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« Anime pie ...cei?100/200 »

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Post n°1294 pubblicato il 18 Agosto 2008 da ossimora
 

Oggi si chiama "resilienza", una volta si chiamava "forza d'animo",

Platone la nominava "tymoidés" e indicava la sua sede nel cuore.
Il cuore è l'espressione metaforica del "sentimento", una parola dove ancora risuona la platonica "tymoidés". Il sentimento non è il languore, non è la malcelata malinconia, non è struggimento dell'anima, non è sconsolato abbandono.
Il sentimento è forza. Quella forza che riconosciamo al fondo di ogni decisione quando, dopo aver analizzato tutti i pro e i contro che le argomentazioni razionali dispiegano, si decide, perchè in una scelta piuttosto che in un'altra ci si sente a casa. E guai a imboccare, per convenienza o per debolezza, una scelta che non è la nostra, guai ad essere stranieri nella propria vita.
La forza d'animo, che è poi la forza del sentimento, ci difende da questa estraneità, ci fa sentire a casa, presso di noi. Qui è la salute. Una sorta di coincidenza di noi con noi stessi, che ci evita tutti quegli "altrove" della vita che non ci appartengono e che spesso imbocchiamo perchè altri, da cui pensiamo dipenda la nostra vita, semplicemente ce lo chiedono, e noi non sappiamo dire di no.
Il bisogno di essere accettati e il desiderio di essere amati ci fanno percorrere strade che il nostro sentimento ci fa avvertire come non nostre, e così l'animo si indebolisce, si ripiega su se stesso nell'inutile fatica di compiacere agli atri.
Alla fine l'anima si ammala, perchè la malattia, lo sappiamo tutti, è una metafora della devianza dal sentiero della nostra vita.Bisogna essere se stessi ,assolutamente se stessi .Questa è la forza d'animo.
Ma per essere se stessi occorre accogliere a braccia aperte la nostra OMBRA. Che è poi ciò che di noi stessi rifiutiamo. Quella parte oscura che, quando qualcuno ce la sfiora, ci sentiamo "punti nel vivo". Perchè l'ombra è viva e vuole essere accolta. Anche un quadro senza ombra non ci dà le sue figure. Accolta, l'ombra cede la sua forza. Cessa la guerra tra noi e noi stessi.
Siamo in grado di dire a noi stessi: "Ebbene sì, sono anche questo."
Ed è la PACE così raggiunta a darci la forza d'animo e la capacità di guardare in faccia il dolore senza illusorie vie di fuga.
"Tutto quello che non mi fa morire, mi rende più forte", scrive Nietzsche. Ma allora bisogna attraversare e non evitare le terre seminate di dolore. Quello proprio, quello altrui. Perchè il dolore appartiene alla vita allo stesso titolo della felicità. Non il dolore come caparra della vita eterna, ma il dolore come inevitabile contrappunto della vita, come fatica del quotidiano, come oscurità dello sguardo che non vede via d'uscita. Eppure la cerca, perchè sa che il buio della notte non è l'unico colore del cielo.
Di forza d'animo abbiamo bisogno soprattutto oggi perchè non siamo sostenuti da una tradizione, perchè si sono rotte le tavole dove erano incise le leggi della morale, perchè si è smarrito il senso dell'esistenza e incerta s'è fatta la sua direzione. La storia non racconta più la vita dei nostri padri, e la parola che rivolgiamo ai figli è insicura e incerta.
Gli sguardi si incontrano solo per evitarsi.
Siamo persino riconoscenti al ritmo del lavoro settimanale che giustifica l'abituale lontananza dalla nostra vita. E a quel lavoro ci attacchiamo come naufraghi che attendono qualcosa o qualcuno che li traghetti, perchè il mare è minaccioso, anche quando il suo aspetto è trasognato.
Passiamo così il tempo della nostra vita, senza sentimento, senza nobiltà, confusi tra i piccoli uomini a cui basta, secondo Nietzsche:
"Una vogliuzza per il giorno, una vogliuzza per la notte, fermo restando la salute."
Perchè ormai della vita abbiamo solo una concezione quantitativa.
Vivere a lungo è diventato il nostro ideale. Il "come" non ci riguarda più, perchè il contatto con noi stessi s'è perso nel rumore del mondo.
Passioncelle generiche sfiorano le nostre anime assopite. Ma non le risvegliano. Non hanno forza. Sono state acquietate da quell'ideale di vita che viene spacciato per equilibrio, buona educazione. E invece è sonno, dimenticanza di sè. Nulla del coraggio del navigare che, lasciata la terra che era solo terra di protezione, non si lascia prendere dalla nostalgia, ma incoraggia il suo cuore.
Il cuore non come languido contraltare della ragione, ma come sua forza, sua animazione, affinchè le idee divengano attive e facciano storia.
Una storia più soddisfacente.

U.G.

 
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