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« IL MORALIZZATOREFebo »

Post N° 776

Post n°776 pubblicato il 25 Febbraio 2007 da ossimora
 

Verso un riformismo
ben temperatodi EUGENIO SCALFARI
Dicono: non guardiamo a ieri, ma guardiamo a domani. E magari anche a dopodomani. D'accordo, pensiamo al futuro, alla fiducia che Prodi chiederà al Senato nei primi giorni della settimana, alle possibilità che riesca ad ottenerla e a quello che può accadere nei giorni e nei mesi successivi. Ma anche alla "dannata" ipotesi che la fiducia non sia raggiunta: in fondo basta una febbrata ad uno o due senatori del centrosinistra per mandare tutto a carte quarantotto. O viceversa.
Ebbene: sulla carta i numeri ci sono. I voti in favore del governo dovrebbero essere 158 contando i due senatori del dissenso che hanno accolto il richiamo all'ordine, il voto (sicuro al 99 per cento) di Follini e quello dell'italo-argentino Pallaro che nell'infausta giornata del 21 si schierò al centrodestra ma ora ci avrebbe ripensato (diamolo al 51 per cento).

Dovrebbero essere quattro i senatori a vita presenti e votanti "sì". Forse Andreotti e Pininfarina non saranno in aula e la loro assenza abbasserebbe il quorum in favore del governo (diamo questa ipotesi al 50 per cento). Insomma, per il rotto della cuffia questa volta il governo dovrebbe farcela. Ma dopo? Si può governare in perenne bilico? Questo è il problema.

In teoria si può governare anche con un solo voto di maggioranza, ma ci vuole una cultura istituzionale che da noi non c'è. A Westminster è prassi che nel caso di maggioranze risicatissime l'opposizione faccia assentare un paio dei suoi membri per render possibile al governo di portare avanti la sua politica. Ma questo per l'attività legislativa corrente, non certo per le mozioni di sfiducia.


Comunque è evidente che le intemperanze dei dissenzienti di sinistra spingeranno il governo ad allargare la maggioranza verso il centro per la semplice ragione che a sinistra di Rossi e di Turigliatto non ci sono altri soggetti parlamentari, almeno per ora. L'ingresso di Follini e le motivazioni che lui stesso ne ha dato sono eloquenti da questo punto di vista. Non credo tuttavia che questo spostamento cambi la sostanza politica della maggioranza e del governo. Chi voleva spostarla erano i comunisti di Diliberto e quelli di Rifondazione. La svolta programmatica del 22 febbraio (i dodici punti di Prodi "obbliganti" per tutti i partiti della coalizione) ha rintuzzato lo strappo a sinistra ed ha riportato il baricentro laddove dev'essere, se non altro per ragioni numeriche, cioè sull'Ulivo.

Politicamente questo è accaduto e l'Ulivo, che dovrebbe dar vita al più presto al partito democratico, è una forza politica riformista. La sinistra radicale rappresenta, Verdi compresi, meno del 9 per cento dell'elettorato contro il 30 dell'Ulivo. Il baricentro è dunque quello e nessuno può disconoscerlo all'interno dell'Unione. Ma è anche chiaro e noto a tutti che Prodi, Fassino, D'Alema, Rutelli e Franceschini sono riformisti e non moderati. Tantomeno rivoluzionari, ammesso ma non concesso che altri lo siano.

La sinistra radicale rappresenta un riformismo più spinto. Può contribuire alla volontà comune, alle scelte comuni, ma non può pretendere di dettarle senza mettere in crisi l'alleanza. La crisi del 21 febbraio ha avuto almeno il pregio propedeutico di rendere evidente questa realtà, del resto ben nota. Un mese fa scrissi un articolo dal titolo "Se Prodi cade la sinistra non c'è più". Non era una profezia ma una semplicissima constatazione di fatto.

Dunque il governo, se otterrà la fiducia, non potrà che continuare e anzi rendere più incisive le scelte e le iniziative già intraprese. Per modernizzare lo Stato e la società, per far crescere l'economia reale, per aumentare il livello di giustizia sociale e soprattutto per proseguire in una politica estera di timbro europeo distinguendosi - come già sta facendo - dalla politica berlusconiana ma restando nel quadro dell'alleanza storica con gli Stati Uniti. Discontinuità nella continuità: non è un ossimoro bensì la carta d'identità del riformismo democratico.

* * *

Dunque tutto come se la crisi del 21 febbraio non ci fosse stata? Cancelliamo quella data dal calendario e si ricomincia sulla linea dello "Heri dicebamus"?
Non credo che sia possibile e per capirlo bisogna tornare al recente passato per meglio intravedere le ipotesi di lavoro che riguardano il futuro.

Io non credo ai complotti e nemmeno ai colpi di sole. Stando ai patiti del retroscena, nel voto contrario di Cossiga e nell'astensione di Andreotti e di Pininfarina ci sarebbe la zampa dell'America, del Vaticano, e della Confindustria; ma detta così è una rozza semplificazione che non sta in piedi.

Pininfarina (non è un pettegolezzo ma un dato di realtà) è una persona molto ammalata. Il suo "rapimento" nell'aula di Palazzo Madama è un episodio abbastanza ignobile dietro al quale non c'è nessun complotto politico ma una squallida "appropriazione indebita".

Cossiga si identifica da sempre con i servizi di sicurezza italiani e occidentali, nel bene e nel male.
Non è arbitrario pensare che James Bond sia il suo punto di riferimento. Non a caso fu uno dei responsabili di "Gladio" e di organizzazioni para-militari fondate dalla Nato durante la fase calda della guerra fredda. Il senatore Di Gregorio è la sua controfigura ad infimo livello, ma anche nel caso di Cossiga non c'è complotto alle spalle. Nessuno gli è andato a suggerire come votare. Lui lo sapeva da sé.
Analogo discorso vale a maggior ragione per Andreotti. Esaminando il suo voto su 24 Ore del 22 febbraio, Orazio Carabini ha citato la frase pronunciata da Paolo Sarpi dopo esser stato pugnalato dai sicari dell'Inquisizione: "Agnosco stylum Romanae Ecclesiae". Tradotto e attualizzato, il voto di Andreotti sarebbe dunque la pugnalata inferta a Prodi dal cardinal Ruini per interposto senatore a vita. Ebbene, conosco abbastanza il personaggio Andreotti per dire che questa ipotesi non ha senso.

Però un senso ce l'ha. Andreotti era ben consapevole che il cattolico adulto Romano Prodi, la cattolica adulta Rosy Bindi, i sessanta cattolici adulti della Margherita rappresentano una realtà indigeribile per l'episcopato italiano. Da cattolico adulto (anzi vegliardo) anche lui, Andreotti ha giudicato che quella astensione negativa fosse la scelta giusta per indebolire la pericolosità e limitare la rivendicazione di autonomia dei cattolici adulti e antitetici a lui. Il suo voto ha dato una mano a Ruini e a Fisichella anche se nessuno di loro glielo ha chiesto. Andreotti decide da solo. Ora che ha ottenuto il risultato è possibile che si astenga non in aula ma fuori: dopo il bastone la carota.

* * *

E i colpi di sole? La "incontinenza" (diciamo così) di Turigliatto e di Rossi?

Due stagionati professionisti della politica non prendono l'insolazione perché si espongono al sole senza cappello. Alle loro spalle c'è una lunga storia e qualche equivoco culturale e politico che risale a tutto il gruppo dirigente di Rifondazione e dei Comunisti italiani: l'equivoco di poter cavalcare i cosiddetti movimenti, sia quelli ideologici sia quelli territoriali, e di esserne i rappresentanti nelle istituzioni e addirittura nel governo. Per questa ragione Rossi e Turigliatto, ma anche i Caruso e i cinque o sei radical-rock, hanno avuto il loro seggio in Parlamento: rappresentavano la prova vivente della contiguità dei partiti di estrema sinistra con i movimenti. E sempre per questo motivo sia Giordano sia Diliberto sono andati a Vicenza e ne sono tornati con euforica gloria.

Purtroppo per loro i movimenti ideologici non si sentono affatto rappresentati dai loro partiti nelle istituzioni per la semplice ragione che delle istituzioni se ne infischiano totalmente. Quanto ai movimenti territoriali, a Vicenza erano ben contenti di avere in corteo due segretari di partiti nazionali perché, come dice Chiambretti, in tivù tutto fa brodo; ma la caduta del governo Prodi non è affatto piaciuta alla grande maggioranza dei vicentini di centrosinistra, tant'è che un buon numero dei messaggi arrivati ai siti Internet della sinistra radicale con proteste feroci contro chi aveva provocato la crisi è venuta da Vicenza.
Capisco che questo comportamento lede il principio di non contraddizione, ma le folle quando vanno in piazza non si pongono questioni di logica filosofica; agiscono, mandano in scena un happening e poi magari protestano contro gli effetti collaterali che hanno prodotto.

Così va la vita, Giordano, Diliberto e anche Bertinotti dovrebbero conoscerle queste cose di politica elementare. Stare sul trapezio richiede un grandissimo senso di equilibrio; basta caricare troppo su una qualsiasi parte del corpo per cascare di sotto ed è esattamente ciò che è accaduto. Solo che di sotto ci siamo cascati tutti perché agganciati a quel trapezio c'erano i famosi interessi del paese.

* * *

Il presidente della Repubblica ha fatto ieri mattina in poche righe una lucidissima lezione di saggezza costituzionale agli italiani, dopo aver rinviato Prodi alle Camere per una verifica del rapporto fiduciario. Ha spiegato perché non poteva sciogliere le Camere e perché non poteva, senza prima aver compiuto quella verifica, dare l'avvio ad un governo istituzionale.
Non c'è che inchinarsi a quella saggezza e constatare ancora una volta che la presidenza della Repubblica resta di gran lunga il luogo dove gli italiani trovano il loro presidio e la loro più alta e unitaria rappresentanza. Così fu con Einaudi, con Saragat, con Pertini, con Scalfaro, con Ciampi ed ora con Giorgio Napolitano.

Bisogna continuare nell'attuale politica estera - ha detto il capo dello Stato - proseguire nella politica di rilancio economico e sociale, riformare una legge elettorale obbrobriosa, stilata apposta dal centrodestra per rendere ingovernabile il Senato.

Questo è il mandato che Napolitano ha assegnato al governo e che Prodi aveva del resto già fatto proprio in anticipo salvo il tema della legge elettorale di cui nessuno si nasconde l'urgenza ma che non può essere affrontato senza la collaborazione di almeno una parte dell'opposizione.

Nel frattempo sarebbe molto utile modificare alcune storture esistenti nel regolamento del Senato e che potrebbero essere rapidamente cancellate a cominciare dall'astensione che - chissà perché - a Palazzo Madama equivale a un voto negativo mentre a Montecitorio vale per quello che è, cioè né "sì" né "no" (Andrea Manzella ha ieri segnalato in un suo articolo sul nostro giornale questo ed altri gravi difetti regolamentari che dovrebbero essere aboliti con urgenza).

* * *

La new entry di Marco Follini nelle file del centrosinistra ha un'importanza che va al di là del voto in più acquistato al Senato. Se Prodi otterrà la fiducia e se nelle prossime settimane il governo procederà speditamente sulle linee indicate nei dodici punti prioritari accettati dalla coalizione, l'esempio dell'ex segretario dell'Udc potrà calamitare altri parlamentari di vocazione centrista e di sentimenti etico-politici incompatibili con il berlusconismo.

Lo ripeto: questa auspicabile confluenza non sposta il baricentro politico dell'Unione ma serve a rafforzarne la maggioranza riformista senza con ciò escludere contributi della minoranza più radicale. Questa è la natura e la struttura dell'Unione e altro non può essere. Quando pendesse troppo alla sua sinistra o troppo alla sua destra, si sfascerebbe come è accaduto il 21 febbraio e con lei si sfascerebbero in un immenso polverone tutti i partiti e i partitini che la compongono.
Ricordiamo le parole di Napolitano: questa è l'ultima prova concessa. Se la si supera non si è ancora vinto, ma se non la si supera si è perso per altri vent'anni.

 
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