POZZUOLI, IL DEGRADO ARCHEOLOGICO E’ SENZA LIMITI

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Questa mattina insieme alla giornalista Danila Mancini del giornale online Voce di Napoli – fu lei che domenica scorsa mi contattò su Messanger, dopo aver letto sul mio blog l’intervista che anni fa feci a Carlo Santillo l’ultimo custode della Grotta della Sibilla sul lago d’Averno – ci siamo recati a fare un giro di perlustrazione nell’area flegrea per verificare lo stato di degrado e di abbandono in cui versano alcuni siti archeologici.

La prima tappa è stato il lago d’Averno con la pseudo grotta della Sibilla, per la cui riapertura al pubblico Danila ha intenzione di battersi con determinazione. Contrariamente a quanto immaginavamo, una volta superata la sterpaglia che ostruisce l’ingresso del viale di accesso, la strada non risulta impraticabile e, passando sotto un cunicolo di sterpi, con relativa facilità si arriva al cancello di accesso chiuso da una spessa catena con catenaccio. Facendoci luce con le torce degli smartphone, siamo riusciti a illuminare l’interno dove sono visibili le suppellettili di don Carlo.

Lateralmente al camminamento finale che conduce al sito archeologico, un tratto della rete di contenimento a protezione da eventuali frane è divelto, non si capisce se a causa di un cedimento del terreno  – a riguardo sul suolo non ci sono segni che lascerebbero presagire ciò – o per opera dell’uomo, nel qual caso bisognerebbe capirne lo scopo.

Avendo spiegato a Danila che la pseudo grotta della Sibilla è una delle tante grotte scavate dai soldati romani sulla collina all’epoca, circa il 30 a. C.,  in cui nel lago era ancorata la flotta romana – lo specchio d’acqua risultava collegato direttamente al mare grazie a un canale di accesso, oggi ridotto a uno stretto naviglio che corre parallelo alla strada asfaltata – non ho potuto tacerle della Grotta di Cocceio, così denominata perché costruita nel 37 a. C. dall’ingegnere romano Lucio Cocceio Aucto su incarico del generale Marco Vipsanio Agrippa, la cui apertura al pubblico, dopo ben settantacinque anni, era stata data per certa entro quest’anno dalle varie autorità competenti.

Diversamente, tuttora la Grotta di Cocceio è chiusa, seppure agli inizi di marzo ne fu celebrata l’apertura in pompa magna alla presenza delle varie cariche istituzionali locali. In relazione a questa apparente riapertura, stando a quanto riferitomi dal pittore Antonio Isabettini, memoria storica di Pozzuoli e dei campi Flegrei, nel corso degli anni nella grotta hanno nidificato diverse specie distinte e protette di pipistrelli la cui caratteristica è quella di accoppiarsi una volta all’anno nel silenzio assoluto. Pertanto fino a quando questo problema non verrà risolto, è difficile che la grotta divenga accessibile al pubblico.

Proseguendo la nostra escursione sulle sponde del lago, ci siamo imbattuti in quello che impropriamente è ritenuto il tempio di Apollo, trattandosi invece dei resti di una delle stufe che all’epoca romana componevano il sito termale di Baia.

Anche qui il degrado è visibile, seppure la spianata su cui sorge il sito sia stata ripulita dalle erbacce che in passato ne rendevano impossibile l’accesso.

Tuttavia parlare di degrado, per quanto riguarda i siti archeologici citati, è relativo rispetto all’abbandono in cui versa la necropoli romana sottostante il Ponte Azzurro che collega via Fascione con via Solfatara.

Quando vi siamo giunti, Danila è rimasta letteralmente senza parole: ai nostri sguardi si è presentato uno scempio indicibile. Una lunga spianata di mura romane complete di archi e pilastri è del tutto inghiottita dalla sterpaglia, nemmeno fossimo nella foresta amazzonica. Mentre la copertura di lamiere e bitume, posta a protezione dello scavo dalla pioggia, in alcuni punti è divelta tanto che l’acqua non ha problemi a riversarsi nel sito arrecandovi danni che si possono ben immaginare.

Addirittura su una lamiera sono evidenti i resti di un uccello in avanzato stato di decomposizione, ulteriore conferma, se ce ne fosse bisogno, dell’assoluto abbandono in cui versa un simile patrimonio archeologico che in qualunque altra parte del mondo sarebbe protetto e valorizzato come attrattiva turistica con conseguente arricchimento economico per l’intera comunità locale.

Mentre a Pozzuoli, non si capisce perché, tale tesoro è lasciato morire nell’assoluta indifferenza istituzionale, come testimonia il cancello d’ingresso sfondato da cui chiunque più accedervi e perpetrare ogni sorta di scempio archeologico.

Per vedere filmati e foto, cliccare sui sottostanti link:

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APPELLO DI UNA LETTRICE, SALVIAMO LA GROTTA DELLA SIBILLA

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Era più o meno la fine del 2003 quando ebbi modo di intervistare per il Bollettino Flegreo Carlo Santillo, l’ultimo custode della Grotta della Sibilla situata all’interno della boscaglia che circonda il Lago d’averno. Lo stesso articolo lo riproposi sul mio blog, seppure in forma ridotta, il 7 maggio 2014.

Ed è grazie a questo post che in mattinata sono stato contattato su Messanger da una signora, di cui ovviamente non  farò il nome per tutelarne la privacy, la quale, dopo aver letto l’intervista a don Carlo, mi ha scritto quanto segue: “Difficile spiegarLe tramite un messaggio così freddo il motivo per cui Le scrivo. Mi riferisco a questo. Oggi sono tornata in uno dei luoghi che ha segnato la mia vita: la grotta della Sibilla dove ho conosciuto il signor Carlo (che io ho sempre chiamato Arturo). Alla vista dello scempio sono rabbrividita: preservativi usati, erbaccia, tronchi d’albero che ne ostacolano il passaggio, calcinacci caduti. Non si può lasciare un luogo di quel grandissimo valore storico in uno stato di abbandono simile. Mi aiuti, La prego. Vorrei smuovere le coscienze per portare la luce nella grotta, ma non so davvero da dove iniziare.”

A margine del messaggio, mi lasciava il suo contatto telefonico e alcune foto dell’ingresso della grotta che allego nel pezzo.

Seppure non fosse mia abitudine telefonare agli sconosciuti, il messaggio mi aveva emotivamente scosso che non ho potuto fare a meno di chiamarla.

Dalle prime battute che ci siamo scambiati ho avuto la percezione che dall’altro capo del telefono vi fosse una persona davvero addolorata per il degrado in cui versa la grotta, ma seriamente decisa a fare qualcosa per recuperarla.

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Non avendo più notizie di don Carlo da oltre due anni, tramite conoscenze comuni mi era stato riferito che fosse passato a miglior vita. Quando glielo ho comunicato, la signora mi ha risposto che invece era vivo e vegeto; che lo aveva sentito al telefono proprio il giorno prima, dopo aver rintracciato il suo recapito su internet mentre faceva una ricerca per capire a chi poteva rivolgersi per avere maggiori informazioni sulla grotta; che quando aveva incominciato a fare domande insistenti sulla grotta, don Carlo aveva bruscamente interrotto la comunicazione, non prima di augurarle buona giornata.

A quel punto le ho chiesto di darmi il numero e l’ho chiamato. Non appena l’inconfondibile voce sottile di don Carlo ha risposto, “chi è?”, la gioia mi ha rallegrato l’animo. Contrariamente a quanto temevo, si è subito ricordato di me. Quando gli ho chiesto notizie della grotta, rammaricato mi ha risposto, “signor Giarritiello, dopo oltre 140 anni che la mia famiglia e io abbiamo preservato la grotta e accompagnato i turisti al suo interno, purtroppo l’ho dovuta abbandonare”.

Alla domanda se fosse stato costretto per problemi di salute – stando per tanti anni a contatto con l’umidità della grotta, don Carlo ha contratto un’artrite reumatoide alle anche che da tempo lo costringe a camminare col bastone – , mi ha risposto: “No, la salute non c’entra niente. Seppure ora sono allettato per altri motivi di salute (ecco spiegato il perché da almeno un paio di anni non lo vedevo più in giro), all’epoca la dovetti abbandonare perché  è pericolante, sia all’esterno che all’interno. Non immagina quante volte è franato davanti al cancello d’ingresso. Meno male che era chiusa altrimenti, prima o poi, la tragedia ci scappava. La mia coscienza non mi permetteva di continuare a condurvi la gente all’interno. Nella grotta non c’è un’uscita di sicurezza. Che senso aveva rischiare?”

“Non si può fare nulla per metterla in sicurezza?” gli ho chiesto. La sua risposta è stata lapidaria: “Seppure si stendesse lungo la collina una rete di protezione per contenere la caduta dei massi, anche all’interno c’è il rischio che frani. Mi creda, oramai la grotta è morta!”

Chi ha avuto la fortuna di visitare la grotta guidato da don Carlo, sa bene con quanto amore e abnegazione egli svolgeva il proprio ruolo di “caronte”, così amava definirsi: la domenica e nei giorni di festa allestiva una scenografia di luci, accendendo lungo tutto il camminamento della grotta una fila di lumini di cera e muniva i visitatori di candele, anziché delle solite torce elettriche, accrescendo con il riverbero delle fiamme la suggestione del luogo.

Per quest’attività di assoluto volontariato don Carlo non percepiva un soldo, se non le offerte dei visitatori che investiva nella manutenzione della grotta.

Oggi anche questa “grotta”, che per quasi un secolo e mezzo ha segnato con orgoglio un pezzo di storia dei Campi Flegrei,  è da archiviare tra i tanti siti archeologici dell’area flegrea abbandonati nell’assoluto degrado. Non si capisce se per questioni burocratiche o altro…

Quante altre persone, come la signora che mi ha scritto, vi si sono recate, vi si recano e vi si recheranno per visitarla e, invece di vivere la suggestiva emozione suscitata dal mistero che vi aleggia, saranno colte dallo sconforto derivante dal degrado che si mostrerà ai loro occhi, uno scempio ingiustificato in un paese civile?

Possibile non si possa fare nulla per recuperare la grotta, riconsegnandola ai vecchi splendori del passato?

Mica bisognerà rivolgersi alla sibilla per conoscere le sorti del suo il suo destino!?

LA SCORTA A SAVIANO E’ IL PREZZO DELLA LIBERTA’

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È proprio vero, noi italiani abbiamo la memoria corta, anzi cortissima. L’ulteriore conferma di questa particolarità nostrana è la polemica in atto da alcune settimane tra il Ministro degli Interni Matteo Salvini e lo scrittore Roberto Saviano, nata prima dal veto del Ministro all’approdo in un porto italiano della nave ong Aquarius con 629 migranti a bordo e successivamente dalla sua proposta di censire i rom.

Com’è nel suo stile, l’autore di Gomorra le cose non le manda a dire e senza giri di parole ha tacciato di fascismo il Ministro degli Interni il quale, per tutta risposta, ha dichiarato che valuterà se ci sono gli estremi per cui Saviano continui a usufruire della scorta  – lo scrittore è sotto scorta da quando pubblicò il bestseller mondiale Gomorra in cui rivelò come fosse strutturata l’organizzazione criminale dei casalesi che, per questo motivo, lo condannò a morte.

Da quando è iniziata la querelle Salvini-Saviano/scorta sì-scorta no, come accade sempre in questo paese, si sono formate due tifoserie, ossia persone che ragionano di pancia: da una parte quella dello scrittore, dall’altra quella del Ministro.

Quella dello scrittore attacca a testa bassa Salvini e chi ne difende l’operato, definendoli, nel migliore dei casi, razzisti. Accostando il censimento dei rom proposto da Salvini alla schedatura degli ebrei attuata dal fascismo 80 anni fa, cui seguirono le leggi razziali e poi lo sterminio degli ebrei.

Viceversa chi difende il Ministro, dipinge come buonisti Saviano e i suoi seguaci, attribuendogli la colpa di spendersi solo a parole per i migranti ma di non fare concretamente nulla per loro. Aggiungendo, a ulteriore sostegno delle proprie posizioni anti-migranti, e dunque anti-Saviano, le pessime condizioni igienico-sanitarie in cui versano sia i centri di prima accoglienza dei migranti sulle nostre coste, sia i campi rom; nonché fa presente che, laddove migranti e rom mettono radici – strade e piazze a ridosso delle stazioni ferroviarie e periferie urbane ed extra urbane -, ci sarebbe un incremento esponenziale della prostituzione maschile e femminile e della criminalità.

Lascia perplessi che molti di coloro che sono schierati con lo scrittore appartengono al PD, ossia a quella forza di governo il cui Segretario dell’epoca, Renzi, in un suo libro affermava che i migranti andavano aiutati a casa loro, suscitando l’ira di Saviano che replicò, ” quanta ipocrisia da parte di chi vende armi ai regimi.

Che Saviano non susciti particolari simpatie finanche nell’ambiente culturale di sinistra è cosa ben nota. Non è un caso se lo scrittore fu uno dei pochi intellettuali di sinistra a scagliarsi più volte contro l’allora segretario e poi premier Renzi. Senza contare che fu sempre lui a denunciare il conflitto di interessi dell’allora Ministro Boschi nella vicenda Banca Etruria, chiedendone le dimissioni.

È legittimo che Saviano possa non piacere come scrittore, i gusti letterari sono personali. Così come è probabile che l’antipatia che lo scrittore suscita in maniera trasversale da destra a sinistra derivi non tanto dal suo atteggiarsi a tuttologo, quanto dai suoi successi economici in termini di  vendite dei suoi libri nel mondo – si sa, i vincenti alimentano l’invidia degli altri.

Ma gli va riconosciuto il merito che quando il governo Renzi iniziò a fare politiche di destra, le denunciò apertamente. Viceversa, tanti intellettuali di sinistra, nel momento in cui Renzi assurse al potere e si mosse in sintonia con i precedenti governi Berlusconi, né dissero nulla, né mossero un dito per denunciare quanto stava avvenendo. Mentre quando in precedenza quelle stesse politiche  voleva attuarle il centrodestra berlusconiano, non si fecero scrupoli di scendere in piazza, organizzando girotondi intorno ai palazzi del potere o scrivendo articoli al vetriolo contro il governo; mentre i loro giornali uscivano con un postit giallo sulla prima pagina in segno di protesta contro la legge “bavaglio” che il governo stava varando per limitare l’informazione, poi non se ne fece più nulla. Quando poi la stessa proposta di legge, ma più restrittiva, la presentò Renzi, tutti zitti.

Bene, quegli stessi intellettuali – dall’onestà intellettuale a corrente alternata, verrebbe da dire -, sono gli stessi che oggi attaccano Salvini per le sue politiche “fasciste”. Ma tacquero quando Minniti, Ministro degli interni del governo di centrosinistra a guida Gentiloni sostenuto dal PD, per ridurre gli sbarchi, stipulò un patto con la Libia, istituendo centri di accoglienza sulle coste libiche al fine di bloccare le partenze di quanti erano pronti a imbarcarsi per l’Europa, pur sapendo che quei centri di accoglienza in realtà sono dei veri e propri lager dove  contro i “detenuti” vengono perpetrate violenze di ogni genere.

Essere in disaccordo con Saviano va benissimo, purché alle sue ragioni si contrappongano di valide. Diversamente se si è contro di lui solo per partito preso, magari perché risulta antipatico, meglio tacere.

Invocare che gli si tolga la scorta per via delle sue idee, non è né di destra , né di sinistra: è una tale meschinità che si commenta da sola. magari con un vocabolo che in questi giorni è quanto mai abusato, fascismo!

Vivere sotto scorta per aver avuto il coraggio di scrivere ciò che precedentemente altri avevano taciuto, seppure scrivendolo si è diventati benestanti, è segno che la libertà ha un prezzo.

E che prezzo!

 

 

ERNESTO SALEMME E IL MISTERO DEL LIBRO CHE NON C’E’

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Alcuni giorni fa un caro amico d’infanzia mi telefonò chiedendomi l’esatto titolo del libro di Ernesto Salemme, fratello del noto attore/regista Vincenzo, che avevo appena letto e gliene avevo parlato in maniera lusinghiera a cena con le rispettive consorti. “COME PER SE STESSA MOSSA  edizioni IL PUNTO DI PARTENZA”, risposi. Quindi gli chiesi “Perché?” “Mi trovo alla Feltrinelli a Piazza dei Martiri e volevo comprarlo ma non risulta a catalogo. Sei sicuro che si chiami così?” Prima di rispondere andai a prendere il libro dalla libreria per accertarmi di non aver commesso errori. “Franco ho il libro tra le mani, sia il titolo sia l’editore corrispondono a ciò che ti ho detto” “Va bene, vorrà dire che chiederò di guardare meglio” e riattaccò. La mattina successiva per strada incrociai la moglie, le chiesi se avessero trovato il libro. “No, Enzo, niente da fare. Nel catalogo delle edizioni IL PUNTO DI PARTENZA non compare. È come se non fosse stato mai scritto!”

Quella risposta mi fulminò: il libro è una sorta di autobiografia in cui Ernesto Salemme, professore di lettere, racconta del periodo in cui fu ricoverato in una clinica per malattie mentali; dei motivi che indebolirono la sua psiche costringendolo a quell’estrema soluzione; di come la letteratura e la scrittura funsero da validi supporti terapeutici aiutandolo ad uscire dal baratro della follia.

L’opera è scritta in maniera egregia e rimanda a infiniti agganci letterari con autori del passato, dimostrando non solo quanto siano attuali i classici e come la loro lettura possa rigenerare un’anima ammalata, ma come il lavoro di Ernesto Salemme sia anche un valido supporto antologico per i lettori, in particolare gli studenti. Quel che colpisce di più del libro, oltre alla freschezza e alla fluidità del linguaggio, è la lucida freddezza con cui il professore Salemme attribuisce le cause del proprio dramma alle incomprensioni familiari inerenti le proprie  scelte di vita contrastanti rispetto a quanto i familiari pretendevano da lui, al punto da farlo apparire un estraneo se non addirittura un disadattato. E di come questa sua apparente alienazione, umiliante per la famiglia, fosse stata poi trasposta in scena dal fratello Vincenzo nelle proprie commedie con la figura del nipote scemo.

A quanti hanno avuto la fortuna di leggere questo libro sofferto, il testo sarà sembrato una denuncia di Ernesto Salemme nei confronti dei familiari, in particolare del fratello famoso. Viceversa secondo me rappresenta un atto d’amore, un gesto con cui porre fine, una volta e per sempre, agli attriti familiari, malgrado il malessere procuratogli.

Mi chiedo perché il libro, che a mio avviso definire bello è limitativo, non si trovi in commercio, malgrado fosse stato regolarmente stampato e presentato ad ottobre 2009 nell’auditorium del liceo in cui Ernesto Salemme all’epoca insegnava!?

Speriamo che quanto prima lo si possa ritrovare in libreria o magari in vendita online perché leggerlo è un’illuminazione. Il professore Salemme ha saputo trarre dal proprio dramma esistenziale un insegnamento di vita e non è giusto che le sue parole restino confinate nel limbo di pochi  fortunati lettori.

MIGRANTI: RICHETTI CITA IL PAPA E SALLUSTI GLI RINFRESCA LA MEMORIA

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Fino a ieri sera, giornalisticamente parlando, non nutrivo alcuna simpatia per Alessandro Sallusti. A far sì che modificassi, seppure per un attimo, tale considerazione c’ha pensato Matteo Richetti del Pd: ospite ieri sera a Otto e Mezzo insieme al direttore de Il Giornale per discutere della proposta di Salvini di recensire i rom e del suo divieto all’approdo dell’Aquarius carica di migranti nei porti italiani, per avvalorare la propria contrarietà e quella del Pd alle idee e azioni del Ministro degli Interni, Richetti ha chiamato in causa il Papa che in questi giorni ha invocato l’accoglienza per i migranti, mostrandosi in contrasto con le scelte del Ministro. Non rendendosi conto che in quel modo stava offrendo un assist a Sallusti. Il giornalista ha infatti colto a volo l’insperata sponda e, sorridendo, ha risposto con ironia, “mi fa piacere che Richetti citi il Papa. Vorrei che altrettanto facesse per quanto riguarda le famiglie arcobaleno e l’aborto, argomenti che il pontefice ha recentemente condannato!”

Apriti cielo. Per rimediare all’errore, con fare contrariato, Richetti ha cercato di sminuire la risposta del giornalista, definendola “banale”. Ma ormai la frittata era fatta!

Nessuno può appropriarsi delle parole del Papa, così come di qualsiasi altra autorità, sia laica che religiosa, solo quando gli fa comodo per poi sconfessare la stessa autorità quando invece esprime pareri in contrasto con la propria visione di vita personale e politica.

Dire, come ha fatto Richetti che “se il Papa dice una cosa corretta non va taciuta”, equivale tacitamente ad affermare che l’opposizione del Papa sulle coppie gay e sull’aborto è un errore.

Forse Richetti dimentica che, essendo il Papa il capo della Chiesa, suo compito è quello di difendere la dottrina della Chiesa la quale identifica nell’unione tra uomo e donna il fulcro su cui poggia la famiglia e, professando il rispetto per la vita in quanto dono di Dio, non può accettare l’aborto.

È legittimo non condividere le dottrine ecclesiastiche. Ma appoggiarsi al Papa per sostenere le proprie idee, e avversarlo quando invece ne sostiene altre in contrapposizione con il proprio pensiero, francamente, non è né corretto, né serio!

BONAFEDE IN TV E IL M5S FA HARAKIRI IN COMUNICAZIONE

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Per chiarire la propria estraneità nella vicenda Lanzalone, ieri sera il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha voluto essere intervistato a Otto e Mezzo dalla Gruber, coadiuvata da Antonio Padellaro de Il Fatto Quotidiano.

L’avvocato Lanzalone assurse alla presidenza dell’ACEA, municipalizzata del comune di Roma, per scelta della sindaca Raggi, dopo che a presentarglielo furono lo stesso Bonafede e Fraccaro, in quanto a Livorno il suo studio si era occupato positivamente del concordato Aamps. Lanzalone si è dimesso dall’incarico non appena è scoppiata l’inchiesta sul nuovo stadio della Roma per cui è agli arresti domiciliari con l’accusa di corruzione insieme al costruttore Parnasi, ora in carcere, e altri indagati.

Davanti alle telecamere Bonafede ha ripetutamente dichiarato che la scelta di nominare Lanzalone Presidente dell’Acea fu della Raggi. Che lui non c’entra niente!

Purtroppo per il Ministro la sua agitazione al cospetto delle telecamere ha alimentato il dubbio che egli fosse lì perché ansioso di scaricarsi da ogni eventuale responsabilità, facendo gravare tutto sulle spalle della Raggi la quale, come il Ministro, al momento non risulta indagata.

Chi ha seguito la trasmissione avrà notato le espressioni di rabbia e di fastidio che si alternavano sul volto di Padellaro mentre ascoltava Bonafede. Così come avrà certamente colto il tono tagliente con cui il giornalista ribatteva alle dichiarazioni del Ministro, facendogli presente che ancora una volta il M5S, la giunta Raggi in particolare, si trovava coinvolto in una vicenda in cui, seppure a proprio carico non risultino responsabilità oggettive, si evidenzia l’assoluta incapacità nella scelta delle classe dirigente.

Dopo aver visto il modo goffo con cui Bonafede s’è approcciato alle telecamere, verrebbe da dire che il M5S dovrebbe non solo scegliere con attenzione la classe dirigente ma anche chi gli gestisce la comunicazione. Un’altra apparizione televisiva alla Bonafede di un qualsiasi rappresentante del M5S e le opposizione brinderanno!

SALVINI E LA SUA SPALLA, LUIGI DI MAIO

<<Ma chi è Salvini che tiene al guinzaglio di Maio? E chi è Di Maio, così soggetto al padrone?>>. Così Furio Colombo chiude il proprio pezzo di oggi su Il Fatto Quotidiano dall’eloquente titolo, GLI ORDINI DI SALVINI E IL SILENZIO DEI 5S.

Molto probabilmente la stessa domanda se la stanno ponendo gli oltre 11 milioni di elettori, tra cui chi scrive, che il 4 marzo hanno votato M5S. Infatti, da quando è nato, dopo quasi 90 giorni di patemi e sofferenze, il governo gialloverde presieduto dall’illustre sconosciuto professore Giuseppe Conte, l’unica voce governativa che ha iniziato a parlare – in alcuni casi, a straparlare – senza più smettere, amplificata dai media e dai social, è quella del Ministro degli Interni, nonché vice Premier in condominio con il Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Luigi Di Maio, il leghista Matteo Salvini.

Di tutti gli altri membri dell’esecutivo, a iniziare dal capo (?) del governo, nessuna traccia. Seppure bisogna riconoscere a Conte di aver mostrato il pugno fermo nei confronti di Macron  – il Presidente francese aveva definito l’Italia “cinica”, mentre il suo partito En Marche aveva giudicato “vomitevole” la scelta di Salvini di non concedere l’approdo in Italia all’Aquarius – mettendo in discussione il vertice Francia-Italia della scorsa settimana se la Francia non avesse chiesto ufficialmente scusa.

Per quanto invece riguarda Di Maio, ora sotto tiro insieme al suo partito e alla sindaca Raggi  per la vicenda Lanzalone, le sue dichiarazioni sulla vicenda Aquarius sembrano essersi dissolte nell’etere e nella rete, quasi non fossero mai state pronunciate.

Mentre Salvini spopola agli occhi dell’opinione pubblica come un salvatore della patria, rilasciando interviste e tweet spot del tipo “è finita la pacchia”, in riferimento agli immigrati clandestini; “stanno facendo una crociera”, a proposito di 629 migranti imbarcati sull’Aquarius diretta a Valencia dopo il veto del ministro ad attraccare nei porti italiani, la voce del capo pentastellato sembra non risuonare nemmeno più su internet, da sempre luogo di comunicazione prediletto dei grillini, seppure Di Maio si affanni a scrivere post su face book o a rilanciare a sua volta tweet.

L’indifferenza che circonda il Ministro del Lavoro e il suo operato, malgrado l’impegno profuso da Di Maio nella vicenda TIM per evitare la cassa integrazione a 30 mila dipendenti – cosa non da poco! – conferma che il protagonista indiscusso del governo oggi è Salvini. Tutti gli altri,a cominciare da l Premier Conte e, soprattutto Di Maio, è come se fossero dei semplici comprimari.  Delle “spalle” di cui leader leghista sembra poter fare a meno.

Di conseguenza facciamo nostra la chiosa di Furio Colombo: “Ma chi è Salvini che tiene al guinzaglio Di Maio? E chi è Di Maio, così soggetto al padrone?”

GLI ITALIANI NON SONO RAZZISTI MA STANCHI DI UNA CERTA POLITICA

Com’era prevedibile, l’approvazione da parte di una buona fetta di opinione pubblica al veto del Ministro Salvini all’attracco nei porti italiani della nave Aquarius con il suo carico di 629 migranti, sta alimentando un’ampia discussione sul, presunto, razzismo degli italiani. Ma nessuno di coloro che sposano questa tesi si chiede il perché di ciò!?

Tra editoriali e post dove, giustamente, si mettono in risalto le disumane condizioni in cui sono costretti a viaggiare questi disperati salpati dalle coste libiche e tunisine, pagando migliaia di dollari agli scafisti – ma tutti ‘sti soldi da dove li prendono?… – per intraprendere un viaggio più disperato che della speranza, nessuno si sofferma sulle pessime condizioni igienico-sanitarie dei centri di prima accoglienza italiani in cui migranti vengono raggruppati come bestie una volta sbarcati; né sull’assoluta precarietà della vigilanza in questi centri da parte delle forze dell’ordine, al punto da consentire agli “ospiti” non solo di entrare e uscire a loro piacimento, contrariamente a quanto previsto dai regolamenti; ma addirittura consentendo a molti di loro di intraprendere vere e proprie attività criminali, tipo spaccio di droga o prostituzione, come denunciato in più di un servizio sui c.a.r.a. Pugliesi da Striscia La Notizia e da il settimanale L’Espresso. Senza tralasciare lo scandalo del c.a.r.a di Mineo in Sicilia né quello di Mafia capitale a dimostrazione di quanti interessi girino intorno agli immigrati.

E che dire delle tante aree del paese ormai diventate vere e proprie zone franche, ad esempio le piazze antistanti le stazioni o quelle dell’estrema periferia, dove gli immigrati, quasi tutti clandestini, organizzatisi in bande, hanno impiantato vere e proprie attività criminali in collaborazione o in lotta con le organizzazioni criminali locali? Che dire della tante ragazze di colore o di origine slava, per lo più minorenni, che si prostituiscono lungo nostre strade senza che nessuno intervenga in loro difesa, seppure esercitino la “vita” alla luce del giorno? E vogliamo parlare dei ragazzini rom che la sera si prostituiscono nei pressi delle stazioni centrali, i cui clienti sono mariti, padri di famiglia e insospettabili professionisti in cerca di trasgressione? E del degrado in cui versano i campi rom, nessuno sa niente?

Chi si indigna per la scelta di Salvini di dire no all’attracco in Italia dell’Aquarius, sarebbe il caso si indignasse prima di tutto per la totale mancanza di controlli da parte dello Stato verso chi sbarca dai barconi della speranza.

Il presunto razzismo che albergherebbe in una parte di italiani, a mio avviso, sarebbe conseguente a un’assoluta inefficienza palesata dalle autorità nel tutelare non solo la stragrande maggioranza di migranti onesti in cerca di rifarsi una vita, ma anche i cittadini i quali, sentendosi abbandonati da chi dovrebbe garantire loro la sicurezza, iniziano a identificare nello straniero un potenziale pericolo e a guardarlo di sbieco, senza distinguere il buono dal cattivo.

Lasciare che gente senza identità, in alcuni casi già oggetto di decreti di espulsione mai eseguiti, vaghi tranquillamente per le vie delle città, continuando a commettere reati – in alcuni casi addirittura intercettata al telefono mentre irride alla giustizia italiana per la troppa facilità con cui consente loro di farla franca dopo un arresto, invitando gli interlocutori a trasferirsi a loro volta in Italia per delinquere senza rischi – non può che alimentare la rabbia di molti connazionali.

Se lo Stato avesse finora fatto il proprio dovere, difficilmente la scelta di Salvini avrebbe riscontrato una vasta eco positiva nell’opinione pubblica. Anzi, molto probabilmente il leader leghista si sarebbe guardato bene dall’attuarla per non attirarsi addosso le antipatie dell’opinione pubblica. Viceversa, stando ai sondaggi, oggi Salvini sarebbe il politico italiano più “amato” dagli italiani. Uno smacco per tutti quei politici che, nel corso degli anni, si sono riempiti la bocca di belle e buone parole nei confronti dei migranti. Ma poi, all’atto dei fatti, hanno dato l’impressione dal guardarsi bene dall’attuare tutte le prassi necessarie alla tutela del territorio e dei cittadini, dando addirittura la sensazione di avere più a cuore la sorte dei migranti che non quella degli italiani. Spianando la strada a Salvini e a chi come lui, cavalcando l’onda della paura dello straniero, punta a governare il Paese.

Gli italiani non sono razzisti. Gli italiani sono semplicemente stanchi di una politica che dà l’impressione d’essere disinteressata alle necessità e ai problemi dei cittadini; di una politica che, anziché ascoltare la disperazione della gente, volge la propria attenzione ai mercati e alle banche, trattando i cittadini come pezze da piedi cui rivolgere attenzione solo in campagna elettorale.

Agli occhi di tanti italiani il pregio di Salvini è quello di non aver disatteso alle proprie promesse elettorali.

Fa niente se questa coerenza avrebbe un vago sapore razzista.

Agli occhi dell’opinione pubblica è meglio chi tiene fede ai propri impegni, anche a costo di rischiare un incidente diplomatico prima con la Tunisia e poi con Malta, per salvaguardare la sicurezza nazionale, rispetto a chi oggi dice picche e poi, quando si tratta di agire, fa esattamente l’opposto, affamando ancora di più il popolo, “perché ce lo chiede l’Europa”!

LA LEGA VOLA SULLE ALI DELLA LOTTA ALL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA

In attesa di vedere come andrà a finire lo “scontro” diplomatico tra Italia e Malta su chi deve farsi carico dell’approdo della nave Aquarius e del suo carico umano di oltre 600 migranti, bisogna riconoscere al neo Ministro degli Interni Matteo Salvini, leader della Lega, che la sua strategia di bloccare gli sbarchi sulle coste italiane delle navi ONG che prendono a bordo, salvandoli da morte certa, migranti e profughi dai barconi in mare aperto salpati dalle coste libiche e tunisine, in termini elettorali ha dato esito più che positivo visto il risultato delle comunali di ieri: al primo turno la Lega s’è ripresa Treviso e Vicenza.

Appena preso possesso del Viminale, durante un comizio elettorale a Vicenza, Salvini aveva detto “è finita la pacchia per i clandestini: preparatevi a fare le valige”.

Da quel momento in tanti c’eravamo chiesti se le sue parole fossero sintomo della campagna elettorale in cui il leader leghista era impegnato per le comunali; oppure una vera e propria strategia di governo tesa ad arginare gli sbarchi sulle nostre coste per far fronte a una situazione sempre più insostenibile per il nostro paese.

Lo scontro diplomatico in corso con Malta dimostrerebbe che le parole di Salvini non appartenevano a un copione da campagna elettorale, bensì sarebbero un punto fermo su cui si distinguerà la sua gestione ministeriale e quella del governo Conte per i prossimi mesi rispetto agli sbarchi e ai migranti.

A riguardo il Presidente del consiglio, di ritorno dal G7 canadese, ha preso una netta posizione di contrasto nei confronti dell’Europa, affermando che gli accordi di Dublino vanno rivisti, evidenziando l’indisponibilità di Malta a collaborare nella vicenda Aquarius.

Ieri sera, intervistata telefonicamente da Giletti, l’ambasciatrice maltese ha giustificato il no di Malta sostenendo che, essendo intervenute come primo soccorso all’Aquarius due motovedette italiane, per il diritto internazionale l’aiuto alla nave è di competenza italiana.

Al momento che scriviamo la situazione è in stallo. Mentre in nottata altre 800 migranti sono stati tratti in salvo da navi italiane e internazionali al largo delle coste libiche.

Come si concluderà la vicenda, non è dato saperlo.

Una cosa è certa, visto l’ulteriore successo elettorale della Lega, c’è da supporre che Salvini terrà il pugno fermo, ribadendo il suo no agli sbarchi e la lotta a chi commercerebbe sui migranti, Ong incluse.

Se davvero, come in molti presumono, questo governo avesse vita breve, Salvini si sta spianando in maniera impareggiabile il terreno per un ulteriore exploit elettorale a livello nazionale che ribalterebbe l’esito delle elezioni del 4 marzo, portando la Lega ai vertici della politica nazionale, davanti al M5S. E dunque ponendosi come traino di una nuova, ipotetica coalizione di centrodestra, subordinando a sé FI di Berlusconi e FdI della Meloni!

Vi pare poco?

CIVILTA’ SOMMERSE: LE ORIGINI DELL’UOMO IN FONDO AL MARE

Il 16 gennaio 2002 il ministro indiano per la Scienza e la Tecnologia ha reso noti i primi risultati relativi alla datazione con il carbonio 14 dei manufatti provenienti dalle città sommerse nel golfo di Cambay: ebbene, tali manufatti risalgono a 9500 anni fa, 5000 anni prima di qualsiasi città riconosciuta dagli archeologi.

Così  lo scrittore/studioso inglese Graham Hancock conclude il suo monumentale Civiltà Sommerse, dopo un excursus  di circa 900 pagine in cui, pagina dopo pagina, porta i lettore in giro per il mondo alla scoperta dei tanti siti archeologici sommersi che, a suo dire e a detta di autorevoli studiosi, si sarebbero inabissati, o comunque sarebbero stati ricoperti dal mare in un arco di tempo che va tra i 17000 e i 7000 anni fa a seguito della fine dell’ultima era glaciale, con relativo innalzamento del livello mare fino a 120 metri e conseguente scomparsa di città costiere letteralmente sprofondate nel mare; richiamando alla mente il mito del diluvio universale e quello di Atlantide il misterioso continente inabissatosi a seguito di un tremendo cataclisma di cui per la prima volta parlò Platone.

Partendo dal golfo del Bengala;, proseguendo per il mediterraneo, l’Oceano Atlantico e l’Oceano Pacifico a ridosso delle coste giapponesi, lo scrittore, riportando alla fine del libro la notizia diffusa dal ministro indiano per la Scienza e la Tecnologia, e taciuta dai media  mondiali, che i manufatti rinvenuti nelle città sommerse nel golfo di Cambay risalgono a 9500 anni fa anziché a 5000, come invece ritenevano e tuttora ritengono la stragrande maggioranza degli archeologi ortodossi, chiude il percosso circolare con cui ha impostato l’opera dato che il primo capitolo di Civiltà Sommerse, Resti, inizia parlando proprio della scoperta fatta nel marzo del 1991 da un team di archeologi subacquei del National Institute of Oceanography indiano, (NIO) che era a lavoro al largo della costa di Tranquebar Poompuhur dello stato del Tamil Nadu, nei pressi di Nagapattinam. Il 7 marzo del 1991effettuando rilevamenti con il sonar, gli scienziati rinvennero i resti di un naufragio alla profondità di 19 metri. L’8 e il 9 marzo del 1991 i sub si immersero e, scandagliando il fondale alla ricerca dei resti del relitto, rivennero  sul fondo del mare un’antica struttura opera dell’uomo. La struttura ha la forma di una U, come un enorme ferro di cavallo, il perimetro misura 85 metri e le mura sono spesse 1 metro e alte 2 metri.  

Da questo ritrovamento e le relative implicazioni che diedero vita a un conflitto intellettuale tra una parte degli archeologi che rinnegavano la presenza del sito sottomarino, o quanto meno lo ritenevano una struttura naturale anziché opera dell’uomo, e un’altra parte di studiosi invece pronti a rivedere le tesi ufficiali, prendendo in considerazione la probabilità che la struttura rinvenuta fosse di manifattura umana – per cui  non era da escludere che le città degli dei e le loro distruzioni conseguenti a inondazioni e terremoti di cui narrano gli antichi testi indiani non fossero “semplici” miti bensì la cronaca storica di eventi reali inerenti la scomparsa di una civiltà vissuta molti millenni prima dello scioglimento dei ghiacciai, la cui esistenza, se fosse confermata, imporrebbe di rivedere in blocco la storia ufficiale dell’umanità con conseguenze a dir poco impensabili.

Il libro non è “solo” un saggio in cui pazientemente si cerca di anticipare di qualche millennio la presenza umana in diversi luoghi della terra in virtù del ritrovamento, dello studio e all’analisi dei vari siti archeologici sommersi sparsi sul pianeta e ai resti rinvenuti in loco; il volume assume i toni di un vero e proprio thriller allorché si parla dei siti di Malta e dei manufatti rinvenuti durante gli scavi sull’isola. In particolare l’intrigo diventa palpabile quando Hancock racconta delle immersioni effettuate nelle acque maltesi alla ricerca di una struttura sommersa, la cui presenza a 8 metri di profondità a largo dell’isola sarebbe stata segnalata su una foto ripresa dall’alto da un aereo dell’aeronautica inglese effettuata alla fine della seconda guerra mondiale, e di alcuni resti scomparsi nel museo di Malta, malgrado fossero ufficialmente catalogati negli archivi del museo, lasciando presagire che qualcuno li avesse volutamente occultati…

Per chi abbia letto IMPRONTE DEGLI DEI, da molti ritenuto il capolavoro di Hancock, si fa presente che, contrariamente alla tesi esposta in questo precedente lavoro, secondo cui la mitica Atlantide sarebbe l’attuale Antartide, in Civiltà Sommerse tale supposizione non viene minimamente citata. Anzi, Hancock, a un certo punto, esplicitamente parla di un muro sommerso a largo dei caraibi, ipotizzando che fossero i resti di una struttura costruita su quelle che anticamente erano terre emerse, successivamente “sprofondate” nel mare a seguito dell’innalzamento del livello dell’acqua per via dello scioglimento dei ghiacciai. Sempre riferendoci a Impronte degli Dei, e poi di seguito in Civiltà Sommerse, l’autore parla delle mappe dell’amiraglio Piri Re is e di altre mappe risalenti all’epoca delle grandi esplorazioni marine tra la fine del XV secolo e gli inizi del XVI, sulle quali sarebbero disegnate zone del pianeta antecedenti l’era post glaciale. A sostegno di questa suggestiva supposizione l’autore compara alcune di queste mappe con quelle relative alle varie epoche glaciali e post-glaciali elaborate al computer da un esperto del settore da lui ingaggiato per  visualizzare l’evoluzione geografica di alcune zone del pianeta man mano che il livello del mare cresceva nel corso dei millenni. In virtù di queste comparazioni, e di altri fattori sui quali rinviamo il lettore alla lettura del libro, verrebbe confermata l’ipotesi, che trova un crescente numero di sostenitori, secondo cui Cristoforo Colombo intraprese il suo viaggio alla scoperta dell’America servendosi di una di queste mappe su cui era riprodotta la geografia terrestre in epoca remota. Per cui il navigatore genovese, contrariamente a quanto ci racconta da sempre la storia ufficiale, era consapevole che aldilà delle colonne d’Ercole esisteva un’enorme isola, l’attuale continente americano, da lui ufficialmente scoperto per “sbaglio mentre era in navigazione per tracciare una nuova rotta marina per le “indie”!

Il punto in cui però il libro assume credibilità disarmante è quando si parla del sito sommerso di Yonaguni a largo del Giappone. Basterebbe dare uno sguardo solo alle foto  o a qualche filmato presente su Youtube per farsi un’idea  di quanto sia probabile che in un’epoca antecedente lo scioglimento dei ghiacciai sul nostro pianeta esistessero delle civiltà avanzate, tipo quella giapponese dei Jomon risalente a non meno di 12000 anni fa. La cosa stupefacente è che alcuni manufatti praticamente identici a quelli della civiltà Jomon sono stati rinvenuti a Malta, con la differenza che, ufficialmente, a Malta l’uomo si sarebbe insediato non prima di 5000 anni fa, mentre i Jomon sono più antichi di almeno 7000 anni…

Per coloro che volessero saperne di più, in attesa di procurarsi il libro, segnalo il sito di Graham Hancock, in particolare il box Underworld (letteralmente, sotto il mondo) dove si approfondisce, con continui aggiornamenti di articoli e foto, l’argomento di cui abbiamo discusso. Il esito è in lingua inglese ma basta attivare il traduttore automatico di google per leggerne la traduzione in italiano; seppure, essendo letterale, essa impone un minimo sforzo di comprensione.

Buona lettura. Pardon, buona avventura!