SCAFFALE: “LE MIE RAGAZZE-RAGAZZE ROM SCRIVONO”, DI VINCENZO GIARRITIELLO

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(Nella foto in alto l’autore con il dottor Gianluca Guida, Direttore dell’IPM di Nisida)

Di seguito la versione integrale della recensione a LE MIE RAGAZZE – RAGAZZE ROM SCRIVONO pubblicata su comunicaresenzafrontiere.it

Sono passati quasi tredici anni da quando lo scrittore Enzo Giarritiello coordinò un laboratorio di scrittura creativa presso la sezione femminile del carcere minorile di Nisida. “La più tosta ma anche la più bella delle esperienze di laboratorio con i ragazzi“,  ci tiene a precisare.  Quest’ultima rientra tra le attività creative che l’autore ha tenuto a Pozzuoli (per anni ha coordinato un laboratorio di scrittura creativa presso la libreria per ragazzi “CionCionBlu” e uno di nove settimane presso il IV Circolo di Pozzuoli con due quinte accorpate).

L’esperienza nel carcere di Nisida, raccolta in un diario che all’epoca aggiornava regolarmente quando rientrava dagli incontri, non si era mai pensato di pubblicarla per non disattendere l’impegno assunto con chi gli aveva concesso quella possibilità. Gli incontri avvenivano ogni sabato tra fine giugno e fine luglio del 2006.

Allora allo scrittore fu suggerito di realizzare un libro sulla sua esperienza con l’intento di fornire un ulteriore strumento di supporto per chi lavora con realtà sociali disagiate.
A distanza di tanto tempo, rileggendo il diario, resosi conto che non violava la privacy delle ragazze né di altri, lo scrittore ha deciso di darlo alle stampe con il self publishing di Amazon.

Il volume è composto di otto capitoli, ognuno con un titolo indicativo sull’argomento, ne segnaliamo tre: “L’AMORE NON VINCE TUTTO”, il terzo capitolo, racconta il punto di vista sull’amore delle ragazze. Nel settimo capitolo, LA RABBIA DI UNA FIGLIA, si argomenta la divertente insistenza delle ragazze quando appresero che era padre di due maschi. A loro dire, “si doveva dare da fare” per mettere al mondo una femmina: “Solo se ti incazzi anche con una figlia puoi dire d’essere un vero padre. Le incazzature con i figli maschi non ti danno nulla di nuovo essendo tu maschio e avendo quindi vissuto le loro stesse problematiche da piccolo. Solo se avrai confronto con una femmina potrai comprendere cosa vuol dire essere veramente padre e sentirti un uomo completo. Finché non lo farai sarai un uomo a metà in quanto conoscerai solo una faccia della medaglia, l’altra ti sarà ignota!“.

Una menzione a parte merita il sesto capitolo, “INCUBO”, dove Giarritiello raccoglie la testimonianza di una delle secondine: la donna riferisce le proprie esperienze precedenti in vari penitenziari femminili, raccontando con le lacrime agli occhi degli orrendi crimini di cui si macchiavano alcune detenute.

Il volume, scritto in modo fluido e scorrevole, si legge velocemente riuscendo a dare uno spaccato femminile su un universo poco affrontato, quello rom. L’etnia, oggetto da sempre di una visione stereotipata in termini negativi, racchiude un retaggio culturale profondo e articolato che meriterebbe d’essere approfondito per capire le tante dinamiche, anche contraddittorie, che la caratterizzano.

Il Libro è disponibile su Amazon

La Redazione

A YANN MOIX BISOGNAVA RISPONDERE “GRAZIE AL CAZZO!”

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Alcuni giorni fa lo scrittore francese Yann Moix ha confidato alla rivista Marie-Claire la propria incapacità di amare una donna di 50 anni, preferendo quelle di 25 anni, possibilmente asiatiche, in quanto “il loro corpo è straordinario” mentre “quello di una cinquantenne non lo è affatto”.

Come era prevedibile la dichiarazione ha innescato un vespaio di polemiche che si sarebbero potute tranquillamente spegnere sul nascere rispondendogli con un colorito “grazie al cazzo!”

Scusate il francesismo…

Leggendo la dichiarazione si deduce infatti che lo scrittore utilizzasse il verbo amare per intendere il rapporto sessuale anziché un rapporto di coppia dove le componenti che uniscono i due sono molteplici; dove la sfera sessuale è una dei tanti collanti della coppia ma non l’unico.

Ovvio che se un uomo dell’età dello scrittore dovesse scegliere una donna con cui trascorrere qualche ora di sesso, soprattutto se fosse costretto a pagare per farlo, si orienterebbe verso una molto più giovane di lui per sentirsi a sua volta giovane mentre stringe a sé quel corpo fresco, sodo e profumato di vita.

A essere sinceri dalla dichiarazione di Moix non si capisce se lo scrittore ami andare a prostitute, ma la sua confessata predilezione per le orientali lo lascerebbe supporre…

Tuttavia se così fosse, non ci sarebbe nulla di male essendo ognuno libero di vivere come meglio crede la propria sessualità e di fare del proprio denaro ciò che vuole.

Parlando di amore come sentimento esso si nutre non solo di emozioni sensuali – quelle appartengono alla sfera del desiderio e una volta appagate spesso non ritornano più allontanando per sempre coloro che avevano condiviso quel momento di passione – ma di interessi comuni, intelligenza, educazione, attenzione verso l’altro, la complicità e il gusto di divertirsi insieme. Aspetti   che inducono a pianificare un progetto di vita comune e a ritrovarsi in maniera naturale l’uno nelle braccia dell’altra in quanto l’amore fisico tra chi si ama è unione di anime. I corpi non sono altro che un involucro per cui chi amiamo ci apparirà sempre bellissimo in barba agli anni che avrà perché l’amore non ha età. Viceversa un rapporto tra chi si piace solo fisicamente è sesso e nel tempo è condannato a morire perché a tenerlo vivo c’è solo la bellezza fisica la quale negli anni sfiorirà.

Per non essere frainteso, specifico che non ho assolutamente nulla contro il sesso fine a se stesso. La chiarificazione era necessaria per spiegare qual è per me la differenza tra fare l’amore e fare sesso. Punto!

Evidentemente Moix ha usato in maniera impropria il verbo amare, volendosi riferire al rapporto sessuale; chi si è sdegnato per la sua affermazione o non ha colto il senso reale delle sue parole, o le ha strumentalizzate per attaccarlo.

A mio avviso lo scrittore ha detto una tale banalità che mi verrebbe da replicare il francesismo di cui sopra…

UN UOMO TRA SPERANZA E NAUFRAGIO

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Spaventa sempre qualunque cambiamento comporti la perdita di una “sicurezza” radicata nel tempo. Spaventa sempre perché, all’improvviso, dopo anni vissuti con la certezza di poter gestire senza particolari problemi una famiglia, improvvisamente ti riscopri a pensare che, quanto prima, sarai costretto a rimetterti nuovamente in gioco sul mercato del lavoro, nemmeno avessi vent’anni; a dover iniziare a guardarti di nuovo intorno alla ricerca di un’attività che ti consenta, prima di tutto, di dare un senso alla tua vita, con l’amara consapevolezza che ormai da tempo il tuo sguardo e la tua mente non sono più allenati a cogliere aspetti, sfumature, diversità del mondo esterno, che un tempo avresti individuato all’istante o poco più, aiutandoti a compiere quella che ti sarebbe sembrata la scelta più giusta in sintonia con le tue esigenze personali, per crescere e affermarti come uomo, per conquistare dignità!

Nel momento in cui il vento del cambiamento inizia a far sentire sempre più forte il proprio pesante respiro, ti domandi se sarai nuovamente in grado, ora che hai un’età, a districarti con abilità tra i suoi soffi; se saprai orientare la tua barca con prontezza, determinazione e sagacia affinché il vento ne gonfi le vele, spingendola verso ignoti orizzonti con l’obiettivo di rifarti una vita.

Sai bene che, rispetto al passato, quando navigatore solitario, ti divertivi volutamente a spostarti da “un’isola” all’altra, con la preoccupazione di dover salvaguardare solo alla tua incolumità anziché pure a quella dei passeggeri a bordo, oggi la condizione è completamente ribaltata: seppure i passeggeri sono giovani, forti e sempre più vaccinati alle avversità della vita, e dimostrano di sapersi muovere da soli nel mare esistenziale senza bisogno dell’ausilio di chi indichi loro la rotta giusta da seguire; seppure hai accanto un monolite di donna che, pur avendo sofferto tanto, non si è mai lasciata schiacciare dalle avversità della vita, ma ha sempre reagito con forza, coraggio e capacità uscendone vincitrice, comunque sei consapevole che il cambiamento che sta per approssimarsi modificherà in maniera radicale il tuo modo di vivere, imponendoti di rispolverare dal baule dell’animo quegli aspetti del tuo carattere necessari per costruirti una vita, atrofizzati dalla falsa sicurezza, cementata negli anni, di vivere a bordo di un “piroscafo” reputato inaffondabile. E che invece, come il Titanic, si è dimostrato di una fragilità disarmante,- complice l’ingenuità?, l’incapacità?, la fiducia mal riposta? del nocchiero, sempre più agonizzante in un oceano plumbeo, mantenuto a galla da promesse, accordi, speranze vane che stanno per cedere la presa, lasciando che la nave affondi.

Come gli altri componenti dell’equipaggio, saresti tentato di abbandonare il piroscafo per salire a bordo di una scialuppa di salvataggio e allontanarti sempre di più da quella realtà agonizzate, da quel mare assassino. Ma quello scafo in declino, piaccia o meno, rappresenta una parte importante della tua vita. Così come una parte importante della tua vita è rappresentata dai superstiti dell’equipaggio: uomini con cui hai condiviso più della metà della tua vita, con i quali hai riso, pianto, urlato di rabbia e di gioia, mangiato e giocato, ti sei incazzato e hai fatto incazzare. Persone che mai avresti pensato fossero per te tanto importanti e invece, quando ormai imbarcare acqua è diventata una condizione irreversibile, scopri che sono un pezzo importante di te, che il solo pensiero di dovertene staccare ti fa stare male perché, sia nel bene che nel male, i rapporti umani sono formativi, soprattutto quelli di lunga durata.

Nel momento in cui la barca affonda, scopri che tanti erano i falsi ufficiali che la governavano, che non si sono fatti scrupoli di abbandonarla per salire a bordo di un’altra stabile e sicura non appena la vostra ha iniziato a dare inequivocabili segni di cedimento, fregandosene del suo onesto equipaggio in balia degli elementi. Inizialmente sei portato a giustificarli questi marinai da “mare piatto”; pensi che al loro posto avresti fatto altrettanto. Ma quando poi ti soffermi a pensare alle cause del naufragio, la rabbia ti coglie in quanto ti accorgi che alcuni di quei capitani, seppure in piccola parte, sono corresponsabili del disastro.

La senti la rabbia salire dal profondo dell’anima per esplodere in tutta la propria potenza in un urlo e in un pugno che soffochi in gola e che domini stringendo le dita nella mano fino a farti male perché, tutto sommato, sei convinto che “finché c’è vita c’è speranza”. Ma nel momento in cui pensi ciò, sei anche consapevole che la tua speranza è solo un modo vile per rifiutare la sempre più evidente realtà dell’ormai prossimo naufragio.

A quel punto senti il mare alla gola; fatichi a respirare, a tenere la testa fuori dall’acqua. Ma ormai quel che resta del relitto si impenna in un ultimo, disperato, sussulto di vita. Per poi inabissarsi a testa in giù, trascinando con sé nei fondali le speranze tradite di chi, come te, su quel bastimento aveva costruito la propria vita, dato corpo alle proprie speranze, a quelle della sua donna e dei propri figli.

Aggrappato come un disperato alla ringhiera a poppa con le gambe che si agitano nel vuoto, osservi sotto di te il nero vortice fagocitare con ingordigia la nave nei fondali. Un’ultima, vana speranza ti coglie mentre vai a fondo, chiedendoti se quei fondali non rappresentassero il traumatico varco a un mondo migliore cui diversamente non avresti avuto accesso!? Un mondo dove finalmente avrai la possibilità di dare corpo ai tuoi sogni!?…

È proprio vero, la speranza è l’ultima a morire!

 

LA NOTA STONATA NON ESISTE

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Una delle locuzioni più comuni che spesso utilizziamo nel nostro linguaggio per indicare qualcosa aliena fuoriesce da un contesto in cui appare improvvisamente è “nota stonata”. Tuttavia, se riflettiamo, la cosiddetta “nota stonata”, di per sé, non è affatto stonata. Nel senso che la sua improvvisa presenza in un complesso non dovutole è conseguenza di una scelta arbitraria, seppure inconsapevole, dell’individuo.

La nota stonata è tale semplicemente perché siamo noi che con la nostra disattenzione, idiozia, le consentiamo di farsi larghi nel sistema fino a forzarne le regole, mettendolo in discussione, rischiando di rendere eterogeneo ciò che deve essere omogeneo.

Tuttavia non significa che qualsiasi cosa indichiamo come nota stonata lo sia per sua natura. Basta che inseriamo quella stessa nota in un contesto che le appartiene e l’omogeneità, la melodia della struttura viene garantita, se non addirittura esaltata.

Paragonando ogni singolo individuo a una singola nota, otteniamo che l’unione di più individuo dà vita a uno spartito musicale la cui melodia non verrà stroncata fino a quando in esso non irromperà la nota stonata, ossia un individuo avulso da quel contesto che con la propria presenza metterà in discussione l’intero sistema.

Ovvio che, proprio per questa loro caratteristica di frantumare l’ordinamento di un sistema, le note stonate  sono bandite da qualunque organismo, o quantomeno tenute sotto stretto controllo perché facciano medo danni possibili.

Eppure, paradossalemente, la loro presenza è indispensabile per garantire la durata di un sistema.

Mi spiego: tutto ciò che funziona in maniera perfetta, non solo non sembra richiedere manutenzione, ma induce a distogliervi l’attenzione in quanto, così si dice, il “meccanismo va da sé”.

Certo, va da sé fino a quando non compare, e prima o poi comparirà, la variabile indipendente, ossia la nota stonata, la quale, propria per la scarsa vigilanza derivata dalla sicurezza di trovarci al cospetto di un sistema perfetto, inducendo ad abbassare la guardia ha fatto sì che la nota stonata vi si introducesse e iniziasse a logorare il sistema fino a rallentarlo o, addirittura, bloccarlo.

In virtù di ciò qualunque sistema perfettamente funzionante non deve mai farsi trovare impreparato all’improvvisa apparizione della nota stonata. Deve munirsi a monte di adeguate misure per individuare l’avvento della variabile,  bloccarla e bandirla da sé se vuole durare nel tempo.

Ciononostante non è detto che la presenza di “una nota stonata”, non possa risolversi in un miglioramento del sistema. Il tutto è vincolato alla bravura del direttore d’orchestra che deve valutare se l’inserimento di quella nota nello spartito non possa arricchirlo mediante arrangiamento. Ciò sicuramente richiederà un lungo lavoro di revisione dell’intero “spartito”, ma se si valutasse che l’inserimento della nota stonata, dopo un’accurata rettifica dell’intero sistema, potrebbe rinverdire “l’opera”, da nota stonata, quella variabile si trasformerà nella cosiddetta “ciliegina sulla torta”.

Senza dimenticare l’esistenza della musica dodecafonica che all’orecchio impreparato suonerà come un’unica, lunga stonatura; viceversa segue dei canoni ben precisi, diversi da quelli della musica classica, che solo chi ne conosce le regole di composizione può comprendere e apprezzare.

Morale: non esistono note stonate. Ma semplicemente singole note che, a secondo di come vengono messe in comunione tra di loro, o singolarmente inserite in uno spartito preesistente, possono dare vita a una melodia piacevole o disprezzabile; oppure arricchire o  infrangere uno spartito preesistente.

La scelta finale spetta sempre agli uomini!