IMPRENDITORI PLURITITOLATI, SFRUTTATORI DI PROFESSIONE

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È proprio vero, fino a quando una situazione non si vive sulla propria pelle, difficilmente si riuscirà a comprendere lo stato d’animo di chi è invece costretto a viverla, capendone la rabbia e la disperazione.

Da quando ho perso il lavoro a seguito della cessata attività dell’azienda con cui ho lavorato per trentadue anni, la quale era sul mercato da ottant’anni, trovarmi mio malgrado catapultato nel mondo della disoccupazione, per giunta a cinquantacinque anni, dunque a un’età in cui sei giovani per la pensione ma vecchio per il mercato del lavoro, non solo ho iniziato a sperimentare sulla mia pelle quanto sia dura e triste la realtà del disoccupato, ma anche quanti squali si annidino dietro l’angolo pronti ad assumerti alle loro dipendenze in cambio di quattro soldi tanto che, se accettassi le loro offerte, alla fine tra spese di spostamento e pranzo, ci rimetteresti, anziché guadagnare, anche solo un centesimo in più di quel che spenderesti per recarti a lavoro ogni mattina.

Quello che fa più rabbia è  che spesso questi squali sono stimatissimi professionisti che si fregiano sulle pareti dei loro studi e uffici di titoli accademici e attestati di partecipazione a master bocconiani per testimoniare il valore della loro professionalità. In alcuni casi mi è capitato addirittura di imbattermi in frasi tratte dalla Repubblica di Platone, scritte su carta pergamenata e in grassetto, inneggianti all’onestà e al rispetto del prossimo, appese in cornice di spalle alla scrivania dello stimabile professionista…

Tale presunta professionalità attestata dai titoli, va in assoluto conflitto con il loro modo di intendere la gestione del personale, tesa allo sfruttamento fino all’osso dell’individuo per una paga oraria che in molti casi è la metà del minimo sindacale, 7/8 € previsti per una colf. Dove, se ti va bene, ti si chiede di lavorare per 10/12 ore al giorno, incluso il sabato e a volte perfino la domenica senza percepire un euro in più.

Ad accrescere la rabbia è che questa situazione di sfruttamento, spesso rasentante il caporalato, non riguarda solo le persone della mia età, e se anche riguardasse solo loro non sarebbe comunque giustificabile!, ma prima di tutto i giovani, a prescindere se hanno o meno un titolo di studio. Anzi, paradossalmente, ascoltando i racconti di tanti giovani disoccupati, pare che in molti casi il titolo di studio penalizzi. È come se il diploma o la laurea certificassero non la capacità dell’individuo ma la sua dabbenaggine o la suapericolisita!

Sì, dispiace dirlo, tuttora, almeno a Napoli, e quindi credo valga per l’intero mezzogiorno, molti pseudo “imprenditori” – con tutto il rispetto per gli imprenditori veri che per fortuna esistono anche a Napoli e nel sud Italia – a un diplomato o a un laureato, preferiscono assumere chi ha la terza media, con tutto il rispetto per chi ha questo titolo di studio, in quanto, nella loro visione distorta del lavoro inteso come sfruttamento della persona, temono, probabilmente a giusta ragione, che un diplomato, un laureato o chi abbia un minimo di cultura non sottostaranno mai ai loro ricatti; denunciandoli nel momento in cui si azzardassero a fare loro una proposta “oscena” tipo, “ti faccio firmare la busta paga per 1200 €, ma materialmente te ne do 700/800€.”

In alcuni casi sembra che vi sia chi, oltre a far firmare la busta paga per un importo di tutto rispetto, la cifra indicata sullo statino paga  la versi realmente sul conto corrente del dipendente previo tacito accordo che, non appena avverrà il bonifico, il lavoratore preleverà 500 € e glieli ritornerà indietro a nero.

Ciò comporta che il lavoratore pagherà più tasse, pur percependo meno di quanto risulti al fisco. Viceversa il datore di lavoro pagherà meno tasse in quanto incasserà sotto traccia parte di quanto avrebbe dovuto realmente versare al dipendete come ufficialmente risulta dai movimenti bancari.

Quando ascolti simili narrazioni, la rabbia ti coglie nel profondo dell’anima. Aumentando quando, nel momento in cui inviti le presunte vittime a ribellarsi  dallo sfruttamento e dal ricatto, denunciando i responsabili , ti senti rispondere con rassegnazione, “Non servirebbe a niente. Se mi rifiutassii, alle mie spalle c’è una fila di gente pronta a lavorare per molto meno. E poi, se lo facessi, il mio nome girerebbe nell’ambiente e nessun piu mi prenderebbe a lavorare perché sarei marchiato come chi crea rogne!”

È a questo punto che ti rendi conto che la causa del disastro occupazionale nel sud non dipende solo dalla criminalità, dallo sfruttamento e dal clientelismo, ma prima di tutto da una forma di cultura dove vige il mors tua vita mea, per cui la solidarietà tra i lavoratori e i disoccupati va a farsi benedire in cambio di un tozzo di pane.

La rabbia aumenta ulteriormente quando ascolti chi, seppure tenendosi sul vago, ti fa capire che spesso queste situazioni di squilibrio a sfavore dei dipendenti trovano la complicità di chi dovrebbe combatterle, tutelandoli. Per sentito dire, sembra ci sarebbero, il condizionale è d’obbligo, pubblici ufficiali deputati ai controlli aziendali per la tutela dei lavoratori che sarebbero disposti a chiudere entrambi gli occhi sulle presunte irregolarità aziendali, soprattutto inerenti la sicurezza sul lavoro e l’igiene, vendendosi ai manager aziendali per pochi spiccioli o in cambio di un oggetto trattato dall’azienda di cui hanno bisogno loro o un proprio famigliare. Altre voci di corridoio racconterebbero addirittura di sindacalisti che andrebbero a braccetto con il padrone, danneggiando i lavoratori anziché tutelarne gli interessi…

Quando hai la sensazione di trovarti al cospetto di simili realtà, o ascolti storie del genere, ti rendi conto che le speranze di crescita per le popolazioni del sud Italia sono ridotte al lumicino. A quel punto, malgrado l’età avanzata ti suggerirebbe di cercare un lavoro nella tua città o al massimo nella tua regione, decidi di metterti in gioco e di trovare lavoro fuori regione, ovviamente da Roma a salire. Infatti, chissà perché, pare che superato il Garigliano la dignità dell’individuo e del lavoratore sarebbero improvvisamente rispettate.

La conferma verrebbe da chi lavora al sud con aziende che hanno sedi sparse nel centro Italia. A loro dire, nelle altre sedi gli stipendi sarebbero adeguati ai contratti di lavoro e gli straordinari verrebbero pagati fino all’ultimo soldo senza alcuna difficoltà. Nel momento in cui quelle stesse aziende si spostano al sud, dimenticherebbero i propri doveri verso i dipendenti, adeguandosi all’andazzo del mercato del lavoro in quelle zone dive, a parte casi sporadici, lo sfruttamento e l’oppressione del lavoratore la fanno da padrone.

E pensare che c’è chi sostiene che la questione meridionale è archiviata da tempo…

E DI MAIO CONSEGNO’ L’ITALIA A SALVINI

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Ora che la crisi di governo è stata ufficialmente aperta da Salvini che, giustamente, non vede l’ora di capitalizzare la vittoria alle europee e sfruttare l’onda emotiva che scuote il paese a suo favore, come tra l’altro  affermerebbero i sondaggi che danno la Lega tra il 38/40% se si andasse a votare oggi, non resta che ringraziare Di Maio & c. se tra qualche mese ci ritroveremmo Salvini a Palazzo Chigi, e tutta una serie di Ministri, vice Ministri e Sottosegretari targati Lega a occupare le poltrone dei vari dicasteri. Ma soprattutto se ci ritroveremmo un paese diviso letteralmente in due tra nord e sud. Dove economicamente il nord primeggia e il sud boccheggia sempre più!

A chi come me aveva ingenuamente creduto nel M5S, non resta che fare mea culpa per averli votati.

Non è mai bello dover ammettere di aver preso una cantonata. Mi consola il fatto che in tempi non sospetti, precisamente il 2 aprile 2018, esattamente un mese dopo la clamorosa vittoria dei 5S alle politiche, quando solo si ventilava la remota possibilità che si formasse un’alleanza di governo 5S/Lega, sul mio blog scrissi una lettera aperta a Luigi Di Maio in cui palesavo i miei dubbi su una simile eventualità. Auspicando perfino un’alleanza con il PD, ma mai una con Salvini che del sud e del suo popolo ne aveva dette di cotte e di crude per poi magicamente illuminarsi sulla Via di Damasco, chiedendo scusa. Allargando il proprio bacino elettorale anche al mezzogiorno, ricavandone impensabili, per me, consensi.

In quella mia lettera a Di Maio, dopo aver espresso i miei dubbi e perplessità, concludevo: “Egregio Onorevole Luigi di Maio, un’alleanza con il Pd (di Renzi n.d.r.), seppure soffrendo, la potrei anche accettare. Una con la Lega proprio no. A quel punto, alle prossime elezioni, mi sa che anch’io farò parte del partito degli astenuti!”

A distanza di  un anno e mezzo, visto nel frattempo come è degenerata la situazione politica italiana, ritengo che attualmente  l’unica cosa che non debbano fare le persone di buon senso sia quella di astenersi dall’andare a votare alle prossime elezioni.

Così come un’inattesa affluenza di votanti bocciò la riforma costituzionale targata Boschi/Renzi, non è escluso che il partito degli astenuti, tuttora maggioranza relativa nel paese, non decida di turarsi il naso e tornare a votare per mandare all’aria i piani di Salvini.

Perché ciò avvenga non credo occorra la nascita di un nuovo soggetto politico che catalizzi su di sé i voti degli astenuti. Basta che tra gli attuali partiti presenti in Parlamento qualcuno di loro abbia il coraggio di liberarsi dalla zavorra che lo “blocca” nelle decisioni politiche, mettendo alla porta chi, pur non ricoprendo più il ruolo di Segretario, continua a volersi comportare come tale, spezzettando il partito, alimentando continue bagarre interne.

Se questo partito, alias il PD, avrà la forza di scucirsi da dosso una volta e per sempre il marchio Renzi, non è impensabile che il suo simbolo possa risultare polo d’attrazione per quei milioni di italiani che, delusi dalla politica, da anni non vanno più a votare. Ma lo fecero per bocciare la riforma costituzionale  varata, guarda caso, proprio dello statista di Rignano sull’Arno!

Per quanto riguarda il M5S, la cui palese incapacità a governare sta portando Salvini a Palazzo Chigi, non basterà certo il ritorno in campo di Di Battista per fargli riacquistare credibilità da parte dell’elettorato!

Di Battista è un ottimo arringatore di masse. Seppure riuscisse a evitare l’estinzione del movimento, risollevandone le sorti politiche,  è ormai evidente che le urla e i sit in vanno bene solo quando si è all’opposizione, per governare ci vuole ben altro! Se, come pare, Di Battista vuole riproporre nel M5S lo spirito delle origini, quello dei famosi vaffa per intenderci, tacitamente sta affermando che mai i 5S andranno al governo. In quanto, come si è visto, governare significa mediare, anteporre gli interessi dell’alleato di governo ai propri. A meno che alle prossime elezioni il M5S non riuscisse a prendere da solo oltre il 50% dei consensi. Un’utopia!

Se è vero che molte leggi  varate dall’attuale governo portano il marchio 5S, è altresì vero che in momenti determinanti i 5S sono venuti meno ai loro ideali, lasciando perplessi i propri elettori, attivisti e perfino alcuni rappresentanti parlamentari: no alla richiesta all’autorizzazione a procedere su Salvini per la vicenda Diciotti; approvazione del Decreto Sicurezza bis che punisce chi salva vite in mare; delegare al Parlamento la decisione sulla TAV, non facendo cadere il governo nel momento in cui la Lega era per il Sì e i 5S per il NO.

Un partito che si dichiara apertamente anti-sistema non può dare l’impressione d’essere a sua volta inchiodato alla poltrona. Un partito che afferma di voler aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, non può apparire a sua volta immischiato in squallidi giochi di potere.

Dispiace dirlo, Di Maio non si è dimostrato all’altezza della situazione: ha reso il movimento succube di Salvini, lasciando che l’alleato lo corrodesse fino al midollo per poi svilirlo!

All’indomani della debacle delle europee, quando il M5S dimezzò i voti rispetto alle politiche mentre la Lega li raddoppiò, il capo del movimento avrebbe dovuto avere un sussultò di dignità e dimettersi. Restare alla guida del movimento malgrado la disfatta, delegando a poche migliaia di iscritti sulla piattaforma Rosseau la decisione di restare o meno alla guida del movimento, è stato un gesto con cui ha dimostrato quanto poco conto tenesse dell’opinione dei milioni di elettori che lo avevano prima votato e poi voltato le spalle.

Oggi sulla schiena di Di Maio pende una responsabilità non da poco. Se Salvini dovesse andare al governo, dando una virata estremamente a destra al paese, spaccandolo in due tronconi con conseguenze tristemente prevedibili per il sud, sarà perché  Di Maio è voluto andare a ogni costo al governo con la Lega, quando lui stesso il 17 giugno del 2017 a “Porta A Porta” lucidamente affermava: “Io sono del sud. Faccio parte di quella Italia a cui la Lega diceva VESUVIO LAVALI COL FUOCO. Io non mi alleerò mai con la Lega“.

Magari si trattava di una controfigura!?…

 

LETTERA APERTA A LUIGI DI MAIO, 10 MESI DOPO LA PRIMA

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Illustrissimo Signor Ministro del Lavoro Luigi Di Maio,

in data 2 aprile 2018 il sottoscritto Le scrisse da questo blog una lettera aperta in cui sperava che mai faceste un governo con la Lega, così come invece all’epoca si vociferava, adducendo tutta una serie di motivazioni a sostegno delle proprie speranze che non sto ora a ribadirle per motivi di spazio, (se eventualmente volesse conoscerle, basta che clicchi qui.)

In quelle righe senza remore ammisi che, pur turandomi il naso o ingerendo un Malox, avrei preferito faceste il governo con il PD. Viceversa, se quest’ultima opzione si fosse mostrata irrealizzabile per il “niet” di Renzi e c., personalmente avrei preferito vi irrobustiste politicamente restando ancora per una legislazione all’opposizione, tanto con i numeri che avevate in Parlamento, soprattutto alla Camera, avreste influito in maniera incisiva sulle scelte di qualsiasi governo.

Alla fine quelle che sembravano solo voci si concretizzarono e il 1° giugno nacque il governo M5S/Lega ribattezzato governo giallo/verde.

Da allora, seppure più di un addetto ai lavori riconosce che in termini di azioni di governo ha fatto più il M5S che la Lega che per ora si è limitata a partorire il famigerato decreto sicurezza che, sempre stando agli addetti ai lavori, più che aumentarla diminuirebbe la sicurezza, il M5S ha sempre dato l’impressione di essere succube dell’esondante personalità di Matteo Salvini.

Tale impressione sarebbe avallata dai sondaggi che da giugno ad oggi dicono che la Lega avrebbe raddoppiato i consensi mentre il M5S avrebbe perso circa 6 punti scendendo dal 32% del 4 marzo a un attuale 26/27%.

Per carità, nessuno mette in discussione la relatività dei sondaggi che, registrando gli umori dell’elettorato giorno per giorno, possono cambiare in qualunque momento, ma se in più di nove mesi essi davano la Lega in crescita, l’esito elettorale abruzzese, dove il rappresentante del centro destra, di cui facevano parte Lega/FI/FdI, ha preso il 48,03% delle preferenze davanti al candidato della coalizione di centrosinistra con il 31,28%, terzo quello del M5S con il 20,20%, ci dice che su quel territorio, rispetto al 4 marzo in cui prese poco più del 13%, trascurando l’astensionismo anche in questo caso in crescita, la Lega ha raddoppiato le preferenze avendo preso domenica come partito il 26%. Mentre il M5S ha più che dimezzato i voti in quanto, dal quasi 40% del 4 marzo, domenica ha ottenuto circa il 18%, poco meno della metà.

Illustrissimo Signor Ministro del Lavoro Luigi Di Maio,

è vero, come sostengono molti del suo partito, pardon movimento, per minimizzare la sconfitta, che quello di domenica in Abruzzo era un voto locale ma la mazzata c’è stata, è innegabile. Per cui bisogna prenderne atto, anziché comportarsi come un’altra forza politica la quale, invece di analizzare la sconfitta del 4 marzo, tuttora l’attribuisce alla stupidità degli elettori scaricandosi in tal modo da ogni responsabilità, oscillando da mesi nel limbo del 15/17% di preferenze…

Quella stessa forza politica, il Pd, domenica, coalizzata in un cartello di centrosinistra che ha preso poco più del 31%, da sola ha ottenuto il 12%, meno di quanto raccolse alle politiche di marzo dove ottenne poco più del 13%.

Ergo il voto abruzzese rifletterebbe ciò che da una vita dicono i sondaggi: da quando è al governo la Lega avrebbe raddoppiato i consensi mentre il M5S li avrebbe persi, attestandosi attualmente intorno al 25%. Una percentuale non certo disprezzabile ma che la dice lunga su quanto stare al governo stia facendo bene a Salvini, non a voi.

Illustrissimo Signor Ministro del Lavoro Luigi Di Maio,

chi vi ha votato, sottoscritto incluso, da quando siete assurti a Palazzo Chigi si aspettava da voi maggiore risolutezza verso quei partiti che hanno sottratto illegalmente denaro allo Stato, come ad esempio la Lega che ha truffato 49 milioni di rimborsi elettorali ed è stata condannata a risarcirli in comode rate da 100 mila euro ogni due mesi per complessivi ottanta anni. Quale cittadino normale potrebbe mai confidare in un simile, privilegiato trattamento? Voi che da sempre vi dichiarate paladini dell’onestà, come potete sopportare ciò?…

Per quanto poi riguarda la richiesta di autorizzazione a procedere avanzata dal Tribunale dei Ministri di Catania contro Salvini accusato di sequestro di persona per la vicenda della nave Diciotti, voi che dal primo Vaffa day predicavate che un politico indagato dovesse dimettersi per salvaguardare la credibilità delle istituzioni, come potrete giustificare un eventuale vostro voto contrario all’autorizzazione adottando come la linea difensiva la tesi che fu l’intero governo ad approvare le scelte di Salvini quindi, nel caso specifico, bisognerebbe processare tutto il governo e non un suo singolo membro? Che opinione pensate si faranno di voi gli elettori nel caso votiate no all’autorizzazione?

Senza contare il Sì al TAV di Salvini rispetto al vostro No: alla fine scenderete a un accordo, pur di non rompere la coalizione o che?…

Illustrissimo Signor Ministro del Lavoro Luigi Di Maio,

vorrei tanto sbagliarmi ma credo che le perplessità che Le espressi nella lettera del 2 aprile trovino conferma ogni giorno che passa: pur di governare vi siete lasciati imbrigliare dall’astuzia politica di Salvini e ora ne state pagando le conseguenze in termini di voti, malgrado siate riusciti a realizzare, con tutti limiti del caso, il reddito di cittadinanza vostro cavallo di battaglie e l’abolizione della Fornero sostituendola con la quota 100 tanto cara non solo a voi ma anche Salvini; non trascurando l’inasprimento alla lotta contro la corruzione nella pubblica amministrazione, altro vostro cavallo di battaglia, seppure anche questo caso pare l’abbiate realizzata con diverse limitazioni rispetto a quanto prevedevate all’origine per non irritare la Lega.

Bene, la realizzazione di tali vostri cavalli di battaglia non sembra rendervi in termini elettorali, domandatevi perché?

Le elezioni europee si avvicinano e, seppure Salvini continui a garantire che mai tradirà il patto di governo, credo che dopo quella data il leader leghista vi presenterà il conto, facendo saltare il banco per prenderselo tutto per sé con gli interessi, contando sull’appoggio incondizionato di Berlusconi e della Meloni, e magari confidando sull’appoggio esterno del Pd, passando da vicepremier a Premier.

Illustrissimo Signor Ministro del Lavoro Luigi DiMaio,

un’ultima cosa e poi la lascio: tuttora mi domando come abbia potuto un figlio del sud quale Lei è stipulare un contratto di governo con chi fino a “ieri” dei meridionali ne diceva peste e corna, non facendosi scrupoli di cantare a una festa di partito, “senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani”?

È vero, Salvini per quelle e tante altre offese alle genti del sud ha chiesto pubblicamente scusa ma, considerando le dichiarazioni di alcuni giorni fa del Ministro dell’Istruzione Busetti secondo il quale al sud non servono più soldi bensì più impegno da parte degli insegnanti, dando l’impressione rispolverasse il mantra leghista dei meridionali fannulloni, personalmente credo che quelle di Salvini siano solo scuse di facciata; un gesto opportunistico per ammaliarsi i meridionali al fine di garantirsene i voti, come sta avvenendo.

Come recita il proverbio, “il lupo perde il pelo ma non il vizio!…

Distinti saluti.

Vincenzo Giarritiello

CON LA MAFIA NIGERIANA L’ITALIA FA POKERISSIMO

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Che sul litorale casertano ci fosse qualche problema di illegalità dovuto agli immigrati, soprattutto di colore, è cosa nota da tempo a quanti vivono tra Castelvolturno e Mondragone o sono costretti a transitare su quel tratto di Domitiana per motivi di lavoro o per recarsi al mare; non fosse altro per la presenza costante sul ciglio delle strade di giovani prostitute di colore, in molti casi dalle eloquenti fattezze minorili, che a qualunque ora del giorno esercitano il mestiere più antico del mondo, non per loro volontà ma perché costrette con la forza dai loro stessi connazionali, o per la presenza, sempre a bordo strada o a ridosso di villette fatiscenti un tempo edificate con l’ambizione di essere case di villeggiatura sul mare ma poi abbandonate e successivamente occupate dagli immigrati, di uomini di colore di tutte le età che apparentemente oziano o discu­tono tra loro ma che in realtà hanno tutta la parvenza di essere delle vere e proprie “sentinelle” con il compito di vigilare e avvertire chi di dovere dell’arrivo delle forze dell’ordine.

Malgrado le reiterate denunce nel corso degli anni degli amministratori comunali e delle associazioni di cittadini per il degrado e l’esponenziale crescita della criminalità a causa della presenza degli immigrati, sembrava che davvero quelle zone fossero terra di nessuno, in quanto nemmeno il presidio costante delle forze dell’ordine riusciva ad arginare il fenomeno immigratorio che alimentava le attività criminali, per lo più spaccio di droga e sfruttamento della prostituzione.

Il proliferare dei crimini in molti lo attribuivano alla presenza dominante del clan dei casalesi sul territorio che, a loro dire, aveva stipulato un accordo con la criminalità straniera, in particolare con la mafia nigeriana, per la gestione del traffico di stupefacenti e di armi e della tratta umana ricavandone benefici economici.

Malgrado le attività illegali si svolgessero alla luce del giorno, sembrava che nulla e nessuno potesse arginarle, alimentando nei cittadini la convinzione dell’impotenza dello Stato nei confronti del crimine organizzato.

Ad accrescere questa amara supposizione si aggiunge la notizia di pochi giorni fa che uomini dell’FBI americana stanno giungendo in Italia per indagare con l’ausilio di investigatori italiani sul fenomeno della mafia nigeriana che non si “limiterebbe” allo spaccio di droga e allo sfruttamento della prostituzione ma sarebbe dedita all’orribile e redditizio traffico di organi umani.

Come si sia potuto arrivare a tanto resta un mistero. Magari se, non appena sul litorale casertano si manifestarono i primi sintomi del male cui seguirono gli allarmi dei cittadini, chi di dovere fosse intervenuto con decisione per sradicare a monte le radici di quel cancro che oggi, con oltre centomila affiliati, è tra le più pericolose ed efferate organizzazioni criminali presenti in Italia contemplando tra i propri riti di affiliazione molto probabilmente anche il cannibalismo, forse oggi non staremmo qui a discutere di mafia nigeriana.

Speriamo che l’interazione tra investigatori italiani e americani dia i suoi frutti, annientando almeno questo mostro.

In un paese in cui le mafie spadroneggiano da sud a nord in maniera tentacolare, dove in molti casi è acclarata la collusione tra criminalità e politica, l’insorgere sul territorio nazionale della mafia nigeriana sarebbe l’estrema, triste testimonianza che in Italia la lotta alla criminalità organizzata è un’utopia.

Dopo ma “mafia” siciliana, la “ndrangheta” calabrese, la “sacra corona unita” pugliese e la “camorra” campana, con il proliferare della mafia nigeriana l’Italia fa un pokerissimo di tutto rispetto che le non fa certo onore!

MA DAVVERO CHI NON HA VOTATO PD E’ UN IDIOTA?


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Nella puntata di Otto e Mezzo di mercoledì 5 dicembre, a una domanda della Gruber “lo capiranno gli elettori?”, lo scrittore Gianrico Carofiglio ha risposto in maniera testuale, “gli elettori negli ultimi tempi non hanno dato ottima prova di sé ma può darsi che vedano un pochettino più lungo.” (da 19:20 a 19:10).

Da quando le elezioni del 4 marzo hanno letteralmente terremotato il PD, relegandolo al secondo posto come partito con il 18,72% di preferenze, dietro al M5S con il 32,68%, e davanti alla lega con quasi il 15% di voti, e soprattutto da quando si formò la maggioranza gialloverde, M5S-Lega, che attualmente governa il paese, non passa giorno che dal Pd e dai suoi sostenitori non arrivino frecciate all’inettitudine degli elettori per la scelta politica.

Dimenticando, forse, che il primo partito di centrosinistra in Italia, il Pd, se davvero si fosse fatto carico delle problematiche della povera gente, mai sarebbe stato abbandonato da due milioni e mezzo di elettori i cui voti hanno rimpinguato per lo più il M5S.

È facile attribuire all’incapacità di giudizio dei votanti il motivo per cui oggi al governo abbiamo i populisti del M5S e i razzisti della Lega.

Ma se si cancella l’articolo 18 dallo statuto dei lavoratori, si difende a spada tratta la legge Fornero, si agisce in maniera tale da dare a intendere che si hanno a cuore più  le banche che non i risparmiatori truffati da quelle stesse banche, se si vuole riformare a ogni costo la Costituzione con l’appoggio di Berlusconi fino a “ieri” considerato il nemico giurato della sinistra, se si varano una riforma del lavoro e della scuola che, anziché migliorarle, hanno peggiorato le cose, se si vara una legge elettorale propagandandola come la più bella d’Europa per poi vedersela mestamente bocciare per incostituzionalità, se prima dici una cosa e poi fai esattamente l’opposto, non c’è da stupirsi poi se gli elettori ti abbandonano, preferendo chi, per quanto urli ai quattro venti contro gli immigrati, l’UE e l’euro, mostra di farsi promotore delle problematiche reali della maggioranza dei cittadini.

Così come è indubbio che fare oggi proposte per il bene del paese, mentre all’epoca in cui si era al governo si trasmise nella gente la percezione di sfasciarlo il paese, o quanto meno di tutelare solo le fasce privilegiate, le cosiddette “caste”, non aiuta certo ad accrescere nei propri confronti la simpatia degli elettori.

La sinistra, se esiste davvero, torni a fare la sinistra e allora sì che gli elettori torneranno a votarla.

Fino a quando la sinistra farà politica nei salotti televisivi e non, e nei quartieri “bene”, difficilmente riguadagnerà la fiducia della gente.

Sostenere implicitamente o esplicitamente che chi non vota Pd è un idiota mette rigorosamente a rischio i valori democratici.

La prima cosa che dovrebbe fare un vero “democratico” è accettare le scelte altrui, cercando di sforzarsi di capire i motivi della perdita della propria credibilità agli occhi della gente. Denigrarle perché si sente intellettualmente superiore è indice di superbia che non paga mai.

Così facendo, discrimina, allontanando sempre più gente da sé!

IN ITALIA SOLO LA COLLETTA SALVA I GENI

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La vicenda del team di studenti napoletani dell’Augusto Righi – Mauro D’Alò, Davide Di Pierro, Luigi Picarella, coadiuvati dai professori di matematica e informatica Salvatore Pelella e Ciro Melcarne -, classificatosi al secondo posto, su trecento scuole di tutto il mondo, in un concorso bandito dal MIT e dalla NASA, e che rischiava di non partecipare alla finale dell’High school tournament “Zero Robotics” che si disputerà negli USA perché l’istituto cui appartiene non ha i fondi per pagare il viaggio, sintetizza quanto siano ristrette le possibilità di realizzazione professionale dei giovani italiani nel proprio paese.

Che in Italia non scarseggino geni, non lo scopriamo oggi. Tanti sono i diplomati e laureati che, non trovando lavoro in patria, anziché ripiegare a lavorare per quattro soldi in un callcenter o altrove, emigrano all’estero per realizzarsi professionalmente, tornando a casa solo per le vacanze.

A tale esodo di menti, la politica, in maniera trasversale, dice di voler porre rimedio con l’attuazione di politiche che favoriscano la meritocrazia. Purtroppo, però, le parole non sono mai seguite dai fatti: lo conferma quanto è accaduto ai tre studenti napoletani che rischiavano di vedere vanificato il proprio lavoro e i propri sogni se a farsi carico delle spese della trasferta americana non fossero intervenuti prima i giornalisti del TG3; a seguire, il Senato che, attraverso il Presidente Elisabetta Alberti Casellati, ha fatto sapere che metterà a disposizione i fondi necessari.

Un bel gesto quello istituzionale. Ma comunque tardivo, a dimostrazione di quanto poco attente siano le istituzioni verso il mondo della scuola. In tal caso, però, la reprimenda non è diretta al Presidente del Senato, al quale va invece riconosciuto il merito di essersi attivata non appena è venuta a conoscenza di quanto stava accadendo. La strigliata va alle istituzioni locali, Comune di Napoli e Regione Campania: sarebbe stato bello se una delle due, o addirittura entrambe in sinergia, fossero intervenute a sostegno dei tre ragazzi.

Come spesso accade in questo paese dalla memoria cortissima, ci siamo già dimenticati dei tanti scandali in ambito universitario, denunciati da studentesse costrette a dimostrasi compiacenti verso i professori per superare un esame o dei professori precari che, prossimi a entrare di ruolo, si sono visti scalzare in un concorso truccato da chi era raccomandato dalla “parrocchia” e invitati a non denunciare il marcio altrimenti rischiavano di non entrare di ruolo nemmeno al prossimo giro?

Speriamo che quanto stava succedendo ai tre giovani napoletani sia d’ammonimento all’intero Sistema.

Se davvero i giovani sono il futuro della società, come ripetono a mo’ di mantra in coro i politici, bisogna fornire loro tutti gli strumenti necessari, finanziari e tecnologici, affinché possano portare avanti i propri studi e ricerche al fine di dare smalto al paese e non sentire la necessità di espatriare per vedersi riconosciuti quelli che dovrebbero essere due diritti costituzionali,  studio e lavoro.

Se poi il “sistema” preferisce continuare a favorire i “figli di” a scapito dei geni o di chi ha capacità e competenze, ce lo dicano in modo che prendiamo atto d’essere un paese senza speranze, traendone le dovute conseguenze!

PONTE MORANDI, LE DICHIARAZIONI DI BERTOLASO LASCIANO INTERDETTI

Guido_Bertolaso

Durante la puntata di In Onda su La Sette del 15 agosto scorso dedicata al crollo del ponte Morandi a Genova del giorno prima – in cui hanno perso la vita 39 persone; 16 i feriti e centinaia gli sfollati dalle case sottostanti essendo serio il rischio che il resto della struttura possa collassare da un momento all’altro – l’ex capo della Protezione Civile Guido Bertolaso ha rilasciato una dichiarazione che, detta da lui che dal 2001 al 2010 ha ricoperto il vertice estremo della struttura della Presidenza del consiglio preposta a “mobilitare e coordinare tutte le risorse nazionali utili ad assicurare assistenza alle popolazioni in caso di grave emergenza”, ha del surreale: “quando passavo su quel ponte, se il traffico me lo permetteva, violavo tutti i limiti di velocità per attraversarlo in fretta”.

Una dichiarazione, quella di Bertolaso, che lascia interdetti, non fosse altro perché l’ex capo della P. C. – rinviato a giudizio per omicidio colposo plurimo e lesioni, poi assolto in Cassazione, per aver detto durante una telefonata del 30 marzo del 2009, intercettata, all’assessore abruzzese Daniela Stati, “la commissione grandi rischi? Un’operazione mediatica. Vogliamo tranquillizzare la gente”, in relazione allo sciame sismico che da mesi martoriava il territorio, mettendo in allarme i cittadini che temevano che le scosse lasciassero presagire l’imminenza di un terremoto – il 6 aprile del 2009, una settimana dopo quella telefonata, ci fu il terremoto che rase al suolo il capoluogo abruzzese e altri comuni con centinaia di morti e feriti e migliaia di sfollati – esplicitamente ammette di essere a conoscenza della pericolosità del ponte Morandi.

Ogni qualvolta il paese era ferito da un terremoto, soprattutto se in zone già colpite in passato da un evento simile, sia Bertolaso che gli esperti dell’INGV non mancavano di ripetere che i terremoti non si possono prevedere ma prevenire costruendo in maniera adeguata.

Poiché riguardo al ponte Morandi, stando alla sua affermazione televisiva, l’ex capo della P. C. lascia intendere di essere ben consapevole della sua pericolosità, sarebbe interessante sapere se tale consapevolezza fosse dovuta a una sua sensazione personale quando lo attraversava o fosse invece frutto di un’accurata conoscenza dei fatti che, per il ruolo che ricopriva, gli permetteva di essere costantemente ragguagliato con indiscutibili dati tecnici. E, in quest’ultimo caso, sarebbe interessante sapere se avesse, come è presumibile ritenere abbia fatto, esposto il pericolo del ponte Morandi a chi di dovere, la Presidenza del Consiglio, affinché intervenisse per sollecitare il concessionario che aveva in gestione quel tratto di autostrada, Atlantia del Gruppo Benetton, perché lo mettesse adeguatamente in sicurezza.

Domande che trovano il tempo che trovano visto che il ponte è venuto giù portandosi dietro morte e distruzione. Seppure a causarne il crollo non è stato un imprevedibile terremoto ma, probabilmente, un’inadeguata manutenzione, ergo prevenzione. Ovviamente tutto ciò lo stabilirà la magistratura!

LOTTA AL CAPORALATO, UNA DELLE TANTE IPOCRISIE ITALIANE

14-caporalato

All’indomani dei due tragici incidenti nel foggiano, avvenuti a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, in cui hanno perso complessivamente la vita 16 braccianti di colore – 4 nel primo, 12 nel secondo – che stavano rientrando dai campi dove avevano raccolto pomodori, un’indignazione corale e trasversale si è levata dal mondo della politica per condannare il caporalato – reclutamento della manodopera a basso costo – come se la scoperta del fenomeno fosse conseguenza di quei tragici incidenti anziché un’annosa triste realtà italiana, soprattutto al sud.

Come dimostrano le svariate inchieste giornalistiche che si sono interessate al caporalatonel corso degli anni, e gli interventi legislativi tesi a facilitare l’individuazione del reato di caporalato con un inasprimento delle pene, nel nostro paese il caporalato è tuttora una realtà radicata sul territorio, da nord a sud, e non riguarda solo gli immigrati, regolari o clandestini, ma anche gli italiani, in particolare le donne.

Essendo l’esistenza del fenomeno nota a tutti, ha sorpreso l’atteggiamento di stupore con cui alcuni ambienti della politica, della cultura e del giornalismo hanno affrontato l’argomento, dando l’impressione di esserne all’oscuro o di ignorarne le reali dimensioni.

Da più parti si sono levate voci di condanna contro il caporalato, chiedendo un intervento forte dello Stato per contrastare il fenomeno.

A riguardo non possiamo non ricordare i dissesti idrogeologici che puntualmente avvengono ogni anno nel nostro paese, quasi sempre in zone già precedentemente interessate da simili eventi – Genova docet -,  a causa della mancata prevenzione, come se il pregresso non avesse insegnato nulla a chi amministra la res pubblica.

Ogni anno, non appena si scatenano i primi temporali, in Italia siamo costretti a registrare frane, smottamenti, esondazioni di fiumi e ruscelli con i loro triste strascico di distruzione e morte, la cui a causa è quasi sempre da attribuirsi all’incuria umana, non certo alla furia della natura: se costruisco una palazzina sul greto di un fiume, malgrado la legge me lo impedisca, e poi l’esondazione del fiume la distrugge, la colpa non è solo mia che ho costruito laddove era vietato ma, dato che una palazzina non si edifica in una sola notte, anche di chi doveva tutelare affinché la legge fosse rispettata e invece ha probabilmente volto lo sguardo altrove; oppure se un fiume esonda,  creando allegamenti, perché ha il greto ostruito da detriti e altro, la colpa non è certo della natura ma di chi avrebbe dovuto preventivamente dragare l’alveo per favorire lo scorrere dell’acqua in momenti di piena, evitando in quel modo l’inondazione.

Sabato 11 agosto Il Fatto Quotidiano ha pubblicato un’intervista a un caporale di colore il quale, mentre risponde alle domande del cronista, riceve una telefonata che lo allarma. Ecco le sue parole: “C’è un controllo qui vicino. Ormai è così tutti i giorni: ispettorato, carabinieri, tutti ora si sono svegliati”.

Le leggi contro il caporalato, e non solo, ci sono, basterebbe che chi è preposto le applicasse e le faccesse rispettare.

Ma prima, non dopo che ci è scappato il morto!

CONTE, UN PREMIER AL SERVIZIO DI DUE PADRONI?

conte di maio salvini

Prima ancora che il governo Lega-M5S avesse la fiducia delle Camere per insediarsi e iniziare a governare a pieno titolo il paese, già si sprecavano le critiche preconfezionate a quello che le opposizioni e i loro sostenitori mediatici definiscono un governo di destra, se non addirittura di estrema destra. Senza non poche ragioni, visto le prime, infelici dichiarazioni del neo Ministro degli Interni Matteo Salvini sui migranti e sulla Tunisia che, a suo dire, manderebbe in Italia una marea di galeotti, alimentando un incidente diplomatico tra i due paese.

A parte la reprimenda del predecessore di Salvini al Viminale, Marco Minniti, il quale ha invitato il leader leghista a moderare i toni, non essendo più solo un leader di partito ma anche un Ministro della Repubblica, e il biasimo di più di un commentatore politico, anche di parte, sarebbe stato giusto se il monito a Salvini a pesare meglio le parole fosse giunto direttamente dal suo “titolare”, ovvero il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Purtroppo sulla vicenda Conte non ha proferito parola, accrescendo il legittimo dubbio d’essere subordinato alla volontà dei due vice premier, Di Maio e Salvini, entrambi leader dei partiti che hanno stilato il contratto, alias l’alleanza di governo, M5s-Lega.

Pensare che a Palazzo Chigi sieda un premier teleguidato dai propri vice non depone a favore né del governo né del paese. Cosa dirà o farà Conte se si dovesse trovare al cospetto di una situazione di emergenza nazionale o internazionale dove necessita una sua immediata decisione? Si apparterrà per chiamare al telefono prima Salvini e poi Di Maio, chiedendo loro cosa fare? E se non fossero raggiungibili o avessero opposte visioni sulle decisioni da prendere? Che farà il Premier? Si servirà della monetina o deciderà autonomamente, soprattutto se la scelta suggerita da entrambi i suoi vice non lo convincesse?…

Sarebbe il caso che il Presidente del Consiglio avesse fatto sentire la propria voce, esprimendo un giudizio sulle esternazioni di Salvini, magari dissociandosene, per trasmettere l’idea, prima di tutto ai propri cittadini, che lui è davvero il Presidente del Consiglio, e dunque l’uomo più potente d’Italia dalle cui scelte dipendono le sorti del paese, anziché un burattino manovrato da Di Maio e Salvini, come da più parti si ipotizza. Una sorta di “Ambra” di “NON é la Rai” cui Boncompagni dettava le direttive attraverso l’auricolare.

Il silenzio non è solo degli innocenti o dei saggi ma anche dei servi. Vorremmo capire a quale di queste tre categorie appartiene Conte.

Speriamo che quanto prima il Premier Conte dia mostra della propria autonomia rispetto ai suoi vice. Non fosse altro per acquistare credibilità agli occhi dei cittadini e del mondo intero.

L’idea che l’Italia possa avere un Premier servo di due padroni non è affatto edificante. Anzi è ridicola. Per certi versi addirittura terrificante!

L’ESITO ELETTORALE E’ LA VOCE DEL POPOLO, LO SI RISPETTI

La premessa è d’obbligo: molti degli 11 milioni di italiani, me compreso, che alle ultime elezioni hanno votato M5S, probabilmente si sarebbero astenuti dall’andare alle urne, oppure, se ci fossero andati, si sarebbero turati il naso e avrebbero votato Pd o LeU, oppure avrebbero annullato la scheda, se avessero solo immaginato che, pur di governare, il M5S avrebbe successivamente stipulato un contratto di governo, alias alleanza, con la Lega di Matteo Salvini. Quel Salvini che fino a qualche anno fa ne diceva peste e corna dei meridionali e degli immigrati, con cui in campagna elettorale Di Maio giurava e spergiurava che mai avrebbe fatto un’alleanza.

Ma visto che le cose sono andate come sappiamo, non si capisce perché le opposizioni, Pd in testa, continuino a definire poco meno che fascista questo governo; affermando di aver lasciato un paese migliore rispetto a cinque anni fa, ossia prima che al governo ci andassero loro con l’alternanza a Palazzo Chigi di Letta, Renzi e Gentiloni nell’ordine.

Se lor signori, nei cinque anni che hanno governato, avessero davvero migliorato le condizioni di vita del paese, in particolare quelle dei ceti medio bassi, perché gli italiani non li hanno rivotati, dividendo le proprie preferenze tra M5S e centrodestra? Soprattutto perché due milioni e mezzo di votanti hanno abbandonato il Pd, orientando la propria preferenza verso il M5S?

Le risposte non possono essere che due:

  1. gli italiani sono talmente masochisti per cui hanno deciso di punire chi ha reso migliore la qualità della loro vita, cominciando dai giovani che hanno deciso di votare M5S o centrodestra perché il precedente governo di centrosinistra aveva risolto la questione della disoccupazione e del precariato, garantendo finalmente loro un lavoro ben retribuito e a tempo indeterminato anziché l’eterna insicurezza del precariato e dunque l’impossibilità a pianificare il proprio futuro;
  2.  stanchi di ascoltare una narrazione dissonante da parte di chi li governava – si raccontava di un paese in leggera ma costante ripresa, a partire dall’economia e dalla lotta alla disoccupazione – rispetto alla realtà che i cittadini vivevano quotidianamente sulla propria pelle, molto probabilmente, preso atto di essere vittime dell’ennesima frode da parte di chi li aveva governati, nel momento in cui ne hanno avuto la possibilità, servendosi del voto, gli italiani hanno deciso di esprimere una preferenza diversa rispetto a cinque anni fa per punire chi ai loro sguardi appariva un incapace e un bugiardo, millantando risultati meravigliosi” che la maggioranza dei degli elettori non vedeva affatto, vivendo con fatica la quotidianità.

Ora che al governo c’è questa strana creatura gialloverde, che le opposizioni e i loro amplificatori mediatici demonizzano come il male assoluto, anziché bocciarne preventivamente l’operato con i “se” e con i “ma” – la storia si fa con i fatti, non con le supposizioni – invece di lanciare velati, ma nemmeno troppo, anatemi all’ignoranza degli elettori per aver affidato il paese nelle mani degli incapaci e dei “fascisti”, sarebbe il caso che lor signori e signore delle opposizioni e i loro cani al guinzaglio del mondo dell’informazione si facessero un esame di coscienza e si chiedessero se l’attuale maggioranza di governo non sia l’espressione del malessere che vivono milioni di connazionali i quali, consapevoli che solo con il voto possono tentare di migliorare le proprie condizioni di vita, e dunque implicitamente affermano di fidarsi comunque ancora della politica, hanno deciso di dare una chance a chi da poco è sulla scena politica nazionale. Fa niente se si tratta di una banda di incompetenti, dilettanti allo sbaraglio e xenofobi.

Se gli esperti che ci hanno governato negli anni precedenti, agli occhi dei cittadini, appaiono come la causa dei loro mali, che altro potevano fare la maggioranza degli elettori? Fidarsi ancora di chi disattese alle promesse fatte?

Con una virata in punta di matita, hanno deciso di provare a cambiare in meglio il corso delle loro vite, votando chi fino al 3 marzo stava all’opposizione.

È ovvio che così come alle urne il 4 marzo hanno punito coloro da cui si sono sentiti traditi e presi in giro, se l’attuale maggioranza di governo non dovesse dimostrarsi all’altezza delle aspettative, non si può escludere che alle prossime elezioni gli italiani voteranno in maniera del tutto diversa, bocciando anche l’attuala maggioranza di governo! Magari tornando a votare chi votavano fino a ieri o non andando per nulla a votare.

Premesso che nel frattempo costoro sappiano rinnovarsi per davvero. E soprattutto sappiano fare tesoro della cocente sconfitta elettorale.

L’esito elettorale è la voce della maggioranza del popolo. Lo si rispetti, seppure non piace, lo impongono le regole della democrazia!