LA VOCE DEL FIUME

fiume

     Come al solito, seppur domenica, Lorenzo si svegliò che ancora era buio malgrado fossero quasi le otto del mattino. Lì in montagna albeggiava sempre tardi, per via della nebbia fitta che non si dissolveva prima del levarsi del sole. E se il sole avesse avuto difficoltà a penetrare con i propri raggi il banco ovattato causa il maltempo, per tutto il giorno il paese e il panorama circostante sarebbero stati fantasmi la cui presenza era percettibile solo a chi si fosse avventurato nello spasso manto di umidità.

     Levatosi dal letto, Lorenzo indossò la giacca da camera piegata ai piedi del letto; accese la stufa a gas posta in un angolo per riscaldare l’ambiente. Quindi aprì la finestra per rinnovare l’aria nella casa. La folata di gelo, come un schiaffo violento, filtrò nella stanza, facendo rabbrividire l’uomo che subito richiuse le imposte per non gelare. Rabbrividendo, andò in cucina; mise sul fornello la caffettiera, preparata la sera prima, e accese il fuoco. Nell’attesa che il caffè fosse pronto, andò in bagno. Il gorgoglio del caffè lo colse che era ancora seduto sulla tazza a leggere i messaggi sullo smartphone. Incespicando nel pantalone del pigiama calato ai piedi, strusciando i piedi sul pavimento, uscì dal bagno. Levò la caffettiera dal fuoco e versò il caffè nella tazzina poggiata sul tavolo. Bevve, facendo attenzione a non bruciarsi. Poi rientrò in bagno per lavarsi. Terminata la toilette, indossò il vestito della domenica; guardandosi nello specchio dell’armadio, fece il nodo alla cravatta. Calzò le scarpe nere, lucidate la sera prima in maniera ossessiva fino a farle brillare come se fossero nuove; indossò il soprabito; prese l’ombrello e aprì la porta di casa. Fermo sulla soglia, levò gli occhi al cielo: minacciosi nuvoloni scuri si addensavano sui tetti delle case. Stando alle previsioni meteo, quel giorno, per le nove, un violento temporale si sarebbe abbattuto sul paese. Come accadeva sempre in quelle occasioni, lo scrosciare dell’acqua avrebbe alimentato il piccolo fiume che, scendendo dalla montagna, attraversava il paese, trasformandolo in un fiume in piena. Scorrendo vorticosamente, l’acqua si sarebbe riversata tra i massi e gli alberi che sorgevano nell’alveo, dando vita a una melodia di suoni che, alle sue orecchie e a quelle dei suoi compaesani, risuonavano eco assordante di misteriosa voce.

      Come lui, tutti gli abitanti del paese, a loro volta vestiti a festa e muniti di ombrello, uscirono di casa per raggiungere le sponde del fiume per assistere allo spettacolo che di lì a poco la natura avrebbe offerto gratuitamente.

    Lorenzo e gli altri si sistemarono sulle rocce poste in alto al letto del fiume per ripararsi dalla violenza dell’acqua che a breve si sarebbe riversata giù dalla montagna. Ognuno di loro stringeva nella mano il telefonino, facendo attenzione a riparlo con l’ombrello non appena le prime gocce d’acqua iniziarono a precipitare dal cielo.

     Bastarono pochi istanti e la pioggerellina si trasformò in temporale, trasformando il fiumiciattolo in fiume in piena. Man mano che l’acqua sciabordava velocemente tra i massi, gli alberi e tronchi dell’alveo, nell’aria si librava un’intensa melodia. Incuranti della pioggia che, malgrado gli ombrelli e gli impermeabili, entrava fin nelle ossa, gli spettatori fradici restarono a lungo su quell’arena naturale per assistere la cascata che, impetuosa, scendeva giù dalla montagna verso il mare lontano, di cui molti di loro avevano sentito solo parlare ma mai visto: lo immaginavano come un immenso lago salato, chiedendosi se il sale lo si sarebbe dovuto mettere comunque nell’acqua per cucinare o bastava quello che naturalmente già c’era.

     Quando la pioggia e il freddo divennero insopportabili, uno alla volta gli spettatori rientrarono in casa.

     Non appena furono all’asciutto delle proprie abitazioni di pietra riscaldate dai camini e dalle stufe a pallet, ognuno di loro corse in bagno ad asciugarsi e indossare abiti asciutti. Quindi seduti a tavola, bevendo un bicchiere di vino e mangiando un pezzo di formaggio con il pane, da soli o in compagnia, in assoluto silenzio, avviarono la riproduzione della registrazione audio effettuata sulla riva mentre l’acqua scorreva. All’orecchio di una persona comune, il suono che si diffondeva dall’apparecchio sarebbe risuonato per ciò che era, uno scrosciare d’acqua. Per gli abitanti del paese invece esso era la voce del fiume. Ognuno di loro l’ascoltava in religioso silenzio per cogliervi l’insegnamento di vita racchiuso. Infatti, da sempre, per chi abitava in quei luoghi, il fiume non era semplicemente un corso d’acqua da sfruttare per irrigare i campi e, anticamente, la fonte da cui attingere l’acqua per bere, cucinare e lavarsi. La credenza popolare riteneva che provenendo dall’alto delle cime, l’acqua trasportasse con sé un messaggio divino, comprensibile solo a loro.

     Anche Lorenzo!

RAGGIOLO, DOPO LA PIOGGIA!

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Anche Raggiolo, come tutti i paesi di montagna, dopo un temporale estivo assume un aspetto diverso dal solito; come se il maltempo lavasse via il maquillage estivo che  si era dato per la gioia dei turisti, svelandone la naturale essenza invernale. Passeggiare per le sue vie, dopo un acquazzone o una grandinata in piena estate, diventa un’esperienza mistica dovuta alla percezione di ritrovarsi fuori dal tempo, in contrapposizione con il calendario.

Grazie al brusco calo di temperature che si accompagna ai rovesci temporaleschi, i profumi diffusi nell’aria dei paesi di montagna si intensificano e, passeggiando per le vie di Raggiolo lavate dalla pioggia, ci ritroviamo a respirare intense fragranze di terra e cibo che rinfrancano l’animo, suscitando ataviche reminiscenze.

Un profumo che si sprigiona particolarmente nell’aria è quello dell’erba e della legna bagnate: essenza inimitabile che solo la natura sa produrre. Respirandola a pieni polmoni, è come se l’anima si concedesse allo spirito della natura, aleggiante in quei luoghi, per essere amata al fine di ritrovare se stessa.

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Mentre ci si inerpica per le irte stradine che si incuneano come serpi tra le case di pietra, edificate da antiche mani sulla roccia, per raggiungere l’apice del paese, bisogna fare ben attenzione a non scivolare sull’acciottolato muschioso reso insidioso dall’acqua: basta un piede in fallo e in un attimo ci si potrebbe ritrovare seduti doloranti sul selciato bagnato. Invocando aiuto senza che nessuno ci oda perché, sia durante che dopo la pioggia, i paesi di montagna si svuotano come se l’acquazzone lavasse via dalle strade qualsiasi ostacolo si frapponga al proprio scorrere, inclusi gli uomini che, timorosi e rispettosi della forza della natura, si serrano al sicuro delle case in attesa che il diluvio si plachi e le strade si asciughino.

Quando finalmente si giungerà in cima all’abitato, lo sguardo si perderà nella vastità del panorama reso desolante dalla fitta coltre di nebbia che, addensata come ovatta sui tetti delle case e sulle pendici dei monti, nasconde il paesaggio, incutendo la sensazione di trovarsi in una dimensione ignota, spiati dagli spettrali abitanti mimetizzati nell’avvolgente foschia.

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D’estate, dopo la pioggia, Raggiolo, riscopre la propria natura invernale: i filamenti di fumo che fuoriescono dai comignoli delle cucine sui tetti, si addensano nel proprio fluido pallore simili a spessi fili di lana lavorati a maglia da mano invisibili per tessere quella fitta coltre di caligine che, dopo un temporale, ammanta ogni dove. Ma senza la tetra complicità del gelo invernale il quale, acuendone lo spessore, nelle fredde giornate d’inverno rende palpabile l’invisibile, dando vita nella fantasia degli uomini a demoniache creature che si aggirano di notte per le vie del borgo alla ricerca di anime di cui nutrirsi; dissolvendosi  come nebbia al sole con i primi tepori primaverili, allorquando, iniziando il disgelo, i fiumi scorrono impetuosi a valle, portando via con sé gli incubi dell’inverno.

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Dopo la pioggia, a Raggiolo le porte delle case, spalancate sulle strade fino a pochi attimi prima che iniziasse a piovere, sono rigorosamente serrate; così come le finestre e i lucernai, perché l’atmosfera che si respira in montagna dopo un acquazzone estivo è tipica dell’inverno, padrone assoluto di questi luoghi, dove la bella stagione si illude di imporre il proprio giogo astronomico. Ma basta un temporale per riordinare le gerarchie, rendendo a Cesare quel che è di Cesare.

 

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D’estate, dopo la pioggia, anche Raggiolo, riscopre se stesso!