Afropessimismo

  Afropessimism è l’ultimo libro di Frank B. Wilderson III, inserito a pieno titolo tra gli intellettuali afroamericani che meglio hanno indagato le problematiche legate al colore della pelle e all’impossibilità di sconfiggere l’odio razziale. In un’intervista rilasciata a La Lettura spiega cosa intende per afropessimismo: “Il mio punto di partenza è il motto “pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”, attribuito da Antonio Gramsci a Romain Rolland, alla base della concezione socialista del processo rivoluzionario. La violenza strutturale della schiavitù è diversa da quella capitalista in quanto è incessante, non conosce periodi di remissione. La violenza prodotta dal sistema capitalista nella vita di un lavoratore conosce periodi di calma, perché lo sfruttamento la accetta, per poi farla ritornare alla luce quando trasgredisce le regole per esempio attraverso lo sciopero. La violenza sui neri è rituale, perché i neri sono considerati un’antitesi dell’essere umano”.

  Affatto fiducioso sul futuro perché “i neri sono socialmente morti”, aggiunge: “L’essere nero prende la forma di una fobia nell’inconscio collettivo, perché il nero non ha un’identità, rappresenta un vuoto. Un suprematista bianco riesce a spiegare le ragioni per cui odia un ebreo o un nativo americano ma non perché odia un afroamericano. Un suprematista bianco sa che i nativi, se prendessero il potere, si riprenderebbero la terra. ma un nero? Non sanno come si comporterebbe. Questo vuoto li terrorizza”. E quando chiama in causa la politica, Wilderson è altrettanto tranchant: “Non credo nel progetto politico americano e non voto per alcun partito. Ogni presidente, Barack Obama compreso, è un assassino. Donald Trump ha riportato in auge la vera natura dell’America, un Paese nato da un genocidio, fondato sulla schiavitù. Trump parla all’inconscio collettivo come non accadeva dai tempi di Andrew Jackson, ai primi dell’Ottocento, quando a livello istituzionale l’Africa era considerata un luogo di non-umani”.

Quello che mi è frullato in mente dopo aver letto l’articolo di Marco Bruna, è una serie di ovvietà circa l’inconsistenza di teorie che insistono nel considerare il bianco superiore al nero e via discorrendo. Siccome temo che Frank B. Wilderson III abbia ragione, preferisco chiudere con queste righe di Emanuele Trevi che dicono della vita e di come, bianchi neri o gialli, siamo fatti tutti alla stessa maniera.

“Così come il primo cornuto che passa può farsi un’idea sbagliata di te, puoi venire ingannato dal tuo riflesso in uno specchio. Di noi e degli altri non conosciamo che le apparenze, e queste apparenze le chiamiamo vita. Ma la vita vera, chi può sostenere di conoscerla? Quella che si svolge nella tenebra del sangue, nel lago del cuore, nelle cavità dei coglioni, nelle viscere che strizzano la merda. Vita nascosta e arrotolata come la vipera sotto il sasso. Lì dove comandano i desideri inconfessati, i piani di vendetta, le verità mortali”.

Afropessimismoultima modifica: 2020-05-11T16:50:16+02:00da VIOLA_DIMARZO

7 pensieri riguardo “Afropessimismo”

  1. Difficile adeguarsi al mix di ideologia ritrita e torpiloquio associati in questo post. Non credo a supremazie di nessun genere e mi pare azzardato parlare oggi di violenza razzista e capitalista in termini da 1930. Esiste a mio avviso un sentimento di inferiorità coltivato e seminato dentro interi ceti e gruppi sociali anche da chi pensa di essere un paladino della loro salvezza.L esempio dei sindacati dei lavoratori mi pare calzare. Non so molto dei neri e poco più dei neri americani che mi paiono comunque orientati ad una alternativa sociale che essi stessi non sanno identificare, un punto a favore del relativo paragrafo virgolettato.Il resto mi pare ammucchiato e confuso.

  2. Mi auguro che F. B. Wilderson IV abbia le idee più chiare di questo F.B. Wilderson III che ha detto una sola cosa condivisibile, il giudizio espresso su Trump ma, per la legge dei grandi numeri, indovinarne una rientra nella casualità.
    Emanuele Trevi, invece, da un lato filosofeggia sull’individualità della vita, e concordo che ognuno conosca i cazzi propri, ma dimentica che la vita vera è anche tutto l’apparato al quale siamo asserviti e, quindi, di quali apparenze parla? L’individuo può essere anche un maiale, un santo o un raccontaballe, sono affari suoi; la società è, invece, un sistema che se non è trasparente (e non lo è) è un non-sistema. Una truffa e questo, è gravissimo perché se, ad esempio, io sono un razzista non è un problema, ma se lo sono le istituzioni (con i comportamenti e con le leggi), il problema esiste.

  3. Io invece sono d’accordo con Trevi, degli altri non conosciamo che le apparenze, se vuoi la superficie, e tuttavia siamo certi di conoscerne la vita. Puoi dire davvero di conoscere la vita di un collega, di un amico o di chi ti pare? è una pia illusione dirsi certi di sapere con chi ci rapportiamo, quante volte hai sentito dire frasi del tipo: lo/la conoscevo da una vita, non avrei mai pensato che avrebbe potuto farmi questo…

  4. Mah, per me il ragionamento di mr Frank B. Wilderson III è così chiaro da apparire ovvio… lo capirebbero anche i ragazzini di terza media.

  5. Infatti Fannì, ho detto che concordo sull’individualità della vita ovvero su quel “chi può dire davvero di conoscere qualcuno?” ma, lasciando perdere l’individuo singolo, in termini sociali questo non può essere un alibi. La società è un apparato ed i comportamenti sono assoggettati a regole e leggi. Le riflessioni di Winderson non sono indirizzate a spiegare l’individuo ma a spiegare un fenomeno sociale. La riflessione di Trevi, è più che condivisibile, ma alla fine ha ben poco (nulla) a che vedere con quanto intende affermare Winderson.

  6. p.s.: Fannì, guarda che Trevi non può parlare di “vita vera” escludendo che, purtroppo, la “vita vera” non è solo il rapporto interpersonale, gli affetti, le amicizie, gli amori, i tradimenti. Vita vera è soprattutto il lavoro (per chi ce l’ha e, peggio, per chi non ce l’ha), la salute, la scuola, la sicurezza, la società, il diritto, la discriminazione e così via. Il suo ragionamento, indubbiamente condivisibile, anche se ad effetto, affronta però solo il 30% al massimo di quella che è “vita vera”.

  7. Ah quando ti si tocca il nervo ,sempre quello, dei luoghi comuni quasi sembri non capire. Il ragionamento di Wilderson è stereotipato,ideologico e vecchio di stile e significato. lo capisco persino io , praticamente lo potrebbe scrivere un ragazzino di terza media . Sono i salvatori delle masse oppresse ad opprimere essi stessi i loro protetti…..Amen

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