DA LUX IN FABULA, SERATA DEDICATA AL FOTOGRAFO ALDO ADINOLFI

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Pozzuoli. Sabato 30 marzo, per la rassegna QUATTRO CHIACCHIERE CON L’AUTORE, da Lux In Fabula il fotografo Aldo Adinolfi ha proiettato una serie di foto digitalizzate divise in tre categorie. Si è iniziato con quelle che ritraevano i pescatori di Pozzuoli.

Quindi si è passati a scatti riguardanti i tanti viaggi compiuti da Aldo per il mondo insieme a un gruppo di amici storici, tra cui lo studioso Enzo Di Bonito. Per finire con una vera e propria chicca: foto scattate durante lo sgombero del Rione Terra agli inizi degli anni settanta quando aveva poco più di quindici anni.

Seppure la fotografia sia per Aldo un’incontenibile passione – chi lo conosce, difficilmente può immaginarselo senza la macchina fotografica appesa al collo – egli ha iniziato il suo lavoro nella pubblica amministrazione proprio come fotografico per conto dell’ufficio dei Beni Culturali, ritraendo strutture architettoniche. Successivamente spostato in altri ambiti, si è dedicato alla fotografia come passatempo, facendo reportage di viaggio in cui ha ritratto gli indiani d’America dal New Mexico al Canada. Oppure i luoghi della terra Santa.

Nei suoi scatti Adinolfi predilige immortalare i volti delle persone, essendo la fotografia nata proprio con questo intento.

Per essendo umile e schivo, Aldo ha affrontato la serata con il piglio giusto, spiegando la genesi di ogni scatto con dettagliata precisione, soffermandosi finanche sui tempi di esposizione utilizzati per ogni singolo scatto che commentava.

Alla domanda se fosse “un nikonista o un canonista”, nel senso se amasse fotografare con una Nikon o con una Canon, non ha esitato a rispondere “nikonista”; spiegando che la Nikon nasce come fabbrica di macchine fotografiche, mentre la Canon inizialmente produceva accessori: “Tuttora è possibile adattare gli obiettivi di una vecchia Nikon alle attuali digitali, mentre per ogni Canon devi comprare quegli appositi!”.

La serata si è conclusa con un gradito buffet offerto dall’artista.

 

Vincenzo Giarritiello

 

FEDERICO RIGHI E LE SUE FOTO SUI VIAGGIATORI DELLA CUMANA ESPOSTE A POZZUOLI

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Pozzuoli: Sabato 30 marzo, per la rassegna ARTinGARAGE curata da Gianni Biccari, all’Art Garage di Pozzuoli – Parco Bognar 21, adiacente alla stazione Metropolitana FS – si è inaugurata la mostra fotografica “I FLEGREI: a state of mind”, di Federico Righi. L’esposizione si protrarrà fino al 12 aprile e sarà visitabile dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 22; il sabato dalle 10 alle 20; domenica chiusa.

Per l’occasione abbiamo intervistato l’autore.

Federico la tua mostra si intitola, “I FLEGREI: A STATE O THE MIND”, ossia “i flegrei: uno stato mentale”, cosa vuoi esattamente intendere con ciò?

Viaggio moltissimo nei treni della cumana che, soprattutto quelli vecchi, evocano dei pensieri che riportano all’epoca del grand tour. Riallacciandomi al discorso del grand tour ho immaginato i flegrei non come un popolo, ma come una condizione mentale che fosse la stessa di chiunque a quell’epoca venisse nei campi flegrei e restava affascinato respirandone l’aria, ammirandone i colori e i sapori, emozionalmente rapito dai sussulti della terra, come accadde a Goethe durante il suo viaggio in questi luoghi.

Quindi una condizione mentale inconscia…

Sì, ma che si riflette nei volti, negli sguardi delle persone. Secondo me il flegreo è una sorta di dio sceso in terra che, qualunque cosa gli accada, ha la forza di reagire, di combattere, di ricominciare.

I tuoi scatti sono rubati, o coordinati con i soggetti ritratti?

I miei scatti seguono la scia della street photography che, secondo me, è la vera fotografia, ossia immortalare l’istante. Non a caso Cartier Bresson diceva, “la fotografia è il momento decisivo”. Occhio, cuore e mente si devono trovare sulla stessa linea dell’obiettivo e devono scattare quel momento anziché un altro. Io credo di aver abituato il mio occhio a guardare i movimenti degli sguardi delle persone e aver raggiunto una condizione tale da percepire quando è l’istante in cui posso scattare per coglierne l’essenza da imprimere per sempre sulla foto.

Ti è mai capitato che qualcuno si sentisse infastidito dall’essere fotografato?

Una sola volta e, ascoltate le ragioni, ho accettato di cancellare la foto dalla memoria.

La tua passione nasce da ragazzino o è maturata nel tempo?

Il primo scatto l’ho fatto con la macchina di papà a cinque anni. A undici già sviluppavo le mie fotografie. Quindi ho abbandonato per poi riprendere da grande seguendo il mio maestro Augusto De Luca, fino a tagliarmi un mio spazio al punto da essere riconosciuto dalla comunità fotografica.

Vivi di fotografia?

No, sono un funzionario dello stato. La fotografia è un hobby, se così si può dire, che mi ha dato e mi sta dando tante soddisfazioni.

Questa è la tua prima mostra?

Come personale, sì. In passato ho partecipato a diverse collettive. Faccio anche installazioni, come ad esempio quella di Aversa contro la violenza sulle donne che ebbe un buon seguito.

Che cosa rappresenta per te la fotografia?

Un elemento che porta il ricordo. La fotografia cristallizza l’istante rendendolo eterno! E poi è uno strumento per la documentazione per cui ha tante sfaccettare che spaziano dal reportage, alla narrativa, alla storia.

Prossimi progetti?

Le foto qui esposte mi sono valse il PREMIO AUTORE REGIONE CAMPANIA e hanno determinato che il prossimo congresso FIAF, federazione italiana associazioni fotografiche, si svolgesse al MAN di Napoli. E poi ho in preparazione diversi cose che vedranno la luce nei prossimi anni.

In bocca al lupo

Crepi!

Vincenzo Giarritiello

AMEDEO CARAMANICA PRESENTA IL SUO NUOVO LIBRO “I DINAMICI SFIGATI DI BAGNOLI”

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A margine l’intervista integrale pubblicata su comunicaresenzafrontiere 


Pozzuoli, Venerdì 29 marzo presso la LIBRERIA MEDEA di Marco Bellavista, si è presentato il romanzo I DINAMICI SFIGATI DI BAGNOLI di Amedeo Caramanica, edito da PAOLO LOFFREDO. Professore d’italiano in pensione, Caramanica è un arzillo ottantatreenne allegro e disponibile, dallo sguardo furbo, con cui è un piacere conversare.

Prima dell’inizio della serata gli abbiamo posto alcune domande sulla sua attività di scrittore.

Professor Caramanica come nasce I DINAMICI SFIGATI DI BAGNOLI che si presenta questa sera?

Scrivo da più di quarant’anni. Fino a quando la casa editrice Loffredo non ha chiuso, ho scritto libri per la scuola. Contemporaneamente scrivevo testi teatrali, per lo più commedie. Poi ho iniziato a scrivere spy story in cui non tralasciavo di inserire una venatura di poliziesco, mia vera grande passione. Un giorno, mentre ero in metropolitana, nel treno salì un gruppo di poliziotti in borghese che iniziarono a prendersi in giro: quelli che dedussi erano di Napoli etichettavano simpaticamente come sfigati i colleghi di Bagnoli. Così nacque l’idea di quest’ossimoro “i dinamici sfigati”.

Professore ci parli un attimo dei testi teatrali che ha scritto.

Ne ho scritti più di una trentina e sono stati letti da Nino Taranto, dai fratelli Giuffrè i quali mi hanno scritto, spingendomi a continuare in questa mia passione. Addirittura, prima che morisse, mi scrisse perfino Eduardo De Filippo. Seppure non sia riuscito a sfondare in questo settore, i miei testi sono stati rappresentati da tante compagnie amatoriali. Io stesso ne dirigo una.

Da ragazzo quali erano i suoi scrittori preferiti?

La mia formazione è di natura classica. Da ragazzo ho letto Verga, Manzoni, Pirandello, i classistici latini e greci da cui ho poi tratto l’indirizzo per la mia scrittura che si fonda sulla frase “miscere utile dulci”, mescolare l’utile al dolce, cui alla fine deve seguire la catarsi, ossia il lettore deve capire che tra il bene e il male chi vince è sempre il bene.

Per il suo romanzo si è rifatto ai Bastardi di Pizzofalcone di Maurizio De Giovanni?

Pur avendo letto tantissimi autori di polizieschi, Andrea Camilleri e Maurizio De Giovanni sono quelli che mi hanno attratto per il loro modo di impostare le storie in maniera diretta, senza fronzoli, tanto da prestarsi a una successiva trasposizione televisiva che non snaturasse l’essenza della trama e dei personaggi. Ovviamente tra i film e i romanzi preferisco questi ultimi perché la lettura è un coinvolgimento diretto mentre la visione di un film, per quanto possa coinvolgerti emotivamente, alla fine è comunque distaccata. La visione di un film ipnotizza lo spettatore, rendendolo schiavo di ciò che vede e ascolta. Invece la lettura obbliga la mente a ragionare tenendola viva!

Prima dei dinamici sfigati, quali altri libri ha scritto?

Ho scritto una decina di testi scolastici. In particolare mi sono dedicato alla storia e ho pubblicato quattro corsi di storia. Ricordo con piacere che quando scrissi I PASSI DELL’UOMO, spronato dai colleghi affinché scrivessi un libro in un linguaggio comprensibile ai ragazzi delle scuole medie visto che fino e allora i libri di testo erano scritti da pressori universitari o delle superiori, il libro fu il terzo in assoluto come vendite in tutta Italia, su trentacinque testi, distinguendosi proprio per il linguaggio semplice comprensibile agli alunni delle medie.

Quando decide di scrivere un poliziesco, la storia, la trama e, soprattutto, il finale ce li ha già in mente o si manifestano man mano che scrive?

Vado passo passo perché il lettore, mentre legge, deve provare le stesse emozioni da me provate mentre scrivevo. Ovviamente una struttura di base in mente già ce l’ho, ma solo quando inizierò a scrivere saprò come si svilupperà l’intreccio. Diciamo che mi affido al momento…

Dobbiamo aspettarci un seguito dei dinamici sfigati?

Probabilmente sì…

Vincenzo Giarritiello

ANN PIZZORUSSO, UNA GEOLOGA SULLE TRACCE DI LEONARDO DA VINCI

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Pubblichiamo l’intervista integrale apparsa su comunicaresenzafrontiere

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A seguito della presentazione del suo saggio TWITTANDO DA VINCI avvenuta sabato 23 marzo da Lux In Fabula, a Pozzuoli, abbiamo intervistato l’autrice, la geologa americana Ann Pizzorusso la quale ci ha accolto nella sua bella casa al Petraio con vista sul golfo di Napoli.

Dopo un caffè e una chiacchierata informale in cui ci siamo piacevolmente confrontati sui rispettivi interessi culturali, scoprendo di averne molti in comune, siamo entrati nel vivo dell’intervista.

“Twittando Da Vinci” può essere definito una sorta di Codice Da Vinci in chiave saggistica, dove si suppone che in alcuni suoi dipinti, nel caso specifico LA VERGINE DELLE ROCCE, Leonardo abbia voluto lanciare un messaggio occulto legato alle influenze che determinati minerali e luoghi specifici avrebbero sugli individui, comprensibile solo a chi possiede la chiave di decrittazione. Quando le è venuta questa intuizione?

È difficile rispondere. Essendo geologa, i miei studi vertevano esclusivamente su quest’argomento. Di storia dell’arte non sapevo assolutamente niente, così come non conoscevo l’italiano. Tuttavia la mia formazione professionale e la mia curiosità mi hanno spinta a studiare tutti i disegni di Leonardo in cui compaiono particolari geologici, sentendo poi la necessità di scrivere sulle rocce che lui ritraeva nei suoi dipinti. Scrissi per circa tre ore senza nemmeno rendermi esattamente conto di cosa stessi annotando. Alla fine mi avvidi di aver messo su carta le mie convinzioni che Leonardo fosse anche un geologo poiché le rocce che disegnava erano caratterizzate da una tale minuzia di particolari che solo un geologo poteva registrare. La cosa straordinaria fu che un giorno, cadendo dalla libreria, un libro si aprì nella pagina dove era ritratta LA VERGINE DELLE ROCcE esposta a Londra. Osservando il quadro pensai che l’autore non potesse essere Leonardo giacché le rocce ritratte non erano reali, diversamente da quelle che fino allora avevo visto in altri suoi quadri. Misi a confronto il quadro esposto a Londra con quello che è a Parigi e scoprì che quest’ultimo è un capolavoro di minuzie geologiche. Mostrai le foto dei due quadri ad alcuni amici geologi i quali convennero con me che c’era un’enorme differenza tra di loro. A quel punto mi misi in contatto con un critico d’arte a Londra e gli esposi la mia teoria. Dopo aver osservato i due quadri in base alle mie indicazioni scientifiche, anche lui convenne che quello di Londra poteva non essere opera di Leonardo. Quindi mi rivolsi a James Beck che all’epoca era uno dei massimi esperti di storia dell’arte il quale mi disse, “sono vent’anni che vado dicendo che il quadro esposto a Londra non è di Leonardo!”. Lui lo diceva in rapporto a tutta una serie di particolari stilistici che differenziano i due dipinti, io lo sostenevo per il modo diverso in cui erano ritratti i particolari geologici. Unendo i due pareri, si amplificava tale convinzione!

Quando ha scoperto che nel quadro esposto a Parigi Leonardo aveva riprodotto in maniera esatta particolari geologici, s’è chiesta perché lo avesse fatto?

Credo fosse per un motivo di propaganda religiosa. Lui stava dipingendo la Vergine delle Rocce per i Francescani i quali erano in conflitto con i domenicani. Leonardo ha scelto di ritrarre la Vergine nella grotta perché simbolicamente questo luogo è un simbolo di fertilità femminile. Lui voleva dipingere il quadro ma senza entrare a far parte del conflitto tra i due ordini. Leonardo sapeva perfettamente che da millenni la grotta era associata al grembo femminile e a tutto ciò che ne deriva. La vergine delle rocce racchiudeva il trionfo del simbolismo, della generosità e della scienza naturale. Lui ha messo tutto insieme!

Lei ha trovato difficoltà che la sua tesi fosse accettata in campo accademico?

No! Diversamente dalla storia dell’arte che poggia sulle opinioni, la mia è una ricerca su basi scientifiche, dunque incontrovertibili. Io mi sono limitata a fare notare un aspetto derivante dalle mie conoscenze di geologa, tutto il resto lo lascio agli studiosi di storia dell’arte. Osservando i due dipinti, quello di Londra e quello di Parigi, ci si accorge che sono completamente diversi l’uno dall’altro. Durante un congresso di geologi a Frasassi cui parteciparono i più grandi geologi del mondo, diversamente dai loro interventi molto schematici e ortodossi, quando toccò a me parlare, li invitati a guardare le grotte con occhi diversi, inserendo nella mia relazione non solo la storia dell’arte ma perfino la metafisica. Loro mi ascoltarono esterrefatti perché gli mostrai un approccio diverso alla scienza che fino a quel momento non avevano affatto considerato. Parlai loro di Dante e della Divina Commedia, dei luoghi dove anticamente si riteneva vi fosse l’accesso agli inferi; del culto dell’acqua e dello stillicidio che era un rituale con cui gli antichi raccoglievano in enormi vasi le gocce d’acqua che cadevano dalle stalattiti perché quell’acqua aveva davvero poteri taumaturgici, come hanno poi dimostrato analisi di laboratorio, in quanto ricca di minerali e di particolari batteri. Nello stesso tempo le donne andavano in questo luogo per passarsi l’acqua sul seno ritenendo che in quel modo aumentavano la formazione di latte materno, questo perché il colore dell’acqua dello stillicidio è bianco come quello del latte. Queste caverne erano chiamate non a caso lattaio. Tutte cose che fino a quel momento i miei colleghi geologi non avevano considerato, ma che sono nate con l’uomo a dimostrazione che gli antichi avevano un bagaglio di conoscenze, seppure istintive, che noi abbiamo completamente perso, che non possono essere trascurate dalla scienza.

Possiamo dire che lei è riuscita a colorare di poesia un argomento algido, privo di emozioni?

Potremmo, certo. Ma ci tengo a precisare che il mio non è assolutamente un lavoro di fantasia, anche se credo che la scienza debba rapportarsi, per quanto sia possibile, allo stato di coscienza degli antichi per comprendere il perché si comportassero come se la terra fosse una creatura vivente, una divinità, una Madre! La metafisica mi piace, ma non mi sono mai azzardata a superare il confine che separa la realtà dalla fantasia proprio perché non voglio correre il rischio di alterare la verità con supposizioni errate. La scienza è matematica!

So che sta scrivendo un libro sugli etruschi: perché quest’amore per un popolo tanto misterioso di cui, ancora oggi, si sa poco o niente?

Quando ho iniziato a studiare per scrivere il mio libro mi sono resa conto che gli etruschi erano molto legati alla natura e alla terra. Qualunque cosa dovessero fare, prima di incominciarla, interpretavano i segni della natura come lampi e tuoni. Prima di edificare un tempio o una città, i sacerdoti benedicevano la terra e tracciavano segni sul terreno per delimitare esattamente dove costruire. Gli etruschi prestavano molta attenzione al volo degli uccelli giacché erano conviti che fossero molto sensibili ai campi magnetici in quanto, come poi la scienza ha dimostrato, hanno al centro della testa un cristallo di magnetite che gli consente di allontanarsi da un luogo per poi ritornarvi con precisione. Quando lessi che la terra ha campi magnetici positivi e negativi in grado di influenzare nel bene o nel male la salute e il comportamento degli uomini, chiesi a un amico di ingrandirmi una mappa geomagnetica dell’Italia, evidenziando i luoghi in cui gli etruschi avevano edificato le loro città. Quando fu fatto, osservando la mappa, rimasi scioccata: tutte le città etrusche furono edificate in zone dove le energie magnetiche erano negative e che, stando a un recente studio scientifico, sono in grado di influire positivamente sugli uomini!

Ascoltandola mi verrebbe da dire, “i veri primitivi non erano loro, i nostri progenitori, ma siamo noi”…

Probabile. Vede, l’era ipertecnologizzata in cui viviamo, paradossalmente, ha fatto sì che molte facoltà mentali dell’uomo si atrofizzassero, rendendolo istintivamente inferiore rispetto all’uomo antico il quale la natura non la sfruttava o la violentava, ma la rispettava sentendosi parte integrante con essa!

Quando sarà pronto il libro sugli etruschi?

Per il prossimo anno.

Allora ci diamo appuntamento al 2020…

Ok, l’aspetto!

A POZZUOLI ANN PIZZORUSSO HA PRESENTATO IL SUO “CODICE DA VINCI”

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Di seguito la versione integrale dell’articolo pubblicato su comunicarsenzafrontiere

Pozzuoli.

Serata davvero speciale quella di sabato 23 marzo da Lux In Fabula: per la rassegna QUATTRO CHIACCHIERE CON L’AUTORE, si è presentato il volume TWITTANDO DA VINCI di Ann Pizzorusso, geologa americana di origini italiane.

Il volume è un’analisi di come la conformazione geologica di un determinato territorio possa influenzarne la storia. Partendo dalla Pangea, “il supercontinente che si ritiene includesse in un unico blocco tutte le terre emerse della Terra durante il Paleozoico e il primo Mesozoico”, fino all’attuale deriva dei continenti e al riavvicinamento dell’africa all’Europa, la studiosa dimostra in maniera convincente la tesi supportata da foto, grafici e fatti di cronaca che fanno parte della storia dell’umanità.

L’intuizione le sorse osservando il dipinto LA VERGINE DELLE ROCCE di Leonardo Da Vinci: i particolareggiati dettagli geologici ritratti dal genio italico nella sua opera, la convinsero che non fossero solo un perfezionamento artistico, ma una sorta di codice – a questo punto non possiamo non pensare a IL CODICE DA VINCI di Dan Brown – attraverso cui Leonardo voleva comunicare un’idea, un pensiero ben preciso inerente all’influenza che la conformazione geologica di un territorio avrebbe sulla sua storia politica e sociale.

Partendo da questo punto fermo, l’autrice ha intrapreso uno studio comparato tra geologia e storia, dimostrando come la prima abbia influenzato in maniera imprescindibile la seconda.

Amante degli etruschi, la Pizzorusso è riuscita a fornire prove che centri etruschi quali Orvieto, Chiusi, Perugia, Tarquinia furono volutamente costruiti in aree magneticamente negative perché, come in seguito la scienza medica ha dimostrato, influiscono positivamente sullo sviluppo psicologico dell’individuo. A riguardo è impossibile non pensare al tempio di Delfi e al suo famoso oracolo: recenti studi hanno dimostrato che dal sottosuolo su cui sorgeva il tempio, si emanavano gas in grado di alterare lo stato di coscienza degli individui, per cui le famose profezie dell’oracolo sarebbero visioni indotte al veggente dai gas che respirava.

Ovviamente, per le tematiche affrontate, lo studio tocca anche l’area geotermale dei campi flegrei in cui anticamente si riteneva fosse situato l’accesso agli inferi, Virgilio e Omero docet. Senza trascurare che il bradisismo, il periodico innalzamento e abbassamento del sottosuolo fenomeno tipico di queste zone, ha indotto in epoche remote, ma non solo, a veri e propri esodi di enormi masse di gente da un punto a un altro del territorio: formazione di Montenuovo nella metà del 1500; agli inizi del 1970 con l’evacuazione del Rione Terra cui seguì prima l’edificazione del rione Toiano e poi quella di Monteruscello dove gli sfollati furono trasferiti in veri e propri casermoni di cemento dove tutt’ora risiedono con disagi che non stiamo a raccontare.

Lo studio della Pizzorusso non si limita all’analisi di opere pittoriche, ma spazia anche in campo letterario inglobando, oltre a Virgilio e Omero già citati, Dante e il suo “viaggio” dall’Inferno al Paradiso narrato nella Divina Commedia.

Se fosse stato scritto da un’autodidatta, appassionata di queste tematiche ma priva di titoli accademici che ne avvalorassero in maniera autorevole le ipotesi azzardate, probabilmente in molti avrebbero guardato al lavoro della Pizzorusso con sufficienza, se non con irrisione. Trattandosi invece di una geologa accreditata, i suoi studi non solo meritano l’attenzione dovuta, ma hanno suscitato l’interesse di una parte del mondo accademico che ne ha ufficialmente riconosciuto i fondamenti e i meriti.

Quanto prima contiamo di intervistala per farci meglio spiegare la sua teoria.

Vincenzo Giarritiello

GAETANO BONELLI E LA SUA COLLEZIONE SU NAPOLI IGNORATA DAI PIÙ

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Di seguito l’intervista integrale pubblicata su comunicaresenzafrontiere.it

 

Molto probabilmente in pochi avranno sentito parlare della “Collezione Gaetano Bonelli – “Pro” Museo di Napoli”, esposta a Napoli nella CASA DELLO SCUGNIZZO in Piazzetta San Gennaro a Materdei, 3. In oltre trent’anni il fondatore e curatore Gaetano Bonelli, girando per i mercatini di antiquariato e per i rigattieri, ha raccolto documenti e oggetti riguardanti la storia di Napoli pre e post unitaria, collezionando oltre diecimila pezzi di cui al momento ne sono visibili solo una minima parte per motivi di spazio. Gaetano è un’enciclopedia vivente. Affidandosi alla sua sapienza si apprende che l’inventore della mongolfiera non furono i fratelli Montgolfier, ma i napoletani Vincenzo Lunardi e Tiberio Cavallo i quali prima migliorano il prototipo dei Montgolfier, quindi inventarono la mongolfiera a idrogeno. Così come si apprende che la forchetta,la posata per intenderci, fu creata da Gennaro Spadaccini, gran ciambellano di Ferdinando II di Borbone, su ordine dello stesso Re Lazzarone il quale voleva si ideasse uno strumento che gli consentisse di mangiare durante i pranzi a corte la pizza e gli spaghetti non con le mani, come invece era solito fare quando si mischiava tra il popolo. In breve quell’oggetto dalle fattezze di un piccolissimo forcone si affermò nelle corti di tutta Europa. Per oltre un’ora Gaetano mi ha illustrato con una dialettica affascinante la storia di ogni singolo pezzo che mi mostrava, dando l’impressione che lui e l’oggetto fossero un’anima sola. A proposito di anime, nella sezione dell’emigrazione, esposta nella teca vi è la foto spezzata di una famiglia di emigranti napoletani. Mostrandomela, Gaetano mi racconta di come ne acquistò prima un pezzo e in seguito, dallo stesso rigattiere, trovò anche l’altra metà, asserendo: “dando vita a questa collezione, ho imparato che anche gli oggetti posseggono l’anima gemella con cui, prima o poi, si ricongiungeranno”. Al termine del “viaggio” in quel mondo delle meraviglie, abbiamo fatto una lunga chiacchierata i cui mi ha raccontato la storia della sua collezione.

Della collezione ne hanno parlato a livello nazionale giornali e telegiornali. Addirittura il TG2 vi dedicò un servizio di oltre tre minuti. Su youtube vi sono diversi video che la riguardano; mentre Artribune di marzo c.m. ne parla in un lungo articolo.

Chi volesse informazioni sulla collezione o fosse interessato a visitarla, più telefonare al 3404844132

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Gaetano dall’età di 12 anni ti sei accollato l’onere, ma oserei dire anche l’onore, di raccogliere materiale sulla storia di Napoli pre e post unitaria, creando la collezione Gaetano Bonelli che, possiamo dirlo senza esagerazioni, è la massima raccolta demo-etno-antropologica sulla città di Napoli esistente al mondo. Come nasce questa tua passione?

Nasce da un desiderio e, al tempo stesso, da un’esigenza: da ragazzino mi innamorai di Napoli e avvertii il dovere di fare qualcosa per la mia città. All’epoca mi iscrissi al Vico, ma lo frequentai poco perché, non appena potevo, marinavo la scuola per visitare i vicoli, le piazze, le strade, le chiese, i musei di Napoli. Come accade in questi casi, inevitabilmente nacque un rapporto di odio-amore perché da un lato imparai a scoprirne le tante meraviglie che la caratterizzano, dall’altro vidi il degrado in cui molte di queste meraviglie versavano. Come un novello Goethe, giravo la città in lungo e in largo per scoprire cose nuove. Con piacevole stupore appresi che Napoli è la città con il maggior numero di chiese e castelli al mondo e ha il centro storico più esteso del mondo. Contestualmente, mi resi conto che bisognava fare qualcosa per salvare tutto ciò dall’abbandono e dal degrado.

In tutti questi anni trascorsi girando tra mercatini e rigattieri, quanti pezzi hai raccolto?

Pur non avendo finora mai fatto un inventario, cosa che mi propongo di fare, ma che poi, per tanti motivi, sono costretto ad accantonare, verosimilmente la raccolta consta di oltre diecimila testimonianze raccolte per aree tematiche. Questa è la peculiarità, ma anche l’unicità della raccolta che è l’unica al mondo del genere caratterizzata da ben venti aree tematiche aventi per oggetto rigorosamente Napoli. Grazie a questa collezione si ha modo di ripercorrere un viaggio nella memoria, un viaggio nella storia fatto di fascino, di emozioni, di continue scoperte.

La tua collezione oggi è esposta presso la sede della Città Dello Scugnizzo che ti ha messo a disposizione uno spazio di ben duecento metri quadri…

Pur avendo a disposizione un simile spazio, al momento la mostra si articola in un salone di cinquanta metri quadri. Le altre stanze necessitano di un allestimento e di una riqualificazione. Cosa che conto di fare quanto prima, ovviamente in relazione alle mie disponibilità. Il tutto mi è stato messo a disposizione dalla Fondazione Casa dello Scugnizzo nella persona del Presidente, il Professor Antonio Lanzaro, il quale, a dispetto di quanti dopo aver visto la raccolta, restando esterrefatti, avevano promesso che si sarebbero impegnati per garantirmi uno spazio espositivo adeguato ma poi hanno puntualmente disatteso le promesse e gli impegni, mi concesse, fidandosi sulla mia parola, senza visionare la collezione, una stanza di dodici metri quadri dove il 12 ottobre del 2017 inaugurammo la “wunderkammer”, la camera delle meraviglie o delle curiosità. Poi dal 12 giugno del 2018 il tutto è stato allargato nel modo in cui lo vedete oggi.

Le istituzioni sono sensibili al tuo lavoro, ti sostengono, ti danno una mano?

Purtroppo con mio grande dolore questo non è avvenuto. Paradossalmente il tutto suona quasi come uno smacco a fronte di riconoscimenti, di encomi, attestazioni di stima, di apprezzamenti verbali. E a fronte di impegni, alcuni solenni di rappresentanti istituzionali. A tutto ciò è seguito un silenzio assordante che mi lascia solo e mi amareggia giacché non posso permettermi di fermarmi. Ho il dovere con me stesso di salvaguardare questa raccolta avendole dedicato oltre trent’anni della mia esistenza e non posso dare ragione a quanti in maniera perversa e cinica gradirebbero che il degrado e le ignominie abbiano la meglio. Io sto portando avanti una battaglia di bellezza e di cultura, di civiltà e civismo, di generosità e impegno verso quello che deve essere l’operazione di propaganda, una battaglia antitetica a ogni forma di nepotismo e di cultura basata su logiche salottiere e quindi questo è un discorso che a certi potentati suona come una stonatura. Questa è la casa di Napoli, dove chiunque può sentirsi autorizzato a essere partecipe a questo progetto di recupero e divulgazione della nostra storia!

Le scuole si mostrano interessate?…

Nonostante abbia più volte sollecitato i docenti amici o conoscenti a organizzarsi per portare gli alunni a visitare la collezione, la risposta è quasi zero. È come nel caso delle istituzioni: una volta vista la collezione, tutti si dicono entusiasti, ripromettendosi di venire, ma poi… In un anno e mezzo, da quando ho aperto, sono venute solo due scuole con due scolaresche: una l’anno scorso e l’altra una settimana fa. Quest’ultima è l’istituto superiore Minzoni di Giugliano che mi ha manifestato particolare interesse. Lasciami dire che questa raccolta è stata creata soprattutto per i giovani: in un anno e mezzo la più grande soddisfazione, la più sincera manifestazione di affetto e di stima l’ho avuta proprio dai ragazzi i quali, quando vennero, mi mostrarono una tale attenzione che stupì gli stessi professori che mi fecero i complimenti per il “miracolo” che avevo compiuto catalizzando su di me l’attenzione degli alunni. Considera, fu tale l’apprezzamento che sortii nei ragazzi che poi fui invitato alla loro cena di fine anno per ripagarmi delle emozioni che gli avevo regalato in quelle due ore e più di visita testimoniata dalla frase che scrissero sul registro delle presenze qui al museo: “Grazie Gaetano per avere arricchito la nostra cultura e per averci ospitato in questa struttura bellissima. Hai un cuore grande quanto Napoli”. Tutto ciò smentisce le dicerie secondo cui i giovani sono insensibili a certe realtà. Sono gli adulti che non sanno, o non vogliono, avvicinarli al mondo della cultura!

Gaetano, sei mai colto dallo sconforto? Sei mai attraversato dal fatidico dubbio, “ma chi me lo fa fare?”

Sono provato perché tutto ciò richiede uno sforzo che oramai sento di non essere più capace di sostenere. Le energie che vado a profondere dovrebbero essere dirottate verso qualcosa di propositivo, mentre sono letteralmente dissipate per dover ottemperare a una serie di richieste e a una serie di situazioni che a questo punto mi dovrebbero per certi aspetti essere dovute, non fosse altro perché io mi sento custode pro tempore di questa raccolta che ho messo a disposizione della città. E la parte civile della città dovrebbe avvertire almeno il desiderio di essere vicina a chi si spende per Napoli. Invece avvengono casi vergognosi come quello di Gerardo Marotta: quando scomparve, si affrettarono ad affiggere un manifesto con scritto GRAZIE GERARDO! Quando si muore non si dà più fastidio, non si è più pericolosi. Gerardo Marotta, scomparso alla soglia dei novant’anni, ci lasciò con il desiderio di veder realizzata la sua biblioteca. Napoli dovrebbe capire che ci sono delle testimonianze e ricchezze, realtà verso cui dovrebbe essere più rispettosa e orgogliosa e che esistono persone che si spendono per la città le quali, anziché essere emarginate, dovrebbero essere messe nella condizione di poter concorrere al riscatto della città, anche in maniera sinergica e cooperativistica. Qui invece esistono i vari individualismi dove ognuno, dando libero sfogo a un egocentrismo sterile, si sente depositario del verbo della realtà e capace di realizzare qualsiasi cosa. Invece solo unendosi, solo facendo un gioco di squadra si possono ottenere grandi risultati.

Le istituzioni e il mondo della cultura napoletana hanno preso atto della tua realtà…

Certo. Molti rappresentati delle istituzioni e delle accademie sono venuti a visitare la collezione, riconoscendole un valore di interesse unico nel suo genere. Promettendo che si sarebbero attivati perché avesse il giusto riconoscimento. Sto ancora aspettando!

CON GIANNI BICCARI PER LE STRADE DI NEW ORLEANS

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Di seguito l’intervista integrale apparsa su comunicaresenzafrontiere.it


Sabato 16 marzo all’Art Garage – Viale Bognar, 21/Pozzuoli, adiacente alla stazione della metropolitana FS– si è inaugurata la mostra fotografica “NEW ORLEANS, 1995” di Gianni Biccari.

Le foto, rigorosamente in bianco e nero, sono un reportage di strada scattato dal maestro durante il suo viaggio di nozze con la moglie Genny nel 1995. L’esposizione, che rientra nella rassegna “ArtinGarage” curata dallo stesso Biccari, durerà fino al 29 marzo: sarà aperta al pubblico dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 22; il sabato dalle 10 alle 20.

In via del tutto eccezionale si potrà visitarla anche la domenica, ma solo previo appuntamento telefonando al numero 338805491.

Presenti all’inaugurazione, ne abbiamo approfittato per porre alcune domande all’artista.

Gianni a ottobre hai esposto al PAN con una rassegna di foto di scena che ha avuto un ottimo successo di pubblico e di critica cui sono seguiti altri eventi che ti hanno visto protagonista; oggi siamo qui per questa nuova mostra: possiamo considerare terminato il divorzio tra te e la fotografia?

Assolutamente sì! anche se, più che di un divorzio, si è trattato di una pausa di riflessione. Il rapporto di “coppia” è ripreso con maggiore vigore. Mi fa piacere presentare queste fotografie di New Orleans perché è il mio unico reportage di strada.

Tu sei ufficialmente un fotografo di Teatro di figura, ossia marionette…

Lo sono stato fino a qualche anno fa assiduamente, oggi mi interesso di altro ma quel tipo di spettacoli mi sono rimasti nel cuore: non hai idea del fascino e della bellezza che si cela dietro le quinte

Come mai questa scelta del teatro di figura?

È stato un naturale evolversi: frequentando l’ambiente teatrale mi si è presentata l’opportunità e ho documentato i vari festival in giro per l’Italia. A proposito di ciò, giovedì sono stato invitato a Cividale del Friuli per la giornata mondiale della marionetta, organizzata da UNIMA, dove esporrò una mostra che già ho presentato in altre occasioni dove ritraggo gli animatori all’interno dei teatrini mentre muovono i burattini.

Questo è il secondo anno che curi questa rassegna, cosa ti ha spinto ad assumerti tale onere?

Prima di tutto la passione per la fotografia e, come ti ho già detto prima, il ritorno di fiamma con la macchina fotografica. E poi perché oggi c’è una sovraesposizione fotografica, ma tutta in virtuale sparsa tra social, telefoni e hard disk. Invece secondo me le fotografie devono essere stampate e appese al muro per essere ammirate da tutti!

Questo vale solo per voi fotografi di professione o per chiunque coltivi la passione fotografica?

Per chiunque ami la fotografia. Non a caso in questa edizione espongono anche giovani validi che non necessariamente fanno della fotografia la loro professione. Ad esempio hanno già esposto i ragazzi di “Scrivendo con La Luce” che hanno presentato un lavoro bellissimo sulla metropolitana di Napoli che ritengo dovrebbe rimanere come dono alla città.

Dopo questa mostra cosa hai in programma?

Oltre alla rassegna sul teatro delle marionette a Cividale del Friuli, sto cercando di elaborare un progetto a medio-lungo termine giacché non considero il singolo scatto un’immagine a se stante bensì parte di un racconto, di un vissuto articolato. Non faccio mai una foto fine a se stessa, ma la penso sempre all’interno di un contesto più ampio di cui rappresenta un momento imprescindibile dagli altri. Non a caso le sequenze delle mie mostre sono raggruppate per temi.

Per il prossimo anno cosa ci dobbiamo aspettare?

Ho pronto un reportage su Matera, un altro su Firenze. Ma soprattutto vorrei allestire una mostra su Parigi! Ci sono stato già tre volte, conto di ritornarci per completare gli scatti per poi poterla finalmente esporre a Napoli, magari in un ambiente istituzionale o associativo legato alla Francia. Consentimi di ricordare con una punta di orgoglio che quando nel 2007 ci fu a Napoli la Notte Bianca gemellata con Parigi, l’allora assessore alla cultura, sapendo che avevo una mostra fotografica sulla “ville lumiere” che aveva girato per l’Italia, mi chiamò perché la esponessi. La sorpresa fu che durante il concerto di Pino Daniele, il clou di quella “notte”, cui intervenne Giorgia, le mie foto furono proiettate ai lati del palco con il mio logo. Ecco posso dire che quello è stato in assoluto il momento più bello della mia carriera fotografica.

In futuro possiamo aspettarci qualcosa sui Campi Flegrei?

Sì, non escludo che potrebbe essere questo il progetto a medio-lungo termine cui accennavo prima…

 

Vincenzo Giarritiello

ANGELINA DI BONITO – POETESSA DELLA PITTURA

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Di seguito la versione integrale dell’articolo pubblicato su comunicaresenzafrontiere

Sabato 9 marzo, per la rassegna QUATTRO CHIACCHIERE CON L’AUTORE, nella sede dell’associazione culturale Lux In fabula si è svolto l’incontro con la pittrice Angelina Di Bonito.

Persona timida e riservata, l’artista si è spesa in poche parole, lasciando che a parlare fossero le proprie opere dal tocco leggero e penetrante, da cui traspariscono forti emozioni.

In particolare i ritratti effondono una profonda visione intimista, che si riflette negli sguardi intensi e nelle espressioni dei soggetti dipinti, dal delicato sapore di poesia. Tant’è, più d’uno dei presenti ha evidenziato tale aspetto giungendo a definire la Di Bonito “poetessa della pittura”.

Alla serata era presente il maestro d’arte Antonio Isabettini che, oltre a spendere parole d’elogio per l’artista, ha ricordato quando da ragazzi, insieme con altri giovani pittori, si recavano in giro per Pozzuoli per ritrarre angoli del capoluogo flegreo.

Raccontando di sé, la Di Bonito ci ha tenuto a precisare di essere un autodidatta; di aver iniziato a dipingere all’età di sette anni quando il papà le regalò la prima scatola di colori e di non aver più smesso. Alla domanda “qual è il suo riferimento artistico” ha risposto “non ne ho uno in particolare. Mi piace spaziare dall’espressionismo all’astrattismo, dal seicento caravaggesco alla scuola di Posillipo. Da ogni pittore ho cercato di imparare qualcosa che è servita a formare il mio stile”.

La serata si è aperta con un breve filmato, montato da Claudio Correale presidente dell’associazione e da Guglielmo Moschetti compagno della Di Bonito e scrittore anche lui in calendario nella rassegna, in cui si potevano ammirare alcune opere dell’artista e immagini di concorsi dove ha partecipato e vinto.

Lo stile di vita sobrio ed elegante della Di Bonito ricorda quello di una nobildonna dell’ottocento. Non a caso il maestro Isabettini ha affermato con rammarico “Angelina è nata nell’epoca sbagliata. Fosse nata a fine ottocento, sarebbe stata un Chagall o un Van Gogh al femminile” riferendosi non solo alla sua pittura ma alla personalità compita e decisa della Di Bonito “poetessa della pittura”.

Vincenzo Giarritiello

04/03/2013 – 04/03/2019: POZZUOLI RICORDA IL SESTO ANNIVERSARIO DELL’INCENDIO DI CITTA’ DELLA SCIENZA

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Di seguito la versione integrale dell’articolo pubblicato su comunicaresenzafrontiere

La sera del 4 marzo 2013 un incendio doloso rase al suolo quattro dei sei capannoni di Città della Scienza, uno dei luoghi simbolo della cultura napoletana, fiore all’occhiello della città. L’inchiesta giudiziaria che seguì individuò in Paolo Cammarota, il custode del polo museale, l’unico responsabile del crimine.

Riconosciuto colpevole in primo grado, Cammarota è stato poi assolto in appello alcuni mesi fa e, dopo anni, bisogna ripartire da capo per risalire ai colpevoli. Uno dei tanti misteri italiani…

Per commemorare il sesto anniversario del rogo, affinché quello sfregio alla cultura nazionale e internazionale non cada nell’oblio, il 4 marzo 2019 Premio Civitas e Fondazione IDIS hanno organizzato al cinema Sofia di Pozzuoli la proiezione del crossover VOCE ‘E SIRENA del regista Sandro Dionisio con Cristina Donadio e Rosaria De Cicco.

Prima della proiezione, sul palco è stato allestito un salottino per discutere della pellicola. Al dibattito, moderato dal giornalista RAI Ettore De Lorenzo, hanno partecipato il regista, le attrici e il dottor Giuseppe Albano Commissario di Città della Scienza.

Particolarmente accorato l’intervento del dottor Albano che, assumendosene la responsabilità, ha pubblicamente attribuito il ritardo della ricostruzione di Città della Scienza a un mancato accordo tra Comune e Regione: alcuni mesi dopo il rogo fu bandito un concorso a livello europeo per la presentazione del progetto di recupero del sito. A vincerlo fu un team di giovani napoletani. Purtroppo non se ne fece nulla per contrasti tra Comune e Regione. Nel 2017 fu bandita una nuova gara di cui tuttora non si ha traccia…

Dopo il commissario Albano la parola è passata al regista che ha spiegato la genesi del film: assistendo alla diretta televisiva dell’incendio, sentì l’impulso di scrivere un soggetto cinematografico in cui si denunciasse l’ennesima ferita inflitta alla città da “mani ignote” che non si fanno scrupoli di distruggerne il patrimonio culturale pur di affermare i propri “interessi” criminali.

Quindi è toccato alle attrici. Cristina Donadio ha paragonato “Voce ‘E Sirena” a “La 25° Ora” di Spike Lee girato alcune settimane dopo l’11 settembre a Ground Zero per testimoniare il “vuoto” lasciato nell’anima dell’America dall’attentato alle Torri Gemelle. Parlando delle proprie emozioni provate recitando a Città Della Scienza poco dopo il rogo, quando dalle macerie si levavano ancora i fumi dell’incendio, la Donadio ha dichiarato, “Sentivo dentro di me una ferita. Quel calore e quell’odore me lo sono portata addosso”. Ha quindi concluso, citando Pasolini, “bisogna educare le nuove generazioni al valore della sconfitta” per affermare che una sconfitta spesso può essere un pretesto per risorgere più forti di prima!

L’altra protagonista, Rosaria De Cicco, ha dichiarato, “fare questo film mi ha resa molto felice come cittadina: avevo la sensazione di fare qualcosa di concreto per le generazioni future. Questo film ha contribuito a un’azione civile. Non può passare la volontà di non trovare i responsabili. Questo film è per non dimenticare. Dobbiamo apprezzare che ci siano film che ci aiutano a recuperare la dignità!”.

Alla serata, cui ha partecipato un folto pubblico, erano presenti rappresentanti delle istituzioni e del mondo dello spettacolo.

Alla fine della proiezione è seguito un sobrio buffet, ciliegina sulla torta di una bella serata all’insegna della riflessione pubblica sul valore dell’arte e della cultura nella società d’oggi.

La memoria, come una pianta, va alimentata periodicamente con l’acqua del ricordo se si desidera un futuro migliore per le future generazioni.

Un grazie a Sandro Dionisio, all’intero cast del film e agli organizzatori dell’evento.

Vincenzo Giarritiello

POZZUOLI, UN INIZIO MARZO CARICO DI EVENTI CULTURALI

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Sarà un inizio marzo all’insegna della cultura e dello spettacolo quello che si prospetta a Pozzuoli per il prossimo fine settimana.

Si incomincia sabato 2 marzo alle ore 17 all’Art Garage – Viale Bognar, 21 nei pressi della metropolitana – con l’inaugurazione della mostra fotografica “Viaggio a Tecla e Moriana” di Lorenzo Leone. L’evento è il secondo appuntamento della rassegna fotografica a scadenza bisettimanale curata da Gianni Biccari. Apertura: lunedì-venerdì dalle 10 alle 22; sabato dalle 10 alle 20; domenica chiuso. Ingresso libero.

Quello stesso giorno alle ore 21 presso ‘A PUTECA ‘E LL’ARTE – Via Traversa Provinciale Pianura, 16/Pozzuoli (direzione Pozzuoli-Pianura di Fronte BA.CO.GAS) – si terrà il concerto del cantautore Nicola Dragotto, “DIVAGAZIONI (tu chiamale se vuoi)”. Costo del biglietto 10 euro.

Domenica 3 marzo per commemorare il 49° anniversario dello sgombero del Rione Terra, a partire dalle ore 10,30 un gruppo di ex abitanti della rocca si ritroveranno nel piazzale d’ingresso del Rione per raccontare episodi di vita vissuta fino al giorno dello sgombero nell’attesa si facciano le 12, ora in cui ebbe inizio l’evacuazione, per chiudere il raduno con una sorpresa commemorativa. Ingresso libero, partecipazione aperta a tutti.

La tre giorni culturale si concluderà lunedì 4 marzo al cinema Sofia: per ricordare il sesto anniversario dell’incendio di Città della Scienza che cade proprio quel giorno, alle ore 20,30 si proietterà il docufilm VOCE ‘E SIRENA del regista Sandro Dioniso con Cristina Donadio, Rosaria De Cicco e Agostino Chiummariello. Ingresso libero fino a esaurimento posti.

Non c’è che l’imbarazzo della scelta.

Buon divertimento!

Vincenzo Giarritiello