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'Elezioni' in Iran.

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Ammetto che anche io sono stato tratto in inganno. In merito alle elezioni che dovrebbero svolgersi domani in Iran, avevo riposto le mie, seppur presumibilmente vane, speranze, nel candidato sfidante, il moderato Mir Hossein Mussavi. Moderato, pensavo, da quello che mi hanno raccontato i telegiornali, o almeno quelli che ho potuto seguire. Per ragioni di età non sapevo che il candidato era Premier nel 1986, all'epoca del grande massacro dei prigionieri politici, ed è ricordato come uno dei più feroci dittatori della storia persiana, nonché, immagino, mondiale. Quell'estate il capo religioso Khomeini ordinò il "massacro di tutti i prigionieri politici non convertiti nella fede islamica". Le conseguenze di quell'ordine furono, ovviamente, tragiche: furono sterminati più di 33.000 persone, carcerati che avevano già scontato la pena e aspettavano di essere scarcerati. Il che appare assai strano, poiché al governo vi era un presidente oggi considerato 'moderato'. Se davvero lo fosse stato si sarebbe immediatamente dimesso, come segno di protesta contro un'imposizione tanto barbara. E, invece, eseguì alla lettera, come un cagnolino, le istruzioni di Khomeini. In perfetta sintonia con il sistema del Velayate Faghih, cioè la validità assoluta e incontestabile dell'opinione del capo religioso su ogni cosa. In questo sistema il capo dell'esecutivo, il Premier, moderato o conservatore che sia, non è altro che "il bastone nelle mani del Velayate Faghih". Naturale, quindi, che il moderato Mussavi non si oppose, né mai pensò di farlo. È evidente che, nell'ottica di una dittatura confessionale, il significato di moderato e conservatore è molto relativo, e ben diverso da quello che queste parole assumono negli stati democratici occidentali. La politica di Mussavi, quando era Premier, era tutt'altro che moderata, assolutamente non dissimile da quella portata avanti dal suo successore, l'amico Ahmadinejad. Mussavi, infatti, era l'esecutore della politica di guerra nonché delle spietate repressioni di qualsiasi dissidente politico o religioso. Il suo successore, intanto, si guadagnava, con merito e orgoglio, il soprannome di uomo dei "mille colpi di grazia": era proprio Ahmadinejad che personalmente li assestava, nel tremendo carcere di Evin, preparando al contempo i plotoni di esecuzione, molto indaffarati, in quel periodo. Quale differenza, quindi, fra i due presidenti? Entrambi hanno consolidato, continuando tuttora, le vergognose colonne del regime fondamentalista e criminale iraniano, con uno stile assai peggiore di quello nazista. Perpetrando senza ritegno repressioni assurde, favorendo apertamente il terrorismo internazionale e inseguendo il sogno della bomba atomica, indispensabile per realizzare il sogno principe: la distruzione d'Israele. Di quest'evidente e sostanziale equivalenza dei due candidati, purtroppo, non si sono avvedute Europa e Stati Uniti, continuando, negli anni, a cercare una mediazione con i presunti moderati, con una diplomazia che non ha fatto che permettere ai mullah di avvicinarsi sempre più all'atomica. E se neanche l'America ha fatto qualcosa di concreto figuriamoci l'ONU, che già all'epoca aveva troppa paura per contrastare quell'integralismo islamico che si stava facendo strada nel mondo contemporaneo. Ad oggi, il vero e unico presidente del regime iraniano è il mullah Alì Khamenei, capo supremo dell'apparato religioso persiano. Qualsiasi candidato, sia moderato o conservatore, ascenda alla carica di Premier, infatti, potrà solo eseguire alla lettera i suoi ordini, per sanguinari che siano, in base alla già citata legge del Velayate Faghih. E il mullah ha già da tempo scelto chi dovrà essere il Presidente: almeno fino alla sua (di Khamenei) morte il "figlio privilegiato" sarà Ahmadinejad. Egli dovrà continuare con "denti e unghie" a preparare la bomba atomica islamica, nell'ottica dell'ormai prossima guerra mediorientale. Chiaramente non potrà fare a meno di soffocare nel sangue ogni tentativo di rivolta o ribellione che provasse a scalzarlo dal trono, ma considerati i suoi precedenti non gli farà certo dispiacere. Con quella guerra, e continuando a foraggiare il terrorismo, cercherà poi di rendere realtà l'idea del "regno islamico khomeinista", il probabile futuro dell'Iran. Quando parlai della possibile guerra incombente speravo di essere semplicemente pessimista, ma oggi ho avuto la conferma di non essere il solo a presagirla. Molti dei concetti e dei dati sopra riportati, infatti, provengono da un comunicato rilasciato ieri da Karimi Davood, analista politico e soprattutto presidente dei rifugiati politici iraniani in Italia, nonché della Fondazione Delara Darabi. Ricordando quest'ultima si comprende la situazione del Paese oggi: una giovane pittrice viene barbaramente e ingiustamente uccisa per ammonire i lavoratori, e scongiurare qualsiasi manifestazione che si sarebbe potuta svolgere quel 1° Maggio. Come, e probabilmente peggio, nella Germania nazionalsocialista di Hitler, le opposizioni sono sistematicamente annullate, e i loro esponenti arrestati e immediatamente eliminati. In questo caso le elezioni serviranno semplicemente per dare all'occidente, e soprattutto alle sempre più miopi Nazioni Unite, l'impressione che in Iran esista la democrazia. E il brutto è che qualcuno ci crederà, per esempio un utente che spesso commenta nel mio blog. I Paesi occidentali sono subdolamente abbindolati, e un criminale come Mussavi viene dipinto come un moderato, un democratico, un amico della libertà e degli Stati Uniti. Magari qualcuno lo immagina come un riformatore che libererà l'Iran dalla dittatura, riportandovi la libertà. Secondo Davood, che ha sicuramente ben chiara la situazione che deve sopportare il suo Paese, la popolazione ha ormai capito come funzionano le cose, e ha deciso, in massima parte, di boicottare in massa le urne. A cosa servirebbe, infatti, quel voto. A parte il fatto che i candidati sono essenzialmente e politicamente identici, in un regime dittatoriale come quello persiano è abitudine consolidata truccare i risultati delle elezioni, soprattutto se la vera autorità suprema del Paese ha già scelto chi deve vincere. Le elezioni saranno solo uno spettacolino per gli Stati occidentali, che illuderà qualcuno (molti, temo) che le cose stiano cambiando. Forse, però, sempre a detta di Davood, le cose stanno effettivamente mutando, e proprio a causa, involontariamente, dei dittatori che attanagliano il Paese. Un regime tanto crudele e sanguinario non può che arrivare al collasso, anche considerando che il sistema corrente vige da molti anni. Se davvero la gente boicotterà, come, a questo punto, spero, le elezioni, significherà che qualcosa si è mosso, che forse la scintilla è scaturita, e proprio dalla mannaia del boia. Trent'anni di violente repressioni, leggi indegne dell'anno in cui viviamo e torture atroci a chiunque provasse a opporsi stanno portando il Paese al collasso. Non si contano, ormai, le manifestazioni da parte di ogni ceto sociale, dagli operai agli studenti, mentre la situazione interna è spaventosa: prostituzione che tocca quasi l'età infantile, il 70% della popolazione che vive sotto la soglia di povertà, e una disoccupazione a livelli assurdi. Senza contare gli otto anni di guerra, con un milione fra morti e feriti e danni per miliardi di dollari, e 120.000 giovani dissidenti uccisi sotto tortura. C'è davvero da sperare che il popolo iraniano non vada a votare, perché sarebbe la prova dell'inizio della fine per il regime dei mullah. Se così non sarà, se il dittatore criminale e assassino Ahmadinejad continuerà nella sua politica di barbarie e sangue probabilmente si arriverà alla guerra. Che, ho visto, non pronostico soltanto io. Israele teme la follia di Teheran, e ha chiesto un intervento preventivo che scacci lo spettro della guerra atomica. L'ONU, ovviamente, non fa nulla, e il Presidente americano continua a tendere la mano al terrorista. La guerra porterebbe alla fine del regime iraniano, così come avvenne per quello nazista, perché non possono lottare contro il mondo intero, neanche con la bomba atomica. Ma a quale prezzo? Quanti innocenti devono ancora morire prima che l'occidente si decida a reagire? Gli attentati di Londra e Madrid dimostrano che l'integralismo islamico non si ferma neanche davanti a chi non li attacca, e non risparmia neanche i musulmani stessi. Temo che il punto di non-ritorno sia assai vicino.

 
 
 
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