papà

BUON ONOMASTICO PAPÀ

Mio padre si chiamava Ciro, oggi avrebbe festeggiato l’onomastico. Per ricordarlo pubblico degli stralci del romanzo inedito a lui dedicato in cui racconto il dramma che affrontammo quando si ammalò di Alzheimer, alternando la narrazioni della bufera che dovemmo fronteggiare per circa 10 anni, di cui gli ultimi 4 furono un vero incubo, con episodi a mio avviso significativi della sua vita e della nostra al suo fianco.

[…] In vita sua papà di rospi ne aveva dovuti ingoiare tanti. Uno dei più difficili fu sicuramente quando, poco più che ragazzo, fu costretto ad abbandonare gli studi: terminate le scuole di avviamento, iniziò a frequentare l’istituto d’arte per appagare la propria passione per l’arte e il disegno.

Dopo pochi mesi di scuola, il padre, ex sommergibilista, che lavorava come operaio presso un presidio del Ministero della Difesa a Portici, gli comunicò che doveva lasciare la scuola e trovarsi un lavoro per contribuire al sostentamento della famiglia perché con il suo solo stipendio non ce la si faceva a tirare avanti.

Papà era il secondogenito, il primo maschio di quattro femmine e due maschi: seppure a malincuore, obbedì.

Quelle rare volte che affrontavamo l’argomento e gli chiedevo il motivo per cui non avesse cercato di convincere il nonno a lasciargli continuare gli studi, la sua risposta era sempre la stessa:

<< All’epoca era difficile campare, i soldi non bastavano mai. La guerra, oltre alla morte e alla distruzione, aveva seminato tanta fame. Davanti alla necessità, nella vita bisogna sacrificarsi: mettere da parte i sogni e pensare alle cose serie! >>.

Confesso che, ogni volta che gli sentivo ripetere quelle parole, mi veniva da chiedergli:

<< Perché, adoperarsi per la realizzazione di un sogno non è una cosa seria? >>.

Percependo nella sua risposta una leggera sfumatura di amarezza, tacevo per non gravare ulteriormente il tormento del suo animo.

Ho sempre creduto che l’aver dovuto rinunciare all’istituto d’arte per papà avesse rappresentato la più cocente delle delusioni. Più volte mi sono chiesto se in cuor suo fosse mai stato tentato di rispondere al nonno: “Mi dispiace, io voglio continuare a studiare perché sento che quella è la mia strada!”. Ma non l’abbia fatto per il rispetto che nutriva nei suoi confronti e anche perché la situazione finanziaria in famiglia era veramente disastrosa.

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