CIVILTA’ SOMMERSE: LE ORIGINI DELL’UOMO IN FONDO AL MARE

Il 16 gennaio 2002 il ministro indiano per la Scienza e la Tecnologia ha reso noti i primi risultati relativi alla datazione con il carbonio 14 dei manufatti provenienti dalle città sommerse nel golfo di Cambay: ebbene, tali manufatti risalgono a 9500 anni fa, 5000 anni prima di qualsiasi città riconosciuta dagli archeologi.

Così  lo scrittore/studioso inglese Graham Hancock conclude il suo monumentale Civiltà Sommerse, dopo un excursus  di circa 900 pagine in cui, pagina dopo pagina, porta i lettore in giro per il mondo alla scoperta dei tanti siti archeologici sommersi che, a suo dire e a detta di autorevoli studiosi, si sarebbero inabissati, o comunque sarebbero stati ricoperti dal mare in un arco di tempo che va tra i 17000 e i 7000 anni fa a seguito della fine dell’ultima era glaciale, con relativo innalzamento del livello mare fino a 120 metri e conseguente scomparsa di città costiere letteralmente sprofondate nel mare; richiamando alla mente il mito del diluvio universale e quello di Atlantide il misterioso continente inabissatosi a seguito di un tremendo cataclisma di cui per la prima volta parlò Platone.

Partendo dal golfo del Bengala;, proseguendo per il mediterraneo, l’Oceano Atlantico e l’Oceano Pacifico a ridosso delle coste giapponesi, lo scrittore, riportando alla fine del libro la notizia diffusa dal ministro indiano per la Scienza e la Tecnologia, e taciuta dai media  mondiali, che i manufatti rinvenuti nelle città sommerse nel golfo di Cambay risalgono a 9500 anni fa anziché a 5000, come invece ritenevano e tuttora ritengono la stragrande maggioranza degli archeologi ortodossi, chiude il percosso circolare con cui ha impostato l’opera dato che il primo capitolo di Civiltà Sommerse, Resti, inizia parlando proprio della scoperta fatta nel marzo del 1991 da un team di archeologi subacquei del National Institute of Oceanography indiano, (NIO) che era a lavoro al largo della costa di Tranquebar Poompuhur dello stato del Tamil Nadu, nei pressi di Nagapattinam. Il 7 marzo del 1991effettuando rilevamenti con il sonar, gli scienziati rinvennero i resti di un naufragio alla profondità di 19 metri. L’8 e il 9 marzo del 1991 i sub si immersero e, scandagliando il fondale alla ricerca dei resti del relitto, rivennero  sul fondo del mare un’antica struttura opera dell’uomo. La struttura ha la forma di una U, come un enorme ferro di cavallo, il perimetro misura 85 metri e le mura sono spesse 1 metro e alte 2 metri.  

Da questo ritrovamento e le relative implicazioni che diedero vita a un conflitto intellettuale tra una parte degli archeologi che rinnegavano la presenza del sito sottomarino, o quanto meno lo ritenevano una struttura naturale anziché opera dell’uomo, e un’altra parte di studiosi invece pronti a rivedere le tesi ufficiali, prendendo in considerazione la probabilità che la struttura rinvenuta fosse di manifattura umana – per cui  non era da escludere che le città degli dei e le loro distruzioni conseguenti a inondazioni e terremoti di cui narrano gli antichi testi indiani non fossero “semplici” miti bensì la cronaca storica di eventi reali inerenti la scomparsa di una civiltà vissuta molti millenni prima dello scioglimento dei ghiacciai, la cui esistenza, se fosse confermata, imporrebbe di rivedere in blocco la storia ufficiale dell’umanità con conseguenze a dir poco impensabili.

Il libro non è “solo” un saggio in cui pazientemente si cerca di anticipare di qualche millennio la presenza umana in diversi luoghi della terra in virtù del ritrovamento, dello studio e all’analisi dei vari siti archeologici sommersi sparsi sul pianeta e ai resti rinvenuti in loco; il volume assume i toni di un vero e proprio thriller allorché si parla dei siti di Malta e dei manufatti rinvenuti durante gli scavi sull’isola. In particolare l’intrigo diventa palpabile quando Hancock racconta delle immersioni effettuate nelle acque maltesi alla ricerca di una struttura sommersa, la cui presenza a 8 metri di profondità a largo dell’isola sarebbe stata segnalata su una foto ripresa dall’alto da un aereo dell’aeronautica inglese effettuata alla fine della seconda guerra mondiale, e di alcuni resti scomparsi nel museo di Malta, malgrado fossero ufficialmente catalogati negli archivi del museo, lasciando presagire che qualcuno li avesse volutamente occultati…

Per chi abbia letto IMPRONTE DEGLI DEI, da molti ritenuto il capolavoro di Hancock, si fa presente che, contrariamente alla tesi esposta in questo precedente lavoro, secondo cui la mitica Atlantide sarebbe l’attuale Antartide, in Civiltà Sommerse tale supposizione non viene minimamente citata. Anzi, Hancock, a un certo punto, esplicitamente parla di un muro sommerso a largo dei caraibi, ipotizzando che fossero i resti di una struttura costruita su quelle che anticamente erano terre emerse, successivamente “sprofondate” nel mare a seguito dell’innalzamento del livello dell’acqua per via dello scioglimento dei ghiacciai. Sempre riferendoci a Impronte degli Dei, e poi di seguito in Civiltà Sommerse, l’autore parla delle mappe dell’amiraglio Piri Re is e di altre mappe risalenti all’epoca delle grandi esplorazioni marine tra la fine del XV secolo e gli inizi del XVI, sulle quali sarebbero disegnate zone del pianeta antecedenti l’era post glaciale. A sostegno di questa suggestiva supposizione l’autore compara alcune di queste mappe con quelle relative alle varie epoche glaciali e post-glaciali elaborate al computer da un esperto del settore da lui ingaggiato per  visualizzare l’evoluzione geografica di alcune zone del pianeta man mano che il livello del mare cresceva nel corso dei millenni. In virtù di queste comparazioni, e di altri fattori sui quali rinviamo il lettore alla lettura del libro, verrebbe confermata l’ipotesi, che trova un crescente numero di sostenitori, secondo cui Cristoforo Colombo intraprese il suo viaggio alla scoperta dell’America servendosi di una di queste mappe su cui era riprodotta la geografia terrestre in epoca remota. Per cui il navigatore genovese, contrariamente a quanto ci racconta da sempre la storia ufficiale, era consapevole che aldilà delle colonne d’Ercole esisteva un’enorme isola, l’attuale continente americano, da lui ufficialmente scoperto per “sbaglio mentre era in navigazione per tracciare una nuova rotta marina per le “indie”!

Il punto in cui però il libro assume credibilità disarmante è quando si parla del sito sommerso di Yonaguni a largo del Giappone. Basterebbe dare uno sguardo solo alle foto  o a qualche filmato presente su Youtube per farsi un’idea  di quanto sia probabile che in un’epoca antecedente lo scioglimento dei ghiacciai sul nostro pianeta esistessero delle civiltà avanzate, tipo quella giapponese dei Jomon risalente a non meno di 12000 anni fa. La cosa stupefacente è che alcuni manufatti praticamente identici a quelli della civiltà Jomon sono stati rinvenuti a Malta, con la differenza che, ufficialmente, a Malta l’uomo si sarebbe insediato non prima di 5000 anni fa, mentre i Jomon sono più antichi di almeno 7000 anni…

Per coloro che volessero saperne di più, in attesa di procurarsi il libro, segnalo il sito di Graham Hancock, in particolare il box Underworld (letteralmente, sotto il mondo) dove si approfondisce, con continui aggiornamenti di articoli e foto, l’argomento di cui abbiamo discusso. Il esito è in lingua inglese ma basta attivare il traduttore automatico di google per leggerne la traduzione in italiano; seppure, essendo letterale, essa impone un minimo sforzo di comprensione.

Buona lettura. Pardon, buona avventura!

CIVILTA’ SOMMERSE: LE ORIGINI DELL’UOMO IN FONDO AL MAREultima modifica: 2018-06-08T17:03:32+02:00da kayfakayfa