Mario può morire. Anzi no

Eutanasia: il tribunale di Ancona riconosce il diritto al suicidio

Mario è il primo cittadino italiano a cui è stato riconosciuto il diritto all’eutanasia; dopo gli ultimi undici anni trascorsi immobilizzato a letto, forte di una lucidità invidiabile, se non fosse figlia di un dolore già difficile solo a immaginarsi, alle polemiche che hanno interessato il suo caso, ha risposto: “Nessuno può dirmi che non sto troppo male per continuare a vivere in queste condizioni. Negarmi un diritto dato da una sentenza della Corte costituzionale sarebbe condannarmi a vivere una vita fatta di torture, umiliazioni e sofferenze che non tollero più. Ognuno di noi vede la vita in modo diverso, ha una soglia del dolore e della dignità umana differente. Ammiro e apprezzo chi non fa la mia scelta, tanta gente dirà che quello che sto facendo è sbagliato, ma parlare senza provare quello che si passa giornalmente, uno non immagina nemmeno di cosa si tratta, io la chiamo sopravvivenza“. Sembrava cosa fatta, e invece ora nessuno sa come aiutare Mario a morire, ovvero quale farmaco usare. L’assessore alla salute se n’è lavato le mani e ha passato la palla al tribunale. Eppure basterebbe guardare ad altri Paesi europei per uscirsene dall’impasse, ma in Italia tutto diventa una questione di vassallaggio al Vaticano, alla burocrazia, all’inerzia della classe politica. C’è un bellissimo film spagnolo, Mare dentro, il cui protagonista, paralizzato da vent’anni, della vita dice: “è un diritto, non un obbligo”. Da far vedere per decreto a chi si permette il lusso di scherzare con la sofferenza altrui.