TUTTI CONTRO FAZIO MA ANCHE SANTORO FU INDULGENTE CON BERLUSCONI

eidon - Roma 10 Gen 2013 Silvio Berlusconi, Luisella Costamagna, Marco Travaglio Silvio Berlusconi alla trasmissione Servizio Pubblico di Santoro (EIDON) - 848260 : (Donatella Giagnori / EIDON), 2013-01-10 Roma - Silvio Berlusconi alla trasmissione Servizio Pubblico di Santoro - Silvio Berlusconi, Luisella Costamagna, Marco Travaglio

Era il 10 gennaio 2013 quando Silvio Berlusconi partecipò a Servizio Pubblico di Michele Santoro; una trasmissione interamente dedicata alla sua persona dall’eloquente titolo MI CONSENTA. Per Santoro e LA SETTE, emittente che trasmetteva il programma, fu un successo senza precedenti: oltre 8 milioni e 600mila spettatori con un share del 33,58%.

In quell’occasione  seppure la presenza in studio di Marco Travaglio, nemico giurato dell’allora cavaliere, facesse presagire a chissà quale “duello” avremmo assistito, suscitò non poche perplessità in chi scrive l’atteggiamento contenuto dell’attuale direttore de Il Fatto Qutodiano tanto da alimentare il dubbio che forse le domande erano state preventivate con l’ufficio stampa dell’allora cavaliere.

Quel dubbio durò un attimo: “mai”, mi dissi, “un giornalista d’assalto quale Travaglio si lascerebbe mettere il freno pur di non offendere l’ospite”. Purtroppo mi sbagliavo. A confermarlo fu lo stesso Santoro quando, replicando alla letterina letta da Berlusconi in cui elencava i dieci processi per diffamazione subiti da Travaglio, definendolo “diffamatore di professione”, sbottò “gli accordi prevedevano di non parlare dei processi”.

Questo excursus temporale nel passato di quasi cinque anni era necessario per riallacciarci al presente. Precisamente all’eco che sta suscitando su alcuni giornali, in particolare Il Fatto Quotidiano  diretto da Travaglio, l’intervista di Berlusconi domenica sera a Che Tempo Che Fa di Fabio Fazio. Intervista  da molti considerata una sorta di monologo concordato tra gli autori del programma e Berlusconi.

Tra le principali critiche a Fazio per le tante omissioni nella sua pseudo intervista primeggia il non aver posto alcuna domanda a Berlusconi sui processi in cui è imputato, né sulle indagine in cui è indagato come probabile mandante insieme a Dell’Utri delle stragi di mafia del 92/93.

Se perfino Michele Santoro dovette scendere a patti con lo staff del cavaliere prima di intervistarlo, non si comprende perché non dovesse farlo Fazio il quale, bisogna dirlo per onestà intellettuale,  cerca di mettere a proprio agio tutti gli ospiti, Di Maio incluso, evitando loro alcun motivo di imbarazzo non ponendo domande fastidiose.

La trasmissione di Fazio non mi piace, la trovo noiosa, ripetitiva. Ma vista la polemica montata dall’intervista a Berlusconi, contravvenendo ai miei propositi iniziali di non vederla, ho  guardata la puntata incriminata su RAI REPLAY per vedere se fossero giustificati i motivi di tanta indignazione.

Tralasciando i gusti personali, credo che si stia troppo enfatizzando un evento che, molto probabilmente, in qualunque altro paese sarebbe passato in sordina.

Oddio, è altrettanto vero che difficilmente in un qualunque altro paese democratico sarebbe stato concesso di fare politica a un pregiudicato, pluri-inquisito, pluri-indagato, pluri-prescritto per reati che vanno dalla frode fiscale, al concorso esterno per associazione mafiosa, alla compravendita di parlamentari, alla corruzione in atti giudiziari, decaduto dallo scranno senatoriale perché una legge dello Stato votata anche dal so stesso partito, inibisce dalle pubbliche funzioni chi è stato condannato a più di quattro anni in definitiva, Legge Severino.

Poiché lo stesso leader del centrosinistra, Matteo Renzi, malgrado i trascorsi giudiziari di Berlusconi , si è dimostrato pronto a farvi accordi politici, Patto del Nazareno; senza contare che Eugenio Scalfari, fondatore di Repubblica, alla domanda “chi voterebbe tra Berlusconi e Di Maio”, rispose senza esitazioni, “Berlusconi”, non si comprende perché tanti problemi se li sarebbe dovuti porre Fazio che fa spettacolo.

È vero che quando andò da Santoro Berlusconi non era ancora  stato condannato in definitiva per frode fiscale e quindi non era decaduto da Senatore. Ma comunque già all’epoca vantava un curriculum giudiziario di tutto rispetto tra rinvii a giudizio, prescrizioni e condanne in primo grado da cui Travaglio aveva attinto per i suoi tanti libri scritti sul cavaliere e le sua “oscura”  fortuna finanziaria.

Se  nei  confronti di Berlusconi Santoro fu alquanto indulgente, con il sostegno forzato di Travaglio, tanto da meritarsi le critiche del centrosinistra che lo accusava di aver dato spazio al cavaliere favorendone la “resurrezione” politica e il rilancio del centrodestra, non si capisce proprio perché non dovesse esserlo Fazio, il quale dà l’impressione d’essere indulgente per natura.

Che poi il suo programma piaccia oppure no, è questione di gusti!

 

SCALFARI APRE A BERLUSCONI E INGUAIA REPUBBLICA?

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Com’era prevedibile, all’indomani dell’inatteso (?) endorsement di Eugenio Scalfari a favore di Silvio Berlusconi rispetto a Luigi Di Maio a Di Martedì – alla domanda di Floris tra Berlusconi e DI Maio chi voterebbe, il venerando giornalista senza dubbi ha risposto secco “Berlusconi”, mandando all’aria in un solo colpo l’antiberlusconismo di Repubblica e facendo carta straccia delle inchieste su il caimano e delle famose 10 domande a Berlusconi del fu D’Avanzo sulla vicenda Noemi Letizia – , il mondo politico di centrosinistra, con annessi e connessi, è in comprensibile imbarazzo.

Ascoltare dalla voce autoritaria del fondatore di Repubblica un’apertura di credito di tali proporzioni nei confronti di un pregiudicato per frode fiscale, in virtù di ciò decaduto dagli incarichi istituzionali, tuttora sotto inchiesta come presunto mandante delle stragi di mafia del 1993, sotto processo per faccende legate alla sua passione per le belle ragazze, ma minorenni,  attaccato da quello stesso quotidiano e dal suo fondatore per l’abnorme conflitto di interessi che lo caratterizzava, e tuttora lo caratterizza, deve essere stato peggio che ricevere un cazzotto nello stomaco per quanti lavorano o collaborano con il quotidiano da lui fondato, a cominciare dal direttore Mario Calabresi. Ma anche per chi lo legge con la convinzione di avere tra le mani un quotidiano indipendente che fa le pulci al potere così come dovrebbe fare qualsiasi quotidiano si rispetti.

Tuttavia commette una grossa ingenuità chi si sia stupito dell’apertura di Scalfari nei confronti di Berlusconi, da lui considerato il peggiore dei mali rispetto a Di Maio del M5S. Ci si dimentica infatti che alcune settimane fa MICROMEGA pubblicò uno scoop giornalistico che in qualsiasi altro paese avrebbe suscitato un clamore senza precedenti mentre da noi s’è praticamente volatilizzato in sordina: la rivista diretta da Paolo Floris D’Arcais pubblicò alcune lettere scritte da Italo Calvino all’amico Scalfari all’epoca del fascismo, quando entrambi era poco più che diciottenni, accusandolo di non avere alcun ritegno di scrivere su giornali di chiara matrice fascista, sostenendone i principi,  pur di arrivare come giornalista.

Da quando questo scoop fu pubblicato è trascorso oltre un mese, periodo nel quale Scalfari ha partecipato a più di una trasmissione televisiva come ospite ma nessuno dei conduttori né dei presenti in studio gli ha chiesto spiegazioni in merito alle lettere di Calvino.

Da chi non si sarebbe fatto scrupoli di sostenere l’ideale fascista pur di  appagare la propria ambizione professionale, per poi successivamente rinnegarlo fondando prima un settimanale, L’Espresso, quindi un quotidiano, Repubblica, che avrebbero dovuto fare le pulci al potere a salvaguardia della democrazia , stupirsi per il suo sostegno  a Berlusconi francamente sa di ipocrisia, premesso che non sia sana ingenuità.

Ultima considerazione: se i quotidiani sono in crisi di vendita la colpa non sarebbe solo di internet su cui le notizie viaggiano in tempo reale rispetto ai formati cartacei , seppure gli stessi giornali hanno una versione online che si aggiorna in tempo reale.

È presumibile che un buon numero di lettori non abbia abbandonato la lettura dei quotidiani per mere questioni  economiche – meglio informarsi a costo zero in rete pur rischiando restare vittime delle fake news. È probabile che molti lettori abbiano abbandonato le versioni cartacee anche perché hanno avuto il sentore che spesso i giornali e i loro fondatori agiscono come i preti, “fa quello che dico io e non fare quello che faccio io”!

L’ULTIMA NOTTE, STORIA DI UN RACCONTO

All’epoca in cui scrissi L’ultima Notte non avevo ancora compiuto 18 anni. Come tutti i ragazzi della mia età anch’io, tra le mie fantasie erotiche, nutrivo quella di vivere una storia d’amore con una bella donna molto più grande di me che mi iniziasse ai segreti del sesso. Fu così che, solleticato da questa idea trasgressiva, battei a macchina un racconto di nove cartelle che, insieme a molti altri, per oltre dieci anni decantò in una cartellina nel cassetto della scrivania.
Quando agli inizi dell’estate del 1996 acquistai il mio primo computer, decisi di trascrivere sui floppy i racconti che scrissi quando ero ragazzo. Non appena iniziai a copiare L’ultima Notte, dopo le prime due pagine, mi bloccai davanti allo schermo come ipnotizzato. Non so perché, all’improvviso percepii che quel racconto doveva “respirare”, che meritava molto più spazio, che la storia d’amore tra i due protagonisti non poteva ridursi a poche pagine ma doveva essere narrata in maniera estesa. Fu così che, come fossi posseduto da un demone, iniziai a scrivere come un dannato di notte, sacrificando il sonno alla narrazione visto che lavorando e avendo e famiglia e due figli piccoli, farlo di giorni era impossibile. (successivamente un’amica mi disse che in ambito creativo il meglio di noi stessi lo diamo allo stesso orario in cui nascemmo: stando a mia madre, nacqui poco dopo le quattro del mattino…).
Andavo a letto subito dopo cena per svegliarmi poco dopo mezzanotte e scrivevo fino a quando non si facesse l’ora per andare a lavoro. In ufficio recuperavo il sonno perduto appisolandomi in macchina durante l’orario di spacco.
Iniziai a lavorare al romanzo a metà settembre. Per ben quattro mesi, senza alcuna ragione apparente, se non per il gusto di scrivere, mi alzavo a notte fonda, entravo nel soggiorno, accendevo il computer e iniziavo a scrivere immerso nel silenzio delle tenebre rischiarate dalla fioca luce del monitor del Pc.
Alla domanda di mia moglie e dei miei figli, allora piccoli, perché lo facessi, rispondevo “sento che devo farlo!”.
Scrivevo così di getto che più volte ebbi la sensazione che quel fiume di parole ristagnasse da una vita nel mio animo pronto a esplodere non appena se ne fosse presentata l’occasione.
Scrissi con continuità perfino nei fine settimana e nei giorni di festa: accompagnavo da mamma mia moglie con i bambini, tornavo a casa e scrivevo fino a tardi. Solo quando il telefono di casa squillava e la voce di mia moglie mi chiedeva se avessi finito perché i bambini dovevano dormire, spegnevo il computer e andavo a prenderli.
Quando agli inizi del nuovo anno scrissi finalmente la parola fine, mi resi conto che il racconto era diventato praticamente un romanzo.
Solo allora concessi a mia moglie di leggerlo.
Una mattina, mentre ero in ufficio, ricevetti la sua telefonata in cui mi diceva che il romanzo le era molto piaciuto, che s’era emozionata fine a piangere: devi pubblicarlo!
Fu così che iniziammo a girare per le case editrici napoletane lasciando in visione la copia del romanzo.
Quando mi contattò Nando Vitali, l’allora direttore editoriale di Tommaso Marotta editore, per dirmi che lo volevano pubblicare, inizialmente pensai fosse uno scherzo. E invece…
Da allora sono trascorsi esattamente vent’anni. Per celebrare questa data così importante in quanto un libro per ogni autore è, a tutti gli effetti, un figlio, ho deciso di ripubblicare in ebook L’ultima Notte, sperando che a distanza di tanti anni ancora possa suscitare emozioni nel lettore.

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E’ MORTO RIINA: MORTO UN PAPA SE NE FA UN ALTRO

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Sbaglia chi pensasse che con la morte di Riina la mafia non esiste più, o quanto meno è in agonia. Secondo il dizionario online Treccani il vocabolo Mafia è un sostantivo femminile “con cui si designa il complesso di piccole associazioni criminose (dette cosche), segrete, a carattere iniziatico, rette dalla legge dell’omertà e regolate da complessi riti che richiamano quelle delle compagnie d’arme dei signori feudali, delle ronde delle corporazioni artigiane, ecc., sviluppatesi in Sicilia (spec. Occidentale) nel sec. 19°, soprattutto dopo la caduta del regno borbonico […]”.

Con il passare del tempo il termine mafia è stato esteso ad indicare una qualsiasi organizzazione criminale strutturata sul cosiddetto metodo mafioso di cui sopra.

Di conseguenza è evidente che la morte di Riina non sancisce affatto quella della mafia. Essa è la scomparsa di uno dei più potenti capi dell’organizzazione criminale denominata cosa nostra. Per cui, come avviene in una qualsiasi organizzazione, criminale e non, nel momento in cui si crea un vuoto in uno dei posti di comando, esso verrà occupato da un degno successore scelto dai rappresentanti alla guida della stessa. Nel caso di cosa nostra, a scegliere il successore di Riina saranno i membri della “cupola”.

È normale che la scomparsa di Riina faccia scalpore: stiamo parlando di colui che era denominato “capo dei capi”, occupando il trono di una tra le più potenti associazioni criminali mondiali; colui che ordinò le stragi di Capaci e di Via Amelio in cui morirono i giudici Falcone e Borsellino con le rispettive scorte; che diede il via alla stagioni delle stragi di mafia in Italia tra il 1992 e il 1993; che ordinò l’omicidio di Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino Di Matteo, e che il corpo fosse sciolto nell’acido. Solo per citare gli episodi più eclatanti della vita criminale di Riina.

La sua morte ha lasciato un vuoto che quanto prima verrà occupato verosimilmente dal boss super latitante Matteo Messina Denaro.

La mafia è un’organizzazione. Riina ne era il capo. Morto un papa, se ne fa un altro.

ITALIA, ADDIO MONDIALE: NON TUTTO IL MALE VIEN PER NUOCERE

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Sarei un ipocrita se dicessi che mi ha fatto piacere l’eliminazione della nazionale di calcio dai mondiali del 2018. Seppure fossi convinto, come tanti altri milioni di italiani, dell’inadeguatezza di Ventura nel ruolo di Ct – come allenatore non ha un palmares particolarmente brillante che ne giustificasse la scelta da parte dei vertici federali – confidavo che avrebbe almeno selezionato i giocatori tenendo conto delle indicazioni del campionato, convocando in nazionale i giocatori più in forma del momento. Purtroppo così non è stato, come ha confermato l’ira di De Rossi lunedì sera in panchina contro la Svezia quando, al collaboratore di Ventura che gli chiedeva di riscaldarsi per entrare in campo a metà della ripresa contro la Svezia, rispose “Ma che cazzo entro a fare?… Dovemo vincere non pareggià“.

Ecco, credo che quest’episodio sintetizzi il motivo per cui da lunedì il paese è nello sconforto.

All’indomani degli europei 2016 – dove l’Italia di Conte si fermò ai quarti battuta dalla Germania ai rigori; ma dopo aver sconfitto agli ottavi per 2 a 0 i campioni uscenti della Spagna, praticando un calcio brillante e efficace – per motivi economici si decise di affidare la guida dell’Italia calcistica a un allenatore che non avesse né il carisma né il palmares di Conte. Ma che, proprio in virtù di tali  limiti, si poteva ingaggiare a basso costo rispetto al predecessore, (Conte percepiva 1,6 milioni netti all’anno, Ventura “solo” 1,3 milioni all’anno senza bonus se si fosse qualificato per Russia 2018).

Non avendo però Ventura la forte personalità di Conte, sui giocatori, in particolare sui cosiddetti senatori, sembra che il Ct non abbia mai esercitato un influsso imperativo come si conviene a chi comanda. Se a ciò aggiungiamo le sue continue variazioni di schema di gioco nelle partite, amichevoli e ufficiali, giocate dalla sua nazionale, seppure risulta essere il primo Ct per media punti nelle qualificazioni mondiali, è altrettanto vero che la sua nazionale non ha mai divertito. Addirittura ha sofferto contro avversari modesti quali si presumeva fossero Albania, Israele, Macedonia, Liechtenstein e Svezia.

È vero, come affermava Ventura subito dopo la fine della fase a gironi in cui l’Italia s’era classificata seconda andando allo spareggio con la Svezia, che il secondo posto dietro la Spagna era nei programmi essendo gli iberici in questo momento superiori a noi. Ma la sconfitta di Madrid per 3 a 0, nella partita decisiva per l’assegnazione del primo posto nel girone e per la qualificazione diretta ai mondiali, delineò un quadro critico in fase di gioco e una pochezza di idee, già manifestatesi nelle precedenti sfide contro avversari di cui avremmo dovuto fare macelli e che invece soffrimmo più del dovuto, che immaginarsi di andare in Spagna e giocarsela alla pari con i padroni di casa fu un azzardo se non presunzione.

Dopo la debacle spagnola, tali limiti si manifestarono ulteriormente giocando con Israele e Albania contro cui vincemmo, ma stentando, per 1 a 0. Quindi con la Macedonia con cui pareggiammo 1 a 1, per giunta in casa.

L’eliminazione nel doppio pareggio contro la Svezia – 0 a 1 a Stoccolma, autogol di De Rossi;  0 a 0 a Milano – ha evidenziato tutti i limiti della squadra di Ventura e dunque quelli mentali, ovviamente in termini calcistici, del mister. La convocazione di Jorginho per lo spareggio di Milano con la Svezia, ultima spiaggia per staccare il biglietto a Russia 2018,  dopo averlo “snobbato” per ben due anni, malgrado l’ottimo rendimento del giocatore nel Napoli dimostrasse che era uno dei centrocampisti italiani più forti, sa non solo di beffa per il giocatore che, in possesso del doppio passaporto italiano e brasiliano, avrebbe anche potuto accettare la convocazione nella nazionale verde-oro e partecipare ai mondiali, ma ha il sapore di un disperato mea culpa da parte di Ventura per non averlo convocato prima.

La mancata qualificazione al mondiale non rappresenta solo una mortificazione a livello d’immagine per il calcio italiano e per il paese intero. Secondo uno stima, l’estromissione dal mondiale costerà complessivamente al paese circa 100 milioni di euro. Visto l’ammontare, forse non esagera chi la definisce “dramma sociale”, vedi Buffon subito dopo il pareggio di Milano con la Svezia.

Tuttavia con i tanti problemi che affliggono il paese, a partire dalla disoccupazione, giovanile e non, pensare che occorre la nazionale di calcio per risollevare, seppure per un attimo, gli animi depressi di una nazione perennemente sull’orlo del fallimento, sta a significare che il paese è già caduto nel baratro da diverso tempo. O comunque che noi italiani manchiamo di senso della misura. Non a caso  Churchill affermò: “Gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio”.

A proposito di questa dichiarazione poco lusinguiera dell’illustre statista inglese, potremmo dedurre che l’eliminazione dell’Italia non avrà certo fatto piacere alla politica, almeno a quella che è in malafede, in quanto, non potendo più confidare sul fatto che l’attenzione dell’opinione pubblica nei prossimi mesi sarà distratta dalla partecipazione della nazionale ai mondiali, sa che ora i cittadini guarderanno a lei con particolare attenzione. Soprattutto in vista delle elezioni.

E, in perfetta sintonia con i comportamenti dei politici italiani quando vengono accusati d’essere responsabili di un problema che affligge il paese, il Presidente della FIGC  Tavecchio ha esonerato Ventura ma non si è dimesso. Dando così ad intendere che il problema fosse esclusivamente l’allenatore e non anche chi lo mise in panchina, ossia egli stesso.

Dispiace che l’Italia non vada ai mondiali. Ma se ciò può servire a far sì che l’attenzione dei cittadini si concentri finalmente più sulle gesta di chi ha il compito di risolvere i problemi del paese anziché crearli, e non su quelle di chi scalcia per 90 minuti un pallone nel tentativo di infilarlo nella rete avversaria, che questa sconfitta sia la benvenuta.

Non tutto il male vien per nuocere!

 

L’ULTIMA NOTTE

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L’ultima Notte

il romanzo breve, o racconto lungo, fate voi, che diede il titolo alla mia prima raccolta di racconti pubblicata nel 1995.

 “L’amore ha il potere di fissare il passato in eterno presente…” 

Questo è il tema conduttore della storia d’amore tra il giovane Kayfa e Miryam, donna matura e d’esperienza, che lo inizierà alle gioie e alle sofferenze dell’amore. Immersi in uno scenario da favola, i protagonisti vivono la loro passione senza freni, con la complicità del mare e dell’intimità della casa di lei. Fondamentale la figura di Omar, pescatore egiziano, che aiuterà Kayfa a districarsi nei meandri della mente e del cuore.

Di seguito un estratto del romanzo.

Buona lettura

PIERVINCENZI, IL GIORNALISMO E’ ESENTE DA DISCRIMINANTI TERRITORIALI

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All’indomani della testata sul naso ricevuta mentre intervistava Roberto Spada, uno dei membri della famiglia Spada che gestisce il traffico di attività illegali a Ostia,  sui presunti legami tra gli Spada e Casa Pound, il giornalista Daniele Piervincenzi, raccontando la vicenda a una collega della RAI ha dichiarato “certe cose te le aspetti in Sicilia, in Calabria, a Napoli, ma non a Ostia”.

A prescindere dall’incondizionata solidarietà al giornalista per il barbaro episodio di cui è stato vittima, le sue dichiarazioni stupiscono. Non mi risulta che  nessuna troupe televisiva o giornalista che si sia finora recato in terre di mafia e di camorra per fare un reportage sui traffici criminali e sul degrado sociale vigente, prima di inoltrarsi in quei territori, abbia indossato o debba indossare la pettorina con su contrassegnato PRESS, stampa, e l’elmetto come si usa quando ci si reca a fare un servizio in zone di guerra per non essere scambiati per un soldato nemico rischiando di cadere sul campo.

Di conseguenza, alla luce delle sue dichiarazioni, è probabile che anche per Piervincenzi a Roma la mafia non esiste, così come per i giudici che emisero la sentenza sull’inchiesta Mondo di Mezzo, strettamente legata a Mafia Capitale. Sentenza che suscitò il risentimento di Roberto Saviano che in un pezzo sull’Espresso spiegò invece perché anche Roma c’è la mafia.

Nel momento in cui ti rechi a intervistare colui che sai è il fratello di un boss – Roberto Spada è il fratello del boss Carmine Spada detto romoletto –  facendo domande “fastidiose” sui presunti rapporti tra il clan e il movimento politico di estrema destra Casa Pound che alle amministrative di domenica scorsa a Ostia ha preso il 9% di preferenze, probabilmente grazie proprio al sostegno degli Spada,  se non ti aspetti d’essere preso a capocciate sul naso, non puoi nemmeno pensare che ti accolga in pace con un mazzo di fiori o ti offra un caffè.

Come insegnano i vari inviati di Striscia la Notizia, delle Iene e di tante altre trasmissioni giornalistiche e non che nel corso degli anni sono stati vittime di vere e proprie aggressioni solo perché facevano servizi o domande scomode – emblematiche l’aggressione subita in un ristorante da Valerio Staffelli da parte dell’allora direttore di RAI FICTION Fabrizio Del Noce, a cui doveva consegnare il Tapiro, il quale prima gli strappò il microfono di mano e poi lo colpì violentemente con lo stesso sul naso, (per quel gesto Del Noce è stato condannato in appello a pagare 84 mila euro all’inviato di Striscia); quella dell’allora onorevole Luca Barbareschi all’inviato delle Iene che cercava di intervistarlo sul suo assenteismo in Parlamento; lo scalciare dell’allora Ministro della Difesa Ignazio La Russa Corrado a Formigli quando era ancora un inviato di Michele Santoro  -a un giornalista non serve recarsi in zone a rischio per essere aggredito o insultato mentre fa il proprio mestiere.

Qualunque giornalista ponga domande scomode e insistenti rischia di restare vittima di un aggressione da parte dell’intervistato, indipendentemente dal ruolo sociale che quest’ultimo ricopre. Semplicemente perché a nessuno piace che si rendano pubbliche le proprie colpe, intrallazzi o contraddizioni.

Al di là se la mafia a Roma esiste oppure no – sembrerebbe proprio di sì visto come sono strutturate le varie organizzazioni criminali che presidiano il territorio laziale – è inequivocabile che il rischio di aggressione è contemplato tra i rischi in cui può incorrere un giornalista.

Dispiace che Piervincenzi ne faccia una discriminante territoriale.

UN PESCE DI NOME MATTEO

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I politici italiani non finiscono mai di stupire. Quando uno pensa di averle viste tutte o quasi, ecco che ti si presenta una situazione in cui il loro comportamento appare pressoché paradossale, se non addirittura surreale.

Mi riferisco al modo in cui Renzi e i rappresentanti del Pd stanno reagendo alla scoppola siciliana dell’altro ieri. Anziché soffermarsi ad analizzare la bruciante, ma prevista, sconfitta alle regionali di Sicilia, dove il candidato del Pd Micari ha preso poco meno del 19% (18,70%) – più che doppiato dal vincitore del centrodestra Musumeci, con quasi il 40% di preferenze (39,80) e poco meno che doppiato dal candidato del M5S Cancelleri con poco meno del 35% di preferenze (34,70%) – Renzi e i suoi pare si preoccupino di più dell’annullamento da parte di Di Maio del faccia a faccia televisivo previsto per questa sera su La Sette a Di Martedi da Floris che non dell’esito elettorale.

Secondo Renzi Di Maio ha paura. Dal canto suo il leader del M5S si giustifica affermando che, dopo l’ennesima batosta elettorale suo Pd, è evidente che la leadership di Renzi è in forte discussione.

Pur stigmatizzando come poco elegante la decisione di Di Maio, molti esperti di comunicazione e commentatori politici l’hanno approvata – Carlo Freccero l’ha definita addirittura “geniale” – convenendo che il confronto fa comodo sempre a chi è in svantaggio, mai a chi è in vantaggio.

In questo campo fa scuola il Berlusconi dei “vecchi” tempi il quale in campagna elettorale si rifiutava sempre di confrontarsi con l’avversario politico quando sapeva d’essere favorito nei sondaggi. Viceversa non si faceva scrupoli di sfidarlo pubblicamente quando le proiezioni lo davano indietro.

Essendo Renzi da sempre considerato dagli esperti di comunicazione allo stesso livello di Berlusconi per quanto concerne la propria capacità comunicativa – alcuni lo considerano perfino superiore all’ex cavaliere – stupisce che il segretario del Pd, possa aver abboccato come un pesce all’esca tesagli da Di Maio.

In tanti, commentando il dietro front di Di Maio e le relative motivazioni, si sono chiesti perché il leader del M5S avesse proposto il faccia a faccia per poi disdirlo visto che da settimane tutti i sondaggi davano come probabile risultato quello che poi s’è delineato all’atto degli scrutini?!

Sapendo che il Pd avrebbe preso una sonora scoppola, tanto da mettere in discussione la leadership di Renzi, non si comprende il cambio di rotta di Di Maio se non leggendolo come una trappola tesa al segretario del Pd, confidando che l’egocentrismo di cui è preda il segretario Pd non avrebbe saputo resistere alla possibilità di surclassare pubblicamente l’avversario. Magari deridendone l’incapacità interpretativa delle email , le lacune storiche e geografiche, l’erroneo utilizzo del congiuntivo e il fatto di essere stato eletto candidato premier da poche migliaia di click. Mentre lui, Renzi, alle primarie, era stato rieletto segretario con quasi due milioni di voti, a conferma di quanto antidemocratico sia il M5S rispetto al democratico Pd.

Annullando lo scontro televisivo, Di Maio ha letteralmente ridicolizzato Renzi. Il quale questa sera si recherà comunque da Floris. Presumibilmente per commentare l’ennesima mazzata elettorale del Pd sotto la sua segreteria. Ma c’è da scommettere che il segretario Pd prima di tutto non perderà l’occasione per irridere quel “coniglio” di Di Maio e il M5S. Magari eludendo, per quanto gli sarà possibile, le contestazioni o le domande di chi metterà in discussione il suo modo autarchico di gestione del partito.

Comunque vada, un dato è inconfutabile: annullando l’incontro perché ritiene che non sia più Renzi il vero leader del Pd, Di Maio ha messo uno sgambetto non da poco al già caracollante cammino di Renzi verso le elezioni politiche del 2018.

La vittoria di Musumeci alle elezioni siciliane è un ottimo argomento per la campagna elettorale di Di Maio. Ovunque andrà il candidato Premier del M5S potrà presentarsi come unico vero argine al ritorno del berlusconismo nel paese visto che Renzi, politicamente parlando, si muove sempre più in sintonia con le politiche dell’ex cavaliere. Addirittura alcune scelte del suo governo, jobs act o la riforma costituzionale poi bocciata dagli italiani con il referendum del 4 dicembre, da molti esperti sono considerate di chiara ispirazione berlusconiana.

Se accettando il confronto con Di Maio, Renzi pensava che il leader M5S si offrisse inopinatamente ai suoi “artigli” per lasciarsi scarnificare come un agnellino sacrificale, l’improvviso (?) rifiuto fa passare il segretario del Pd come un pesce che ha abboccato all’amo dell’avversario senza possibilità di liberarsi.

Un “pesce” di nome Matteo Renzi!