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ma c'è voluto del talento per riuscire ad invecchiare senza diventare adulti.
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Post n°1856 pubblicato il 17 Dicembre 2011 da ossimora
Non se ne può più del della sufficienza con cui i commentatori di tutte le sponde declinano i termini «populismo» e «populista». Cominciamo col dire che nessuno definisce se stesso populista: è un epiteto che ti affibbiano i tuoi nemici politici (un po' come nessuno si autodefinisce terrorista, ma è chiamato così solo dagli avversari o quando è stato sconfitto: algerini, vietnamiti e fondatori dello stato d'Israele non furono ricordati come terroristi perché le loro guerre le vinsero). In secondo luogo, populista ha non solo lo stesso significato, ma anche lo stesso etimo di demagogico, termine che non a caso fu coniato nell'antichità dalle fazioni aristocratiche e senatoriali in spregio alla plebe.
Però farebbero bene costoro a rileggersi quello straordinario libretto che il grande storico Jules Michelet scrisse due anni prima del maremoto rivoluzionario che avrebbe scosso l'Europa nel 1848, e che appunto s'intitolava Le peuple di cui intonava un romantico peana. Ma nel 2011 un Michelet subirebbe ostracismo immediato. Oggi essere bollati come populisti significa dannarsi all'inferno politico. Vuoi la tua pensione indicizzata sull'inflazione? Ma che razza di populista! Vuoi poter mandare i tuoi figli all'università senza svenarti? Lo sapevo che sotto sotto eri un populista! Vi è stata un'epoca in cui il populismo era di sinistra, anche negli Stati uniti, prima che Ronald Reagan inaugurasse la grande stagione delpopulismo di destra. Accusavano le grandi concentrazioni industriali di soffocare l'economia e avvelenare la democrazia. Nella campagna del 1912 Woodrow Wilson promise di guidare 'una crociata contro i poteri che ci hanno governato ... hanno limitato il nostro sviluppo... hanno determinato le nostre vite ... ci hanno infilato una camicia di forza a loro piacimento'. La lotta per spaccare i trusts sarebbe stata, nelle parole di Wilson, niente meno che 'una seconda lotta di liberazione'. Wilson fu all'altezza delle sue parole: firmò il Clayton Antitrust Act (che non solo rafforzò le leggi antitrust ma esentò i sindacati dalla loro applicazione), varò la Federal Trade Commission per sradicare "pratiche e azioni scorrette nel commercio" e creò la prima tassa nazionale sui redditi. Anni dopo Franklin D. Roosevelt attaccò il potere finanziario e delle corporations dando ai lavoratori il diritto di sindacalizzarsi, la settimana di 40 ore, il sussidio di disoccupazione e la Social Security (la mutua). Non solo, ma istituì un'alta aliquota di tassazione sui ricchi Non stupisce che Wall street e la grande impresa lo attaccassero. Nella campagna del 1936 Roosevelt mise in guardia contro i 'monarchici dell'economia' che avevano ridotto l'intera società al proprio servizio: "Le ore che uomini e donne lavoravano, i salari che ricevevano, le condizioni del loro lavoro ... tutto era sfuggito al controllo del popolo ed era imposto da questa nuova dittatura industriale". In gioco, tuonava Roosevelt, era niente meno che "la sopravvivenza della democrazia". Disse al popolo americano che la finanza e la grande industria erano determinati a scalzarlo: "Mai prima d'ora in tutta la nostra storia, queste forze sono state così unite contro un candidato come oggi. Sono unanimi e concordi nell'odiarmi e io accolgo volentieri il loro odio"». Ma quanto ci piacerebbe sentirlo di nuovo da un leader della (cosiddetta) sinistra!
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