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SIGNATURE RERUM ( un romanzo sul satanismo tra i giovani, ma non solo…)

Riccardo viene lasciato dal Monica, a poche settimane dal matrimonio. Per affrontare il trauma dell’improvvisa separazione decide di trasferirsi a Bacoli nella villa al mare di sua sorella. Qui conoscerà Laura, una ragazza piena di vita, con la passione per la corsa, che lo aiuterà a far chiarezza e a ritrovare lentamente se stesso. Ma Laura nasconde un segreto!

Scritto agli inizi del 2000, prendendo spunto da fatti di cronaca vera che registrarono una recrudescenza di riti satanici a Napoli e in provincia con il coinvolgimento di insospettabili professionisti e personaggi della cosiddetta alta società, Signature Rerum affronta la tematica del satanismo e del fascino che il mondo dell’occulto suscita nell’animo di tante persone, dei giovani in particolare […]

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OMAGGIO A CARLO SANTILLO IL CARONTE DEL LAGO D’AVERNO.

Con piacere e nostalgia ripropongo l’intervista che nel 2004 feci a Carlo Santillo, il Caronte della Grotta della Sibilla sul Lago d’Averno, per conto del BOLLETTINO FLEGREO allora diretto dal professor Antonio Alosco. Purtroppo da diversi anni don Carlo ha sospeso l’attività causa gravi problemi di salute dovuti non solo all’umidità della grotta. Oggi la Grotta è in assoluto stato di abbandono e degrado. Che io sappia non si prevede di riaprirla!

Ancora oggi, a distanza di oltre cent’anni, sul lago d’Averno esiste una figura per tanti aspetti mitica che, nonostante la veneranda età, si prodiga con tutte le sue forze per proseguire una tradizione familiare ufficialmente iniziata verso la fine del XIX secolo. Stiamo parlando di Carlo Santillo, ACCOMPAGNATORE DELLA GROTTA DELLA SIBILLA IN LOCALITA’ AVERNOcome è segnato sul biglietto da visita dietro cui don Carlo ha fatto stampare il tracciato da percorrere in auto per raggiungere la grotta da Napoli via tangenziale.

Conobbi don Carlo un pomeriggio di giugno 2004 mentre passeggiavo intorno al lago godendomi la quiete del posto. Giunto all’altezza del viale che conduce alla grotta, la mia attenzione fu attratta da una comitiva di ragazzi che dal sentiero si riversava sulla via. Incuriosito mi incamminai sul viottolo ombrato da una fitta vegetazione. Percorso pochi metri, giunsi davanti alla spelonca. All’interno scorsi un uomo anziano spazzare con cura l’atrio illuminato dai riverberi di luce. Continuando a ramazzare, l’uomo volse su di me il viso magro adorno di occhialini attraverso cui scintillavano gli occhi sottilmente indagatori. Un berretto da caccia gli copriva il capo. Nonostante il caldo indossava un giubbetto di stoffa per proteggersi dall’umidità che ristagnava nella grotta.

“Buongiorno”, mi salutò accatastando al suolo un mucchio di sporcizia. “Volete visitare la grotta?”

“Sono solo e non voglio disturbarvi”.

“Nessun disturbo. Lasciatemi finire e vi accompagno.”

Zoppicando si avvicinò a una nicchia scavata nella roccia per prendere da una cassa di legno la paletta.

“Da poco è andata via una scolaresca, forse l’avete incrociata venendo” disse raccogliendo con fare certosino la spazzatura. “I turisti non hanno alcun rispetto, disseminano mozziconi e cartacce dappertutto. E a me tocca ogni volta ripulire perché la grotta sia presentabile”.

“La grotta è vostra?”.

“No. Io faccio solo l’accompagnatore. Venite!”

Lo seguii verso la parete interna del cunicolo dove era infissa una mensola con su poggiate delle lampade da campeggio. Ne accese una e me la porse. “Tenete, senza queste non si va da nessuna parte. State attento a non bruciarvi.” Ne accese un’altra per sé, prendendo anche quella spenta, aggiungendo: “Per emergenza, non si può mai sapere!”

Accompagnati da quell’incoraggiante viatico ci avviammo incontro al mistero. Man mano che avanzavamo nel buio alla luce delle torce, don Carlo mi parlò della grotta.

“Scoperta durante gli scavi archeologici promossi dai Borbone nel 1750 e successivamente nel 1792, la grotta è lunga duecentocinquanta metri ed è famosa per la sua discesa agli inferi, un budello scavato a gomito nella roccia che conduce a un corso d’acqua. In passato il fiumiciattolo si guadava trasportati sulle spalle di un moderno Caronte per visitare le stanze della Sibilla sull’altro versante oggi raggiungibile a piedi.”

“Chi era questo moderno Caronte?” chiedo incuriosito.

“Lo stesso accompagnatore! Fino al 1930, epoca in cui mio padre completò l’intero scavo del cunicolo, consentendo l’ingresso alle stanze direttamente a piedi, la grotta era lunga circa la metà, e per giungere lì dove si presume fosse la Sibilla bisognava attraversare il corso d’acqua sul fondo della cavità” dice fermandosi davanti a un cunicolo che si incunea nelle parete.“Vi faccio strada!” […]

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LA CITTÀ DEI CIMMERI

Il mio nome è Milos, sono primo sacerdote dei Cimmeri, il popolo che ha edificato le proprie città nelle viscere della terra ardente, chiamata Flegrea dagli invasori giunti di là dal mare. L’aggettivo “primo”, diversamente da come potrebbe apparire, non si riferisce al grado del mio ruolo, bensì indica che sono il primo maschio a vestire i paramenti sacri, essendo stati tutti i miei predecessori femmine vergini.

Quando scoprì d’essere incinta di me, dopo che un miscredente abusò di lei mentre era raccolta in preghiera sulla collina, mia madre, Gran Sacerdotessa della Dea, in ogni modo cercò di occultare la gravidanza fasciandosi strettamente il ventre con l’intento di partorirmi di nascosto e affidarmi alle creature del bosco perché nessuno scoprisse il suo peccato.

Una sera, mentre invocava gli spiriti della terra affinché rendessero prospero il raccolto, si accasciò sul sagrato dov’era l’ara sacrificale, premendosi le mani sul ventre in preda alle doglie. Quale oltraggio fu per le vestali che officiavano ai riti scoprire che la Gran Sacerdotessa aveva ceduto all’umana natura. Tuttavia nessuna si dispensò dall’aiutarla a partorire né svelò il suo segreto.

Fino all’età di dodici anni crebbi nel tempio insieme alle vestali, dividendo con loro finanche il sonno. Una notte d’estate fui svegliato da un piacevole languore all’inguine, scoprendomi con un fiume vischioso fluente dal pene in erezione. Pensando si trattasse di una malattia, premurandomi che le pizie non mi vedessero ridotto in quello stato, allarmato corsi da mia madre la quale, dopo avermi accarezzato il viso e pulitemi dolcemente le parti intime con foglie di fico intinte in acqua di fonte per placare l’ansia della gioventù, mi condusse al tempio e, alla luce della luna piena, con un colpo di coltello mi evirò. […]

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