bianco a significare che ogni aspetto contiene in sé una piccola parte del proprio contrario.
Cupido volteggiante sull’innamorato sta per scoccare la freccia giusto nel centro della sua testa. Ciò rafforzerebbe l’idea che l’uomo, anziché compiere una scelta tra une delle due donne, le amerebbe entrambe.
A sostegno di questa ipotesi di congiunzione degli opposti Jung evidenzia che in natura ogni cosa ha il proprio contrario – luce/tenebre, vita/morte, maschio/femmina, freddo/caldo, liquido/solido – da cui non si può prescindere. Pertanto anche in campo psicologico esiste una coppia di opposti rappresentata da coscienza/inconscio .
In questo caso la coscienza, luogo in cui convergono gli aspetti positivi dell’essere, sarebbe rappresentata dalla donna alla destra dell’innamorato; viceversa l’inconscio, luogo dove albergano gli istinti e le origini delle fobie di ognuno di noi, dalla donna alla sua sinistra.
Fino a quando l’uomo tenderà a sfuggire il confronto col proprio inconscio non sarà mai se stesso. Rifuggendo dalle cause che generano le nostre paure noi fuggiamo da quell’aspetto della nostra personalità che inconsciamente riconosciamo essere la causa delle nostre instabilità interiori di cui ci vergogniamo al punto da volerlo sopprimere. Ma la sua soppressione è impossibile in quanto, se lo facessimo, compiremmo un vero e proprio suicidio interiore cui spesso si associa quello vero e proprio.
La carta dell’innamorato ci dice che dobbiamo accettarci per quello che siamo. Questa è l’unica possibilità che abbiamo per proseguire speditamente nel cammino esistenziale. Ma per farlo dobbiamo essere consapevoli che in noi è racchiuso sia il bianco che il nero.
Rifiutando il nero inconsciamente rifiutiamo anche il bianco in quanto l’uno rappresente l’altra metà dell’altro per cui l’uno senza l’altro non hanno ragione di essere.
Fino a quando non impareremo ad accettarci e a dialogare con la nostra ombra faticheremo ad andare avanti nella vita.
Accettarsi per quello che si è probabilmente è una delle cose più difficili che l’individuo possa fare. Anche perché accettandosi, dunque mostrandosi per ciò che realmente si è, si corre il rischio di dover confliggere con l’opinione pubblica la quale tende ad aggredire chi ha il coraggio di essere se stesso, di credere nei propri sogni fino a sfidare il mondo per realizzarli.
Agli occhi della massa sono pazzi quanti si affannano nella realizzazione di un sogno a costo di rimetterci tempo, salute e denaro.
Il problema è se il pazzo è chi crede in se stesso e combatte per realizzare i propri sogni o chi invece ha rinunciato a credere in se stesso e nei propri sogni, entrando a far parte del gregge. Accontentandosi delle briciole che di tanto in tanto la vita gli concede come si fa con i bambini cui si danno le caramelle per tenerli buoni.
L’innamorato non si accontenta delle caramelle. Egli ha capito che per realizzare se stesso e i propri sogni prima di tutto deve accettarsi per quello che è, sia nel bene che nel male. Nel momento in cui tale accettazione è avvenuta ed egli non ha più paura di fronteggiarsi con la propria ombra, sarà in grado di tenere a bada e di governare quegli aspetti di se stesso che precedentemente lo terrorizzavano tanto da desiderare di sopprimerli. Essi diventeranno come quegli animali selvaggi che, una volta addomesticati, obbediscono ciecamente alla volontà del padrone.