L’ELETTORATO E’ SEMPRE PIU’ ESIGENTE

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“L’elettorato è diventato più esigente rispetto ad anni fa e quindi è da comprendere nelle prossime settimane come e se si tradurrà il valore delle promesse in termini di voto, soprattutto per quei profili elettorali che vogliono riconoscersi in scelte razionale e realizzabili”. Così chiude il suo pezzo di questa mattina su Il Fatto Quotidiano il sondaggista Antonio Noto parlando di Renzi, quantizzando la percentuale di credibilità che le sue promesse elettorali susciteranno fino al 4 marzo nell’elettorato di centrosinistra per poi trasformarsi in voti.

Ovviamente l’esigenza dell’elettorato, ai cui occhi i politici tendono a perdere sempre di più credibilità, non può e non deve restringersi unicamente a Renzi bensì va estesa indistintamente a tutti i leader politici. Nessuno escluso.

A rendere poco credibili i leader dei vari schieramenti sarebbero proprio le promesse e gli impegni che stanno facendo e assumendo in campagna elettorale. Comportandosi verso l’elettorato come se si trovassero al cospetto di un branco di illusi che pende dalle loro labbra. Anziché una platea tendenzialmente smaliziata, anche grazie ad internet e ai social che, per quanto se ne possa dire il peggio del peggio, hanno l’indiscusso merito di aver creato un’alternativa di informazione rispetto a quelle classiche – giornali, televisioni e radio – sempre più sottomesse ai partiti, e per questo sempre meno credibili agli sguardi di un’ampia fascia di elettori.

Non basta certe urlare “al lupo, al lupo” – in questo caso il lupo sarebbero le cosiddette fake news, notizie false, che verrebbero diffuse in rete da ipotetiche spectre straniere per orientare il voto verso una determinata forza politica a loro cara – a dissuadere gli elettori dall’informarsi anche in rete.

Per quanto la rete sia un mare magnum dove si può trovare di tutto e di più, sia nel bene che nel male, ad essa va riconosciuto il merito di aver concesso l’opportunità di far sentire la propria voce a quanti fino a ieri non riuscivano a comunicare con l’esterno perché esclusi dal range dell’informazione classica cui si accedeva solo se si apparteneva o si era sponsorizzata da una determinata elite.

Per quanto oggi le voci siano molteplici al punto da confondersi, l’esigenza crescente di una buona fetta di elettorato nei confronti della politica nasce proprio dalla pessima abitudine di quella stessa politica di trattare l’elettorato come un branco di pecore pronte a seguire il pastore.

Oggi sempre più elettori, seppure a malincuore, non danno più credibilità ai propri leader in quanto delusi dal loro comportamento. Sarebbe questo il caso di Renzi, sempre più inviso agli operai perché con le sue politiche sul lavoro li ha privati dell’articolo 18 e grazie al Jobs Act ha aumentato il precariato.

Dopo anni di promesse da marinai propinate dai politici ai cittadini per migliorare il paese e la loro condizione, cui al netto stona la disastrata realtà nazionale, è ovvio che una grossa fetta di elettorato non dia più credibilità ai politici. Addirittura nei loro confronti si mostra quanto mai esigente.

Lunghi anni di prese per i fondelli da parte dei politici hanno forgiato in una buona fetta di italiani una spessa protezione alle loro balle che difficilmente i comizi pubblici e le comparsate televisive possono penetrare. Anzi, non si può escludere che la rafforzino!

MEZZA MARATONA DI NAPOLI, SEMPRE PIU’ IN ALTO!

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Fino a pochi anni fa non vi era runner napoletano o campano che non lamentasse l’incapacità degli organismi regionali FIDAL e delle autorità  cittadine, Comune in primis, di organizzare in una città di livello internazionale qual è Napoli un evento podistico che fosse in grado di competere con quelli collaudatissimi di altre città italiane tipo Roma, Firenze, Milano, Venezia, dove migliaia sono i partecipanti. Per diciotto edizioni a Napoli si è organizzata la maratona e ogni edizione era come se fosse la prima vista l’assoluta inconsistenza organizzativa che determinava il calo di iscrizioni per l’anno successivo fino a decretarne la scomparsa.

Ci è voluto prima la tenacia e l’esperienza di Benny Scarpellino e successivamente la fondazione della Napoli Running perché Napoli entrasse di prepotenza nell’elite del podismo mondiale organizzando una mezza maratona che nel giro di un triennio, da poco meno di duemila partecipanti, superasse i seimila iscritti, di cui circa 700 stranieri e oltre 2000 provenienti dalle altre regioni italiane.

Sono questi gli incredibili numeri registrati dalla Napoli Half Marathon svoltasi domenica 4 febbraio. Un successo senza precedenti che grazie all’impeccabile organizzazione e al circuito quanto mai veloce come quello disegnato quest’anno, certamente per l’edizione del 2019 porterà a sfiorare i diecimila iscritti. Se non addirittura a superarli…

Un successo quella della mezza maratona di Napoli, non solo in termini sportivi ma prima di tutto sociali se si considera che, nonostante l’innata ritrosia dei napoletani verso il blocco, seppure parziale, delle auto, ieri fino al termine della competizione, le strade cittadine deputate a campo di gare erano sgombre da veicoli. Ciò è stato possibile grazie all’impeccabile servizio d’ordine della polizia municipale che, in sinergia con le centinaia di volontari sparsi sul percorso, ha assicurato la neutralità del campo di gara dai veicoli.

Ieri Napoli ha vinto prima di tutto in termini sociali e turistici: la presenza in città di migliaia di runner provenienti da ogni dove ha favorito a livello di immagine la città e economicamente l’intero indotto che gira intorno a un evento del genere simile rappresentato da alberghi, ristoranti, pizzerie, musei e quant’altro.

L’impeccabile organizzazione sportiva certamente determinerà per il prossimo anno un ulteriore incremento di partecipanti da cui ne trarranno benefici non solo la gara in sé ma l’intera città.

Inoltre, sulla scia del successo della mezza maratona, il 2019 dovrebbe essere finalmente l’anno della maratona. Una sfida nella sfida.

Un augurio agli organizzatori.

Buona corsa a tutti!

IN CAMPAGNA ELETTORALE I POLITICI DIVERTONO PIU’ DEI COMICI

 

A poco più di un mese dalle elezioni, la campagna elettorale è entrata nel vivo. Promesse trite e ritrite da almeno vent’anni ci vengono propinate per l’ennesima volta in maniera nauseante dai vari partiti e schieramenti politici nella speranza, se non addirittura nella certezza, di fare in questo modo breccia nelle nostre preferenze elettorali. Nessuno escluso dei politici che dai vari studi televisivi, teatri o cinema in cui si alternano per diffondere il proprio verbo salvifico alla nazione – ovviamente “salvifico” inteso in chiave politica – si preoccupa minimamente se chi li ascolta non lo faccia semplicemente perché, nel caso guardi la televisione, resta sintonizzato sul canale che li trasmette perché su altri non c’è nulla di meglio e allora preferisce divertirsi ascoltando le loro favole o assistere alle loro liti; o se, nel caso il politico si esibisca in un cinema o teatro, il pubblico che riempie la sala non stia lì semplicemente perché deve starci essendo stato precettato in quanto composto da iscritti al partito. E dunque gli applausi in sala che ne acclameranno l’intervento avranno lo scipito sapore di quelli di una qualsiasi claque che applaude a comando.

Nessuno o quasi dei nostri politici ha più il coraggio di recarsi in mezzo alla gente – nei mercatini rionali, nelle piazze o in qualsiasi altro luogo pubblico all’aperto – per percepirne gli umori, ascoltare dalla viva voce quali sono le reali esigenze del popolo. La sensazione è che ormai una buona parte dei nostri politici tema il confronto diretto con la gente come se in cuor loro sapessero di essere in forte debito verso i cittadini avendo, una volta assurti alle stanze del potere, disatteso le promesse fatte in campagna elettorale, e perciò alle piazze e ai luoghi pubblici all’aperto cui tutti possono accedere, preferiscono trincerarsi in uno studio televisivo o in luoghi chiusi dove l’accesso è ristretto ai soli militanti.

Forte è la sensazione che nemmeno per un istante i nostri politici non si pongono il dubbio se, talmente assuefatti alle loro promesse da marinai, la stragrande maggioranza di cittadini non abbia già deciso chi votare o addirittura se recarsi o no a votare.

Gli ascolti di successo di un talk show non sono affatto garanzia di successo per il politico di turno che vi partecipava. Così come i risultati dei sondaggi non sono affatto dogmatici. Spesso infatti gli interpellati rispondono in maniera opposta a quelle che invece sono le reali intenzioni, divertendosi al momento del voto a sparigliare i giochi che sembravano già fatti.

Se mai come oggi la classe politica è invisa ai cittadini un motivo ci sarà pure.

Ascoltare un politico pregiudicato per frode fiscale affermare che, se andrà al governo, si batterà per combattere l’evasione fiscale incrementando le pene per chi evade le tasse è più divertente di una barzelletta.

Così come è spassoso ascoltare chi inserì il canone RAI nella bollette dell’ENEL affinché lo pagassero tutti, dichiarare che se vincerà le elezioni lo abolirà; o scoprire che chi si batteva perché il Senato fosse soppresso si candiderà in quello stesso ramo del Parlamento.

Per non parlare di chi si candida in un collegio lontano centinaia di chilometri dalla propria zona di residenza perché se si candidasse laddove dimora rischierebbe di non essere eletto in quanto mal visto dai propri cittadini per problemi legati al salvataggio di una banca locale, di cui il papà era vicepresidente, che ha mandato in frantumi i risparmi di migliaia di correntisti della propria città.

C’è poco da dire, contrariamente a quanto sembrerebbe, Beppe Grillo non sarebbe l’unico comico che si aggira nella politica italiana.

Quel che è grave è che sempre più spesso i dilettanti fanno ridere più del professionista!

PRESENTAZIONE SAGGIO SULLA STORIA DELLE RELIGIONI

presentazione libro di bonito

Ieri sera a Pozzuoli presso l’ARTGARAGE, nell’ambito della rassegna culturale ArtinGarage diretta da Giovanni Biccari, si è presentato il saggio PROFEZIE-MIRACOLI-INCANTESIMI del professore Vincenzo Di bonito. Relatori la sociologa Alma D’Onofrio, il professore Nicola Magliulo e il sottoscritto.

Di seguito pubblico le riflessioni che mi ha suscitato la lettura del libro.

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Chi ha la fortuna di conoscere Enzo Di Bonito sa benissimo che coltiva svariati interessi, tutti con la massima serietà e abnegazione: corsa, viaggi, produzione di vini, studio di argomenti storici e politici; non tralasciando di trasporre su carta le proprie impressioni al fine di condividerle tra gli amici o finanche inviarle via e-mail a personaggi pubblici di livello locale e nazionale per manifestare loro quali, a suo parere, sarebbero le loro mancanze rispetto ai cittadini verso cui avevano assunto impegni e responsabilità.

Coltivando a mia volta sia la passione per la corsa sia quella per lo studio di argomenti storici e filosofici, nonché quella per la scrittura, è stato naturale, quando abbiamo avuto modo di conoscerci, che tra di noi si instaurasse un’intesa intellettuale che spesso ci ha indotti a correre insieme per lunghi tratti non solo per preparare una maratona, ma come semplice pretesto per discutere di argomenti di interesse comune come appunto la storia delle religioni.

Più volte, correndo insieme, Enzo mi palesava l’intenzione di scrivere un saggio sulle religioni. Puntualmente, dopo averlo ascoltato, non mi stancavo di ripetergli che si trattava di un progetto ambizioso che sicuramente lo avrebbe impegnato in un lungo e approfondito lavoro di ricerca. E inoltre avrebbe richiesto un’attenzione particolare nella scelta del “linguaggio” tenendo conto del pubblico cui si voleva rivolgere.

Con l’umiltà che lo contraddistingue Enzo ha sempre ammesso che mai avrebbe avuto la pretesa di scrivere un trattato universitario; che prevedeva la realizzazione di un libro alla portata di chiunque volesse approcciarsi all’argomento pur non avendo fatto studi specifici. Un manuale che spiegasse sommariamente, senza entrare nel merito, perché nacquero le religioni, cosa le contraddistingue e cosa hanno in comune tra di loro. Una sorta di Bignami che sintetizzasse un argomento complesso, spesso origine sia di conflitti bellici, sia causa della sottomissione della condizione femminile, malgrado in apparenza tutte le religioni condannino la violenza contro la donna considerandola un fiore da coltivare, amare e proteggere perché nel proprio grembo si sviluppa la vita.

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L’inizio del nostro viaggio – la lettura di un libro è sempre un viaggio, e non a caso nelle riflessioni finali Enzo scrive: “avventurarsi nello studio delle fedi, dei culti e delle credenze che sin dalla loro origine a tutt’oggi hanno sempre condizionato l’esistenza umana, è stato come intraprendere un viaggio nell’indefinito oceano della conoscenza” – incomincia con il narrare l’origine delle religioni partendo dalla preistoria e finendo ai Sumeri e agli ebrei, passando per gli egizi, i greci e i romani. Non trascurando le confessioni dell’estremo oriente e quelle cosiddette minori.

Mediante un linguaggio semplice e lineare, senza mai incorrere nella retorica, né perdersi in aggettivazioni superflue che avrebbero reso il testo “indigesto”, come se stesse parlando a un amico mentre corrono insieme, Enzo ci spiega che la prima forma di religione nacque allorché l’uomo primitivo, ritenendosi figlio di quella stessa natura da cui traeva ogni forma di sostentamento, non solo per nutrirsi ma per tutto ciò che fosse utile all’esistenza, istintivamente fu portato a divinizzarla – stiamo parlando di quella figura divina che in alcune culture veniva identificata con l’appellativo di Grande Madre – dando vita a tutta una serie di culti per celebrarla e onorarla. Culti che non escludevano i sacrifici umani le cui vittime sacrificali, in alcuni casi, erano gli stessi sacerdoti o sovrani le cui funzioni anticamente contemplavano non solo quelle politiche ma anche quelle sacerdotali. In epoche successive le vittime di questi sacrifici vennero scelte tra i prigionieri di guerra, o tra fanciulli e fanciulle vergini la cui integrità fisica era ritenuta condizione imprescindibile perché la divinità apprezzasse il sacrificio, e in cambio intercedesse positivamente nella realizzazione delle vicende umane per cui era stata invocata: abbondanza del raccolto e della caccia, successo in una guerra e quant’altro. La castità non era condizione indispensabile solo per chi doveva essere sacrificato alla divinità ma anche per chi doveva mettervisi in contatto e fungere da tramite con gli uomini. È il caso delle cosiddette “pupille” di cui anticamente i sacerdoti si servivano per conoscere il responso della divinità. Le pupille, termine che appunto richiama l’occhio, erano fanciulle vergini dotate di una spiccata sensibilitàper cui riuscivano a “vedere” la volontà di dio e la comunicavano agli uomini direttamente o mediante i sacerdoti che le interpellavano. La castità dei sacrificati, delle pupille e delle sacerdotesse era un marchio di qualità che ne affermava, almeno avrebbe dovuto affermarne, la purezza morale e dunque lo splendore dell’anima, condizione indispensabile per garantirsi l’intercessione della divinità, o quanto meno di alcune divinità. Tuttora tale condizione è imposta a quanti decidono di farsi preti e suore. Che poi venga rispettata, attenendoci ai fatti di cronaca, qualche dubbio è legittimo …

È innegabile che religione e questione morale sono interconnesse, seppure potrebbero tranquillamente camminare separate.

Parlando del totemismo, una pratica religiosa basata sull’adorazione di un oggetto di forte valore simbolico, a un certo punto Enzo scrive: “in molte culture totemiche lo sciamano, ossia lo stregone, officiava un rito di “comunione”, dove il totem veniva fatto a pezzi e dato in pasto all’assemblea.[…] Questo rito può essere considerato come una disseminazione ierofanica del tutto simile alla moltiplicazione dei pani e dei pesci del rito Cristiano di cui si narra nei vangeli.”

Questa similitudine tra il cibo offerto dallo sciamano e il pane spezzato e offerto da Gesù ai discepoli durante l’ultima cena istituendo l’eucarestia, formalmente si chiama sincretismo religioso – ossia una convergenza di aspetti ideologici originariamente inconciliabili tra loro. Studiando la storia delle religioni, tale sincretismo lo ritroveremo ripetutamente. Ad esempio tra la religione greca e quella romana nel cui pantheon, ossia tempio sacro, rinveniamo che le divinità adorate dai romani in realtà avevano tutte le caratteristiche di quelle adorate dai greci ma con nomi latinizzati.

Sempre riguardo al sincretismo religioso, è interessate che molti aspetti della religione sumera si riscontrino in quella ebraica a conferma che, come sostengono gli studiosi e avallano i tanti ritrovamenti archeologici effettuati nell’area della Mesopotamia, la religione ebraica trarrebbe origine da quella sumera se non ne fosse addirittura un prolungamento.

Inoltre, a testimonianza dello stretto legame religioso tra queste due culture vi sarebbe la somiglianza dei fatti narrati nel Libro di Enki, il libro sacro dei sumeri, con quelli raccontati in alcuni libri della bibbia, in particolare il libro della Genesi che narra della creazione del mondo.

Per quanto concerne Pozzuoli tale sincretismo lo scorgiamo nell’edificazione del duomo sui resti del Tempio di Augusto. Così come molti altri importanti luoghi di culto cristiano vennero edificati sulle vestigia di siti pagani. Ufficialmente ciò avveniva per affermare la potenza del culto cristiano su quello pagano. Tuttavia non si può escludere che la scelta non tenesse a sua volta anche conto della natura tellurica del luogo, ovvero delle energie geofisiche che vi si sprigionavano – come ad esempio a Delfi dove il famoso tempio dell’oracolo, s’è poi scoperto, fu edificato su un’area da cui si sprigionavano gas che avevano la capacità di alterare lo stato di coscienza degli individui che li respiravano, inducendo a credere che fossero invasati dalla divinità – inducendo gli antichi a identificarvi il punto esatto in cui la Madre Terra manifestava la propria forza, edificando in quel luogo un tempio per celebrarla. In ambito iconografico, un’immagine che sincreticamente richiama alla memoria la Madonna con il bambino Gesù è quella della dea egiziana Iside con in grembo suo figlio Horus. Se vi divertite a sovrapporre le due immagine, vedrete che in molti casi combaceranno perfettamente!

Il passaggio da un tipo di religione animista, dove la natura è divinizzata, a una mitizzata, dove figure divine antropomorfe, ossia dalle fattezze umane, esterne all’ambiente in cui l’uomo vive, impongono il proprio ascendete sull’esistenza umana e alle quali l’uomo si rivolge in preghiera per trarne benefici o chiedere perdono per i propri peccati, sarebbe l’anticamera dell’avvento delle religioni rivelate – ebraismo, cristianesimo e islam – le quali individuano la propria origine nel patto stilato tra Abramo e Dio il cui nome Jehova per assonanza ricorda quello romano di Giove.

Stando a quanto afferma Vincenzo parlando dell’islam fondato da Maometto dopo una visione dell’arcangelo Gabriele, contrariamente a quanto sembrerebbe da quello che apprendiamo dai media allorché raccontano della condizione di schiavitù in cui versano le donne islamiche, esso imporrebbe di onorare e rispettare la donna. Scrive Vincenzo: “La diffusione del Corano introdusse in Arabia anche un diritto islamico che regolamentò i forti squilibri sociali che c’erano e, in modo significativo, concesse alla donna una serie di diritti sino allora considerati inimmaginabili in una società tribale maschilista. Nella cultura araba preislamica la nascita di una femmina era considerata una vera e propria disgrazia per la famiglia tanto da indurla a liberarsene immediatamente, fino a seppellirla viva subito dopo il parto.”

Per quanto riguarda il cristianesimo esso sarebbe una derivazione edulcorata dell’ebraismo. Infatti mentre in molti libri del Vecchio Testamento si dà un’immagine di Dio furioso, vendicativo, che punisce chi non obbedisce alla sua volontà, il Dio professato da Gesù e dai suoi discepoli nel Nuovo Testamento è un Dio d’amore che giunge a farsi carne e a morire per poi resuscitare per salvare l’umanità dai propri peccati. Che nel Vecchio Testamento -il termine testamento intende Alleanza tra Dio e l’uomo – vi siano molti aspetti controversi è innegabile. Uno di questi segnalato da Vincenzo è il fatto che tra gli ebrei fosse consentita la schiavitù malgrado la bontà divina.

Dopo le religioni rivelate, Vincenzo discute di quelle tibetane, in particolare di quella induista e buddista, evidenziandone la differenza con quelle rivelate: mentre queste ultime si rivolgono a un Dio esterno all’ambiente in cui l’uomo vive, quelle induiste potremmo definirle intimiste in quanto il loro dio albergherebbe nell’animo umano e solo mediante un’accurata meditazione, tesa a isolare l’individuo dall’ambiente esterno, unitamente a una condotta di vita morigerata, può consentirgli di mettersi in contatto con la divinità racchiusa nel proprio sé.

In pratica se per le religioni rivelate l’uomo e la divinità sono entità distinte, e l’uomo per assurgere a Dio deve condurre un’esistenza in assoluta osservanza con i dogma religiosi, per quelle orientali l’uomo sarebbe potenzialmente una particella della stessa divinità che, lasciatosi ammaliare dalla materia, avrebbe perso la cognizione della propria identità divina. E per riconquistarla dovrà sottostare al ciclo delle rinascite, samsara, fino a quando, iniziando a vivere in sintonia con le leggi divine, non si sarà liberato dal soma dell’esistenza materiale regolato dal karma, vera e propria legge di compensazione per cui, in rapporto a come l’uomo agì nelle precedenti vite, se ne determineranno lo stato sociale, le gioie o le sofferenze in quelle successive. Alimentando un circito di ripetute esistenze, reincarnazione, che potrà interrompersi solo quando allineandosi al volere di dio e praticando tutta una serie di esercizi spirituali fondati sulla meditazione per realizzare il contatto con il proprio Sé interiore, l’uomo raggiungerà il nirvana, ossia il distacco assoluto dalla materia con conseguente “assorbimento” nella divinità, scopo finale dell’esistenza umana secondo le religioni orientali.

Essendo ogni religione il riflesso della società che la professa non sbaglieremmo ad affermare che, anziché l’oppio dei popoli, la religione potrebbe considerarsi lo specchio dei popoli. Ossia lo strumento, o quanto meno uno degli strumenti che ci consentirebbe di comprendere esattamente, attraverso lo studio dei diversi culti sviluppatisi nel corso della storia umana, come si siano evoluti nel tempo i nostri avi.

Non a caso nelle riflessioni finali a margine del libro, a un certo punto Enzo scrive, “In natura niente è statico e tutto muta. Come tutte le cose che appartengono alla natura anche la religione sin dalla sua remota comparsa è stata soggetta a continui mutamenti, che nel corso dei secoli l’hanno vista adeguarsi e adattarsi alle nuove scoperte scientifiche e ai nuovi modelli comportamentali in cui si era evoluta la società”.

Essendo a sua volta l’uomo inalienabile dalla natura, seppure mai come oggi agisce come se ne fosse il padrone, scavando a ritroso nel tempo, ci renderemmo conto che anche le religioni, volente o nolente, si sono dovuto adeguare ai tempi.

La necessità di tale adattamento impose alla chiesa dei primordi di indire nel 325 d.c. un concilio nella città turca di Nicea cui parteciparono i vescovi di tutte le regioni in cui stanziassero comunità cristiane per stabilire quali dovevano essere, tra tutti i tomi che fino allora componevano la letteratura cristiana, i testi che avrebbero continuato a regolamentarla canonicamente, e quelli che invece dovevano essere banditi come apocrifi perché gli insegnamenti in essi contenuti non erano in sintonia con le esigenze di potere, spirituale e temporale, della chiesa dell’epoca.

Laddove la religione non si conforma ai tempi, ma pretende che leggi redatte anticamente vadano bene anche in epoca moderna, si pongono le basi per la nascita dei fondamentalismi religiosi che, rinnegando in maniera ottusa la modernità ritenendola opera di Satana, in virtù di un’inadeguata capacità interpretativa o per malafede di chi ha il compito di spiegare tali testi, esigere che l’uomo viva alla lettera gli insegnamenti divini come se la società si fosse mummificata a un remoto passato, alimenta l’arretratezza culturale e sociale.

La crisi del cristianesimo, registrata dal calo di fedeli degli ultimi anni, sarebbe imputabile non solo a un agire contraddittorio da parte delle autorità ecclesiastiche che, pur predicandola, spesso disattendono alla volontà divina agendo in maniere del tutto opposta rispetto a quanto essa impone – vedi la triste vicenda dei preti pedofili o gli scandali finanziari in cui sono coinvolti importanti prelati – alimentando confusione e rabbia nei fedeli; ma proprio a un non voler accettare che i tempi sono cambiati e che le regole imposte ai propri fedeli, seppure sacre, furono istituite per uomini di epoche remote, i quali versavano in condizioni di tale ignoranza e bestialità che, per tenerne a freno la barbarie, erano necessari rigidi precetti.

Questo sembra averlo ampiamente compreso Papa Francesco che, non a caso per la propria visione liberale aperta agli omosessuali e ai divorziati, è oggetto di attacco da parte delle frange ortodosse del cattolicesimo.

Concludo questa mia esposizione con una provocazione, sperando che Enzo la colga e magari l’affronti in un prossimo volume o in una nuova edizione riveduta e aggiornata dell’attuale: nell’odierno panorama editoriale si sta facendo strada il nome di Mauro Biglino. Per anni traduttore dei testi biblici per conto delle Edizioni Paoline, Biglino sta scalando i vertici delle classifiche letterarie pubblicando saggi che in breve sono diventati bestseller in cui si dimostrerebbe che la Bibbia e il Vangelo non sarebbero affatto libri sacri bensì testi di storia malamente tradotti dall’ebraico antico – vuoi per incompetenza dei traduttori, vuoi per slealtà da parte delle autorità religiose del passato -; in cui, stando a Biglino, Dio e le sue schiere di angeli non sarebbero entità ultraterrene bensì colonizzatori provenienti da altri pianeti i quali avrebbero creato l’uomo operando tutta una serie di manipolazioni genetiche sull’animale terrestre che per caratteristiche fisiologiche era più affine a se stessi, modificandone il DNA, fino ad ottenere l’uomo. Sarebbe proprio questo ipotetico “passaggio” l’anello di congiunzione mancante tra la scimmia e l’uomo che fa traballare la teoria evoluzionistica di Darwin. Nello stesso tempo sarebbe anche uno dei cardini della teoria creazionista che sta prendendo piedi negli ultimi dieci anni secondo cui la creazione sarebbe avvenuta per intercessione di una “mano” esterna al mondo: alcuni ritengono che essa fosse un meteorite schiantatosi sulla terra, altri ipotizzano l’intervento di una civiltà extraterrestre. Ciò però non escluderebbe l’esistenza di dio inteso come creatore del tutto in quanto qualcuno avrebbe a sua volta dovuto creare questi ipotetici alieni e i mondi da cui proverrebbero …

A prescindere da come si sarebbero svolti i fatti, è indiscutibile che la religione ha svolto e tuttora svolge una funzione prioritaria nello sviluppo sociale degli uomini. Che poi essa sia stata presa a pretesto da alcuni per sottomettere le masse inermi allo scopo di affermare il proprio dominio su di esse è altrettanto indiscutibile.

Con il suo libro Enzo Di Bonito ci munisce di uno strumento prezioso per iniziare un cammino di riflessione sulla storia dell’umanità e su noi stessi. Sta a noi decidere se approfondirlo o fermarci a questa stazione.

 

SIAMO IN CAMPAGNA ELETTORALE, CHI OFFRE DI PIU’?

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Dopo aver ascoltato per ben quattro anni la stragrande maggioranza dei nostri politici inveire contro i demagoghi e i populisti in politica, leggi M5S, mettendo i cittadini in guardia contro di loro, auspicando che non vincessero mai le elezioni per evitare che il paese andasse allo sfascio, (oddio, viste le condizioni drammatiche in cui versa da anni l’Italia, soprattutto per quanto concerne la disoccupazione, giovanile e non, sorge il dubbio che negli ultimi 25 anni, ossia da quando, a seguito di mani pulite, è iniziata la Seconda Repubblica, a governarla siano stati proprio quegli stessi populisti oggi avversati dai “vecchi” partiti), a seguito anche dell’appello del Presidente della Repubblica durante il discorso di fine anno in cui invitava i partiti ad impostare la campagna elettorale su “proposte adeguate – proposte realistiche e concrete”, in molti immaginavamo, quanto meno speravamo, che la prossima campagna elettorale si sarebbe caratterizzata, almeno quella dei partiti “capaci”, con proposte “realistiche e concrete”.

Quando poi ascolti Renzi segretario del PD affermare di voler abolire il canone RAI che lui stesso, all’epoca in cui era Premier, inserì nella bolletta dell’ENEL riducendolo a 90 euro, affinché lo pagassero tutti; o l’uscente Presidente del Senato Pietro Grasso, leader di Liberi e Uguali, annunciare di voler abolire le tasse universitarie, proposte tra il controverso – quella di Renzi – e il populismo – quella di Grasso. Non trascurando Salvini della Lega che vorrebbe modificare o addirittura abolire la Legge Fornero, senza però spiegare esattamente dove prenderebbero poi i soldi per compensare il gettito mancante che tali soluzioni produrrebbero nelle casse dell’erario – per la RAI Renzi propone l’abolizione del tetto pubblicitario, cosa che la renderebbe alla stregua di una televisione commerciale, con conseguente calo della qualità del prodotto a danno degli spettatori. Per quanto concerne l’abolizione delle tasse universitarie, secondo esperti del settore, paradossalmente a beneficiarne sarebbero i ceti più abbienti. Riguardo l’abolizione della legge Fornero essa significherebbe per lo Stato rinunciare a 350 miliardi di euro di risparmi sino al 2060, con un buco nel decennio 2020-2030 di circa un punto Pil ogni anno, ovvero 17 miliardi di euro all’anno. Una vera mazzata per l’economia del nostro paese.

Ascoltando tali sirene è impossibile non cadere preda dello scoramento.

Sono per lo meno 23 anni, ossia da quando Berlusconi vinse per la prima volta le elezioni, che puntualmente in campagna elettorale sentiamo in maniera trasversale, da destra a sinistra passando per il centro, la proposta/promessa di riduzione drastica delle tasse e aumento dei posti di lavoro, dei salari e delle pensioni.

Dal 1994 la disoccupazione, soprattutto quella giovanile, seppure in maniera altalenante, è cresciuta con picchi preoccupanti negli ultimi 10 anni. Facendo registrare negli ultimi anni il fenomeno dei giovani italiani che espatriano alla ricerca di lavoro, a conferma che, contrariamente a quanto sostengono i vari partiti in campagna elettorale, nessuno di loro possiede la ricetta giusta per risolvere i problemi del paese. Oppure nessuno di loro è in grado di realizzarle. E qui cadrebbe il mito dei capaci al governo rispetto agli incapaci che potrebbero governarlo, ovvero i populisti.

Diversamente, da tangentopoli in poi saremmo dovuti diventare un paese virtuoso, partendo dalla pubblica amministrazione dove invece tuttora si annida il cancro della corruzione.

Sarebbe il caso che i nostri governanti in pectore, nessuno escluso, si mettessero bene in testa che, più che non pagarle, gli italiani le tasse vorrebbero pagarle, come del resto fa la stragrande maggioranza di loro che se le vedono detratte a monte dalla busta paga o dalla pensione, ricevendone in cambio i servizi pubblici per cui le pagano.

Pagare le tasse e poi essere costretti a iscrivere i propri figli nelle scuole private per confidare che ricevano un’istruzione adeguata al mercato del lavoro; dover ricorrere alle cliniche private per curarsi visto i ciclopici tempi di attesa per effettuare un qualsiasi esame o intervento in una struttura pubblica non è certo da paese civile!

Anziché fare proclami populistici contro i populisti, i nostri politici iniziassero a essere più realistici e concreti.

Molti italiani sono stanchi di sentirsi raccontare le favole ogni volta che si apre la campagna elettorale. O almeno sono stanchi di sentirsele raccontare dalle solite voci oramai stonate!

E SE QUEI SACCHETTI FOSSERO LA GOCCIA CHE FARA’ TRABOCCARE IL VASO?

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All’indomani dell’audizione in Commissione di inchiesta parlamentare sulle banche di Vegas in cui l’ex numero uno di CONSOB, riguardo al crack di Banca Etruria, ammise d’aver parlato con l’allora Ministra delle Riforme Maria Elena Boschi preoccupata per le sorti di Etruria che rischiava d’essere “incorporata dalla Popolare di Vicenza e questo era di nocumento per la principale industria di Arezzo che è l’oro”, (da più parti tale interessamento della Boschi è considerato come un conflitto d’interessi, essendo suo padre vice presidente della banca), durante una puntata di Otto e Mezzo il giornalista Beppe Servegnini si mostrò infastidito dall’insolito interessamento con cui l’opinione pubblica seguiva la vicenda, probabilmente senza nemmeno sapere chi fossero Vegas e la CONSOB, discutendone addirittura in autobus o in metro come solitamente fa parlando di calcio, inducendo la Gruber a fargli notare che forse non era un male se le persone se ne interessavano.

Da quando dall’inizio del nuovo anno per legge i supermercati sono obbligati a far raccogliere ai clienti la frutta e gli ortaggi in sacchetti biodegradabili e compostabili la costo di 0,02 centesimi, soprattutto sui social s’è scatenata una sorta di rivoluzione contro il provvedimento non affatto imposto dall’UE, come invece in molti vorrebbero far credere, ma deciso dal governo Gentiloni.

Questo impeto rivoluzionario di una fetta di popolazione la quale ritiene un sopruso dover pagare i sacchetti per la frutta, seppure a un costo irrisorio, sta suscitando l’ironia di molti secondo cui gli italiani dovrebbero ribellarsi per ben altri aumenti e vessazioni.

Sempre accusati di disinteressarsi delle sorti del proprio paese, di subire accidiosamente ogni presunto sopruso gli venga imposto, di preoccuparsi seriamente solo di calcio, stupisce che, nel momento in cui mostra attenzione verso vicende pubbliche e politiche o reagiscono rabbiosamente a quello che ritengono un abuso, i cittadini, seppure una piccola parte, debbano essere derisi.

Non si può escludere che l’imposizione obbligatoria dei sacchetti biodegradabili a pagamento possa tramutarsi nella goccia che fa traboccare il vaso; che, stanchi di subire quello che ritengono l’ennesimo sopruso economico, gli italiani si destino dal “letargo”, smettendola di essere miti pecore al seguito del pastore, trasformandosi in popolo vero.

Cosa auspicata, a parole, da tanti giornalisti e sociologi. Che però, quando il popolo mostra un impeto di dignità e orgoglio, non si fanno scrupoli di trattarlo con sufficienza, sminuendone l’agire. In alcuni casi giungendo addirittura a deriderlo.

Il seme di una quercia sta nel palmo di una mano eppure in sé racchiude un gigante!

NEL 2018 TORNEREMO 24 ANNI INDIETRO, BUON ANNO!

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Facciamocene una ragione, l’anno appena iniziato, per quanto riguarda la politica, né più né meno, sarà più o meno come il 2017 che lo ha preceduto. Così come il 2017, più o meno, fu all’insegna del 2016 che lo precedette e così via, andando a ritroso almeno fino al 1994, anno in cui Forza Italia, il nuovo partito fondato all’epoca da Silvio Berlusconi, vinse a sorpresa (?) le elezioni contro il più ac­creditato PDS, ex PCI, di Achille Occhetto.

Da allora sono passati ventiquattro anni eppure, dando uno sguardo alle facce che ritroveremmo in Parlamento all’indomani delle elezioni politiche del 4 marzo 2018, o ascoltando e leggendo le varie proposte dei leader dei singoli partiti e movimenti che si presenteranno alla tornata elettorale, la sensazione è quella che il tempo si sia ibernato al 1994.

Una sensazione davvero sconsolante: dopo un quarto di secolo è come se il paese non si fosse mai mosso dalle condizioni dell’epoca. Uno stallo avvilente da cui ne avrebbero tratto i benefici i “soliti” noti. Mentre per la stragrande maggioranza dei cittadini ha prodotto solo povertà. Basti pensare all’abbandono della lira per l’euro del 2001 e alla crisi economica del 2011 che produsse le dimissioni dell’ultimo governo Berlusconi, cui succedette quello di Mario Monti che partorì la fami­gerata riforma pensionistica Fornero che tanti mali arrecò e sta tuttora arrecando ai lavoratori italia­ni prossimi alla pensione; maturando il triste fenomeno degli esodati, lavoratori che abbandonato il lavoro con il proposito di anticipare la pensione basandosi sulla legge allora in corso, per via dell’i­nopinata riforma Fornero che il Parlamento partori in meno di quindici giorni – quando voglio, i no­stri legislatori le leggi le fanno senza se e senza ma – dall’ieri all’oggi si ritrovarono ad essere né car­ne né pesce. Costretti ad attendere il raggiungimento dell’età anagrafica prevista dalla nuova riforma pur avendo maturato gli anni di contributi previsti dalla vecchia legge.

Un casino tipicamente italiano!

E che dire del governo Renzi, quello che avrebbe dovuto rottamare la vecchia politica, rilanciando il paese verso il benessere comune, e che invece, non solo non rottamò il vecchio sistema, ma con una parte di questo, vedi Patto del Nazareno, studiò alcune riforme poi bocciate o dalla Corte Costitu­zionale o dai cittadini mediante il referendum costituzionale 4 dicembre 2016 che bocciò la la Ri­forma Costituzionale targata Maria Elena Boschi, inducendo l’allora Premier a dimettersi.

Al governo Renzi succedette quello di Paolo Gentiloni che, senza infamia e senza lode, ha fin qui traghettato il paese verso la fine naturale della diciassettesima legislatura iniziata a fine marzo 2013 con il Governo di Enrico Letta, dopo che Pier Luigi Bersani leader del PD, seppur consapevole di non aver vinto le elezioni, pur affermandosi il Pd come primo partito, a seguito del risultato del M5S giunto secondo, per alcuni addirittura primo, per poche migliaia di voti, cercò comunque di formare una maggioranza per governare.

Fino al 2013 per Silvio Berlusconi leader del centrodestra i nemici da sconfiggere erano i comunisti, alias i democratici. In virtù di ciò, tutti i suoi comizi in campagna elettorale, fino al 2013, vertevano su quest’argomento. Oggi nell’ascoltare Berlusconi dire peste e corna del M5S, movimento politico di nuova generazione dato dai sondaggi come probabile vincitore delle prossime elezioni, se chiu­dessimo gli occhi e al termine populisti con cui l’ex cavaliere è solito riferirsi al M5S sostituissimo comunisti, ci accorgeremmo che i suoi attuali sono gli stessi di ieri, cambia solo il soggetto!

Insomma, facciamocene una ragione, difficilmente all’indomani delle elezioni del 4 marzo, politica­mente parlando, per noi italiani qualcosa cambierà davvero. Certo la curiosità derivante da cosa po­trebbe produrre per il paese una vittoria del M5S c’è. Ma la sensazione è che, seppure il M5S vin­cesse le elezioni e Mattarella assegnasse a Di Maio l’incarico di formare il governo, difficilmente avremmo un paese a guida M5S. Visti i sondaggi è più probabile che a vincere le elezioni sarò il centrodestra resuscitato dalle politiche suicide del centrosinistra a marchio Renzi. E e sarà dunque Berlusconi a indicare chi debba salire a Palazzo Chigi. In pratica è probabile che dopo ventiquattro anni ci ritroveremmo più o meno al punto di partenza. Con la differenza che questa volta Berlusconi governerebbe da dietro le quinte.

In attesa di conoscere l’esito delle elezioni e cosa ci aspetta dopo, l’unica certezza che al momento abbiamo è che anche questo nuovo anno, come i precedenti, è iniziato con tutta una serie di rincari tariffari che vanno a incidere negativamente se la già impoverite finanze degli italiani.

Il resto, almeno per ora, sono solo chiacchiere, supposizioni, auspici di cui faremmo volentieri a meno.

Buon anno!

QUEL SOGNO INFRANTO DI NOME MATTEO RENZI

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Eppure all’inizio ci avevamo creduto alla storia del giovane rampante “sceso in politica” per rotta­mare i vecchi politici, sostituendoli con una squadra di trentenni agguerriti e preparati come lui o poco meno, esenti da qualsiasi ambizione personale o male caratterizzante la vecchia politica – tipo una propensa attitudine alla corruzione o a emanare leggi a tutela dei propri interessi e di quelli di pochi amici in barba ali interessi reali dei cittadini – per riformare il paese, risollevandolo dalla mel­ma in cui lo aveva affogato per l’appunto la vecchia politica, per rilanciarlo verso rosei orizzonti.

Poi, man mano che quel giovane e la sua troupe fecero irruzione nelle stanze del potere, prima del proprio partito e poi del paese, in quest’ultimo caso a scapito di un Enrico Letta trattato da grullo con il famoso tweet #enricostaisereno a significare che mai il capo di quella troupe sarebbe assurto alla guida del paese senza passare prima per le elezioni, qualche dubbio, forse più di uno sulla effet­tiva capacità politica e onestà intellettuale di quel giovane iniziammo ad averla.

E i dubbi aumentarono man mano che il suo governa studiava e approvava leggi che ledevano gli interessi dei lavoratori, (abolizione dell’articolo 18 che tutelava i lavoratori dal licenziamento per in­giusta causa; riforma del lavoro, ribattezzata jobs act, che accresceva il precariato; riforma della scuola, ribattezzata enfaticamente buona scuola che tanti danni ha prodotto a maestri e professori costretti a spostarsi centinaia di chilometri per esercitare la propria professione mettendone a rischio gli equilibri familiari; il varo di una legge elettorale che, a suo dire, tutti ci avrebbero copiato, e che invece la consulta bocciò per palese incostituzionalità; una riforma della pubblica amministrazione anch’essa in parte bocciata per molti aspetti incostituzionali. Per finire, una riforma costituzionale portata avanti a colpi di voti di fiducia e poi bocciata dagli elettori al referendum approvativo).

E quando il giovane rampante, contrariamente a quanto aveva ripetutamente affermato, perso il re­ferendum costituzionale, non lasciò la politica, pur dimettendosi da premier, facendosi rieleggere Segretario del partito, diversi dubbi sorsero sulla sua onestà intellettuale.

Ora che la vicenda Banca Etruria, grazie alle audizione in commissione di inchiesta parlamentare, per il, non più tanto, giovane rampante e la sua troupe sta assumendo i connotati di una zappata suoi piedi in quanto tutti i personaggi ascoltati avrebbero confermato che l’allora ministra per le riforme, attuale sottosegretaria alla presidenza del consiglio Maria Elena Boschi si interessò effettivamente del salvataggio dalla bancarotta di Banca Etruria, di cui suo padre era membro del cda e in seguito vicepresidente, malgrado lui e suoi esultano perché le audizioni, a loro dire, avrebbero dimostrato che la Boschi non effettuò alcuna pressione, dunque non commise alcun conflitto di interessi, sul­l’allora ad di Unicredit sollecitando l’acquisto dei Banca Etruria, agli occhi del cittadino provvisto di un minimo di cervello tutta questa faccenda dimostrerebbe come quel giovane e il suo gruppo di fe­delissimi non sarebbero diversi da coloro che volevano rottamare i quali, pur di restare attaccati alla poltrona, erano pronti ad affermare tutto e il contrario di tutto.

Le imminenti elezioni diranno se quel giovane e i suoi “seguaci” continueranno la carriera politica o se dovranno salutare e andare a lavorare, non più per il bene del paese ma per se stessi e le rispettive famiglie.

Alle urne l’ardua sentenza!

RENZI VS IL FATTO, IL CONFRONTO FA BENE ALLA DEMOCRAZIA!

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Quando un politico improvvisamente decide di confrontarsi vis a vis con un giornale verso il quale ha sempre dichiarato di nutrire pochissima stima perché, a suo dire, racconterebbe una vagonata di falsità, (fake news), giungendo ad alterarne ironicamente il nome della testata da Il Fatto Quotidiano ne il falso quotidiano, vuol dire che quel giornale tanto inviso, forse, racconterebbe più verità di quante si vuol far credere.

Se infatti giovedì scorso, a seguito dell’audizione in commissione d’inchiesta parlamentare sulle banche del numero uno di Consob Vegas che, parlando della vicenda Banca Etruria, avrebbe rilasciato dichiarazioni che smentirebbero la linea difensiva di Maria Elena Boschi, la quale ha sempre dichiarato che, all’epoca in cui era Ministro delle Riforme, non s’era mai interessata della crisi della banca di cui il papà faceva parte del cda e poi in seguito era divenuto vicepresidente, non facendo pressioni su chicchessia perché intervenisse per salvare la banca dal crack, tanto che l’attuale sottosegretaria alla presidenza del consiglio aveva chiesto un faccia a faccia televisivo dalla Gruber con il direttore de Il Fatto Marco Travaglio, personificazione del diavolo per i renziani; e se poi ieri Renzi ieri ha scritto una lunga lettera a Il Fatto per rispondere a un articolo pubblicato un paio di giorni prima da Giorgio Meletti sempre sulla vicenda Boschi-Banca Etruria, ( ieri Meletti ha subito controreplicato alla lettera di Renzi) è evidente che il segretario del Pd e il suo entourage temono Il Fatto, unico quotidiano che non ha mai fatto sconti a nessuno, nemmeno al M5S svelando alcuni aspetti sconosciuti dell’allora candidata pentastellata al campidoglio Virginia Raggi, diversamente da quanto molti sostengono.

Un quotidiano deve raccontare i fatti senza alterarli né addomesticarli per consentire all’opinione pubblica di farsi un’idea del paese in cui vive e della classe dirigente che lo governa o si appresterebbe a governarlo.

Se fino e “ieri” Renzi e i renziani dicevano peste e corna de Il Fatto e poi, all’improvviso, sono stesso loro a chiedere un confronto con i suoi giornalisti e a scrivere al giornale per smentire quanto scrive, venendo a loro volta smentiti, può solo significare che Il Fatto racconta i fatti per quel che sono, senza edulcorarli o omettendo aspetti che potrebbero infastidire “il potere”, o quanto meno “un certo potere”.

Se Renzi e i suoi, dopo aver denigrato Il Fatto definendolo falso quotidiano, decidono di sottoporsi a uno scontro aperto con i suoi giornalisti, può solo significare che il quotidiano diretto da Travaglio pubblica articoli e inchieste che, svelando verità scomode, possono minare il già traballante trono su cui Renzi siede.

Se, dopo aver cercato di ridicolizzarlo,il nemico lo si chiama pubblicamente in campo per affrontarlo al fine di dimostrare chi ha torto e chi ha ragione può solo significare che lo si rispetta più di quanto si vorrebbe far credere. Tale rispetto deriverebbe dal fatto che svolgerebbe a pieno la funzione per cui fu ideato: i quotidiani devono fungere da cane da guardia del potere. Se ne diventano il cane da compagnia, il potere, libero da controlli, si sente in diritto e dovere di fare quel che vuole arrecando danni irreparabili alla società.

Lo scontro tra Renzi e Il Fatto non può che portare benefici in un paese dove sempre più spesso i giornali più che essere il cane da guardia del potere ne sono portavoce.

A volte il manovratore va disturbato, affinché non perda l’orientamento!

BANCA ETRURIA, IL POMO DELLA DISCORDIA TRA RENZI E LA BOSCHI?

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Personalmente ho la convinzione che alla fine Maria Elena Boschi si dimetterà. Non per propria vo­lontà ma per via delle probabili pressioni che le verranno con sempre maggiore insistenza da una parte dei democratici, essendo or­mai evidente che, dopo l‘audizione di ieri in commissione inchiesta parlamentare del nu­mero uno della Consob Vegas, sulla vicenda Banca Etruria la posizione dell’ex Ministro delle Rifor­me del governo Renzi è sempre più traballante. E molto probabilmente lo diventerà ancora di più dopo quella, presumibilmente prima di Natale, dell’ex ad di Unicredit Ghizzoni cui la Boschi, stando a quanto riferito da Ferruccio De Bortoli nel suo libro Poteri (quasi) Forti, al­l’epoca si sarebbe rivolta per sollecitare l’acquisto di Etruria da parte di Unicredit al fine di evitarne il fallimento. A riguardo la Boschi ha sempre smentito.

Tuttavia chi ieri sera ha visto Otto e Mezzo, dove la Boschi ha preteso un faccia a faccia televisivo con Marco Travaglio, direttore de Il Fatto Quotidiano, che, secondo lei, la odierebbe, la sottosegreta­ria ha dato l’impressione di essere nervosa, cosa del tutto comprensibile. Ma anche in palese con­traddizione, come più volte le ha fatto notare Travaglio, tra quanto asseriva in propria difesa e quanto invece, stando alle dichiarazione di Vegas, avrebbe realmente fatto: interessarsi di salvare Banca Etruria per tutelare gli interessi degli aurei opifici aretini.

La mia convinzione che alla fine la Boschi si dimetterà deriva dall’aver visto, sempre ieri sera su La Sette, dopo Otto e Mezzo, Renzi da Formigli a Piazza Pulita. Alle insistenti domande del conduttore sulla Boschi, il segretario cercava di deviare, facendo notare che la Boschi era stata in televi­sione pochi minuti prima di lui dalla Gruber; che lui era lì per parlare d’altro; che secondo lui la vicenda Banca Etruria era un elemento di distrazione di massa per distogliere l’attenzione degli italiani dai reali problemi del paese motivo per cui lui era lì.

Ma era evidente quanto il segretario fosse in imbarazzo. Probabilmente perché consapevole che, in vista delle elezioni, con i sondaggi che al momento danno un Pd in sensibile calo di preferenze – sembra al 20% – la vicenda Boschi/Banca Etruria potrebbe rivelarsi il colpo di grazia per retrocedere l’attuale partito di maggioranza relativa a terza forza politica del paese segnando la fine politica del Segretario.

Dando per scontato che a Renzi stanno più a cuore le sorti del partito che quelle della Boschi, è inevitabile che alla fine, se la posizione della ex Ministra diventasse sempre più scricchiolante, Renzi sarà costretto, suo malgrado, a chiederle di fare un passo indietro onde evitare al Pd una de­bacle elettorale di dimensioni bibliche.

L’ex Premier non può affatto permettersi di offrire alle opposizioni un valido argomento da “sventolare” in campagna elettorale per screditare il proprio partito agli occhi dell’elettorato affermando che il Pd difende le banche e i ban­chieri anziché i piccoli correntisti.

Non è improbabile che alla fine Renzi sarà costretto a piegarsi alla realpolitk chiedendo alla Boschi di farsi da parte per salvare il partito e la propria faccia.

Quella faccia che ha già in parte perso quando da Premier in più occasioni affermò che se gli italiani avessero bocciato la riforma costituzionale Boschi si sarebbe ritirato per sempre dalla politica – cosa che dichiarò anche la stessa Boschi – e poi invece…