PIANO TRAFFICO UNIVERSIADI 2019: RESTANO LE PERPLESSITA’ DI CASA DEL CONSUMATORE (INTERVISTA AL RESPONSABILE CITTADINO DOTT. CARLA DE CIAMPIS)

L'immagine può contenere: Carla de Ciampis

Dopo il caos/traffico di venerdì 28 giugno conseguente al varo del piano viabilità predisposto dal Comune di Napoli per le Universiadi, da sabato 29 giugno è stato predisposto un nuovo percorso che lunedì 1 luglio, con la riapertura delle attività commerciali e lavorative, testerà la propria efficacia. Sulla scia delle polemiche dei giorni scorsi, abbiamo dato la parola al Dottor Carla De Ciampis, responsabile cittadino di Casa del Consumatore, che da diverse settimane sta lanciando allarmi inascoltati sulle probabili ripercussioni negative che il piano avrebbe avuto sulla viabilità, penalizzando i comuni cittadini.

 

Dottore alcune settimane fa lei espresse le proprie perplessità riguardo i problemi di viabilità che si sarebbero potuti presentare per i cittadini durante le Universiadi, se non fosse stato studiato dal Comune un corretto piano di viabilità. Purtroppo queste suoi dubbi hanno trovato conferma con il caos che si è verificato venerdì scorso con l’entrata in vigore del piano, costringendo i responsabili a rivederlo il giorno dopo. Alcuni giorni fa ha scritto una lettera a diversi giornali, rimarcando la sua sfiducia.  È il caso di dire “nemo profeta in patria”?

Partiamo dalla fine: la lettera a cui fa riferimento è stata l’atto conclusivo di una presa di posizione personale iniziata ai primi di giugno quando fu varato e reso pubblico sui siti istituzionali il piano traffico per le Universiadi. Non appena lo visionai notai subito che presentava diverse criticità a scapito del comune cittadino e provai a contattare anche via Facebook i responsabili delle istituzioni per confrontarci civilmente, senza purtroppo ricevere nessuna risposta. A questo punto, poiché il piano era già stato varato, era inutile fare una richiesta di convocazione. Per cui ho esternato le mie perplessità confidando che qualcuno mi avrebbe risposto.

Su quali basi si fondano le sue perplessità?

Sul fatto che da circa dieci anni Napoli è sprovvista di corsie preferenziali a causa dei lavori della Linea 1 della metropolitana. Com’era possibile pensare che strade ridotte al lumicino per via dei  cantieri per la metropolitana, strade che sono state lottizzate in buona parte dalle strisce blu con conseguente restringimento delle corsie e delle carreggiate, potessero magicamente non rivelarsi un problema per i cittadini all’atto in cui si sarebbe varato un piano viabilità per le Universiadi che giustamente prevedeva la creazione di corridoi preferenziali per il transito dei pullman che trasporteranno gli atleti dal Molosiglio a Fuorigrotta e viceversa? Con questi elementi di base non riuscivo a capire come si sarebbe fatto e quindi mi meravigliavo di come gli organizzatori e i responsabili amministrativi potessero aver trovato magicamente la soluzione. Quando c’è stata la prima attuazione del piano le mie perplessità si sono concretizzate: chiudendo le strade alla pubblica viabilità per creare i corridoi per gli atleti, relegando i cittadini in un’unica corsia tutto è subito andato in tilt!

Tra ieri e oggi sembrerebbe che la situazione sarebbe un tantino migliorata in quanto, proprio in virtù del caos di venerdì, i sensi di marcia che hanno creato tanti problemi ai cittadini, sarebbero stati nuovamente invertiti. Si aspetta domani, quando riprenderanno le attività lavorative e commerciali, per vedere se effettivamente i problemi sono stati, almeno in parte, risolti.

Ribadisco, le mie perplessità nascono dal fatto che da dieci anni a Napoli non esistono corsie preferenziali che in questo caso sarebbero servite anche per il trasporto degli atleti. In carenza di questo non capisco come abbiano potuto pensare di far circolare decine di pullman, macchine, taxi per il trasporto degli atleti senza penalizzare i cittadini!

Allo stato attuale quali sono le sue aspettative in merito?

Stamani sui quotidiani cittadini leggevo che il Comune ha preso atto che il piano così com’è non va bene, avallando dunque le mie ritrosie.

Quando all’epoca lei segnalò il problema al comune ricevette risposta?

No! In questi casi, come dico sempre, il comune cala dall’alto le ordinanze. Mi spiego: con l’ordinanza 269 del 26 giugno, dunque varata appena quattro giorni fa, il Comune per 21 giorni  vieta sia il transito che la sosta in aree specifiche perfino ai residenti muniti di regolare permesso i quali non lo hanno avuto gratuitamente ma lo hanno pagato, senza minimamente preoccuparsi di sopperire al disagio fornendo ai malcapitati la possibilità di parcheggiare gratuitamente in garage con cui preventivamente il Comune stesso si sarebbe dovuto accordare, stabilendo un prezzo di comodo per garantire a chi ne ha diritto la possibilità di parcheggiare e sostare laddove risiede.  Mi sarei aspettata quanto meno questo. Se non addirittura che, così come gli operatori delle Universiadi sono stati dotati di abbonamenti gratuiti per i mezzi pubblici, per i cittadini sottoposti ai disagi della viabilità e del parcheggio il Comune prevedesse degli abbonamenti a un costo speciale per tutta la durata del periodo dei giochi in modo da indurli a non doversi spostare con l’auto. Altra criticità che a mio avviso renderà difficile la viabilità ai napoletani durante le Universiadi è che da luglio scattano le ferie per molti operatori del settore dei trasporti su gomma e su ferro. Non a caso la funicolare che collega Mergellina a Via Manzoni resterà chiusa dal 30 giugno a settembre per lavori di manutenzione. Ora mi chiedo, possibile che in vista di un evento così importante come le Universiadi i lavori non potessero slittare alla fine dei giochi, dando la possibilità a chi viene dalla zona collinare della città di muoversi  senza grosse difficoltà?

Come responsabile dell’associazione consumatori lei cosa chiede?

Innanzitutto che per l’organizzazione di un evento così importante si fosse adoperata la filosofia del buon padre di famiglia, ponderando tutti i punti di vista, partendo dai commercianti ai cittadini agli atleti e a quanti si muoveranno attorno ai giochi, tenendo ben presente tutte le situazioni di sicurezza. Quando hanno rifatto il manto stradale del corridoio per il trasporto degli atleti lo hanno rifatto non solo riempiendo tutte le buche e cancellando i rattoppi, ma hanno cassato anche la segnaletica orizzontale. Attualmente il manto stradale è una lunga strisciata di nero priva di strisce pedonali anche in prossimità dei semafori. Poiché il piano originale prevedeva delle anomalie rispetto a quello attualmente in corso, in molte zone c’è una segnaletica che non corrisponde più al reale senso di marcia. Ad esempio Viale Gramsci: il percorso originale lo prevedeva a doppio senso e sull’asfalto c’è la segnaletica relativa. Con il piano attuale, sotto esame da domani, Viale Gramsci torna a essere a senso unico, malgrado la segnaletica orizzontale indichi il contrario. Ma pare che già starebbero provvedendo a modificarla proprio in questo momento…

In conclusione cosa si sente di dire?

Se si fosse adottato il buonsenso, personalmente non avrei varato un piano dall’alto, bensì lo avrei studiato e sperimentato molte settimane prima dei giochi. Domani, quando mancheranno solo  tre giorni all’inizio delle Universiadi, si testerà la validità del nuovo piano viabilità. Se dovesse fallire, dovrà funzionare per forza, con buona pace dei cittadini! Mi lasci aggiungere un’ultima cosa: pare che l’attuale piano preveda per un tratto di strada la commistione tra il corridoio per il trasporto degli atleti con il traffico privato. Se davvero fosse, mi chiedo se, così facendo, non si minerebbero le elementari regole per la sicurezza degli atleti e degli stessi cittadini?…

INTERVISTA A CLAUDIO CORREALE, L’ANIMA DI LUX IN FABULA

Di seguito la versione integrale dell’intervista pubblicata su comunicaresenzafrontiere.it

Sabato 22 giugno con Conversazioni Socialmente Utili si è chiusa la prima edizione della rassegna culturale QUATTRO CHIACCHIERE CON L’AUTORE curata e realizzata dall’associazione culturale flegrea Lux In Fabula presso la propria sede a Pozzuoli.

Per l’occasione abbiamo intervistato il Presidente Claudio Correale per fare il punto sulla rassegna appena conclusasi e conoscere i prossimi progetti dell’associazione.

Claudio perché QUATTRO CHIACCHIERE CON L’AUTORE?

Per dare la possibilità ai tanti intellettuali e artisti sparsi sul territorio flegreo, ma che non riescono a trovare gli opportuni spazi in cui esibirsi, di farsi conoscere e apprezzare. Alla rassegna hanno partecipato diciannove artisti, di cui la maggior parte romanzieri e saggisti. Nonché un informatico che ha ideato un sito internet dove è possibile passeggiare virtualmente nel tempo, sia nei campi flegrei che altrove, muniti della strumentazione relativa; un tecnico elettronico con la passione della fotografia che ha spiegato l’utilizzo dei droni in ambito fotografico; un gruppo di professionisti impegnati nella salvaguardia dei diritti dei consumatori che ha illustrato i mezzi e le dinamiche di cui può usufruire il cittadino per difendersi dagli abusi di cui spesso è vittima da parte degli enti pubblici e privati. E ovviamente studiosi del territorio che ne hanno parlato in senso lato, non limitandosi a Pozzuoli e all’area archeologica che lo riguarda, ma estendendosi fino alla conca di Agnano che ha molto da dire e da dare in ambito archeologico e storico, contrariamente a quanto si possa immaginare. Ovviamente non è questa la prima volta che organizziamo una manifestazione del genere. Già in passato, seppure sotto altre vesti, abbiamo organizzato eventi simili, cercando sempre di dare spazio a chi non ne aveva, non perché non fosse capace ma perché non riusciva a trovare i canali giusti che gli consentissero di farsi conoscere.

La manifestazione ha avuto un tale successo che già avete pronto il calendario completo per la prossima edizione…

Sì, è vero, gli obiettivi sono stati perfettamente centrati e in autunno prenderà il via la seconda edizione, quasi in contemporanea con il nuovo appuntamento dei “Giovedì Letterari” presso il Museo del Mare di Napoli a Bagnoli con “Pozzuoli è Memoria!” (il 31 Ottobre 2019) che tanto consenso ha ricevuto per i contenuti espressi dai numerosi relatori il 4 aprile scorso quando per la prima volta come associazione fummo invitati a parteciparvi. Ritornando alla seconda edizione di Quattro Chiacchiere Con L’Autore, è già possibile visionare online sul sito di Lux in Fabula, cliccando sulla sezione “Eventi”, il calendario provvisorio degli incontri: si partirà il 26 ottobre 2019 con la presentazione del tuo libro Le Mie Ragazze Rom dove narri la tua esperienza di laboratorio di scrittura creativa presso la sezione femminile del carcere minorile di Nisida nel 2006, e si proseguirà con un fitto programma, arricchito anche da interventi musicali e artistici.

Ci racconti come nasce Lux In Fabula?

Più di trent’anni fa insieme al fotografo Ciro Ammendola e al pittore Antoine, così si faceva chiamare, affittammo un appartamento a Pozzuoli, al parco Bognar nei pressi della metropolitana, e iniziammo a fare attività artistiche. Tra le prime attività sociali che intraprendemmo ci fu quella di commentare alcune favole utilizzando delle diapositive fatte a mano con la tecnica della diapositiva creativa. Le immagini che proiettavamo erano quasi tutte astratte in maniera da sollecitare quanto più potevamo la fantasia dei bambini. Ci tengo a precisare che noi nasciamo con l’intento di insegnare ai bambini a difendersi dagli abusi dei mass media e le nostre attività si svolgono soprattutto nei plessi scolastici elementari. Dotando i ragazzi degli strumenti adeguati per non lasciarsi sedurre dai messaggi pubblicitari audio e audiovisivi, siamo convinti che ciò possa risolversi nel primo e fondamentale passo per avere un domani una società di uomini liberi e non di “schiavi” del messaggio. In sintesi il nostro scopo è quello di sviluppare nei bambini una capacità critica verso le immagini. In particolare a difendersi dalla televisione che a livello mediatico è il mezzo invasivo per eccellenza. A riguardo ho tenuto fino pochi anni fa corsi P.O.N. agli insegnanti, sia nell’area flegrea che altrove, perché imparassero le tecniche necessarie per poi educare i bambini a come fare per difendersi dagli abusi della società dell’immagine!

Luci e ombre di questa prima rassegna di Quattro Chiacchiere Con L’autore…

Di ombre non mi sembra ce ne siano state, a parte qualche defaillance di partecipazione all’ultimo momento cui abbiamo saputo rimediare senza difficoltà visto che tanti erano quelli che ci tenevano a partecipare alla rassegna. Di luci, per quanto mi riguarda, ce ne sono state tantissime. A partire dalla folta presenza di pubblico che ha accompagnato ogni incontro. Considerando le misure ridotte della nostra sala, circa venticinque metri quadrati, abbiamo avuto mediamente la presenza di 15/20 persone con punte anche di 30/40. Per cui già questo ti gratifica e ti motiva a proseguire nell’opera.

Come mai un’associazione come la vostra così attiva da tanti anni sul territorio non è dotata di una sede idonea? Non ne avete mai fatto la richiesta alle autorità competenti?

Sì, la richiesta l’abbiamo fatta. Finora in risposta abbiamo ricevuto solo impegni informali e promesse che spero non tarderanno a tramutarsi in realtà. Sia chiaro, mi rendo conto che le nostre esigenze sono secondarie rispetto a tante altre cui l’autorità deve far fronte. Tuttavia confido che il nostro impegno per il territorio venga riconosciuto anche in sede ufficiale e premiato con la messa a disposizione di uno spazio adeguato che ci consenta di moltiplicare per enne le nostre attività. E soprattutto di realizzare un progetto che mi sta particolarmente a cuore…

Quale?

Il museo del bradisismo. Dotare Pozzuoli di un luogo dove chiunque possa recarsi per erudirsi sul bradisismo, questo particolare fenomeno che caratterizza da sempre i campi flegrei,Pozzuoli in particolare, e acquisire la consapevolezza di quanto esso abbia influito, influisca e influirà in ambito sociale! Unitamente al museo sul bradisismo, un’altra nostra proposta è il museo interattivo della cinematografia. Abbiamo collezionato sessanta strumenti che vanno dalla seconda metà dell’ottocento a oggi: cinque lanterne magiche di cui due funzionanti; tantissimi giochi ottici che abbiamo ricostruito. Nonché proiettori che vanno dagli anni 40 a oggi. Abbiamo inoltre una collezione straordinaria di macchine Polaroid e altre macchine fotografiche di un certo valore.

Per quest’estate avete in programma qualcosa?

Siamo stati invitati a partecipare alla quattordicesima edizione di Malazé nella figura di Rosario Mattera che è il padre/fondatore della manifestazione: il 22 settembre nella sede della nostra associazione terremo quattro spettacoli con lanterne magiche dell’800.

Cosa vuol fare Claudio Correale da grande?

Il mio sogno è realizzare il museo del bradisismo e quello della cinematografia a Pozzuoli. Se però non fosse possibile, sono già in contatto con altre realtà di Napoli e provincia che sono interessate ai progetti e disponibili a offrirci gli spazi necessari per dargli vita. Ma spero di riuscire a realizzare il museo del bradisismo a Pozzuoli. Farlo altrove lo troverei umiliante e offensivo per la città e per i cittadini. Il bradisismo è l’anima di Pozzuoli, sia nel bene sia nel male!

LUX IN FABULA OSPITA “CONVERSAZIONI SOCIALMENTE UTILI”

Di seguito la versione integrale dell’articolo pubblicato su comunicaresenzafrontiere.it

Pozzuoli – presso Lux in Fabula, sabato 22 giugno, in appendice alla rassegna QUATTRO CHIACCHIERE CON L’AUTORE, si è tenuto l’incontro “CONVERSAZIONI SOCIALMENTE UTILI” rassegna itinerante organizzata dalla giornalista Carla De Ciampis:l’obiettivo è condividere in uno “spazio fisico” argomenti del vivere quotidiano attraverso la conversazione tra esperti di una materia e una ristretta platea di persone.

L’odierna “conversazione” ha visto protagonisti gli esperti: avv. Lucia Vitiello – ADUSBEF (Associazione Difesa Utenti Servizi Bancari e Finanziari) sede di Santa Lucia, Napoli –  il dott. Antonio del Prete – Direttore Organizzativo APS Sud Fundraising e un gruppo di soci dell’associazione Lux in Fabula.

L’ intervento dell’avvocato Vitiello ha toccato dapprima la figura del consumatore all’interno della legislazione italiana ed europea. Poi ha illustrato il ruolo indipendente e centrale dei consumatori con le banche, gli istituti di credito e assicurativi.

Dal 2007, grazie all’opera del legislatore, il cittadino è stato dotato degli strumenti idonei per potersi difendere anche in ambito bancario/assicurativo. L’esperta ADUSBEF ha continuato con una breve disamina del Codice del Consumo, lo stesso va considerato come una svolta importante nella tutela dei consumatori italiani, soprattutto per la rilevanza che assume in termini di politica del diritto.

La Vitiello ha ricordato la facoltà del consumatore, in ambito bancario, di richiedere per ottenere un mutuo, un prestito o altro, l’intera documentazione contrattuale prima di sottoscrive, per poterla esaminare con calma anche con l’aiuto di un esperto, o delle associazioni dei consumatori.

“Evitare – sottolinea l’avvocato – la prassi di firmare senza la dovuta consapevolezza e disamina”. Spesso, il sottoscrittore “incauto”  può incorrere in clausole capestro, con un dispendio di tempo e spese aggiuntive. Ha concluso “oggi il legislatore è a favore del consumatore, con un Codice sul Consumo, con le attività in autotutela e con le associazioni dei consumatori presenti su tutto il territorio“.

L’argomento “Forme di sostegno al territorio: il 5 x 1000 al Sud tra ritardi e difficoltà” trattato dal Direttore Organizzativo APS SUD Fundraising, Antonio Del Prete, ha evidenziato il ruolo fondamentale della comunicazione e del marketing per le Associazioni del terzo settore e ricerca.

Dopo un breve cenno sulle diverse destinazioni del 2, 5 e 8 per mille nelle dichiarazioni dei redditi (8×1000 – devoluto alle istituzioni religiose o Stato; 5×1000 – alle associazioni impegnate nel sociale, ricerca; 2×1000 ai partiti e movimenti politici) l’esperto ha chiarito il ruolo fondamentale dei dottori commercialisti e dei centri di assistenza fiscali-Caf- per la parte operativa e di informazione ai contribuenti a partire dal Codice Fiscale dell’Associazione a cui destinare.

Il Meridione – ha spiegato Del Prete – sconta la mancanza della comunicazione, del non fare marketing da parte delle Associazioni interessateIn Italia poco più dell’11% di questi fondi va al mezzogiorno. La maggioranza viene distribuita ad associazioni dislocate al Nord, in particolare in Lombardia e nel Lazio“.

Tale disparità non è da attribuirsi a una gestione “federalista” dei fondi, bensì a una capacità di fare comunicazione/marketing da parte di molte associazioni ma anche ospedali del centro nord rispetto a quelli del sud; unitamente a una disparità di redditi tra nord e sud a svantaggio di quest’ultimo.

“L’ importanza del fare una buona comunicazione si tramuta in cifre: per esempio, l’Ospedale Meyer di Firenze raccoglie tantissimo rispetto a qualunque ospedale pediatrico del sud. Le cifre si ottengono anche per un lavoro continuo tutto l’anno. Gruppi di volontari girano per i reparti pubblicizzando le attività dell’ospedale Mayer, invitando i genitori e parenti dei piccoli degenti a devolvere, quando sarà il momento, il proprio 5×1000 all’ospedale affinché possa finanziarsi e proseguire il proprio lavoro di ricerca, garantendo la migliore assistenza “. “L’importanza della scelta del 5×1000 nella propria dichiarazione dovrebbe essere percepita da ogni contribuente non solo barrando la casella relativa”.

Infatti, la destinazione, si effettua mediante l’inserimento del Codice Fiscale dell’Associazione prescelta. Il nostro 5×1000 se non indirizzato con il predetto codice fiscale confluirà automaticamente in un fondo generale che sarà, poi, distribuito alle prime 8 associazioni nazionali impegnate nella ricerca e nel sociale. Evidenzia Del Prete “tali 8 associazioni sono tutte dislocate nel centro nord, mentre potremmo favorire le nostre al sud destinando consapevolmente il 5 per Mille”.

La serata o meglio la Conversazione si è conclusa con la condivisa soddisfazione dei presenti e la necessità di incontrarsi di nuovo per proseguire questo “apprendimento sociale” su altre tematiche.

 

Vincenzo Giarritiello

“ERAVAMO TANTO RICCHI” LE MEMORIE DI ANNAMARIA VARRIALE

Di seguito la versione integrale dell’articolo pubblicato su comunicaresenzafrontiere.it 

La sensazione che si ha leggendo ERAVAMO TANTO RICCHI di Annamaria Varriale, edizioni Homo Scrivens, è di avere tra le mani un album fotografico in cui sono serbate in ordine cronologico le foto in bianco/nero di famiglia di più generazioni e, mentre lo sfogliamo, di sentire una voce di donna che in maniera didascalica, senza sbalzi emotivi, racconta ogni singolo scatto, soffermandosi sui particolari, imbastendo una storia lineare ed emozionante foto dopo foto.

Con voce ferma, perfino quando narra vicende tragiche come l’improvvisa scomparsa della mamma quando era ancora bambina, l’autrice tratteggia un affresco familiare di pregevole fattura narrativa, regalandoci un’opera affascinante in grado di farci vedere personaggi e scenari, respirare odori e profumi di cibi e stagioni, ascoltare suoni e voci di un passato a lungo sedimentato dentro di sé sotto forma di ricordi che fuoriescono lentamente dalla penna con leggerezza ed eleganza, ma con decisione e sostanza a conferma che lo scorrere del tempo non li ha minimamente scalfiti bensì fatti levitare.

Nel suo incedere narrativo la Varriale sussurra le parole, centellinandole come gocce di una medicina in grado di curare le ferite dell’anima, senza omettere nulla, neanche momenti imbarazzanti quali la decisione del padre, una volta rimasto vedovo, di rifarsi una vita senza dire nulla ai figli e, quando decide di andare a vivere con la nuova compagna anche lei vedova, non avendo il coraggio di comunicare la notizia ai propri cari, sparisce lasciando che a farlo siano i figli di lei, scatenando un putiferio. Un modo in apparenza vigliacco, ma che testimonia l’amore e il rispetto che Raffaele, così si chiamava il padre di Annamaria, nutriva verso i propri figli tanto da sentirsi in colpa per una decisione umanamente comprensibile, seppure difficile da accettare per una famiglia unita qual era la sua dove la figura di Carolina, la madre di Annamaria, si era sempre rivelata fondamentale non solo per il marito e i figli, ma prima di tutto per i propri fratelli e sorelle, portando alcuni di loro a vivere con sé sotto lo stesso tetto.

Tratteggiando luoghi e personaggio della propria infanzia, la scrittrice lo fa con chiarezza di particolari e padronanza di linguaggio che è impossibile al lettore, soprattutto se a sua volta è cresciuto e ha vissuto in quei posti, di non “vedere” quanto sta leggendo a conferma della potenza descrittiva dell’autrice: il Bar De Bono in Via Giulio Cesare, Sisina la fruttivendola, la Pizzeria Cafasso, la Mostra d’Oltremare, il Banco di Napoli a Fuorigrotta, la Torretta a Mergellina sono siti, locali e personaggi che chiunque abbia vissuto a cavallo degli anni cinquanta/settanta tra Fuorigrotta e la Riviera di Chiaia ben conosce e riconosce nei fotogrammi narrativi della Varriale.

L’intento della scrittrice è raccontare la storia della propria famiglia nell’arco di cinquant’anni, dalla fine della prima guerra mondiale al sessantotto; dove l’avvento della televisione e degli elettrodomestici sono segni emblematici di un indiscutibile cambiamento economico e sociale. Tuttavia la sensazione è che, attraverso il dipanarsi del filo della memoria, lei voglia dimostrare come l’unità familiare sia un valore imprescindibile e assoluto per essere felici. Per cui quel ERAVAMO TANTO RICCHI che dà il titolo al libro non si riferisce soltanto alla agiatezza economica, che per inciso alla sua famiglia non è mai mancata grazie alla ben avviata attività di barbiere del padre, bensì a quella umana, ormai quasi del tutto persa proprio in virtù dell’avvento tecnologico e del consumismo che hanno trasformato gli uomini da soggetti sociali in oggetti di consumo.

Il libro della Varriale può essere considerato un monito a ritrovare l’unità familiare, oggi sempre più in disfacimento perfino a tavola un tempo luogo deputato al rinsaldarsi della famiglia, essendo quella l’unica vera ricchezza degli uomini; a far sì che l’indicativo imperfetto del titolo, “eravamo”, quanto prima venga coniugato al presente con “siamo”, perché solo l’unità familiare è in grado di rendere felici.

In ERAVAMO TANTO RICCHI Annamaria Varriale si rivela narratrice doc, limitandosi a raccontare le vicende della propria famiglia e di se stessa senza porsi alcun problema stilistico; rivolgendosi al lettore come se parlasse a un amico che conosce da sempre. Ed è forse per questo motivo che, leggendolo, non ci si può esimere dal riflettere su ogni singolo episodio rapportandolo a se stessi, chiedendosi oggi che fine abbia fatto quella ricchezza un tempo denominata famiglia che si reggeva sulle cose semplici ma sincere, rendendo felice perfino chi aveva poco o niente!

Vincenzo Giarritiello

CORO GOSPEL DI POZZUOLI: INTERVISTA AL MAESTRO ENRICA DI MARTINO

Di seguito l’intervista integrale al Maestro Enrica Di Martino pubblicata su comunicaresenzafrontiere.it

 

Diplomata in canto al conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli, Enrica Di Martino  vanta un’esperienza in campo nazionale ed europea; ha ricevuto diversi riconoscimenti come il secondo posto Concorso G. B. Pergolesi, il primo posto al “Concorso AMA Campi Flegrei”, Borsa di Studio Silvia Geszty a Neustad in Germania, terzo posto nel “Concorso Internazionale Caruso De Lucia”. Come formatrice ed insegnante di canto opera in scuole e teatri campani da oltre venti anni.

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Maestro quando nasce il coro gospel?

Il Coro Città di Pozzuoli ha solo tre anni di vita, ma in questi tre anni abbiamo davvero fatto passi da gigante. Era un desidero formare un coro di voci puteolane, eccoci qua. Ci tengo a precisare che il coro di Pozzuoli è preceduto dal Coro Gospel Eyael nato nel 1998 a Napoli. Io non sono puteolana, sono stata adottata da questa splendida città. Quando avevo la scuola a Napoli, nacque il coro Eyael che prende il nome dal mio angelo custode. Lo scopo di quel coro possiamo definirlo di tipo divulgativo affinché la gente prendesse conoscenza del gospel.

Come l’è venuta l’idea di creare un coro gospel a Pozzuoli?

Il gospel ha una forza trainante incredibile per cui ce ne siamo serviti per coinvolgere nel progetto anche chi non avesse il coraggio di cantare a causa dell’età avanzata: il coro è formato da elementi che vanno dai 30 agli 80 anni. Purtroppo al momento registriamo una scarsa partecipazione maschile, ma spero che quanto prima questo gap venga colmato con l’adesione al progetto da parte  di un numero crescente di uomini. Approfitto dell’opportunità che mi sta concedendo per invitare tutti coloro che hanno nell’animo il sogno di cantare di avvicinarsi al coro senza remore. Li aspettiamo!

Le audizione come sono articolate?

Avvengono in maniera costante ogni anno, solitamente tra ottobre e novembre, e il coro viene incrementato. Subito dopo incomincia un percorso di studio con sezioni lavorative diverse per portare lentamente tutti i componenti allo stesso livello.

Al momento di quanti elementi è composto il coro?

Circa cinquanta, ma il nostro obiettivo è arrivare a cento voci, formando il famoso gran coro che per gli americani è alla base e viene utilizzato come preghiera nella platea visto che loro non hanno il concetto di rispondere alla  messa ma di vivere la preghiera attraverso il canto. Il nostro obiettivo è appunto quello di rispettare tali principi, realizzando il gran coro di Pozzuoli.

Tra i tanti suoi attestati risalta la qualifica CFP e EVT metodo per l’insegnamento del canto moderno e l’impostazione vocale per gli attori: quando fa un’audizione e si trova al cospetto di chi non avrebbe le qualità par far parte del coro, lei come reagisce?

Partiamo da un presupposto, il canto è un diritto, come un diritto è parlare: se tutti hanno la voce per parlare ce l’hanno anche per cantare. Lo stonato non esiste,  chi lo è va corretto. Diverso è il discorso della musicalità che riguarda il solista il quale ha bisogno di qualità musicali più competenti rispetto al  corista. Il coro è una grande energia in grado di far sì che chi ha difficoltà nella musicalità guarisce e corregge, diventando tra i migliori elementi.

Dunque il coro come terapia…

Assolutamente sì!

Leggendo il vostro curriculum ho visto che come coro avete partecipato a diversi eventi, togliendovi delle belle soddisfazioni. A Pozzuoli, oltre alla chiesa di San Giuseppe, vi siete esibiti in altre chiese?

In tante chiese, perfino nel duomo durante il periodo Natalizio. Ma un altro nostro obiettivo è quello di non far vivere il gospel solo a Natale, ma nell’arco di tutto l’anno. Per quanto riguarda la chiesa di San Giuseppe, penso di non sbagliare affermando che possiamo ormai considerarla la nostra sede dove verranno organizzate delle rassegne ufficiali non solo di gospel, ma di musica colta, riferendomi a musica di un certo livello tipo quella classica, il jazz e il gospel appunto.

Come risponde il pubblico ai vostri concerti?

Dallo scorso dicembre, in maniera assolutamente entusiasmante! Nel duomo abbiamo avuto una tale affluenza di pubblico che dovette intervenire la forza pubblica perché si creassero le condizioni necessarie per dare inizio al concerto. Tra Napoli e Pozzuoli abbiamo festeggiato l’International Gospel Days dove ci siamo confrontati con altri cori gospel di livello internazionale provenienti da Parigi e da Ginevra, registrando nella chiesa di San Giovanni Maggiore la presenza di 1500 persone. Abbiamo concluso la rassegna a Monterusciello nella chiesa di Sant’Artema gremita di gente. Se questa non è una vittoria del gospel, come possiamo definirla?…

Il coro prevede anche il coinvolgimento dei ragazzi?

Soprattutto dei ragazzi! Ovviamente con uno studio mirato agli esami in conservatorio. A questo punto la domanda è: chi forma i ragazzi? Risposta, gli adulti! Di conseguenza ci siamo rivolti agli adulti in modo che la sensibilità e l’obiettivo nascesse da loro.  Così facendo i ragazzi rispondono in maniera ancora più entusiasmante in quanto si sentono sostenuti e guidati. Questo è molto importante.

Il suo approccio con gli studenti com’è?

Lo definirei molto profondo, forse troppo affettuoso. E questo è un rimprovero che mi faccio, ma vivo in maniera passionale tutto ciò. Però ci tengo a precisare che l’affetto non mi fa perdere la razionalità nel giudizio: più gli voglio bene, più voglio il loro bene  e quindi divento esigente!

Maestro presumo che le sia capito che qualcuno che lei avrebbe voluto entrasse nel coro si rifiutasse, in quel caso come reagisce?

Quando parliamo di musica le difficoltà di approccio sono di origine psicologica, ci sono delle resistenze. Personalmente sono molto attratta da chi si dimostra restio perché penso che abbia bisogno ancora di più della musica. A quel punto la mia insistenza è labile, ma costante come l’acqua che lentamente, goccia dopo goccia, nel tempo penetra perfino la roccia più dura. Ovviamente se mi rendo conto che davanti ho una montagna invalicabile, alla lunga lascio perdere. Non mi piace né costringere né forzare.

Progetti per il futuro?

Fare tanta musica a Pozzuoli organizzando rassegne mirate non solo a diffondere i nomi del coro  e della Campi Flegrei Academy, di cui vado orgogliosa, ma per dare un contributo fattivo alla città facendo dei concerti per aiutare a restaurare i monumenti della chiesa di San Giuseppe, per aiutare Africa in Testa e perché tutta la cittadinanza ne tragga benefici. Mi piace fare musica per il sociale, lo considero un motivo in più di sprone in questa splendida avventura!

FERDINANDO PISACANE IN MOSTRA DA “ART GARAGE” CON DIVERTISSEMENT – IL FOTOGRAFO E LA MODELLA

Di seguito l’intervista integrale al pittore Ferdinando Pisacane pubblicata su comunicaresenzafrontiere.it

Pozzuoli: Sabato 2 giugno, per la rassegna ARTinGARAGE, curata da Gianni Biccari, all’Art Garage di Pozzuoli – Parco Bognar 21, adiacente alla stazione Metropolitana FS – si è inaugurata la mostra “DIVERTISSEMENT–IL FOTOGRAFO E LA MODELLA” del pittore Ferdinando Pisacane.

 

L’esposizione durerà fino al 16 giugno e sarà visitabile dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 22; il sabato dalle 10 alle 20domenica chiusaIngresso libero.

Per l’occasione abbiamo intervistato l’artista.

Ferdinando, malgrado tu sia pittore, chiudi questa rassegna fotografica esponendo dei disegni in cui la figura femminile è oppressa come un’ombra dalla sagoma del fotografo. Leggendo la brochure di presentazione, l’idea nasce dal film “Blow Up” di Michelangelo Antonioni, dove, se non ho capito male, la donna è l’oggetto attraverso cui il fotografo afferma il proprio egocentrismo, donandole nello stesso tempo centralità… Ci spieghi meglio questo concetto?

La decisione di partecipare a questa rassegna nasce dal gradito invito di Gianni Biccari di inserirmi in cartellone con un tema distinto che la chiudesse. L’idea da cui traggono origine le opere esposte era considerare il rapporto tra fotografo e modella, prendendo per l’appunto spunto dal film di Antonioni del 1966 dove il fotografo si serve della modella per tirare fuori il proprio egocentrismo: scaricare attraverso di lei il proprio bisogno di appagare, intuire, scoprire, penetrare il senso di essere fotografo. Ovviamente a mia volta dovevo pormi il problema di cosa fossero per me il fotografo e la modella: il fotografo lo sentivo come un’ombra opprimente, per cui l’ho rappresentato con una sagoma nera, un’ombra appunto. Mentre la modella non poteva essere che leggera, leggiadra. Da qui l’idea di ritrarla solo con la matita per conferirle un aspetto molto delicato, prendendo spunto dall’attrice Sarah Miles che interpretò la protagonista del film.

Tra le opere esposte un disegno mi ha particolarmente colpito: in alto è ritratta la donna adagiata di fianco su una nuvola con le ali chiuse sulla schiena come se fosse un angelo; sotto di lei una serie di macchine fotografiche sospese nell’etere, dalla vaga forma fallica…

Ciò che può sembrare fallico è l’obiettivo che inevitabilmente si unisce al volto del fotografo facendo sì che la testa e l’obiettivo diventino un’unica cosa. La modella non è per niente intesa come oggetto, ma la sua leggerezza, caratterizzata dalla matita e le ali testimoniano il suo abbandonarsi volutamente al fotografo anziché esserne succube.

Invertendo i ruoli, non pensi che questa tua denuncia potrebbe farla un fotografo a un pittore?

Confesso che ho riflettuto molto su quest’aspetto: io non sono il terzo incomodo, ma uno che ha voluto immaginare il fotografo e la modella da pittore. Non mi interessa sapere come un fotografo potrebbe immaginare il rapporto tra un pittore e la modella. Per quanto mi riguarda, mi sono divertito a fantasticare come rendere artistico il tema. La mostra si intitola divertissement in quanto, man mano che pensavo, disegnavo, dando sempre più forma all’idea, utilizzando fogli 140×110 perché sentivo la necessità di muovermi in uno spazio ampio, divertendomi molto!

Ci racconti il tuo percorso artistico?

La fotografia l’ho sempre utilizzata come strumento per la pittura, nel senso che spesso ho preso spunto per un’idea da una fotografia, immortalando con lo scatto un soggetto o un particolare che mi interessava per poi riproporlo su tela. A cavallo tra gli anni 70/80 ho seguito fotografi di professione come ad esempio Mimmo Iodice. Ma poi ho fatto la mia scelta artistica, puntando sulla pittura. Per il mio modo d’essere ho bisogno di tenere le mani in pasta, di cercare di avvicinare quanto più è possibile il segno con il pensiero. Credo di essere stato sempre un pittore, seppure la pittura mi è molto servita per debellare forme di paura, di limiti. Una sorta di terapia.

Napoli è una città un po’ strana, molti artisti la amano e odiano contemporaneamente: il tuo rapporto d’artista con la città qual è?

Napoli è bella, produce delle splendide cose, ma difficilmente aiuta l’artista napoletano. Poi ci sono degli artisti un po’ più fortunati o ci sono dei momenti dove si dà più sostegno all’arte. Ma si potrebbe fare molto di più per coloro che per anni hanno operato nell’anonimato all’ombra del Vesuvio. Credo che ci sia davvero da lavorare e ho la sensazione, ma spero di sbagliarmi, che la città non sia culturalmente preparata a sostenere la crescita artistica!

A cosa attribuiresti quest’eventuale pecca?

La percezione è che si faccia cultura con la c minuscola. Le realtà artistiche, soprattutto quelle emergenti, vanno sostenute. Io conosco dei giovani artisti di una bravura e intelligenza straordinarie, ma molti di loro sono costretti a espatriare per trovare la propria realizzazione, non conseguendo a Napoli il giusto sostegno o valorizzazione. E ciò non depone certo a favore della città!

Progetti futuri?

Ho in cantiere alcuni temi importanti che si svilupperanno a settembre al PAN sulla figura dell’uomo: la mostra si intitolerà man dove lavorerò molto sul rapporto uomo/universo.

Se dovessi dare un suggerimento ai giovani artisti, che diresti loro?

Prima di tutto bisogna ben capire la scelta che si fa e bisogna lavorare con molto coraggio e serietà. Non bisogna minimamente lasciarsi vincere dallo sconforto, mai arrendersi!

Questa mostra già l’hai presentata in altre sedi?

No, è nata nel giro di un mese e mezzo, dopo che con Gianni ci eravamo sentiti, concordando che avrei fatto qualcosa per la rassegna che stava curando: mi sono chiuso nello studio è ho iniziato a disegnare. A riguardo ho seguito con attenzione tutti gli eventi cui hanno partecipato tanti bravissimi fotografi. Inoltre mi lega un rapporto di amicizia con Luca Sorbo che mi presenterà questa sera. Approfitto dell’attenzione che mi stai concedendo per ringraziare la professoressa Clementina Gily, docente di estetica, anche lei presente questa sera, la quale, per il suo ruolo, si è molto interessata alla mia attività artistica, e il mio amico poeta/scrittore Massimo Luongo.

Possiamo dunque affermare che Ferdinando Pisacane onora Pozzuoli con un’anteprima assoluta.

Assolutamente sì, e ne sono particolarmente onorato: questa è una terra che amo e per un periodo della mia vita ci ho anche vissuto, serbando dei ricordi splendidi!

 

 

Vincenzo Giarritiello

POZZUOLI: PRESENTATO “LA COLLINA D’ORO”, NUOVO ROMANZO DI MARCO CICONTE

 

Di seguito la versione integrale del mio intervento pubblicato su comunicaresenzafrontiere.it

 

Giovedì 30 maggio presso il Polo Culturale Palazzo Toledo di Pozzuoli si è presentato il romanzo LA COLLINA D’ORO dello scrittore calabrese Marco Ciconte, APOREMA EDIZIONI.

All’evento,moderato dal giornalista Gennaro Carnevale, oltre all’autore, hanno partecipato Maria Teresa Moccia di Fraia, Assessore alla Cultura del Comune di Pozzuoli, e lo scrittore Vincenzo Giarritiello. Letture di Angela Cicala.

Di seguito proponiamo in versione integrale l’intervento di Enzo Giarritiello.

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Ci sono libri che vorresti non finissero mai. Quello che presentiamo questa sera, per quanto mi riguarda, rientra sicuramente tra questi.

La Collina D’Oro, di Marco Ciconte, è un affresco dell’Italia dall’inizio del ventennio fino alla crisi finanziaria del 2008. Ambientato a Chiteria, paese immaginario, ma verosimile, racconta le vicende della famiglia Belcastro, partendo da Ntoni e Rosa, la cui fuga d’amore dà inizio al romanzo, fino a Peppino, il loro ultimogenito, e Teresa sua moglie, per finire ai loro figli. Ma il vero protagonista del­la storia, è la terra da cui i contadini traggono il sostentamento con il sudore e il sangue.

La storia della famiglia Belcastro, seppure completamente opera di fantasia, è credibile in quanto, i tanti episodi narrati appartengono alla vita quotidiana non solo di chi vive la realtà contadina, ma di tutti noi: dalle problematiche familiari a quelle lavorative, da quelle economiche a quelle sentimentali, dal rapporto con i figli a quello con i nipoti.

Con una scrittura alta, che non ha mai una caduta di stile, nelle oltre 300 pagine che compongono il volume l’autore intesse una trama dall’architettura solida e ben strutturata, la quale nemmeno per un istante, malgrado l’excursus temporale del romanzo ricopra circa un secolo di storia, obbliga il lettore a fermarsi per ritornare indietro perché non gli è chiaro qualcosa o ha perso il filo del discorso. Come un fiume che scorre tranquillamente nell’alveo, il flusso narrativo prosegue placidamente senza sbalzi di tono né cadute di stile, a conferma della cura con cui il romanzo è stato scritto e rivisto.

Appartenente al genere romanzo storico, La Collina d’Oro ci riporta alla mente Verga, Pirandello, Il Gattopardo di Tomasi Lampedusa, ma soprattutto Fontamara di Silone: Romanzi in cui si parla delle lotte contadine nell’Italia pre e post unitaria e repubblicana; e degli eccidi con cui le autorità spesso ponevano fine alle ribellioni, trovando in quel modo il pretesto per liberarsi di personaggi scomodi o vendicarsi di qualche torto subito.

Entrando nello specifico della struttura del romanzo, prima di tutto ci tengo a ribadire lo stile alto con cui è scritto: dall’inizio alla fine la voce narrante ci accompagna con un garbato sussurro, pagina dopo pagina, descrivendoci i fatti come se fossimo raccolti davanti a un fuoco ad ascoltarla. In questo caso al calore della fiamma si contrappone l’enfasi della narrazione svelandoci la matassa della trama intessuta di un realismo di pregevole fattura. Una fitta e intensa matassa di parole che rapisce, oserei dire ipnotizza, obbligando il lettore a proseguire nella lettura per conoscere il seguito della storia.

Seppure stiamo parlando di un romanzo, dunque di un’opera in prosa, mentre leggiamo, percepiamo una sensazione di musicalità. È questo uno dei principali meriti che, da praticante della scrittura, riconosco a Ciconte: la sua è una scrittura musicale e lirica. È come se l’autore, scrivendo, avesse colto il pretesto per dare vita a uno spartito musicale, anziché a un libro, da suonarsi nella mente del letto­re. Questo aspetto si apprezza ancor di più leggendo ad alta voce!

La musicalità la riscontriamo non solo nel flusso narrativo, ma anche nei dialoghi, tra gli ostacoli più difficili per uno scrittore. Al pari della trama, le conversazioni tra i personaggi hanno il pregio di essere composte in modo diretto, altalenando le voci degli interlocutori senza frapposizioni indicative del tipo, “disse bevendo”, oppure “lavandosi le mani”, o “levando lo sguardo” e altro ancora.

Lo scambio di battute ricorda il ping pong e non confonde mai il lettore in quanto è preceduto a monte da un’accurata preparazione “scenica” da parte dell’autore per indirizzarla nella giusta direzione senza mai perdere la linearità della narrazione. In tal senso, quando lessi il libro, questo aspetto mi fece sorgere il sospetto che Ciconte scrivesse anche per il teatro, come poi egli stesso mi confermò.

Altro aspetto che merita d’essere elogiato è la rigorosità con cui sono descritti sia gli ambienti contadini e metropolitani, sia l’epoca storica in cui la vicenda si dipana. In questo caso la penna di Cicon­te si trasforma in pennello e le lettere in colori, disegnando scene e luoghi in maniera così dettagliata che, mentre leggiamo, abbiamo la sensazione di vedere davvero quegli ambienti e quei paesaggi proposti sulla carta come se fossero un quadro su tela.

Passando alla caratterizzazione dei personaggi, trattandosi di una saga familiare che richiama alla mente anche UN CAPPELLO PIENO DI CILIEGE della Fallaci, bisogna dar merito a Ciconte di aver descritto in maniera praticamente precisa ogni singolo protagonista, sia in chiave psicologica che fisica. Grazie a questa indiscutibile capacità icastica dell’autore, Ntoni, Rosa, Luigi, Salvatore, Maria, Peppi­no e tutti gli altri protagonisti diventano visibili e credibili tanto che non possiamo fare a meno di chiederci se ci troviamo al cospetto di personaggi di fantasia o realmente esistiti.

Seppure la storia tratta vicende legate alla questione meridionale dall’inizio del ventennio fino a oggi, cogliendone infinite sfaccettature, a partire dal caporalato, tuttora in essere in molte regioni del meridione, essa ci descrive con esattezza di date e luoghi quella che fu la storia del nostro tempo, spaziando dalla marcia su Roma alla guerra civile in Spagna, dal bando delle leggi razziali alla seconda guerra mondiale, dal referendum tra monarchia e repubblica alla riforma contadina, dall’immigrazione in Germania per motivi di lavoro di migliaia di meridionali a tangentopoli. Testimoniando come per molti uomini del sud gli eventi bellici e poi emigrare all’estero per trovare lavoro furono una sorta di estrema possibilità di fuga da una realtà triste che concedeva poche chance di riscatto sociale; o come la politica da sempre abbia strumentalizzato il voto con offerte cui i poveri disgraziati non potevano rifiutare, restando alla fine delusi perché spesso disattese.

È il caso del referendum tra monarchia e repubblica dove i sostenitori di quest’ultima, per convincere i contadini a votare per la repubblica, promisero in cambio la repentina realizzazione e attuazione della riforma agraria che invece ci fu solo molti anni dopo.

Un altro punto che mi piace segnalare del libro è l’ampio spazio che l’autore dà alle figure femminili: Rosa, Maria la Cordara, Teresa, Maria Concetta, per citare le principali, con i loro caratteri forti e decisi possono essere definite a pieno titolo antesignane del femminismo. Donne che sostengono le scelte dei mariti, anche se andassero contro gli interessi familiari, in quanto consapevoli che gli uomini vanno sostenuti per potersi sentire tali; oppure colte e impegnate nel sociale, Teresa, inducendo chi le vuole conquistare, Salvatore, a interessarsi di politica, fa niente che non ne capisce nulla, pur di stargli vicine.

Tutto quello che ho fin qui descritto non è altro che il denso scenario che circonda la vera protagonista, Molina: terra ostica che Peppino decide di coltivare comunque, malgrado sia da sempre abbandonata per via della sua durezza e sterilità, perché da ragazzo vi fu chi gli predisse che un giorno avrebbe trovato la collina d’oro, metafora con cui possiamo identificare la realizzazione i nostri sogni. Quei sogni per i quali saremmo pronti a dare in cambio perfino la nostra vita pur di vederli materializzarsi, a costo di rimetterci i soldi e la faccia. Così come fa Peppino, anche se poi la dura realtà gli imporrà di compiere scelte diverse che non sto qui a elencarvi per privarvi del piacere della lettura.

Concludo affermando che, dal mio punto di vista, il romanzo di Ciconte andrebbe suggerito come libro di testo nelle scuole perché nelle sue pagine riscopriamo la storia non solo di una famiglia, ma di una nazione intera. In particolare di un popolo, quello meridionale, dall’avvento del fascismo a oggi!

La collina d’ora è l’epopea di gente di disperata che cullava un sogno comune: riuscire un giorno a liberarsi dal fardello della povertà, risalendo uno alla volta i gradini della scala sociale, arrivando all’apice per riscattare se stessi e il passato delle proprie famiglie.

Per scoprire se tutto ciò si realizzerà, non resta che leggere il libro di Marco Ciconte.

Vi assicuro che non ve ne pentirete!