Secondo un assioma non scritto, ogniqualvolta si leva il coperchio su uno scandalo, si scopre che il marcio non è limitato laddove è stato svelato bensì è diffuso a macchia d’olio per tutto l’ambiente in cui è scoppiato. Così sta avvenendo anche per quanto riguarda lo scandalo delle presunte nomine pilotate all’insegnamento nel settore del diritto tributario all’Università di Firenze, su cui sta indagando la procura di Firenze dopo la denuncia da parte del ricercatore Philip Laroma Jezzi.
Nell’ambito della stessa inchiesta, stando a quanto riferisce questa mattina Il Fatto Quotidiano, starebbero emergendo elementi che indurrebbero gli inquirenti a ritenere che le nomine fossero conseguenti a un sistema nepotista.
Se ci spostiamo al sud, precisamente a Napoli, altra università a essere nell’occhio del ciclone per nomine pilotate è il Suor Orsola Benincasa il cui Rettore Lucio D’Alessandro è indagato dalla Procura di Napoli con l’accusa di aver favorito un figlio dell’ex Ministro Zecchino per un posto di ricercatore al Suor Orsola.
È presumibile, ma speriamo non avvenga, che con il passare dei giorni altre università balzeranno alle cronache giudiziarie perché al loro interno gli esami, le lauree, le nomine di ricercatori e professori avvenivano con criteri poco ortodossi tesi a favorire i figli, i parenti, gli amici “di”. O semplicemente per appagare i pruriti di qualche professore o rettore desideroso di spassarsela con qualche studentessa, neolaureata, professoressa in cambio di un voto alto o di un posto come ricercatrice, associata o ordinaria seppure dotata di un curriculum inferiore rispetto a chi quel posto lo meriterebbe davvero ma, purtroppo per sé non ha santi né in paradiso né un’indole da puttana.
Tuttavia si sbaglia chi pensasse che lo svelamento dello scandalo metterà finalmente fine al malcostume dilagante. Già in passato l’ambiente universitario fu scosso da un’inchiesta che partì da Bari, con il coinvolgimento dell’ex Ministro Anna Maria Bernini, per poi estendersi in tutta Italia. E tuttavia, da quanto starebbe oggi emergendo, quel malcostume anziché essere sconfitto sembra essersi talmente radicato nell’ambiente, seppure ogni tanto qualcuno denuncia inducendo le procure a indagare in quel mondo deputato a formare il gotha dei professionisti e la classe dirigente nazionale, al punto da far presumere che il sistema va avanti così e nessuno lo può fermare, nemmeno la legge.
Del resto, non a caso siamo il paese di tangentopoli. All’epoca, venticinque anni fa, quando deflagrò lo scandalo degli scandali che coinvolse tutti i partiti, tranne il PCI, con conseguenze in alcuni casi veramente tragiche –diversi suicidi tra cui quello di Raul Gardini – tutti pensavano che in Italia il cancro della corruzione nella pubblica amministrazione fosse stato finalmente estirpato. Viceversa siamo tuttora tra i più corrotti tra i paesi europei. Un triste primato che sta a indicare quanto tangentopoli fosse servita a ben poco.
Ritornando allo scandalo che sta travolgendo il mondo universitario, seppure non c’entra nulla con l’inchiesta in corso, mi sovviene alla mente il caso della Ministra della Semplificazione e Pubblica amministrazione Marianna Madia la cui tesi di dottorato, stando a quanto riferì Il Fatto quotidiano, sarebbe stata in parte frutto di copia-incolla di brani tratte da altre pubblicazioni senza però indicarli come si conviene, almeno così sembra.
Se davvero la tesi non fosse tutta farina del sacco della Ministra, bisognerebbe capire quali termini di valutazione adottò chi nel 2008 le conferì il dottorato in Economia del Lavoro all’IMT di Lucca.
A tutt’oggi nulla si sa sull’effettiva regolarità o meno della tesi della Ministra Madia.