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Juliet Berto: "Bisogna tenere a mente il colore della propria ferita per farlo risplendere al sole"

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« Onda neraPrimo maggio »

grandeur

Post n°1722 pubblicato il 30 Aprile 2010 da ossimora
 

Virgilio Lilli






Quello che mi meraviglia
in questo bambino
mendicante;
in questo piccolo cinese di sei anni;
che pesa poco più d’un pollo al mercato;
che è vestito con pochi centimetri
di stoffa;
che mi prende così poco posto nella strada;
quello che mi meraviglia
è che possa contenere una cosa così grande:
la miseria.
Guarda, dico, che la miseria,
la miseria è un gigante.
La miseria, dico, è un colosseo.
La miseria è una piramide egizia.
È un oceano.
È un Everest, la miseria.
Tutta in un bambino,
tutta dentro un uomo, dico,
che pesa come un pollo al mercato.
Così niente,
un pacchetto d’ossa
come un pacchetto di sigarette,
contiene il pachiderma della miseria.
Che sia uno dei soliti
miracoli di Dio?

Hong Kong, novembre ’66




Poesia n. 248 Aprile 2010
Virgilio Lilli. Le ballate di un inviato speciale
a cura di Mario De Santis
Crocetti Editore 2010

 
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dianavera
dianavera il 03/05/10 alle 07:02 via WEB
Brano dal mio testamento Non voglio che tu sia lo zimbello del mondo. Ti lascio il sole che lasciò mio padre a me. Le stelle brilleranno uguali, e uguali t’indurranno le notti a dolce sonno, il mare t’empirà di sogni. Ti lascio il mio sorriso amareggiato: fanne scialo, ma non tradirmi. Il mondo è povero oggi. S’è tanto insanguinato questo mondo ed è rimasto povero. Diventa ricco tu guadagnando l’amore del mondo. Ti lascio la mia lotta incompiuta e l’arma con la canna arroventata. Non l’appendere al muro. Il mondo ne ha bisogno. Ti lascio il mio cordoglio. Tanta pena vinta nelle battaglie del mio tempo. E ricorda. Quest’ordine ti lascio. Ricordare vuol dire non morire. Non dire mai che sono stato indegno, che disperazione m’ha portato avanti e son rimasto indietro, al di qua della trincea. Ho gridato, gridato mille e mille volte no, ma soffiava un gran vento, e pioggia, e grandine: hanno sepolto la mia voce. Ti lascio la mia storia vergata con la mano d’una qualche speranza. A te finirla. Ti lascio i simulacri degli eroi con le mani mozzate, ragazzi che non fecero a tempo ad assumere austera forma d’uomo, madri vestite di bruno, fanciulle violentate. Ti lascio la memoria di Belsen e di Auschwitz. Fa’ presto a farti grande. Nutri bene il tuo gracile cuore con la carne della pace del mondo, ragazzo, ragazzo. Impara che milioni di fratelli innocenti svanirono d’un tratto nelle nevi gelate in una tomba comune e spregiata. Si chiamano nemici: gia! i nemici dell’odio. Ti lascio l’indirizzo della tomba perché tu vada a leggere l’epigrafe. Ti lascio accampamenti d’una città con tanti prigionieri: dicono sempre sì, ma dentro loro mugghia l’imprigionato no dell’uomo libero. Anch’io sono di quelli che dicono, di fuori, il sì della necessità, ma nutro, dentro, il no. Così è stato il mio tempo. Gira l’occhio dolce al nostro crepuscolo amaro. Il pane è fatto pietra, l’acqua fango, la verità un uccello che non canta. È questo che ti lascio. Io conquistai il coraggio d’essere fiero. Sfòrzati di vivere. Salta il fosso da solo e fatti libero. Attendo nuove. È questo che ti lascio. -------------------------- Kriton Athanasulis Traduzione di Filippo Maria Pontani Antologia della poesia greca contemporanea Crocetti Editore 2004
 
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