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LA POESIA COME SAGRA DI PAESE

Post n°600 pubblicato il 29 Luglio 2006 da bargalla
Foto di ossimora

In questo periodo è tutto un fiorire di sagre, di spettacoli di piazza e di feste paesane, il tutto condito con l’inevitabile richiamo di qualche grosso nome dello spettacolo che permette sempre di fare il pienone.
Qui come di sicuro in ogni borgo e contrada del Belpaese c’è sempre qualcuno che organizza qualcosa, ogni pretesto è buono per promuovere e valorizzare un prodotto tipico locale o un evento simil-culturale che in altre stagioni impossibile da allestire all’aperto.  
Una volta quando si usciva in comitiva c’era quasi l’imbarazzo della scelta, succedeva che in un sola serata ci si spostava da un posto all’altro per cercare di non perdere un concerto, o una rappresentazione teatrale di qualche compagnia capitata quasi per caso da queste parti in cui non esiste un teatro degno di questo nome.
Da qualche anno vivo di riflesso anche questi eventi, leggo il cartellone e i programmi che mi capitano fra le mani; alcuni sono veramente interessanti e meriterebbero maggior fortuna, altri sono soltanto un modo alquanto discutibile di spendere e di sperperare il pubblico denaro.
Quando, come stasera il vento soffia da una certa direzione, qui in campagna arriva l’eco dei suoni e dei rumori del mio paese. E stasera il vento mi porta qualcosa che sembra essere una via di mezzo fra il concerto di musica classica e la declamazione di qualche poesia.
Per la gioia di Calliope qualcuno particolarmente ispirato, recita le sue poesie come se fosse il cieco aedo di Chio.
Un festival della poesia, roba di altri tempi si direbbe e invece sembra proprio che in giro ci sia voglia di poesia e con l’aria che tira solo il Buon Dio sa quanto migliore sarebbe il mondo se fosse governato anche dai poeti.
Le vacue proposte delle serate vacanziere ad uso e consumo dei forestieri, riempiono le piazze come niente. Sarei curioso di sapere quanta gente c’è stasera nella piazza del mio paesello ad ascoltare i poeti in erba e i loro componimenti. Un po’ li invidio, perché hanno avuto il coraggio di leggere in pubblico i loro versi.
Spero tanto che non se la prendano per qualche inevitabile fischio.
Il verseggiare è cosa per palati fini e chi dopo alienanti giornate al mare fa indigestione di serate evanescenti, mal sopporta che qualcuno si esibisca mettendo a nudo la propria anima per un po’ di notorietà.

Nella polifonica drammaturgia di un tempo storico in cui il fragore della guerra continua ad essere il suono più cacofonico mai prodotto dall’uomo, ci sono ancora dei sognatori che tentano di coprire con la loro musica e i loro versi il rombo degli F16 e le esplosioni di mille ordigni bellici.
Da un mondo lacerato da mille contraddizioni che emargina e uccide i più deboli, gli inermi  e gli indifesi, spunta una notte di poesia e forse da quei versi sorgerà l’alba di un giorno migliore.

 
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