Il bradisismo scuote Pozzuoli e tutta l’area flegrea, aumenta l’angoscia e la rabbia dei cittadini

Aleggia un silenzio surreale e assordante questa mattina a Pozzuoli e in tutta l’area flegrea. Dalle 19,51 di ieri sera è in corso uno sciame sismico, effetto del bradisismo, che finora ha fatto registrare oltre 150 scosse.  Quella più forte alle 20:09 di magnitudo 4.4. Preceduta e seguita da altre scosse di magnitudo importanti (3.5, 3.9, 3.1, 3.6) come segnalato dall’INGV.

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A seguito di ciò centinaia di persone hanno preferito trascorrere la notte in auto o nelle tendopoli allestite prontamente dalla protezione civile in varie aree del capoluogo flegreo.

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Lo stato d’animo della cittadinanza oscilla tra il timoroso, il rassegnato e l’arrabbiato.

Il timore è alimentato dall’insicurezza conseguente a una situazione che va avanti ormai da più di un anno in un crescendo di sciami e scosse di media e forte entità che non accenna a placarsi.

La rassegnazione per l’impossibilità di far fronte a un evento i cui sviluppi futuri nel breve e lungo termine sono ignoti prima di tutto ai cosiddetti esperti i quali, se da un lato tendono a tranquillazzare la popolazione che quanto sta avvenendo rientra nella norma del caso, dall’altro non escludono che in futuro non possano esservi ulteriori eventi sismici di entità superiore, non escludendo un’eventuale eruzione come avvenne nel 1528 determinando la nascita di Monte Nuovo.

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La rabbia per quello che agli sguardi di molti cittadini appare un lento e tentennante muoversi delle autorità, locali e nazionali, nel pianificare efficaci azioni preventive affinché, nella peggiore delle ipotesi, si possa avvertire ed evacuare in tempo la popolazione nel caso di un’eruzione.

Nell’attesa che qualcuno si assuma la responsabilità di spiegare alla gente cosa deve aspettarsi nei prossimi giorni e cosa eventualmente fare per evitare il peggio, questa precarietà informativa, denunciata dal professor Luongo ex direttore dell’Osservatorio Vesuviano,  accresce lo stato di disagio nelle persone le quali si sentono abbandonate a se stesse.

C’è da augurarsi che la presenza del Presidente De Luca giunto in tarda serata ieri a Pozzuoli per incontrare il sindaco e rendersi conto di persona di quanto stava accadendo non fosse solo una mera passerella politica, ma un segnale forte e sincero della presenza dello Stato al fianco della popolazione.

In queste ore drammatiche l’unica cosa di cui i puteolani e tutti gli abitanti dell’area flegrea non hanno assolutamente bisogno è covare il dubbio che le loro angosce siano strumentalizzate dalla politica.

Da quel maledetto 7 ottobre 2023, giorno in cui Hamas sferrò un attacco durante il festival musicale Supernova nel deserto del Negev, nel sud di Israele, uccidendo almeno 1200 israeliani e rapendone 253 tra cui alcuni bambini, la risposta militare israeliana per stanare e distruggere hamas è stata considerata da molti governi smisurata, perfino da quello americano alleato storico di Israele.

Guerra ad Hamas: mentre nel mondo i giornali accusano apertamente Israele di genocidio, la stampa italiana – non tutta – cerca sinonimi per non irritare il governo Netanyahu

 

Non è vero che tutti gli israeliani sono antipalestinesi al punto da definire i palestinesi ratti, come ci informa Shane Baurer nel suo articolo LA GUERRA SANTA DEI COLONI apparso su The New Yorker e pubblicato sul numero 1559/2024 de L’Internazionale. Basta leggere alcuni degli articoli pubblicati dai giornali israeliani, tra cui Haaretz, riprodotti sul settimanale italiano in edicola il sabato, o guardare le trasmissioni di informazione di qualche tv italiana libera da condizionamenti filoisraeliani per rendersi conto che parte dell’opinione pubblica israeliana è schierata contro il proprio governo e con i palestinesi – sempre Shane Bauer nel suo articolo sopraccitato ci fa sapere che esistono associazioni israeliane che aiutano i palestinesi, subendo a loro volta violenze dall’esercito con l’accusa di collaborazionismo con i terroristi di hamas.

Da quel maledetto 7 ottobre 2023, giorno in cui Hamas sferrò un attacco durante il festival musicale Supernova nel deserto del Negev, nel sud di Israele, uccidendo almeno 1200 israeliani e rapendone 253 tra cui alcuni bambini, la risposta militare israeliana per stanare e distruggere hamas è stata considerata da molti governi smisurata, perfino da quello americano alleato storico di Israele.

Ad oggi i morti palestinesi vittime della caccia israeliana ai terroristi sarebbero oltre 35.000 di cui almeno la metà bambini. L’esorbitante computo di morte e distruzione seminato da Israele sulla striscia di Gaza è frutto di un calcolo cinico che in situazioni normali, ovvero prima del 7 ottobre, considerava ammissibile in nome della salvaguardia d’Israele il sacrificio di 3/4 civili palestinesi per ogni terrorista da uccidere. Dopo quella tragica data, il computo di vittime civili da sacrificare per stanare e uccidere un terrorista di hamas è lievitato in maniera esponenziale.

Ciò ha determinato l’accusa di genocidio nei confronti di Israele da parte del Sud Africa. E di genocidio accusano Israele molti giornalisti occidentali tra cui la giornalista e scrittrice Naomi Klein la cui opinione è riportata a pagina 39 dell’Internazionale numero 1558/2024.

In Italia se qualcuno si permettesse di accusare Israele di genocidio rischierebbe come minimo l’accusa di antisemitismo. In altre parti del mondo, invece, molti giornalisti, personalità della cultura e dello spettacolo lo fanno senza alcun timore, anche perché in quei paesi la stampa è davvero libera e funge da cane da guardia del potere. Qui da noi, invece, una certa stampa sembra essere lo zerbino del potere, riportando quanto le viene imposto di riferire come sembra facciano molti giornali e telegiornali italiani.

La mattanza umana in corso nella striscia di Gaza, dove hanno perso la vita anche operatori umanitari internazionali e giornalisti molti di nazionalità palestinese – a quelli stranieri è vietato l’accesso nell’area probabilmente per evitare che la verità venga resa pubblica e il governo israeliano subisca ulteriori critiche per i crimini che sta commettendo contro i palestinesi – alimenta il dubbio che per il governo israeliano tutti i palestinesi, inclusi i bambini, sono potenziali terroristi per cui è giusto sterminarli prima che crescano  e possano dare vita ad ulteriori attentati.

Se a ciò aggiungiamo le violenze che subiscono i palestinesi dal 1948, ossia da quando, subito dopo la fondazione dello Stato di Israele iniziò la guerra arabo-israeliana con l’occupazione dei territori arabi da parte israeliana, ricordata dai palestinesi con il termine Nakba, è forte la sensazione che per alcuni israeliani,  – i sionisti che da anni si appropriano senza scrupoli delle terre dei palestinesi con il sostegno dei militari – l’orrore dell’olocausto vissuto dal popolo ebraico durante il nazifascismo è il paravento dietro cui celarsi per giustificare i propri crimini e nefandezze contro i palestenisi.

C’è una tale contraddizione in questo atteggiamento israeliano verso i palestinesi che non stupisce se in tanti si domandino come sia possibile che una nazione in passato vittima dell’olocausto possa a sua volta avere atteggiamenti intransigenti, razzisti e criminali verso un altro popolo distruggendogli le case, requisendogli le terre, tagliandogli le fornuture d’acqua, impedendo agli aiuti umanitari di portargli un minimo di conforto costringendolo a una diaspora.

Di conseguenza non stupiscono le manifestazioni studentesche pro-Palestina in corso in tutto il mondo occidentale. Si presume che gli studenti, soprattutto quelli universitari, la storia la conoscano bene. Le loro proteste, sedate con la violenza dalla polizia sia in stati dove governa la destra (Italia) che la sinistra (?) (USA) sono la conferma che, per quanto l’informazione possa essere pilotata dai cosiddetti poteri forti affinché l’opinione pubblica accetti pedissequamente una certa verità, ci sono delle fasce di libertà – internet e i social – dove l’informazione alternativa e vera trova spazio per sconfessare quella ufficiale.

Se si fosse proprietari di un palazzo e un giorno il governo venisse a requisire un appartamento per darlo a una famiglia senza casa e se, subito dopo aver preso possesso dell’appartamento requisito, quella stessa famiglia iniziasse a occupare tutti gli altri appartamenti con la forza, i legittimi proprietari dello stabile se ne starebbero a guardare o reagirebbero per riapprioparsi di quanto gli appartiene?

Seppure ho semplificato in maniera estrema, è quanto stanno facendo dal 1948 i palestinesi che si ribellano agli espropri territoriali di Isreale (non a caso si parla di territori occupati)

In risposta a Netanyahu che il 24 aprile, commentando le proteste pro-palestinesi nei campus americani, disse “Tutto questo mi ricorda le università tedesche negli anni trenta”, il senatore Bernie Sanders, democratico ed ebreo, ha risposto: “Non è antisemita chiedere conto delle sue azioni, signor Netanyahu” […] “No, signor Netanyahu non è antisemita o pro-Hamas sottolineare che, in poco più di sei mesi, il suo governo estremista ha ucciso 34 mila palestinesi e ferito più di 78 mila, il 70 per cento dei quali sono donne e bambini.”

Sanders concluse il suo intervento con una frase che non merita ulteriori commenti: “Signor Netanyahu, l’antisemitismo è una forma vile e disgustosa di fanatismo che ha portato dolore per milioni di persone. Ma, per favore non insulti l’intelligenza del popolo americano ( e del mondo intero, ndr) con il tentativo di distrarci dalle politiche immorali e illegali del suo governo estremista e razzista. Non è antisemita chiedere conto delle sue azioni.”

Tutto questo in Italia si può dire e diffondere o facendolo si rischia l’accusa di antisemitismo, qualche manganellata o addirittura il pestaggio da parte di prsesunti fanatici filoisraeliani come sarebbe successo allo chef Rubio?

Mai come in questo momento il passaggio del Giro d'Italia è servito a stemperare per un attimo la tensione tra la popolazione. Anziché inveire contro il Giro, sarebbe il caso di ringraziarlo per il momento di allegria e serenità che ci ha fatto vivere.

POZZUOLI: PER UN ATTIMO IL GIRO D’ITALIA AIUTA A DIMENTICARE IL BRADISISMO

Da mesi a Pozzuoli e in tutta l’area flegrea è in corso una crisi bradisismica con sciami sismici quotidiani anche di trenta e più scosse al giorno, alcune con magnitudo importanti. A seguito di tale situazione, le cui controverse spiegazioni degli esperti non fanno che aumentare l’incertezza anziché sopirla, nella popolazione serpeggiano tensione e paura, alimentando stress non solo nei bambini ma anche negli adulti che spesso la notte faticano a dormire per il timore di essere colti di sorpresa dal terremoto.

A seguito di ciò in tanti mostravano forti perplessità per la tappa del Giro d’Italia Avezzano-Napoli che proprio oggi sarebbe transitata per l’area flegrea attraversando i comuni di Monte di Procida, Bacoli e Pozzuoli. Giustamente chi manifestava le proprie reticenze le motivava con il timore che se durante il giro ci fosse stata una forte scossa, dove si sarebbe dovuto fuggire visto che la circolazione veicolare era interdetta dalle 13 alle 17,30?

Pur comprendendo le ragioni di quanti ragionavano così, se applicassimo la stessa logica alla quotidianetà dovremmo chiudere le scuole, bloccare ogni tipo di attività. In pratica dovremmo fermare la città senza se e senza ma. Purtroppo il terremoto, stando a quanto sostengono gli esperti, non si può prevedere. Ma, sempre stando a quanto sostengono gli esperti, al momento, non ci sono segnali che farebbero presagire al peggio. La crisi in corso rientrerebbe nella normalità del caso specifico.

Nonostante la preoccupazione, ad attendere e salutare il passaggio dei girini lungo le strade c’era tanta gente: famiglie con bambini e anziani che applaudivano al passaggio dei ciclisti; molti scattavano foto e giravano video con i telefonini. Qualcuno addirittura effettuava la diretta Facebook. Una festa che per un attimo ha aiutato le pesone a dimenticare il bradisismo.

Purtroppo, come spesso accade, anche questo evento ha funto da pretesto perché si scatenassero una sequela di polemiche. Non solo per quanto concerne la sicurezza, ma anche il danno economico che il blocco della circolazione avrebbe apportato ai ristoratori, soprattutto nel giorno della festa della mamma.

Tenuto conto che il Giro si svolge una volta all’anno e l’ultima volta che la carovana rosa passò per Pozzuoli fu esattamente due anni fa, pur comprendendo le ragioni dei ristoratori, sorge la domanda se le stesse polemiche si scatenano in quelle città italiane ed estere dove ogni anno si svolgono puntualmente da decine d’anni, a volte oltre cento, eventi sportivi di livello internazionale qual è il Giro d’Italia.

E’ statisticamente dimostrato che in quei luoghi dove si sposano sport e turismo, grazie all’intelligente sinergia tra le amministrazioni locali e le varie associazioni di categoria – commercianti, albergatori, ristoratori – c’è un incremento dell’economia prima durante e dopo la giornata sportiva che, una volta terminato l’evento, già si pensa alla prossima edizione.

Vista l’allerta bradissimo è molto più probabile che la scarsità di avventori nei locali di Pozzuoli, se davvero ci fosse stata, sarebbe da attribuirsi al timore del terremoto anziché al blocco della circolazione.

Mai come in questo momento il passaggio del Giro d’Italia è servito a stemperare per un attimo la tensione tra la popolazione. Anziché inveire contro il Giro, sarebbe il caso di ringraziarlo per il momento di allegria e serenità che ci ha fatto vivere. In tanti ne avevano bisogno!

Come qualcuno ha candidamente supposto, non si può escludere che Fassino possa essere affetto da cleptomania. Ma a questo punto bisogna presumere che anche in altri contesti l’onorevole potrebbe aver trafugato qualcosa sotto lo sguardo sconcertato dei dipendenti e dei vigilanti i quali, presumibilmente intimoriti dal ruolo pubblico del personaggio, hanno preferito glissare sull’episodio nella speranza che non si ripetesse.

FASSINO E QUEL PROFUMO IRRESISTIBILE

Cosa possa aver spinto l’onorevole Piero Fassino del Pd a trafugare dal duty free dell’Aeroporto di Roma, non una ma addirittura tre volte, una boccetta di profumo Chanel Chance dal valore commerciale di 135 euro è difficile da immaginare. Da un politico ci si aspetterebbe un atteggiamento onorevole, come impone la Costituzione. E invece sono anni, ormai, che siamo sempre più assuefatti a più rappresentanti politici, in maniera trasversale da destra a sinistra passando per il centro, che compiono azioni quanto meno riprovevoli, non certo consone a chi, ricoprendo un ruolo istituzionale, dovrebbe onorare il proprio paese e dare l’esempio ai cittadini.

Abituati, aimè, a politici collusi con la criminalità organizzata, corrotti e corruttori, puttanieri (“utilizzatore finale”, citando il compianto avvocato Ghedini di berlusconiana memoria), forse addirittura cocainomani e pedofili o poco meno, l’idea che qualcuno di loro possa svendere la propria dignità rubando una boccettina di profumo fa tristezza, non solo rabbia.

Il pensiero di Fassino che, una volta fermato dalla vigilanza, invitato a mostrare ciò che ha in tasca, affermerebbe “Lei non sa chi sono io!” richiama alla mente quelle commedie cinematografiche degli anni sessanta/settanta in cui si ironizzava sul malcostume degli italiani.

Come qualcuno ha giustamente supposto, non si può escludere che Fassino possa essere affetto da cleptomania. Ma a questo punto bisogna presumere che anche in altri contesti l’onorevole potrebbe aver trafugato qualcosa sotto lo sguardo sconcertato di dipendenti e vigilanti i quali, presumibilmente intimoriti dal ruolo pubblico del personaggio, hanno preferito glissare sull’episodio nella speranza che non si ripetesse.

Ieri sul Fatto Quotidiano Vicenzo Iurillo ha scritto un articolo intitolato Quando chi ruba è “plebeo”, il furto non è mai tenue in cui si ipotizza, in base alle dichiarazioni di un principe del foro, che l’onorevole Fassino potrebbe essere assolto dall’accusa per tenuità del fatto, ovvero per aver compiuto un reato “a responsabilità limitata” come avrebbe detto Cardone del film La Banda degli Onesti con Totò.

Attenuante di cui invece non hanno potuto usufruire alcuni normali cittadini sorpresi a loro volta a rubare nei supermercati merce per pochi euro perché affamati e senza soldi e quindi rinchiusi per mesi nelle patrie galere.

In attesa che dal Pd qualcuno intervenga sulla vicenda per fare chiarimenti, l’imbarazzante silenzio del partito di cui Fassino è un importante rappresentante rimbomba in maniera assordante.

Negli ultimi tempi, a seguito di una serie di episodi sconcertanti che hanno visto protagonisti membri di governo, si è messa in discussione la qualità della classe dirigente dell’attuale esecutivo e della sua maggioranza.

Minimizzare sulla vicenda Fassino, che sta passando in maniera silenziosa su molti giornali e tv, e più che altro in maniera ironica sui social, sarebbe, secondo me, per il Pd un errore che potrebbe ulteriormente aumentare la voglia di astenersi dal votare di una fetta di elettorato del tutto schifato da certa politica.

Se Fassino risultasse affetto da cleptomania si dimettesse e si curasse, premesso che dalla cleptomania ci si possa curare. Diversamente, seppure fosse assolto per tenuità del fatto, agli occhi di molti italiani sarebbe comunque un ladro, seppure a responsabilità limitata, e dunque a sua volta poco credibile come politico.

In quest’ultimo caso cosa farebbe quel partito, che da anni invoca la questione morale in ambito politico, nel momento in cui si troverebbe nelle sua fila un ladro, seppure di boccette di profumo?

 

Quelle scarpette che ora pendono mestamente al chiodo sono il libro che le contengono perché queste storie sono parte della mia vita. Averle vissute lo considero un privilegio, un regalo della vita. Nulla e nessuno può cancellarle, nemmeno l’osteopenia.

Scarpette appese al chiodo ma i ricordi restano vivi.

Chiunque pratichi sport da quando era ragazzo e, raggiunta una certa età, continua inesorabilmente a praticarlo, nel corso degli anni si sarà sicuramente sentito ripetere ironicamente, “ma quando ti decidi ad appendere le scarpette al chiodo?”, se gioca a calcio o corre. Oppure, “ma quando ti decidi ad appendere al chiodo …” qualsiasi altro oggetto caratterizzi la propria passione sportiva.

Io che corro, anzi correvo, dall’età di diciannove anni – tra poco meno di un mese compirò sessant’anni – questa frase me la sono sentita ripetere centinaia di volte. E la mia risposta è stata sempre la stessa, “chi si ferma è perduto!”.

Ora che a causa di un’osteopenia che mi sta lentamente consumando l’osso della caviglia sinistra sono costretto a dover appendere per forza maggiore le scarpette al chiodo, quella frase mi riecheggia in testa in maniera ossessiva come se fosse una sorta di maledizione lanciatami inconsapevolmente e in buona fede da chi ironizzava sulla mia passione sportiva.

Per anni, da solo o con agli amici, ho macinato chilometri con il solo intento di stare bene fisicamente, rilassarmi mentalmente e divertirmi.  Fu grazie alla corsa che conobbi Gennaro con cui mi sono allenato per oltre vent’anni, cementando un’amicizia tuttora viva. E fu sempre grazie alla corsa che successivamente conobbi gli amici della Pozzuoli Marathon e mi accostai all’agonismo.

Non sono mai stato assillato dal tempo. Tuttavia devo ammettere che anche io, soprattutto in gara, mentre correvo lanciavo uno sguardo al cronometro. È inutile negarlo, corsa e tempo sono un mix imprescindibile. Il risultato finale testimonia se i sacrifici che hai fatto in allenamento hanno dato i loro frutti. Quando corri, prima di tutto ti confronti con te stesso. E l’esito del confronto è sancito dal tempo in cui chiudi la gara, ti piaccia o meno. Un secondo in più o in meno rispetto alla prestazione precedente hanno un valore inestimabile che può comprendere solo chi corre.

Al di là delle sfumature agonistiche, personalmente la corsa ha sempre rappresentato un momento di aggregazione e di divertimento. Ricordo con piacevole nostalgia le uscite mattutine con Gennaro; quelle con il gruppo di Luisa del quale faceva parte il compianto Peppe.  Le uscite domenicali con gli amici della Pozzuoli Marathon. Il pianto di gioia di Paolo durante l’ultimo lungo in vista della maratona di Roma, la sua prima maratona. Non credeva a se stesso, dopo oltre venticinque chilometri di corsa, di avere nelle gambe la forza di accelerare senza alcuna fatica: “Vince’, le gambe vanno, le gambe vanno!” urlava felice come un ragazzino con le lacrime agli occhi.

Non dimenticherò mai la dura confessione di un amico, del rancore che nutriva verso il padre per avergli imposto di andare a lavorare subito dopo aver completato la terza media mentre agli altri fratelli aveva permesso di diplomarsi e di intraprendere delle attività professionali di tutto rispetto. A un certo punto, mentre raccontava, iniziò a piangere chiedendosi “Perché? Perché solo a me ha fatto questo?”.

Non dimenticherò mai le tante sfide che inscenavamo tra di noi mentre ci allenavamo e gli sfottò al termine della “competizione”.

Non dimenticherò mai la mia prima Napoli–Pompei di 28 km; le difficoltà organizzative che la caratterizzarono e la scostumatezza di una vigilessa che, mentre transitavamo per Torre Annunziata, anziché fermare il traffico per farci passare, ci mandò candidamente a quel paese.

Non dimenticherò mai la gioia che provai quando tagliai il traguardo della Coast to Coast (Sorrento –Amalfi) Un’emozione indescrivibile testimoniata dal mio sorriso immortalato dal fotografo di gara all’arrivo dopo 34 km di corsa di cui oltre venti sui tornanti della costiera amalfitana.

Non dimenticherò mai la mia prima maratona. Decisi di correrla a Napoli, motivando quella scelta con il presupposto che, se non l’avessi terminata, avrei preso la metro per tornare a casa. In quell’occasione ad affiancarmi c’era Nunzio, amico di tante avventure in gara con il quale feci anche un pellegrinaggio a piedi da Pozzuoli a Pompei. Un momento indimenticabile che, purtroppo, non potrò ripetere sempre a causa di questa maledetta osteopenia.

Non dimenticherò mai le lunghe corse tra le colline del Casentino Toscano quando con la famiglia mi trasferivo a Raggiolo, in provincia di Arezzo, – cosa che faccio tuttora – per trascorrere le vacanze estive. Una mattina di agosto, in previsione della maratona di Firenze che si sarebbe svolta a fine novembre, corsi poco meno di trenta chilometri. Partii da San Piero in Frassino; risalii verso Poppi per poi proseguire per Bibbiena. A Bibbiena salii fin su il paese per poi scendere dal versante opposto a Corsalone e ritornare a San Piero. Un’emozione unica ma una stanchezza non da poco!

Non dimenticherò mai le risate a Telese dove eravamo per la 10 km. Pioveva a dirotto e, in attesa che si facesse l’orario della partenza, ci riparammo in uno dei gazebo allestiti per i top runner. A un certo punto entrò una hostess e cortesemente ci chiese di uscire perché quelle erano le postazione per i top runner. “Signorina, lì c’è il signor Punziano”, dissi risentito indicandogli Nunzio. “Signor Punziano, mi scusi, non l’avevo riconosciuta” rispose lei intimidita. “Non si preoccupi” rispose lui con aria di sufficienza, seduto sul divano con le gamba accavallate come se davvero fosse stato un top. Quando la poverina uscì ci fu una risata corale.

Non dimenticherò mai i tuffi a mare, subito dopo corso, la domenica mattina sul lungomare di Pozzuoli; le risate e le imprecazioni al termine di una gara; la ricerca disperata di un bagno o di un luogo appartato per svotare la vescica prima della partenza.

Non dimenticherò mai la mattina che con Gennaro intavolammo una lunga discussione su quello che entrambi reputavamo fosse il significato della vita. Per oltre un’ora, mentre correvamo, discutemmo in maniera appassionata, esponendo ognuno le proprie considerazioni. La discussione evaporò al sole nel momento in cui i nostri sguardi si posarono su due bei culi di donna che correvano davanti a noi. In un attimo Platone e la spiritualità lasciarono spazio a ragionamenti e commenti ben più pratici …

Non dimenticherò mai la telefonata allarmata di un amico che mi annunciava il decesso in allenamento di un runner di nostra conoscenza. Decesso poi smentito dallo stesso runner quando un amico chiamò a casa sua per accertarsi di quanto fondata fosse la notizia.

Non dimenticherò mai la telefonata in cui mi si annunciò che lo stesso runner oggetto della falsa notizia di alcuni mesi prima quella mattina era stato colto da un malore ed era grave in ospedale: ci lasciò dopo un mese trascorso in terapia intensiva. Paradossi della vita!

Non dimenticherò mai quella volta che, dopo quasi due settimane di stop forzato dovuto a un’influenza, seppure non fossi guarito del tutto, decisi che l’indomani mattina sarei andato a correre. Mentre mi preparavo gli indumenti per la corsa, il mio secongenito che all’epoca avrà avuto tre/quattro anni mi spiava da dietro la porta. All’improvviso corse in cucina dalla mamma e disse, “Mamma, menomale, papà è guarito, domani va a correre!”.

La corsa è stata non solo il termometro con cui misurare il mio stato di salute, ma anche il mezzo attraverso cui scaricare le tensioni della quotidianità. Quelle volte che rientravo da lavoro incazzato nero e bastava una sciocchezza perché esplodessi in maniera rabbiosa, mia moglie mi suggeriva – per essere siceri più che un suggerimento era un’imposizione -, “Perché non vai a correre?”. Sapeva che quello era l’unico modo che avevo per rilassarmi. In effetti, man mano che correvo, era come se mi alleggerissi dai pensieri e dai problemi della quotidianità, lasciando dietro di me un’invisibile scia di negatività. Quando rientravo a casa da quelle sgambate terapeutiche in cui forzavo sull’acceleratore per sconfiggere il mondo ero talmente rilassato che sembravo un agnellino.

Non dimenticherò mai lo stop obbligatorio imposto dal governo ai runner per arginare il covid. Durante il lockdown, la mattina mi alzavo all’alba, scendevo di casa e correvo facendo un’infinità di giri intorno al palazzo con la consapevolezza che dietro alle finestre qualcuno mi spiava, riconoscendo in me un potenziale untore da denunciare alle autorità. Una cosa alienante ma mai come, penso, dovesse essere correre sul balcone o in casa come in quel periodo fecero tanti runner. Qualcuno, addirittura, correndo tra le pareti domestiche, riuscì a completare una maratona: allucinante!

Non dimenticherò mai la gioia che provai quando il governo finalmente decretò che si poteva tornare a correre in strada, seppure imponendo tutta una serie di misure restrittive. Come al solito con cli amici ci davamo appuntamento giù Via Napoli, ma non dovevamo correre in più di due altrimenti rapppresentavamo un gruppo e potevamo essere sanzionati dalle autorità che vigilavano in strada. Per cui corrrevamo defilati uno dietro l’altro, alternandoci al fianco per scambiare quattro chiacchiere, tenendoci distanziati di un metro, come imposto all’epoca dalla legge, per non correre il rischio di infettarci, essere fermati e denunciati. Oggi tutto ciò sembra un’assurdità ma all’epoca era necessario per fronteggiare il “nemico” invisibile.

Poiché le scarpette vanno cambiate mediamente ogni 500/600 chilometri in quanto la suola, consumandosi, perde l’ammortizzazione diventando pericolosa per le articolazioni, negli anni di scarpette ne ho cambiate un bel po’. Ogni paio che ho calzato lo considero un quaderno su cui ho scritto le mie storie di runner.

Quelle scarpette che ora pendono mestamente al chiodo sono il libro che le contengono tutte perché queste storie sono parte della mia vita. Averle vissute lo considero un privilegio, un regalo della vita. Nulla e nessuno può cancellarle, nemmeno l’osteopenia.