Il problema è se il pazzo è chi crede in se stesso e combatte per realizzare i propri sogni o chi invece ha rinunciato a credere in se stesso e nei propri sogni, accontentandosi delle briciole che di tanto in tanto gli vengono concesse dalla vita come si fa con i bambini cui si danno le caramelle per tenerli buoni.

L’innamorato dei tarocchi, l’uomo che integra in sé ragione e istinto.

I tarocchi è un mazzo di carte usato in cartomanzia diviso in due sezioni. La prima è composta da ventidue carte, dette anche lame, numerate e nominate singolarmente da 0 a 21 che costituiscono gli arcani maggiori. La seconda è caratterizzata dagli arcani minori, cinquantasei carte divise a loro volta in quattro sottogruppi, denominati semi, ognuno di quattordici carte da 1 a 10 più quattro figure – fante, cavaliere, regina e re. I semi delle carte sono denari, bastoni, coppe e spade gli stessi delle carte napoletane.

In cartomanzia per la divinazione del futuro quasi sempre vengono utilizzati solo gli arcani maggiori. Tuttavia c’è chi si serve anche degli arcani minori per avere un responso più dettagliato.

Gli arcani maggiori vanno dalla carta numero 0, Il Matto, alla carta numero 21, Il Mondo. La sequenza completa è la seguente:

  • 0 Il Matto
  • 1 Il Bagatto
  • 2 La Papessa
  • 3 L’Imperatrice
  • 4 L’Imperatore
  • 5 Il Papa
  • 6 L’Innamorato
  • 7 Il Carro
  • 8 La Giustizia
  • 9 L’Eremita
  • 10 La ruota della Fortuna
  • 11 La Forza
  • 12 L’Appeso
  • 13 La Morte
  • 14 La Temperanza
  • 15 Il Diavolo
  • 16 La Torre
  • 17 Le Stelle
  • 18 La Luna
  • 19 Il Sole
  • 20 La Resurrezione
  • 21 Il Mondo

Dal mio punto di vista sbaglia, però, chi pensa che i Tarocchi, specificamente gli arcani maggiori, servirebbero esclusivamente alla funzione cartomantica. Essi sarebbero invece dei veri e propri simboli riferiti alla psicologia umana.

Di tarocchi se ne è occupato anche C. G. Jung, il quale studiò in maniera approfondita il rapporto tra Psicologia e alchimia sostenendo che il procedimento alchemico, ovvero la trasmutazione dei metalli vili in oro, in realtà simboleggerebbe la trasposizione metaforica dello sviluppo psicologico dell’essere dallo stato inconscio a quello coscio.

A seguito dei suoi studi, in Mysterium coniunctionis Jung sostenne che uno dei punti chiave della crescita interiore dell’essere era l’integrazione, ovvero la congiunzione, di quella parte di noi stessi che ci piace con quell’altra che invece non ci piace e di cui ci vorremmo disfare sopprimendola.

Secondo Jung, invece, quell’aspetto di noi stessi che ripudiamo, anziché contrastarlo, dovremmo impegnarci a integrarlo in quanto parte imprescindibile di noi stessi. Rifiutandolo commettiamo un atto di negazione della nostra personalità, determinando inconsciamente quei conflitti interiori che causano instabilità e insicurezza in molti individui.

In questa logica di integrazione degli opposti, riferendoci agli arcani maggiori, ci sovviene alla mente la carta numero sei dell’Innamorato.

Essa ritrae un uomo tra due donne. Quella alla sua sinistra ha un aspetto discinto e rappresenta la tentazione o il vizio. Ma anche l’istinto naturale simboleggiato dal serto di fiori che le ricopre il capo dai lunghi capelli verdi e dai piedi nudi poggiati uno sulla terra l’altro sul prato verde.

La donna alla sua destra, dall’aspetto regale e composto, viceversa rappresenta la spiritualità. La corona d’oro che ha sul capo riflette la sua natura divina che le colora di biondo i capelli e, suppuniamo, i pensieri in modo che dalla sua mente abbiano origine solo idee positive avvicinando sempre di più gli uomini a Dio. Diversamente dall’altra donna i suoi piedi sono ammantati dalla lunga veste celeste, simboleggiante la celestialità, dunque il piano divino, affinchè la propria natura non si corrompa toccando il piano materiale.

Secondo l’interpretazione classica questa carta metaforicamente rappresenta l’uomo che, giunto al bivio della propria esistenza, prima di proseguire, deve compiere la scelta tra l’amore spirituale e quello materiale. Ma è davvero così?

Se ci soffermiamo ad analizzare la carta dell’innamorato del mazzo dei Tarocchi marsigliesi di Grimauld, tanto caro a Jung, riprodotta in alto, vediamo che l’uomo, più che essere fermo a un bivio, sembra trovarsi al vertice di un triangolo, anche perché alle proprie spalle non si dispiega una strada o un sentiero da cui sarebbe giunto, bensì si spalanca uno spazio vuoto, una sorta di infinito verso cui presumbilmente dovrà convergere dopo aver integrato in sé le due nature.

Ciò potrebbe indicare che l’uomo è salito da un lato del triangolo, quello materiale o quella spirituale. A questo punto, giunto all’apice, prima di girarsi e proseguire verso l’ignoto alle proprie spalle, deve integrare in sé la controparte relativa al lato opposto rispetto a quello da cui è giunto. La sua gamba destra, ammantata dalla calzamaglia rossa indice di passione, poggia nel lato della spiritualità in quanto l’amore di Dio è una vera e propria passione amorosa come è raccontato nelle vite di molti Santi e Beati. La gamba sinistra, ammantata di verde che è colore della natura, occupa invece lo spazio della natura. Ciò starebbe a significare che non bisogna rinnegare la propria natura in quanto essa è uno dei pilastri – l’altro è la spiritualità – su cui poggia il tempio dell’uomo. In questo modo l’innamorato trarrebbe energie da entrambi lati.

Tutto questo ci ricorda il simbolo dello Yin e dello Yang dove nello spazio bianco compare un punto nero e nello spazio nero un punto bianco a significare che ogni aspetto contiene in sé una piccola parte del proprio contrario.

Cupido volteggiante sull’innamorato pronto a scoccare la freccia giusto nel centro della sua testa starebbe a indicare che l’uomo, anziché compiere una scelta tra une delle due, starebbe per amare entrambe le donne.

A sostegno di questa ipotesi di congiunzione degli opposti Jung evidenzia che in natura ogni cosa ha il proprio corrispettivo contrario – luce/tenebre, vita/morte, maschio/femmina, freddo/caldo, liquido/solido – da cui non si può prescindere. Pertanto anche in campo psicologico esiste una coppia di opposti rappresentata da coscienza/inconscio .

In questo caso la coscienza, ovvero il luogo in cui convergono gli aspetti positivi dell’essere, sarebbe rappresentata dalla donna alla destra dell’innamorato; l’inconscio, dove invece soggiornano gli istinti e le origini delle fobie di ognuno di noi, dalla donna alla sua sinistra.

Fino a quando l’uomo tenderà a sfuggire il confronto col proprio inconscio non sarà mai se stesso. Rifuggendo dalle cause che generano le nostre paure noi fuggiamo da quell’aspetto della nostra personalità che inconsciamente riconosciamo essere la causa delle nostre instabilità interiori di cui ci vergogniamo al punto da volerlo sopprimere.  Ma la sua soppressione è impossibile in quanto, se lo facessimo, compiremmo un vero e proprio suicidio interiore cui spesso si associa quello reale.

La carta dell’innamorato ci dice che dobbiamo accettarci per quello che siamo. Questa è l’unica possibilità che abbiamo per proseguire nel cammino esistenziale. Ma per farlo dobbiamo essere consapevoli che in noi è racchiuso sia il bianco che il nero.

Rifiutando il nero inconsciamente rifiutiamo anche il bianco in quanto l’uno rappresente l’altra metà dell’altro per cui l’uno senza l’altro non hanno ragione di essere.

Fino a quando non impareremo ad accettarci e a dialogare con la nostra ombra faticheremo ad andare avanti nella vita.

Accettarsi per quello che si è probabilmente è una delle cose più difficili che l’individuo possa fare. Anche perché accettandosi e mostrandosi per ciò che realmente si è si corre il rischio di dover confliggere con l’opinione pubblica la quale tende ad aggredire chi ha il coraggio di essere se stesso, di credere nei propri sogni fino a sfidare il mondo per realizzarli.Agli occhi della massa sono pazzi quanti si affannano nella realizzazione di un sogno a costo di rimetterci tempo, salute e denaro.

Il problema è se il pazzo è chi crede in se stesso e combatte per realizzare i propri sogni o chi invece ha rinunciato a credere in se stesso e nei propri sogni, entrando a far parte del gregge. Accontentandosi delle briciole che di tanto in tanto la vita gli concede come si fa con i bambini cui si danno le caramelle per tenerli buoni.

L’innamorato non si accontenta delle caramelle. Egli ha capito che per realizzare se stesso e i propri sogni prima di tutto deve accettarsi per quello che è, sia nel bene che nel male. Nel momento in cui tale accettazione è avvenuta, ed egli non avrà più paura di fronteggiarsi con la propria ombra, sarà in grado di tenere a bada e di governare quegli aspetti di se stesso che precedentemente lo terrorizzavano tanto da desiderare di sopprimerli. Essi diventeranno come quegli animali selvaggi che, una volta addomesticati, obbediscono ciecamente alla volontà del padrone.

In questo volume ho raccolto una serie di articoli tratti dal mio sito www.vincenzogiarritiello.it in cui affronto argomenti di natura esoterica che vanno dall’alchimia, alla magia, ai tarocchi. In essi mi confronto con temi quali il presunto rapporto amoroso tra Gesù e Maria Maddalena, il segreto delle cattedrali gotiche, le figure iniziatiche di Dante, Leonardo Da Vinci e Victor Hugo.

Discussioni su Maria Maddalena – Un viaggio nella tradizione ermetica

PER ACQUISTARE IL LIBRO CLICCARE QUI

In questo volume ho raccolto una serie di articoli tratti dal mio sito www.vincenzogiarritiello.it in cui affronto argomenti di natura esoterica che vanno dall’alchimia, alla magia, ai tarocchi. In essi mi confronto con temi quali il presunto rapporto amoroso tra Gesù e Maria Maddalena, il segreto delle cattedrali gotiche, le figure iniziatiche di Dante, Leonardo Da Vinci e Victor Hugo. Senza tralasciare la filosofia, in particolare quella platonica, il mistero della morte, l’esistenza dell’anima e i Cavalieri Templari la cui misteriosa e affascinante figura è tuttora interesse di studi approfonditi e di teorie controverse. […]

PER LEGGERE L’INTERO POST CLICCARE SU www.vincenzogiarritiello.it

Fino a quando nel 62 d. C. non fu completato il porto di Ostia, quello di Pozzuoli fu l’approdo obbligato delle navi provenienti dalle province romane di Africa e d’oriente cariche di viaggiatori e merci dirette a Roma. Fu questo il motivo per cui San Paolo, l’apostolo illuminato sulla Via di Damasco, sbarcò a Pozzuoli da dove intraprese la sua opera apostolica in occidente.

Altra figura importante che più di una volta sarebbe sbarcata a Pozzuoli – nell’ultimo caso per scampare alla morte – fu il filosofo/mago Apollonio di Tiana, come racconta Filostrato nella sua VITA DI APOLLONIO DI TIANA.

Anche Apollonio di Tiana passò per Pozzuoli

Fino a quando nel 62 d. C. non fu completato il porto di Ostia, quello di Pozzuoli fu l’approdo obbligato delle navi provenienti dalle province romane di Africa e d’oriente cariche di viaggiatori e merci dirette a Roma. Fu questo il motivo per cui San Paolo, l’apostolo illuminato sulla Via di Damasco, sbarcò a Pozzuoli da dove intraprese la sua opera apostolica in occidente.

Altra figura importante che più di una volta sarebbe sbarcata a Pozzuoli – nell’ultimo caso per scampare alla morte – fu il filosofo/mago Apollonio di Tiana, come racconta Filostrato nella sua VITA DI APOLLONIO DI TIANA.

Ma chi fu Apollonio di Tiana?

Coevo di Gesù, di lui si racconta che, oltre a essere un filosofo seguace della dottrina pitagorica – praticava un’alimentazione vegetariana, non indossava abiti confezionati con pelli animali, esecrava i sacrifici animali, praticava il silenzio, dominava i sensi sublimandoli, praticava il celibato – come Cristo, sarebbe stato in grado di compiere miracoli guarendo gli infermi e, addirittura, resuscitando i morti.

Al pari dei Vangeli che furono scritti molto tempo dopo la scomparsa di Gesù – quello di Marco, redatto in greco, ritenuto il più antico dei canonici, risalirebbe tra il 65 e il 70 d. C. – anche l’opera di Filostrato sulla vita di Apollonio di Tiana fu scritta molti anni dopo la sparizione del filosofo. Precisamente tra il II e il III secolo d. C. su commissione di Giulia Domna, moglie dell’imperatore Settimio Severo e devota di Apollonio, donna di profonda sensibilità e cultura tanto da potersi ritenere a giusta ragione una femminista dell’epoca. […]

PER LEGGERE LA VERSIONE INTEGRALE DEL POST CLICCARE SU www.vincenzogiarritiello.it

Quando parliamo di alchimia ci sovviene alla mente l’immagine di un uomo immerso in un ambiente cupo, circondato da scaffali colmi di libri, fiale e contenitori vari, avvolto da una densa nuvola di fumo acre, seduto davanti a un fornello su cui è poggiata una storta di vetro in cui bolle una misteriosa sostanza frutto di lunghissimi esperimenti finalizzati alla trasformazione del piombo in oro.

Alchimia, solo una chimera?

Quando parliamo di alchimia ci sovviene alla mente l’immagine di un uomo immerso in un ambiente cupo, circondato da scaffali colmi di libri, fiale e contenitori vari, avvolto da una densa nuvola di fumo acre, seduto davanti a un fornello su cui è poggiata una storta di vetro in cui bolle una misteriosa sostanza frutto di lunghissimi esperimenti finalizzati alla trasformazione del piombo in oro.

Sull’eventualità se fosse possibile ottenere l’oro in laboratorio, se ne discute da millenni. Negli ultimi anni è stato dimostrato che ciò sarebbe possibile mediante reazioni nucleari, ma il procedimento sarebbe talmente costoso, lungo e complesso che, rispetto alla bassissima quantità di oro che si ricaverebbe, non ne varrebbe la pena.

Secondo altre versioni, invece, l’alchimia consentirebbe a chi riuscisse nella realizzazione dell’opera a garantirsi l’immortalità, al pari di chi, in possesso del Sacro Graal, bevesse ciò che il calice contiene.

Ritornando alla possibilità di creare l’oro in maniera artificiale, quest’aspetto dell’alchimia rappresenterebbe solo una fase di un cammino molto più articolato e profondo attinente alla realizzazione spirituale dell’essere. Ovvero la “trasformazione” dell’uomo comune in quella di santo. Seppure in questo caso l’utilizzo del vocabolo santo è inappropriato.

Le antiche civiltà del passato – da quella vedica a quella egizi passando per i sumeri, fino a quella medievale e, in epoca molto più tarda, quella seicentesca/settecentesca fino agli inizi del ventesimo secolo – si occupavano della possibilità di poter fabbricare l’oro.

Nei loro testi, scritti con un linguaggio simbolico non privo di avvertimenti al lettore a non lasciarsi ingannare dalle apparenze ma a penetrare il senso delle parole, come afferma il moderno alchimista francese Fulcanelli sia ne IL MISTERO DELLE CATTEDRALI che ne LE DIMORE FILOSOFALI, gli alchimisti non vi avrebbero racchiuso le indicazioni per la fabbricazione dell’oro metallico, bensì quelle di un procedimento psicofisico in grado di modificare sia interiormente che fisicamente l’operatore.

Riferendoci alle civiltà del passato, quando si parla di alchimia, si è portati subito a pensare all’antico Egitto. Tale associazione è dovuta alla parola alchimia  la quale sarebbe la traslitterazione della parola egiziana El-Kemè, sale della terra nera, identificando con terra nera l’antico Egitto. Essa, però, non sarebbe solo un’indicazione geografica, ma soprattutto simbolica in quanto la nigredo, l’opera al nero, è la prima delle tra fasi caratterizzanti il processo alchemico, le altre due sono albedo e rubedo.

Altre fonti attribuiscono l’origine della parola alchimia all’arabo Kimiya, uno dei nomi con cui si indicava il reagente per la trasformazione dei metalli. Senza escludere che sempre in arabo la parola significherebbe pietra nera il cui rapporto con quella conservata nella mosche della Mecca, oggetto di venerazione da parte degli islamici, è indiscutibile.

Nella tradizione occidentale riscontriamo un forte legame tra l’alchimia e la filosofia: la pietra, o la sostanza che consentirebbe agli alchimisti di trasmutare il piombo in oro, è chiamata pietra filosofale.

Se davvero le parole sono pietre, è fuori discussione che l’associazione tra pietra e filosofia indicherebbe quale aspetto l’individuo debba curare per crescere come uomo.

In tutte le loro opere gli alchimisti avvertono i lettori che quanto hanno scritto rappresenta il contrario di quel che volevano dire, non essendo l’alchimia alla portata di tutti. Per poi spiazzarli affermando che la Grande Opera, la realizzazione alchemica, è un gioco da bambini. Così dicendo gli alchimisti volevano forse affermare la semplicità dell’opera, o invece che, affinché la trasmutazione avvenisse, occorreva che l’operatore avesse l’animo immacolato come quello di un bambino, riportandoci alla mente la frase di Gesù, lasciate che i bambini vengano a me?

La falsa interpretazione dei loro scritti da parte di chi era ossessionato dall’idea di creare l’oro in laboratorio ha dato origine alla moderna chimica. Un aspetto, questo, certamente non secondario per lo sviluppo della società umana, ma limitare l’alchimia alla sfera materiale la svilisce.

Tenendo presente quanto lo studio possa influire positivamente sulla crescita non soltanto professionale, ma prima di tutto personale di un individuo, il fatto che lo strumento in grado di trasmutare il piombo in oro fosse definito dagli alchimisti Pietra Filosofale dovrebbe farci riflettere sul fatto che l’opera alchemica riguarderebbe gli aspetti psicologici dell’essere.

Non è un caso se Carl Gustav Jung, uno dei padri della psicologia, abbia dedicato una parte consistente della propria vita professionale allo studio dell’alchimia e dei sui simboli dando origine alla Psicologia Alchemica. È fuori discussione, come afferma non solo la medicina alternativa ma anche quella ortodossa, che la serenità mentale influisce positivamente sull’equilibrio interiore di un individuo garantendone il benessere fisico: così come esistono le malattie psicosomatiche, altrettanto devono per forza esistere le guarigioni psicosomatiche. Diversamente non si capisce perché il pensiero debba influire solo negativamente sulla vita degli individui!

Imparare a pensare in maniera positiva, cosa non affatto semplice in una società come la nostra dove siamo quotidianamente oggetto di bombardamenti mediatici che non ci lasciano il tempo di riflettere, può già considerarsi una grande conquista, a prescindere dalla possibilità o meno di realizzare l’oro in laboratorio. Del resto tutti i Padri Spirituali nei loro insegnamenti invitano a trascurare i beni materiali e a cercare in noi stessi il vero tesoro in grado di garantirci la pace e la serenità.

A riguardo l’alchimia sarebbe davvero la scienza capace di trasmutare il metallo grezzo in oro. Solo che l’oro cui vi sa fa riferimento sarebbe quello “interiore”, non certo quello che si trova nelle miniere: l’uomo comune rappresenterebbe il metallo grezzo; l’oro inteso come metallo, invece, simboleggerebbe l’uomo elevatosi spiritualmente attraverso una lunga serie di studi, sacrifici ed esercizi spirituali.

Non dimentichiamo che gli stessi alchimisti irridono quanti, ossessionati dalla sete di ricchezza, dilapidano le proprie fortune trascorrendo la vita chiusi in un laboratorio da cui si diffondono vapori puzzolenti nella speranza di fabbricare l’oro.

Come ogni cosa, anche l’alchimia possiede due facce della stessa medaglia. Il problema è quale scegliere!

Ad aprile del 2003 negli USA fece la sua comparsa IL CODICE DA VINCI di Dan Brown, pseudonimo di Daniel Gerard Brown. In Italia il romanzo fu pubblicato da Mondadori a novembre di quello stesso anno. Da allora il libro ha venduto oltre 85 milioni di copie, affermandosi in assoluto tra le opere letterarie più vendute e conosciute al mondo.

Pistis Sophia, quando l’eresia sconfessa l’eresia

Ad aprile del 2003 negli USA fece la sua comparsa IL CODICE DA VINCI di Dan Brown, pseudonimo di Daniel Gerard Brown. In Italia il romanzo fu pubblicato da Mondadori a novembre di quello stesso anno. Da allora il libro ha venduto oltre 85 milioni di copie, affermandosi in assoluto tra le opere letterarie più vendute e conosciute al mondo.

La fortuna del romanzo è certamente dovuta al battage pubblicitario che lo accompagnò fin dal primo istante che apparve nelle librerie, esaltandone la trama intrigante e pruriginosa strutturata sul presunto rapporto amoroso tra Gesù e Maria Maddalena da cui avrebbe avuto origine una stirpe di re sacri, la dinastia Merovingia (?). Argomento per altro già affrontato nel 1982 da IL SANTO GRAAL di Michael Baigent, Henry Lincoln e Richard Leigh che a sua volta vendette milioni di copie. […]

PER LEGGERE LA VERSIONE INTEGRALE DELL’ARTICOLO CLICCARE SU www.vincenzogiarritiello.it

In matematica esistono due specie di numeri, i numeri primi e i numeri composti. I numeri composti sono quei numeri ottenuti dalla combinazione di più numeri. Es. 12 = 4 + 8; 6 + 6; etc. Ossia tutti quei numeri dalla decina all’infinito la cui somma dei fattori li riduce a numeri primi. Es.: 12 = 10 + 2 =  1 + 0 + 2 = 3

I tarocchi cabalistici

In matematica esistono due specie di numeri, i numeri primi e i numeri composti. I numeri composti sono quei numeri ottenuti dalla combinazione di più numeri. Es. 12 = 4 + 8; 6 + 6; etc. Ossia tutti quei numeri dalla decina all’infinito la cui somma dei fattori li riduce a numeri primi. Es.: 12 = 10 + 2 =  1 + 0 + 2 = 3

I numeri primi vanno dal dall’1 al 9. Nella cabala essi sono chiamati Sephirot e avrebbero il potere di svelare i misteri della creazione in quanto spiegherebbero come la molteplicità derivi dall’unità. A ognuno di questi sephirot corrisponde una lama dei tarocchi inerente la via secca.

 

                                                           KETER/CORONA   

Tarocchi on line, lettura tarocchi online dalla Svizzera

È associata al numero 1 e alla lama del Bagatto. Indica la causa e il punto di partenza di tutte le cose. Essa rappresenta il centro da cui tutto promana e che tutto racchiude; la fonte di ogni attività e pensiero. Facendo un accostamento anatomico col corpo umano essa simboleggia la testa.

La prima sephira, Keter, indica la causa originaria del tutto. Nei dieci comandamenti, il primo comandamento recita: “io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio al di fuori di me!”. Dio si pone quale causa di tutto, la fonte da cui scaturiscono le acque che inondano, fertilizzandola, la terra.

 

                                                            CHOCMAH/SAGGEZZA

La Papessa - La Vera Magia

Associata al numero 2 e alla lama della Papessa, rappresenta il pensiero creatore emanante dalla mente del Padre, ovvero il Figlio, Cristo, l’Iniziato. Dal “Tutto Comprendente” si dissocia l’elemento generato dal suo pensiero in modo da creare una dualità derivante dall’Unità preesistente.

L’area anatomica cui Chocmah è associata è sempre la testa, nonostante sia situata al di sotto di Keter da cui deriva. Il secondo comandamento ammonisce, “Non pronunciare il nome di Dio invano”. Il monito è ovvio in quanto, fino a che non si è acquisita la conoscenza sacra – la saggezza -, ma si è unicamente impossessati di nozioni embrionali – le quali, solo se coltivate come si conviene, attraverso approfondita riflessione unitamente a una condotta di vita virtuosa, innalzeranno l’adepto allo stato iniziatico -, si corre seriamente il rischio di essere schiacciati da forze il cui compito consiste nell’interdire ai presuntuosi e ai malintenzionati l’accesso al tempio dei sacri misteri. [… ]

PER LEGGERE LA VERSIONE INTEGRALE CLICCARE SU www.vincenzogiarritiello.it

Il sigillo dei cavalieri templari è formato da un cerchio di bronzo in cui sono ritratti due soldati in groppa allo stesso cavallo, entrambi muniti di scudo: uno tiene le briglie dell’animale; l’altro dà l’impressione di stringere due lance, la sua e quella del compagno.

Il sigillo dei Templari

Il sigillo dei cavalieri templari è formato da un cerchio di bronzo in cui sono ritratti due soldati in groppa allo stesso cavallo, entrambi muniti di scudo: uno tiene le briglie dell’animale; l’altro dà l’impressione di stringere due lance, la sua e quella del compagno. Più di uno storico, nell’interpretarlo, sostiene che esso simboleggia la povertà, uno dei voti che i templari erano tenuti a onorare, unitamente a quelli di castità e di devozione alla fede cristiana.

Tale tesi lascia alquanto perplessi, non fosse altro perché nei suoi due secoli di storia ufficiale l’Ordine divenne economicamente forte, risultando per i nobili dell’epoca una fonte alla quale rivolgersi per richiedere prestiti per far fronte alle difficoltà economiche e sostenere campagne militari.

Analizzando il sigillo alcuni storici ipotizzano che la postura dei cavalieri raffigurasse la posizione che assumevano in battaglia per non essere sguarniti di spalle al nemico. Un’eventualità da escludere visto che entrambi i cavalieri guardano in avanti.

Riguardo all’accusa di stregoneria a loro rivolta, sulla quale fu strutturato l’intero processo che ne determinò lo scioglimento, è superfluo aggiungere che essa fu il pretesto per il re di Francia Filippo il Bello, indebitatosi fino all’osso con l’Ordine, per annientare quello che ormai era diventata la prima potenza politica ed economica dell’Europa medievale.

PER LEGGERE LA VERSIONE INTEGRALE CLICCARE SU www.vincenzogiarritiello.it

La rubrica che parte oggi, e si riproporrà ogni ultimo giovedì del mese, si intitola “Non è vero ma ci credo”.
Quante volte abbiamo pronunciato o sentito pronunciare questa frase riguardo a episodi dalla natura apparentemente inspiegabile, quasi sempre legati al mondo del paranormale, dell’occulto, della magia.

Non è vero ma ci credo: il simbolismo alchemico dei tarocchi

La rubrica che parte oggi avrà scadenza mensile. Essa prende il titolo dalla famosa frase “Non è vero ma ci credo” che comunemente pronunciamo quando ci troviamo al cospetto di episodi insoliti, legati per lo più al mondo del paranormale, dell’occulto, della magia.

Del resto quante cose considerate inesistenti o impossibili da realizzarsi a causa delle limitate conoscenze scientifiche del momento, nel corso dei secoli, si sono poi svelate o realizzate, diventando parte integrante della nostra quotidianità grazie all’approfondimento scientifico e tecnologico. Una su tutte la televisione che ci ricorda, nemmeno tanto vagamente, la palla di vetro in cui i maghi e le streghe vedevano gli eventi che avvenivano in luoghi lontani.

Senza voler andare molto a ritroso nel tempo, basterebbe citare lo scrittore Jules Verne: poco meno di due secoli fa, nelle sue opere letterarie narrò di mondi fantastici e di macchine impossibili che puntualmente sono stati poi scoperti e realizzate a dimostrazione della lungimiranza delle sue idee. Oppure la fisica quantistica che non esclude l’esistenza di realtà parallele alla nostra con cui sarebbe possibile interagire in condizioni particolari.

PER LEGGERE LA VERSIONE INTEGRALE DEL POST CLICCARE SU www.vincenzogiarritiello.it