PARADOSSI

Di seguito la versione integrale del racconto pubblicato su comunicaresenzafrontiere.it 

Svuotato d’ogni sostanza, il tempo ristagnava come nebbia nella stanza arredata con due sole sedie di legno, disposte l’una di fronte all’altra, rispettivamente occupate da un uomo sereno e da uno triste, entrambi vestiti di niente.
Fasci di luce, cadenti dal soffitto, avvolgevano le loro figure in opache fluorescenze, esaltandone i contrastanti stati d’animo trasparenti sui loro volti.
“Rabbi, potrai mai perdonarmi?” – chiese l’uomo triste, fissando la scacchiera di marmo del pavimento.
“Perdonarti di cosa?” – replicò serenamente l’altro.
“Di averti venduto come bestia al mercato.”
“Nelle azioni degli uomini dimora la volontà di Dio!”
“Mia madre, povera donna, sarà maledetta in eterno per avermi dato alla luce” – piagnucolò l’uomo triste. Dai suoi occhi il dolore stillava al suolo.
“Eppure il ricordo del figlio ne allevierà la sofferenza dal cuore ogniqualvolta la solitudine busserà alla porta della vecchiaia” – replicò l’uomo sereno.
“Il nome mio, immaginato nel silenzio del tempio, riecheggerà peggio di una bestemmia” – mormorò afflitto l’uomo triste.
“Ma rimarrà impresso in eterno nella memoria della vita, perché il dubbio marchiato dalle tue labbra sulla mia guancia ha sancito la vittoria del bene sul male!”
L’uomo triste levò lo sguardo, e crucciato fissò l’uomo sereno, non comprendendo il senso delle sue parole.
“Se il dubbio non ti avesse colto – continuò l’uomo sereno – e non mi avessi ingannato, come avrei potuto rimuovere, per sempre, dal cuore degli uomini la cenere che adombra le loro coscienze affinché la chiarezza attecchisca in loro?…Condanneresti mai il ferro del chirurgo?”
“Rabbi, che sarà di me?” – implorò l’uomo triste.
“L’ignoranza e l’ipocrisia umana ti condanneranno quale unico colpevole dei mali del mondo, così come la terra maledice il contadino che la ara preparandola alla semina per renderla feconda; o come l’albero ingiuria la mano che lo mutila affinché la vita rifiorisca rigogliosa dal suo stesso tronco; oppure come la pietra di cava sputa addosso all’artista che la violenta con martello e scalpello per donarle forma e senso.”
All’improvviso la stanza piombò nel buio.
Il timore riecheggiò nelle tenebre.
“Rabbi, che succede?”- riecheggiò la voce spaventata dell’uomo triste.
”L’ombra è figlia della luce: le tue labbra hanno spalancato le porte alla luce. Quanto più splendente sarà la luce, tanto più spessa sarà l’ombra che essa proietterà sul mondo, Giuda!”

 

Vincenzo Giarritiello

LA RESURREZIONE DELL’UOMO (racconto)

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Ripensando al suo Amore morte in croce, anche quella notte Maria di Magdala non chiuse occhio. Per quanti sforzi facesse per allontanare dalla mente il ricordo dei bei momenti condivisi con colui che tutti chiamavano Gesù oppure Rabbi, maestro – ma che per lei era semplicemente “amore mio” – i pensieri si rincorrevano in un susseguirsi di immagini  dove un uomo e una donna, all’alba, camminavano mano nella mano sulla sponda di un lago, discutendo su quali passi delle Scritture avrebbero letto quel giorno ai loro discepoli e a quanti si sarebbero uniti a loro per ascoltarli.

Abbracciati a piedi nudi nell’acqua ammiravano il sole nascente, volgendo una preghiera alla Vita; scambiandosi baci appassionati per sancire il loro patto d’Amore con il mondo; alla dolcezza con cui lui l’accarezzava quando, ritirandosi nella loro umile capanna, distesi nudi sulla stuoia sul pavimento, rischiarati dalla luce di una lampada a olio,  si amavano teneramente. Le piaceva sentire su di sé il calore delle mani di lui che le sfioravano il corpo, i suoi baci, il suo fuoco sciogliersi in lei. La incantava regalare piacere al suo Amore, unire il proprio corpo al suo nel dolce languore dei sensi affinché le loro anime divenissero un’anima sola. Dal primo giorno che aveva iniziato ad amare Gesù, non aveva smesso di pregare Dio perché benedicesse la loro unione con la nascita di un figlio, ma Dio si mostrava insensibile alle sue preghiere.

Un giorno, seduta tra le sue braccia sotto un ulivo ad osservare il volo degli uccelli, aveva dato voce al proprio risentimento.

 Perché Dio ci nega la gioia di un figlio?

Dio non ci nega alcuna gioia è solo che, per il ruolo che entrambi ricopriamo, non possiamo permetterci il lusso di mettere al mondo prole. I nostri figli sono le donne e gli uomini che tutti i giorni ci circondano per ascoltare i nostri insegnamenti e pregare con noi. Un figlio costringerebbe uno dei due, tu, a interrompere il ministero, lo sai! Sai bene quanto sia importante che il maschio e la femmina restino uniti anche nell’insegnamento e nella preghiera, così come nella vita coniugale,  perché il valore della parola di Dio, trasmessoci dalla scritture e la sua duplice natura maschile e femminile trovino il loro complemento in terra!

Potrei prendere una schiava cui affidare la cura di nostro figlio…

Il pensiero di nostro figlio ti distoglierebbe dall’insegnamento!

Dunque il nostro amore è condannato alla sterilità?

Non parlare così, i tuoi dubbi offendono Dio! Sai bene che il Signore fece dono ad Abramo e a sua moglie Sarah di un figlio quando entrambi avevano raggiunto un’età ritenuta impossibile per generare. La grandezza e la volontà di Dio vanno al di là delle comprensioni umane. Il nostro ruolo è quello di rispettare la volontà del Padre e adoperarci a divulgare la Sua parola! Se un giorno Egli vorrà regalarci la gioia di un figlio, quel giorno verrà!

Anche quella volta le parole di Gesù ebbero il potere di placarle le inquietudini dell’animo così come accadeva con quanti avevano la fortuna di ascoltarlo, ma come ogni donna innamorata del proprio uomo, Maria di Magdala dentro di sé continuava a covare la speranza di restare incinta di lui, e nel silenzio del proprio cuore continuava a pregare Dio perché le concedesse la gioia di avere un  figlio da lui.

Quella speranza era stata annientata per sempre nel momento in cui la croce su cui il suo uomo fu crocefisso venne innalzata sul Golgota. Le lacrime le rigavano il viso mentre ripensava al volto insanguinato e al corpo martoriato del proprio amore che dalla croce invocava Dio perché lo perdonasse e allontanasse da sé l’amaro calice della tentazione; irriso dai soldati romani e da quegli stessi giudei per cui aveva sacrificato la vita nella speranza che finalmente riconoscessero in lui il Messia!

Un giorno, mentre erano seduti intorno al fuoco in una grotta diretti a Gerusalemme per la Pasqua, approfittando che gli altri dormivano, Maria di Magdala non aveva saputo resistere alla tentazione e gli aveva chiesto:

Davvero tu sei il Figlio di Dio?

Tutti siamo figli di Dio!

Ma allora perché Dio dà ascolto solo alle tue preghiere, concedendoti di fare miracoli, mentre resta sordo alle preghiere di noi altri?

Perché voi altri, come tu dici, non avete ancora imparato a chiedere!

Che vuoi dire?

Bisogna imparare a chiedere col cuore e non col mente!

E come si fa?

Questo devi impararlo da te! Io posso solo dirti che Dio è pronto ad ascoltare tutti, purché ci si rivolga a Lui nell’unico linguaggio che conosce… Maria, Dio è Amore e l’Amore travalica la ragione! Fino a quando gli uomini pretenderanno di rivolgersi a Dio con la ragione, difficilmente riceveranno ascolto perché l’unico linguaggio che Dio conosce e ascolta è quello dell’Amore, ma non è vi è cosa più difficile per l’uomo che imparare ad amare davvero. Amare non significa soltanto voler bene ai propri cari, a una donna, a un compagno, a un figlio. Amare significa svestirsi dei propri panni e indossare quelli dell’umiltà perché amore è sacrificio, umiltà!

I primi raggi di sole iniziarono a trapelare attraverso la stuoia che ricopriva la finestra della casa in cui Maria di Magdala e le altre due donne che con lei avevano assistito inermi alla morte di Gesù alloggiavano nell’attesa di entrare nel sepolcro dove era custodito il corpo del Maestro per lavarlo, ungerlo con gli oli sacri e avvolgerlo in un candido lenzuolo di lino prima di affidarlo al sonno eterno nel sepolcro.

Maria di Magdala si alzò e uscì dalla casa. Uno splendido sole riscaldava il giorno. Andò alla fonte e si lavò. Mentre si spargeva l’acqua sul seno ebbe l’impressione che le mammelle fossero leggermente gonfie. Pensando fosse solo un’impressione, rientrò in casa e destò le altre due donne perché si preparassero per andare con lei alla tomba.

Quando giunsero al tumulo lo trovarono aperto. Circospette vi entrarono, il corpo di Gesù era sparito. Ne uscirono disperate. All’esterno un uomo dal viso sereno si avvicinò a Maria di Magdala chiedendole perché lei e le altre piangessero.

Hanno trafugato il corpo del Maestro- rispose piangendo.

 Maria, non mi riconosci più?- fece a quel punto lui.

Gesù!- rispose stupita.

Amore mio!

Che ne sarà di noi, dei tuoi discepoli, di quanti credono in Te?

La mia parola vi accompagnerà per sempre, abbiate fede!

E io che farò senza di te?

Continuerai a divulgare la parola di Dio come ti ho insegnato dal primo giorno che ti ho amata!

Ma senza di te non sarà la stessa cosa. Fosti tu un giorno a dirmi quanto fosse importante che il maschio e la femmina restino uniti nell’insegnamento e nella preghiera! Senza di te come farò?

Dio ti darà la forza per farlo, non temere!

Lasciati accarezzare una volta ancora…

No, non mi toccare, io non appartengo più a questo mondo ma al Regno dei Cieli!

Cosa devo fare?

Va dai miei discepoli e comunica loro che quanto era scritto nelle scritture si è compiuto, il Messia è risorto! E abbi cura per nostro figlio…

Quale figlio? Noi non abbiamo alcun figlio!

Ne sei sicura?- sorrise.

Un improvviso movimento scosse il ventre di Maria. Istintivamente lei incrociò le mani sulla pancia percependo il frutto che stava germogliando in sé.

L’uomo era risorto!

“Cuma”, racconto

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Di seguito l’incipit del racconto pubblicato su “comunicare senza frontiere”, per leggerlo tutto basta cliccare qui 

 

L’ultima volta che Corrado aveva visitato l’acropoli di Cuma fu all’epoca del liceo. Successivamente, nonostante si fosse ripromesso di recarvisi non appena potesse, gli impegni universitari prima e l’attività di cardiologo poi lo avevano costretto a tenere in naftalina quel proposito.

Spesso la sera, rientrando a casa da un’estenuante giornata di lavoro tra ospedale e ambulatorio, dopo aver cenato con la famiglia informandosi sul come fosse trascorsa la giornata di Alberto e Luca, i suoi figli, e di sua moglie Rosaria funzionaria alla regione, mentre i ragazzi si ritiravano in camera per guardare la tv o giocare alla play station e sua moglie si barricava nello studio davanti al PC per continuare il lavoro d’ufficio, lui si sdraiava sulla comoda poltrona nel soggiorno, immergendosi nella lettura di uno dei tanti saggi sui Campi flegrei che riempivano la libreria di casa. Possedeva l’opera omnia del Maiuri, nonché una sfilza di libri di archeologi e studiosi della “terra ardente”. Spesso alternava a quei testi la lettura di Omero e Virgilio che nelle loro opere ponevano l’ingresso all’Ade, la terra dei morti, proprio nei Campi flegrei. Precisamente Virgilio collocava la discesa agli inferi sul Lago d’Averno. Uno dei passi che prediligeva dell’Eneide era il capitolo VI dove si narrava dell’incontro di Enea con la sibilla. A volte meditando su quei luoghi mitici, adagiandosi nella poltrona con un bicchiere di whisky tra le dita, chiudeva gli occhi sussurrando le parole che Enea proferì quando incontrò la pitonessa, <<Vergine, non sorge davanti alla mente inatteso o nuovo l’aspetto del dolore: l’animo esperto lo prevede ed è pronto ad accoglierlo: ma soltanto di una cosa ti prego: se qui vicina è la soglia di Dite e l’opaca palude donde salgono i gorghi nebulosi di Acheronte, io vorrei scendere giù a rivedere l’immagine cara del mio genitore: insegnami la via, aprimi tu quelle porte sacre. In mezzo alle fiamme fuggendo e sotto mille dardi su le mie spalle lo presi e lo strappai al nemico; lui, compagno al cammino, lui invalido, vecchio, sopportava audace con me tempeste di tutti i mari e i nembi oscuri del cielo; e ch’io venissi supplice a te, ai tuoi penetrali, lui stesso m’impose. Tu, santa, abbi pietà, ti prego, di me e di mio padre: tu certo puoi tutto né fosti invano preposta Ecate ai boschi d’Averno. Se Orfeo poté richiamare dai Mani l’amata fidando nel suono della cetra, se Polluce scambia col fratello la morte, e va tante volte e ritorna per questa via – dovrò ricordare il grande Teseo ed Ercole? – anche il mio sangue deriva da Giove>>.

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L’insolito freddo che quei giorni attanagliava il centro sud aveva scoraggiato i pazienti dal recarsi allo studio. Pertanto, come accadeva solo ad agosto, l’anticamera dello studio era vuota. Più volte nel corso del pomeriggio s’era alzato dalla scrivania per affacciarsi nell’atrio a controllare se qualcuno aspettasse il proprio turno. Sempre incrociava lo sguardo sornione di Monica, la sua assistente alla porta che, seduta dietro alla scrivania, era impegnata a risolvere un cruciverba. <<Penso che ormai non verrà nessuno>> disse fissando l’orologio al polso. <<Il freddo e l’influenza mi stanno regalando un inatteso pomeriggio di riposo. Tu va’ pure, io mi intrattengo ancora una mezz’oretta>>. Fece un cenno di saluto col capo e rientrò nello studio. Si avvicinò alla libreria di fianco alla finestra; lanciò un’occhiata attraverso il vetro del pannello scorrevole ai libri e alle riviste mediche addossate sul ripiano; lo fece scorrere per prendere una vecchia edizione dell’Eneide risalente all’epoca del liceo. Non ebbe il tempo di sedersi che il campanello bussò alla porta. Con il libro nella mano andò ad aprire. <<Buonasera>> lo salutò un uomo di media statura togliendosi il cappello. <<Sono in tempo per una visita?>> domandò, lanciando un’occhiata alle sedie vuote nella stanza. <<Certo, si accomodi pure>> rispose Claudio, spostandosi di lato perché lui entrasse.

<<Si direbbe che il gelo di questi giorni abbia potuto più dei medicinali>> sorrise volgendo lo sguardo sulle sedie vuote, precedendo lo sconosciuto nello studio. <<Si accomodi>> disse, indicando con la mano una delle sedie davanti alla scrivania. A sua volta si sedette di fronte all’uomo, poggiando l’Eneide sul bordo del tavolo. <<E’ la prima volta che la vedo, è mio paziente da poco?>>. Prima di rispondere, l’uomo volse interessato lo sguardo sulle stampe seicentesche alle pareti ritraenti diversi luoghi storici dei Campi flegrei. <<Mi tolga una curiosità>> fece tornando a incrociare lo sguardo di Claudio, <<Tutte queste stampe sono un abbellimento casuale oppure frutto di una scelta mediata dalla passione per quei luoghi?>> <<Una scelta mediata>> rispose tormentandosi il mento tra le dita, fissandolo con curiosità. <<Perché me lo chiede?>> domandò poi, raddrizzandosi nella poltrona girevole. <<Perché anch’io li amo, uno in particolare!>> <<Quale?>> <<L’acropoli di Cuma!>> <<Ma guarda>> sorrise Claudio <<Anch’io sono innamorato di quel posto. Tuttavia ci manco da circa vent’anni, non le sembra un paradosso?>> fece divertito. <<Per niente>> rispose seriamente l’uomo. <<L’acropoli di Cuma non è un comune sito archeologico da visitare quando si vuole. E’ l’acropoli, ovvero lo spirito ctono del luogo, a decidere chi dei tanti visitatori dovrà ritornarci e quando… Fino a che lo spirito dell’acropoli non farà udire la propria voce nessuno sentirà il bisogno di ritornarci!>> Ascoltandolo, Claudio fu colto da un leggero tremore. Per un istante temette di trovarsi al cospetto di un pazzo. Fissando la fredda lucidità che traspirava negli occhi dell’uomo, accantonò l’idea considerandolo un appassionato come lui del mito virgiliano. <<Guardi cosa avevo deciso di leggere poco prima che lei arrivasse>> disse, mostrando l’Eneide all’uomo. Questi sorrise. <<Come vede avevo ragione!>> <<In che senso?>> <<Nel senso che la sibilla la sta chiamando!>> Lo studio cadde in un profondo silenzio. Gli uomini sembravano sfidarsi con gli sguardi. Alla fine Claudio sfuggì quello dell’uomo insolitamente intenso e luminoso. <<Lei chi è?>> chiese aprendo un cassetto, cercandovi il nulla. <<Certo non quello che pensa lei!>> <<Ossia?>> <<Né un pazzo, né un paziente! Se domani mattina sarà così gentile da raggiungermi all’acropoli conoscerà la verità!>> concluse accennando un leggero sorriso.<<Ma domani devo andare in ospedale…>> <<Si prenda un giorno di riposo>> lo interruppe, <<perché non accadrà nulla di così grave da richiedere la sua presenza. L’aspetto domattina a Cuma>> disse. Si alzò, aprì la porta dello studio e sparì. […]

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