QUANDO ITALO CALVINO DERISE QUEL FASCISTA DI EUGENIO SCALFARI

Il giornalista ed editorialista Eugenio Scalfari durante l'incontro in occasione di Biennale Democrazia questa mattina 15 aprile 2011 al Teatro Carignano di Torino. /ANSA/DI MARCO

Dopo aver letto su IL FATTO QUOTIDIANO di ieri un articolo di Fabrizio D’Esposito intitolato

IL FASCISTELLUM SCALFARI che, prendendo a sua volta spunto da un articolo di Dario Borso presente sull’attuale numero di MICROMEGA dal titolo EUGENIO SCALFARI E IL VIVAIO GIOVANILE FASCISTA in cui si raccontano le imberbi simpatie fasciste di Eugenio Scalfari, mente sopraffina dell’intellighenzia di sinistra, fondatore de L’Espresso e di Repubblica, disposto a tutto pur di affermarsi come giornalista; suscitando per questo l’indignazione di Italo Calvino, suo compagno di banco, che in uno scambio epistolare del 21 giugno 1942 giunge a definirlo Pagliaccio –   “Me ne frego che tu ti offenda e mi risponda con lettere aspramente risentite (oltre che scemo sei pure diventato permaloso), quello che ho da dirti (e te lo dico per il tuo bene) si compendia in una sola parola: PAGLIACCIO! […] Chiunque ti legga, vedendo uno che fa sfoggio di erudizione ad ogni sillaba, che fa di tutto perché i suoi concetti appaiano il meno chiari e determinati possibile, non può fare a meno di credere che tu sia un IGNORANTE che ripete pappagallescamente frasi e termini raffazzonati a casaccio.” – mi aspettavo che questa mattina nel suo editoriale su Repubblica il decano dei giornalisti italiani rispondesse, se non a D’Esposito il cui torto potrebbe essere ai suoi occhi  quello di scrivere su un quotidiano di matrice grillino quale secondo lui sarebbe IL FATTO e dunque a lui inviso, almeno a D’Orso e al direttore di MICROMEGA Paolo Floris d’Arcais il quale, nel presentare il pezzo “incriminato”, pur riconoscendosi debitore nei confronti di Scalfari per le tante opportunità lavorative che gli ha concesso in passato, conclude scrivendo, “Quello che mi premerebbe passasse come messaggio, è che tutti sbagliamo, soprattutto in gioventù, ma la maturità dell’adulto, per non dire dell’anziano, sta nell’ammettere i propri errori, e non per se stesso, ma per le generazioni a venire (altrimenti a tramandarsi è la finzione ecc.).

Diversamente da quanto ci si poteva aspettare, nel suo pezzo di questa mattina Scalfari non fa il benché minimo accenno alla vicenda, neppure per vie traverse, (eppure a pubblicare lettere con gli sfottò e gli insulti a lui diretti da Calvino è un periodico dello stesso gruppo editoriale dell’Espresso e Repubblica quindi è improbabile che Scalfari non sia a conoscenza del’articolo…). Dando così l’impressione al lettore di voler esorcizzare, stendendo un velo di pietoso silenzio sul caso, gli scheletri nell’armadio derivanti dal suo lontano passato, condivisi con un altro grande vecchio della sinistra italiana, Giorgio Napolitano,  il quale, come Scalfari, anche lui da giovane faceva parte del GUF.

Poiché ogniqualvolta Scalfari appare in video, l’ultima alcune settimane fa a Di Martedì da Floris, non si lascia sfuggire l’occasione di attaccare il M5S e il suo fondatore, Beppe Grillo, definendoli implicitamente o esplicitamente fascisti .

Ora che MICROMEGA ha reso note alcune lettere di Calvino, anteponendo la collaborazione di Scalfari con giornali fascisti rispetto alla cronologia ufficiale data da egli stesso – quindi dimostrando che solo successivamente il giornalista scrisse per Roma Fascista, mentre precedentemente già collaborava per Gioventù Italica e Conquiste d’Impero – è evidente che un minimo d’imbarazzo debba cogliere l’intero centrosinistra italiano. Non fosse altro perché alcuni giorni fa, durante la trasmissione radiofonica UN GIORNO DA PECORA Piero Fassino ha dichiarato che il direttore de Il Fatto, Marco Travaglio, “viene dal FUAN”, fronte universitario fascista, suscitando l’ironica smentita  di Travaglio in un editoriale dal titolo emblematico ABBIAMO UNA BALLA. In cui tra l’altro ci fa sapere che querelerà Fassino che nel frattempo s’è scusato per la gaffe.

Che Il Fatto, rispetto a tanti altri giornali, dia fastidio ai poteri forti perché, non ricevendo finanziamenti pubblici ma donazioni dagli stessi lettori, pubblica tutte le notizie, anche quelle che possono danneggiare il M5S, è un fatto risaputo. Quello che lascia perplessi è come sia possibile che uno scoop come quello di MICROMEGA finora sia passato praticamente in sordina, se si esclude l’articolo originale e il riassunto che se ne dà su IL FATTO.

La storia recente ci insegna che nessun “monumento” è eterno.

Non è escluso che nei prossimi giorni su Repubblica Scalfari non affronti l’argomento, non sarebbe infatti la prima volta che il giornalista la domenica pubblica un dettagliato editoriale politico e nei giorni successivi un pezzo in cui riprende gli argomenti tralasciati in quello precedente.

Penso che una risposta, o quanto meno un chiarimento Scalfari lo debba.

Lui che avuto il privilegio di intervistare Papa Francesco, in nome della Verità con la vi maiuscola deve una spiegazione. O quanto meno fare pubblica ammenda. Per quanto possa valere la mia opinione, penso che,  malgrado la veneranda età e i tanti indiscutibili meriti professionali, una personalità come la sua non può permettersi che le macchie del passato possano infangarne l’onorabilità, mettendone in discussione la credibilità.

LAZIO, ANNA FRANK NON E’ IL PRIMO SFREGIO ALLA MEMORIA

lazio anna frank

Che gli italiani abbiano la memoria corta, anzi cortissima, è cosa nota ormai da tempo – diversamente non si spiegherebbe come sia possibile che, malgrado i disastri compiuti nel passato, in Parlamento e al governo vengano eletti sempre gli stessi partiti e gli stessi personaggi. In quest’ultimo caso ciò avveniva fino a quando ai cittadini era garantito il loro diritto costituzionale di eleggere il candidato, non solo la lista. Delegando alle segreterie di partito la scelta antidemocratica e anticostituzionale di stabilire chi deve sedere in Parlamento, come accade dal 2005.

Per cui stupisce il clamore che da giorni sta suscitando la deplorevole vicenda delle figurine con l’immagine di Anna Frank, uno dei simboli della shoa, con la maglietta della Roma attaccate sulle pareti dello stadio Olimpico, domenica scorsa durante Lazio-Cagliari, da uno sparuto gruppo di ultras. E non fanno che gettare benzina sul fuoco le smentite e le minacce di querela del presidente Lotito a proposito di un audio “rubato”, pubblicato da Il Messaggero, dove distintamente si sente la sua voce affermare “famo ‘sta sceneggiata” mentre si starebbe recando alla sinagoga di Roma per deporvi una corona di fiore in onore delle vittime della shoa al fine di sedare la polemica scatenata dalle figurine.

Dovrebbe essere noto, quasi, a tutti che l’estrema frangia di tifosi laziali politicamente è legata all’estrema destra. Non a caso Gianfranco Fini, il delfino di Giorgio Almirante segretario dell’allora MSI, seppure non estremista di destra, era tifoso laziale. Così come dovrebbe essere noto a tanti che in un passato non molto lontano alcuni calciatori della Lazio si sono lasciati andare sul campo in gesti e situazioni poco attinenti allo sport ma molto alla politica.

Ci siamo forse dimenticati di quando, durante Lazio-Bari del 30 gennaio 2000, l’allora giocatore della Lazio Sinisa Mihajlovic, oggi allenatore del Torino, si recò a ringraziare la curva nord per lo striscione su cui era scritto onore alla tigre Arkan, chiaro riferimento al criminale di guerra serbo Zeljco Raznatovic, accusato di genocidio e di crimini contro l’umanità, assassinato due settimane prima, amico di Sinisa?

Ci siamo forse dimenticati dei “saluti romani” di Paolo Di Canio, giocatore simbolo della Lazio, durante un derby e un Livorno – Lazio del 2005?

Certo, Di Canio s’è poi pentito sia di quei gesti che del tatuaggio inneggiante al DUX che aveva sul bicipite che gli costò l’allontanamento da SKY come commentatore. Ma tutti questi eventi tradiscono inequivocabilmente la matrice di estrema destra della tifoseria laziale.

Pertanto perché sorprendersi per l’affissione di figurine che offendono la memoria di Anna Frank e di tutte le vittime dell’olocausto quando a tutti dovrebbe essere ben noto l’orientamento politico per lo meno degli ultras laziali?

Chi, pur condannando il gesto delle figurine, contemporaneamente biasima chi ha gettato nel Tevere la corona di fiori posta da Lotito all’ingresso della sinagoga, a mio avviso, commette un imperdonabile errore di valutazione in quanto tende a equiparare tra di loro due episodi totalmente diversi. Infatti, indipendentemente se Lotito avesse detto o no “vamo fa ‘sta sceneggiata”, come può una comunità, o, nel caso specifico, qualche suo membro, tollerare un omaggio del genere senza pensare che si tratta solo di un gesto di facciata teso a placare gli animi – e, seppure così fosse stato, comunque non ci sarebbe niente di male, anzi… – una garbata presa in giro da parte di chi, per (de)formazione culturale, odierebbe a morte gli ebrei e i “diversi” in generale al pari dei fascisti del ventennio mussoliniano?

Passando di palo in frasca, ma restando sempre in tema di offese razziste, giusto per rinfrescare la memoria a quanti l’abbiano labile, i fischi e gli insulti che accolgono il leader della Lega Salvini quando viene a “mendicare” voti al sud non sono pregiudiziali ma la naturale risposta da parte di chi da quella stessa persona è stato poco prima offeso, deriso, umiliato perché “napoletano” e “puzzolente”. Stupisce che Salvini si sbalordisca quando a Napoli o in altre città del sud lo accolgano a fischi e con lanci di uova, non facendolo parlare, costringendolo a andare via malgrado si fosse pubblicamente scusato per quegli insulti.

La realpolitik, o la diplomazia, chiamatela come vi fa più comodo, in certi casi è peggio di un cerino acceso in una santabarbara!

Anche perché, me ne accorgo solo ora, la memoria di molti italiani, contrariamente a quanto ho affermato all’inizio, non è poi tanto corta come qualcuno potrebbe pensare.

CROLLO DI SANTA CROCE, CON RENZI NON SE NE PARLA

crollo santa croce

Ieri pomeriggio, poco prima delle 15, un capitello della basilica di Santa Croce a Firenze s’è staccato da un’altezza di trenta metro ed è crollato al suolo uccidendo un turista spagnolo, Daniel Testor Schnell di 52 anni, davanti alla moglie rimasta illesa.

Ieri sera alle 20,30 Matteo Renzi, segretario del Pd nonché ex sindaco del capoluogo toscano e prima ancora presidente della Provincia di Firenze, è stato ospite su La Sette a OTTO E MEZZO per essere intervistato dalla Gruber, con l’ausilio di Beppe Servegnini, sul viaggio in treno che sta compiendo in giro per l’Italia in vista dei prossimi appuntamenti  elettorali, in primis le regionali in Sicilia ad inizio novembre.

Ora, essendo la tragedia di Firenze avvenuta nel primo pomeriggio, mentre la trasmissione della Gruber è andata in onda in prima serata, poco più di cinque ore dopo il dramma, è impossibile che la Gruber e i suoi ospiti non ne fossero a conoscenza. Anche perché da tempo la notizia circolava in rete, facendo il giro del mondo.

Da seria professionista dell’informazione qual è, ci aspettavamo che la Gruber approfittasse della presenza di Renzi per chiedergli un parere su quanto era avvenuto a Santa Croce. Così come altrettanto pensavamo facesse Servegnini. Invece entrambi i giornalisti non hanno minimente accennato al crollo tanto che quanti non ne erano ancora a conoscenza mai avrebbero immaginato cosa fosse successo a Firenze quello stesso pomeriggio.

Mi si potrebbe obiettare che non essendo il crollo di Santa Croce  attinente con il tema della puntata, il presunto attacco di Renzi al governatore della Banca d’Italia Visco, per questo non vi si è fatto il minimo riferimento . In tal caso replicherei che non sarebbe stata la prima volta che la conduttrice chiedeva un parere a un ospite su un fatto di cronaca totalmente avulso dall’oggetto della discussione. Se a ciò aggiungiamo i precedenti ruoli istituzionali occupati da Renzi in ambito fiorentino, seppure le responsabilità del crollo non sono del sindaco Nardella, da molti ritenuto  l’avatar di Renzi alla guida del comune toscano, ma della sovrintendenza ai beni culturali, sorprende che né la Gruber né Servegnini abbiano sentito l’impulso di conoscere il parere di Renzi sul crollo di quel pomeriggio.

Questa mattina tutti i giornali riportano in prima pagina la notizia di quanto è avvenuto ieri a Firenze, giustamente  senza alcun commento che tiri in ballo, seppure di sfuggita, il sindaco Nardella e l’amministrazione del comune targata Pd.

In tal senso, però, mi è impossibile non fare dietrologia e non immaginare cosa sarebbero stati capaci di scrivere tanti di quegli stessi giornali, o lo spazio che avrebbero dedicato alla tragedia molti telegiornali pubblici e privati, se un fatto del genere fosse accaduto a Roma, Torino, Livorno o in qualsiasi altra città amministrata  da un sindaco del M5S. Come minimo avrebbe attribuito le responsabilità del crollo alla Raggi, alla Appendino, a Nogarin o a chi di dovere, usando il crollo e la conseguente morte del turista come tragica metafora per dimostrare l’incapacità a governare del M5S; pur sapendo che la gestione del patrimonio artistico non è di competenza dei comuni bensì delle sovrintendenze, quindi del governo. Nella fattispecie del Ministero dei beni culturali il cui vertice è occupato da Dario Franceschini del Pd.

C’è da sperare che l’attenzione assolutamente cronachistica, priva di alcuna polemica politica, riservata dai media nostrani alla vicenda di Santa Croce sia dovuta al senso deontologico dei giornalisti e non invece un velato silenzio per non disturbare il manovratore alla spasmodica ricerca di consensi elettorali sulle rotaie.

CARUANA GALIZIA, MORIRE PER LA VERITA’

caruana galizia

Quanti conoscono i fatti non possono non associare il barbaro assassinio dell’altro ieri della giornalista blogger maltese Daphne Caruana Galizia con quello della giornalista russa Anna Politkovskaja avvenuto il 7 ottobre del 2006.

Entrambe erano impegnate a denunciare e smascherare la corruzione che, a loro dire, alligna nel governo maltese di Muscat e in quello russo sotto l’egida di Putin.

Due donne coraggio niente affatto intimorite a cercare il marcio laddove mai avrebbero dovuto mettere il naso malgrado avessero ricevuto  ripetute minacce di morte.

I sacrifici di Daphne, di Anna e di tanti altri giornalisti che hanno pagato con la vita la loro lotta per l’affermazione della verità troverebbe il giusto riconoscimento se tutti gli altri loro colleghi si impegnassero a fungere da cani da guardia del potere, reale funzione del giornalismo, anziché esserne meri cantori.

Ad esempio in Italia, a parte alcune eccezioni, la sensazione è che il mondo dell’informazione si guardi bene dal fare le pulci al potere.

Soprattutto perché molti quotidiani ricevono contributi dallo Stato e le rete televisive della Rai fungono da cassa di risonanza dei partiti che se le spartiscono a seconda delle maggioranze di governo che si alternano alle elezioni mentre un’emittente di Stato dovrebbe essere pluralista, libera dai partiti, per svolgere al meglio la propria funzione informativa/ formativa dei cittadini.

Anche in Italia, in passato, ci sono stati giornalisti che hanno pagato con la vita per loro inchieste sui torbidi  legami tra terrorismo, mafia e politica : Mauro Rostagno, Giovanni Spampinato, Giancarlo Siani.

A conferma che anche in un paese come il nostro, agli ultimi posti nelle classifiche per la libertà di stampa, esistono professionisti coraggiosi, per lo più freelance non asserviti alle grandi testate, che non si fanno scrupoli di indagare nel profondo laddove altri si limitano a un’affacciatina di facciata giusto per dimostrare che anche loro si interessano alla vicenda. Per poi lasciarla cadere nel dimenticatoio, amplificandone altre che non meriterebbero la stessa attenzione al solo scopo di obliare dalla mente dei lettori quella che invece il Sistema vuole dimentichino.

Un esempio su tutti è il suicidio di David Rossi, manager del Monte Paschi di Siena. Da alcuni giorni è in libreria per le edizioni Controcorrente IL CASO DAVID ROSSI IL SUICIDIO IMPERFETTO, autore il giornalista David Vecchi, in cui si evidenzia la fretta con cui la vicenda è stata liquidata e archiviata come suicidio, seppure sarebbero tanti i punti oscuri che farebbero invece ritenere che il manager non si sarebbe ucciso ma sarebbe stato ucciso. Probabilmente perché deciso a svelare i tanti retroscena che si nasconderebbero dietro al crack della banca senese …

Affinché non risultino vani i sacrifici della Caruana Galizia, della Politkovskaja e di tutti quei giornalisti che mettono a repentaglio la propria vita al fine di smascherare il marcio che si annida nelle stanze del potere sarebbe opportuno che il giornalismo metta da parte i panni del ruffiano e indossi quelli a lui più confaceti di inquisitore del potere.

Fino a quando la maggioranza dei giornalisti italiani offrirà ai lettori notizie edulcorate, tronche o taroccate per favorire quel partito, quel politico o semplicemente per mettere in cattiva luce una forza politica antisistema o un giudice pervia del colore dei propri calzini e per i suoi comportamenti “stravaganti”, tipo fumare una sigaretta in vestaglia solo perché si è permesso di giudicare contro il proprio editore  – come accadde al giudice Raimondo Mesiano, il quale, probabilmente perché reo di aver condannato la Fininvest di Berlusconi a risarcire con 750 milioni il gruppo CIR di De Benedetti, fu spiato da una troupe di Mattino 5 e  irriso per il  colore dei suoi calzini e per i suoi comportamenti “stravaganti” che di nulla avevano di eccentrico – nel nostro paese la libertà di stampa sarà poco meno di un’utopia contrariamente a quanto previsto dalla Costituzione!

NON PIU’ DOMENICA E’ SEMPRE DOMENICA

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Che io ricordi, fino a poco più di trent’anni fa la domenica era ancora, a tutti gli effetti, un giorno di festa. Per cui il sabato le casalinghe, inclusa mamma, scendevano due volte al giorno per fare la spesa: la mattina, quella giornaliera; il pomeriggio, quella per il giorno dopo poiché, essendo festa, i negozi sarebbero stati irrimediabilmente chiusi. Escluse le pasticcerie e i barbieri che quel giorno facevano mezza giornata per restare chiusi il lunedì. Inoltre, trattandosi della spesa per un giorno festivo, la sporta per la domenica era sempre molto più consistente di quella degli altri giorni. Soprattutto perché la presenza in casa per l’intera giornata del capofamiglia oltre ad imporre d’essere onorata, rappresentava l’elemento coagulante affinché quel giorno la famiglia si ritrovasse unita intorno alla tavola, trascorrendovi l’intero pomeriggio a chiacchierare di tutto e di più. In sottofondo le voci radiofoniche dei cronisti di Tutto Il Calcio Minuto per Minuto che aggiornavano sui risultati del campionato di calcio, permettendo a quanti avessero giocato la schedina di controllare i risultati delle partite nell’eventualità avessero fatto un tredici milionario che gli avrebbe cambiato per sempre la vita, ovviamente in meglio.

Tutto questo dava seguito a una  serie di rituali che iniziavano con il levarsi all’alba delle donne di casa per mettere sul fuoco la pentola con il ragù di carne, la cui lenta cottura richiedeva delle ore. Il graduale diffondersi nell’appartamento dell’aroma del sugo in ebollizione aveva il potere di ricordare a quanti eventualmente se ne fossero dimenticati che quel giorno era domenica e quindi, non dovendo andare a lavoro, ci si poteva attardare nel letto per dormire un po’ di più. O semplicemente ci si poteva rigirare tra le lenzuola, concedendosi i un attimo di relax da soli, in compagnia della moglie e dei figli piccoli per i quali la domenica era sinonimo di felicità perché potevano stare insieme al papà e alla mamma tutta la giornata.

Quasi sempre, unitamente al ragù, in famiglia si accompagnava l’usanza degli gnocchi di patate fatti in casa. La preparazione di quei grumi di pasta era un vero spasso per noi bambini. Con occhi spalancati e stupiti come chissà a quale strabiliante magia assistessimo, osservavamo le donne di casa impastare con le mani sul tavolo della cucina la farina e le patate fino a ad ottenerne una pasta molle e compatta che veniva stesa sul tavolo con il mattarello, facendola poi scivolare tra le mani affusolandola in maniera da creare un lungo “serpente” di sfoglia che veniva spezzettato col coltello in tanti pezzettini che, dopo essere passati singolarmente sulle punte della forchetta per assumere la caratteristica forma attorcigliata degli gnocchi, venivano raccolti nel piatto e trasferiti in camera da letto dove erano distribuiti sul letto previamente ricoperto con un lenzuolo a protezione del talamo per evitare che si sporcasse di farina.

Come si conviene a un qualsiasi giorno di festa, la domenica ci si vestiva eleganti anche solo se si doveva  andare a messa, comprare il giornale o in pasticceria per acquistare  l’immancabile cartoccio di paste la cui immancabile presenza a tavola ribadiva l’eccezionalità di quel dì.

In  quel giorno “speciale” era d’obbligo apparecchiare la tavola con il servizio “buono” di piatti, bicchieri e posate. E al desco veniva sempre aggiunta qualche sedia in più perché tradizione imponeva che la domenica, così come per tutte le altre festività,  i familiari andassero a trovare i parenti  per ricompattare la famiglia “divisa” dai vari matrimoni.

Ovviamente vi era anche chi la domenica aveva l’abitudine di recarsi allo stadio per assistere alla partita, portando con sé i figli o lasciandoli in custodia alla moglie o ai suoceri. Permettendo in quel modo alle mogli di riposare, magari trascorrendo la giornata a casa della mamma, della sorella o standosene semplicemente da sole a casa. Oppure c’era chi, avendo disponibilità economica, ne approfittava per andare a ristorante con la famiglia rendendo quel giorno ulteriormente speciale.

Personalmente ritengo che a svilire la sacralità della domenica, accomunandola sempre più un giorno come un altro, sia stato l’avvento dei grandi centri commerciali la cui apertura domenicale, inizialmente fino alle 14, successivamente estesa all’intera giornata, indusse molti commercianti, a partire dagli alimentari, ad aprire anche di domenica – inizialmente tenendo le saracinesche abbassate a metà, fingendo in quel modo di essere aperti solo per sistemare il negozio, rigorosamente chiusi al pubblico, cui in realtà vendevano ogni cosa, in modo da evitare, se passavano i vigili e i finanzieri per un controllo, di incorre in qualche sanzione considerato che all’epoca la domenica era obbligatoria la chiusura degli esercizi commerciali. Inizialmente questa pessima abitudine venne attuata da molti negozianti per appagare la propria avidità con la complicità dei clienti cui, facendo comodo l’opportunità di poter fare la spesa anche di domenica, non si preoccupavano che in quel modo si rendevano complici di un evasore fiscale in quanto, non potendo esercitare il commercio di domenica, i negosianti non rilasciavano alcuno scontrino fiscale. Oggi più che mai i commercianti restano aperti di domenica allo scopo di fronteggiare l’egemonia dei grandi centri commerciali e dei cinesi.

Se ancora non lo avete fatto, quando di domenica vi capita di entrare in un negozio, provate a osservare bene in viso l’espressione dei commessi e delle commesse. Noterete che per lo più vi sorridono con le labbra in maniera formale. Gli occhi sono tristi o quanto meno freddi, a testimonianza che la loro anima in quel frangente soffre perché vorrebbero essere altrove. Magari a casa con la propria famiglia. O insieme al proprio amore. Oppure semplicemente a riposarsi dopo una stressante settimana lavorativa.

Attualmente è sempre più forte la sensazione che, con la scusa della crisi economica, molti esercizi commerciali, a partire dalle grandi catene di distribuzione, impongono dei veri e propri ricatti ai loro stipendiati, tipo “o ti adegui a questi orari di lavoro, oppure te ne vai”. La cosa più grave, a mio avviso, è che sempre più esercizi commerciali, al momento solo quelli appartenenti alle grandi catene di distribuzione,  si stanno lasciando corrompere da quel virus proveniente dalla Cina di restare aperti h 24. Costringendo i propri dipendenti a svendere la propria dignità di esseri umani per uno stipendio che a volte è perfino inferiore rispetto quello previsto dal contratto sindacale.

Senza considerare che alcune aziende avrebbero, (in questo caso l’uso del condizionale è d’obbligo dato che si tratta di voci di corridoio) la cattiva abitudine di far firmare ai propri dipendenti la busta paga il cui importo rispecchia esattamente quanto gli è dovuto ma poi, nella realtà, corrispondono un importo inferiore. In questo modo pagano meno tasse a scapito dei dipendenti ch invece pagano le tasse fino all’ultimo centesimo, intascando meno di quanto gli compete visto che il datore di lavoro gli decurta dall’importo segnato sulla busta paga quanto pagato di tasse sulla sua persona fisica di dipendente.

Purtroppo nessuno, o pochissimi, hanno il coraggio di denunciare tali abusi perché, sempre più spesso, chi denuncia, alla fine commette un clamoroso autogol in quanto, oltre a perdere il lavoro, senza testimoni pronti a sostenere le proprie accuse, si rischia di incorrere in una denuncia per diffamazione e dover poi risarcire economicamente gli stessi suoi sfruttatori.

Ritornando alla domenica, per tante persone essa resta un giorno di festa perché contrassegnata in rosso sul calendario. Nella realtà è ormai declassata a un giorno qualunque. Anzi peggiore degli altri in quanto, mentre tanti in quel giorno riposano, loro sono costretti a dover lavorare per soddisfare le esigenze di chi quel giorno, riposando, ne approfitta per fare spese.

Sarebbe bello se la domenica e tutti gli altri giorni festivi in cui i centri commerciali e tanti negozi sono aperti, non ci recassimo a fare spese. Non solo  per onorare  la festività, ma prima di tutto per solidarietà verso quanti sono costretti a lavorare anche nelle festività.

Ed è forse la mancanza di solidarietà tra le persone il nocciolo della questione. Di questo vocabolo, solidarietà, così ricco di significati filantropici vi è un abuso indiscriminato, a partire dai politici.  A parole tutti siamo propensi alla solidarietà verso chi soffre davvero. Purtroppo però, come sempre più spesso confermano i fatti di cronaca nera, la solidarietà è solo un piacevole diversivo dietro cui si nascondono i più gretti interessi criminali. Un caso per tutti Mafia Capitale, laddove uno degli intercettati, Salvatore Buzzi, successivamente condannato a 19 anni, in una telefonata non si faceva scrupoli ad affermare “gli immigrati rendono più della droga”. Nessuno scrupolo dunque a fare soldi sulla pelle dei disperati, alla faccia della solidarietà.

A tale proposito qualcuno, a proposito dello schiavismo, obietterà che esso esiste da che esiste l’uomo, citando gli ebrei schiavi in Egitto dei racconti biblici; la schiavitù ai tempi dell’antica Roma; lo schiavismo per cui fu combattuta la guerra di secessione in America. In tempi più recenti, sempre in America, la differenza razziale tra bianchi e negri  esistita fino agli sessanta del secolo corso, anche se  oggi non è che vada meglio. Oppure l’apartheid in Sudafrica. Qualcun altro sosterrà che “da sempre il dio denaro prevale su tutto e tutti”, anche sulle festività religiose, (da tempo Natale ha del tutto perso i caratteri della religiosità assumendo quelli prosaici dell’orgia consumistica). Qualcuno tirerà le somme di tutto ciò, concludendo che quanti lavorano di domenica non è vero che sono sfruttati in quanto sono, o sarebbero?, tutelati dai turni.

Per carità, nulla da eccepire. Probabilmente è davvero così. Ma a questo punto sarebbe il caso che le autorità preposte controllassero effettivamente quanti di quegli esercizi commerciali aperti di domenica e nei giorni di festa retribuiscono a norma di legge i propri dipendenti.

Se uno deve sacrificarsi è giusto che lo faccia in cambio dell’adeguato compenso. Se invece, oltre a essere costretto a lavorare quando gli altri si riposano, deve anche subire l’onta di una paga da miseria, le cose cambiano: il lavoro deve nobilitare l’uomo non umiliarlo.

Tuttavia se pensiamo che sull’ingresso del campo di concentramento di Auschwitz vi era scritto “Arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi), non fatichiamo a comprendere perché, proprio attraverso il lavoro, molti uomini tendono a far sì che altri perdano la propria dignità di essere umani trattandoli alla stregua di schiavi.

Fino a trent’anni fa o poco più, la domenica era il giorno in cui gli uomini lo dedicavano a se stessi o alla famiglia, godendosi il meritato riposo dopo una settimana di duro lavoro.

Man mano che si è andati avanti con i tempi, l’uomo si è completamente assuefatto alla volontà del mercato. Subendone il fascino ipnotico soprattutto grazie all’avvento delle televisioni private le quali, attraverso la programmazione di trasmissioni e telefilm prodotti in contesti sociali completamente sucubi del sistema capitalistico – uno su tutti il modello americano riproposto nel nostro paese dalle televisioni berlusconiane – hanno fatto sì che tanti individui strutturassero la propria esistenza a totale imitazione di quelle realtà sociali dove nessuno sa che ti ricoverano in ospedale solo se hai una carta di credito o un’assicurazione sulla vita. Diversamente puoi tranquillamente morire.

Trasformare la domenica da giorno di preghiera in onore del Dio dei cieli a giorno di preghiera in onore del dio denaro, entrando non più nelle chiese con tutta la famiglia per ascoltare la messa seguendo la liturgia sui foglietti distribuiti sui banchi, bensì andando con la famiglia a fare spese nei centri commerciali leggendo tra le mani i volantini delle offerte speciali, il passo non è affatto lungo.

Oramai la domenica è anch’essa tributata al dio denaro. Volendo fare un ragionamento esasperato, l’ulteriore dimostrazione è data dalle partite di calcio le quali, da qunato c’è stato l’avvento delle televisioni private, si svolgono in diversi orarie e giorni della settimana per soddisfare le esigenze economiche delle emittenti che trasmettono le partite alle quali lo svolgersi delle gare non più solo di domenica e in un unico orario, bensì spalmato in giorni e orari diversi della settimana garantisce la possibilità di un’offerta più vasta di spazi pubblicitari a costi variabili a seconda dell’importanza dei match e dell’ora in cui si trsmette accrescendo i propri introiti pubblicitari.

Diversamente da quanto cantava Mario Riva, da tempo non più Domenica E’ Sempre Domenica!

ROSATELLUM BIS, LA FIDUCIA SFIDUCIA IL PARLAMENTO E STRASBURGO

rosatellum bis

Cadono le braccia al cittadino italiano che, per quanto gli è possibile, tenta di informarsi per cercare di capire i meccanismi che regolamentano il funzionamento della propria democrazia. Egli sa bene, o almeno così credeva di sapere fino a ieri, che è la Costituzione lo spirito guida su cui si fondano l’operato dello Stato, le sue Istituzioni e le sue leggi.

Di conseguenza, palesemente spaesato, si domanda come sia possibile che il governo ponga la fiducia sull’approvazione alla Camera della nuova legge elettorale, ribattezzata Rosatellum bis, visto che l’articolo 72 della Costituzione stabilisce tra l’altro che

La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera (per Camera si intendono entrambi i rami del Parlamento, ossia Camera e Senato n.d.r.) è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale [cfr. art. 138] ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa [cfr. artt. 7679], di autorizzazione a ratificare trattati internazionali [cfr. art. 80], di approvazione di bilanci e consuntivi [cfr. art. 81]..

Ossia l’approvazione della legge elettorale deve essere discussa e votata dai parlamentari anziché sottoposta al vincolo del governo, così come invece accade con il voto di fiducia.

In pratica, ponendo la fiducia, il governo esautora il Parlamento della propria funzione legislativa, riducendo la figura del parlamentare a quella di mero scaldabanco e “pianista” al servizio non dello Stato ma del partito.

È vero che, da quando con un escamotage incostituzionale che caratterizzava le precedenti due leggi elettorali – Porcellum e Italicum – i nostri governanti ci impediscono di scegliere il candidato, votando solo lista – chi deve sedere in Parlamento lo decidono a monte le Segreterie dei partiti –, la funzione degli elettori si è drasticamente depotenziata, premesso che prima di ciò fosse potente. Ma almeno fino a quando potevamo sceglierci il candidato, oltre al partito, un minimo di parvenza di importanza noi elettori l’avevamo. Non fosse altro perché chi si candidava nella nostra “circoscrizione” era costretto a incontrarci nei vari cinema, teatri, piazze o sezioni di partito per ascoltare le nostre necessità e farsi garante che, se fosse stato eletto, avrebbe fatto di tutto per risolverle.

Da quando invece votiamo solo la lista noi elettori siamo costretti a sorbirci le promesse da marinaio dei vari leader di partito, puntualmente disattese all’indomani del voto. Perché chi vince, allorché occupa la stanza dei bottoni, scopre che chi lo ha preceduto gli ha lasciato in eredità “disastri” economici cui si può rimediare solo comportandosi in maniera completamente opposta rispetto a come si era promesso di fare in campagna elettorale.

Poiché anche il Rosatellum bis prevede 2/3 degli eletti scelti con le liste bloccate, e il rimanente comunque da scegliersi tra 3 a 5 candidati imposti sempre dai partiti, anche l’attuale legge elettorale in fase di approvazione presenta gli stessi aspetti di incostituzionalità per cui la Consulta bocciò prima il Porcellum e poi l’Italicum di renziana memoria – sì, quello stesso Italicum che secondo Renzi tutta l’Europa ce l’avrebbe copiato… –

Ergo anche il Rosatellum bis è a rischio bocciatura da parte della Corte Costituzionale.

Quello che fa rabbia è che, seppure venisse avviato un procedimento per stabilirne la costituzionalità o meno, esso avrebbe inizio dopo almeno un anno dalla sua approvazione.

Dato che con ogni probabilità si voterà nella prossima primavera, alto è il rischio di ritrovarci con l’ennesimo Parlamento incostituzionale, anomalia tutta italiana!

Può mai essere che i nostri politici non riescono a fare una legge elettorale che rispecchi senza opacità i canoni costituzionali che definiscono chiaramente il cittadino quale anima della democrazia?

Faccio inoltre presente che nel 2003 una sentenza della Corte di Strasburgo stabilì che “gli elementi fondamentali del diritto elettorale, e in particolare del sistema elettorale propriamente detto, la composizione delle commissioni elettorali e la suddivisione delle circoscrizioni non devono poter essere modificati nell’anno che precede l’elezione».

Per intenderci si tratta di quella stessa Corte di Strasburgo che il 22 novembre dovrà valutare il ricorso presentato da Silvio Berlusconi contro la propria decadenza da parlamentare e incandidabilità stabilita dalla legge Severino.

Possibile che il parere della Corte di Strasburgo risulta fondamentale allorché deve stabilire se un pregiudicato può essere reintegrato nelle liste elettorali. Ma va poi messo in archivio quando si deve decidere con quale legge elettorale si dovrà votare?

RAGGI-LORENZIN E QUELLE BUFALE DI STATO

LORENZIN RAGGI

Da quando Virginia Raggi è stata eletta sindaco di Roma a scapito del candidato del Pd Roberto Giachetti, nemmeno per un istante il Pd e i tutti gli altri partiti in maniera trasversale – sia che compongono la minoranza della giunta capitolina o siedono comodamente in Parlamento tra gli scranni della maggioranza o delle opposizioni – non hanno smesso di attaccare la sindaca, in alcuni casi giustamente in altri strumentalmente, evidenziandone l’inesperienza e l’inefficacia del suo operato. Giungendo ad attribuirle senza alcuna vergogna le responsabilità di tutti i mali della capitale, seppure antecedenti alla data della sua elezione. Mostrando di dimenticare che molti dei problemi ereditati dalla giunta Raggi, in primis un debito che si aggira intorno ai 15 miliardi di euro, derivano dalle pessime gestioni delle precedenti amministrazioni di centrosinistra e centrodestra da cui trasse linfa quel cancro ribattezzato Mafia Capitale.

Ma com’è da abitudine consolidata, laddove i grillini si insiedono ai posti di comando, spodestando i rappresentanti dei vecchi partiti, subito è iniziato per la Raggi un linciaggio mediatico senza precedenti, a testate unificate, involontariamente corroborato da una serie di gaffe e bugie della neo sindaca e del gruppo dirigente che la “guidava”, giungendo ad attribuirle la responsabilità di ogni male di Roma seppure fosse palese che lei e la sua giunta non c’entrassero nulla. L’importante era, ed è, screditare la Raggi, perché attraverso di lei si scredita agli occhi dell’opinione pubblica il M5S affinché alle prossime elezione i suoi candidati a livello nazionale e locale non pestino i piedi ai vecchi partiti.

Ed è probabilmente in virtù di questa strategia del discredito del M5S e dei suoi rappresentanti che la Ministra della Sanità Lorenzin alcuni giorni fa ha aspramente criticato la precarietà dell’igiene in cui versa la capitale. Dando ad intendere che la colpa fosse della Raggi. Dimenticandosi che la sanità è di competenza delle regioni e non dei comuni. Per cui il suo attacco, se era implicitamente diretto a affossare ulteriormente l’immagine della sindaca, s’è rivelato un clamoroso autogol in quanto la Regione Lazio, competente della sanità a Roma, è governata dal Pd con il Presidente Nicola Zingaretti.

Poiché il Pd e molti altri vecchi partiti, unitamente a molti rappresentanti del governo appoggiano la campagna contro le fake news bandita dalla Presidente della Camera Laura Boldrini, stupisce che proprio loro gettino fango sulla Raggi alterando la realtà dei fatti.

Del resto non sarebbe questa la prima volta che un Ministro della Repubblica incorre nella diffusione di una fake news. Già in un recente passato la Ministra della Difesa Roberta Pinotti aveva postato su twitter alcune foto di militari intenti a spalare la neve, sostenendo che fossero all’opera nelle province terremotate di Teramo e Chieti. Purtroppo per la Ministra la foto era del 2014 e ritraeva i militari impegnati nelle province di Belluno e Treviso. A seguito di ciò la Pinotti fu costretta a scusarsi.

Premesso che le fake news vanno combattute “senza se e senza ma”, a questo punto sarebbe il caso che la Boldrini e chi la sostiene ci dicano quali?! Tutte, indistintamente? O solo quelle che non vengono diffuse dagli organi di Stato e dai media filogovernativi a sostegno del governo o per screditarne gli avversari?

Aspettiamo una risposta!