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UN UOMO BUONO, una presentazione ricca di spunti di riflessione

Foto di copertina, partendo da destra: dott.ssa Raffaella Villani, Gabriella, scrittrice Annamaria Varriale, l’autore, prof.ssa Floriana Vernola, scrittrice Enza D’Esculapio

Come qualunque cosa che si reitera nel tempo acquista un sapore sempre diverso a ogni replica, lo stesso accade, almeno per me, per la presentazione di un mio libro. Nel caso specifico mi riferisco alla presentazione tenutasi martedì 18 giugno presso la Mondadori di Napoli/Piazzale Tecchio di UN BUONO – mio padre malato di Alzheimer (Edizioni Helicon) in cui ho raccontato la tragedia che vivemmo con la mia famiglia quando papà si ammalò di Alzheimer.

Durante ogni presentazione del libro, in base ai relatori, vengono evidenziati aspetti diversi sviluppati nel testo – da quello religioso a quello socio/sanitario – e la partecipazione di pubblico è condizionata sia dal luogo sia dal giorno in cui avverrà. Ci sono presentazioni ricche di pubblico altre, invece, povere. Così funziona e bisogna accettarlo serenamente. Non lasciandosi né esaltare dalla nutrita presenza di gente in sala né deprimere dalle tante sedie vuote.

Personalmente ciò che importa è la partecipazione attiva dei presenti all’eventuale dibattito che potrebbe nascere dagli interventi dei relatori e dell’autore.

La presentazione di UN UOMO BUONO di martedì scorso, è stata, lasciatemelo dire, un successo sia di pubblico sia di partecipazione al dibattito che ne è seguito dove è stato messo in particolare risalto che, malgrado in Italia dal 31 gennaio 2018 è entrata in vigore la Legge 219, ossia il testamento biologico, che permette a qualunque cittadino in grado di intedere e di volere di stabilire a monte davanti a un notaio o a un pubblico ufficiale cosa fare della propria vita se si scoprisse affetto da una grave malattia come l’Alzheimer, nel nostro paese continui a esserci un atteggiamento timido da parte della politica che, “nonostante i ripetuti solleciti della Corte costituzionale con cui ha chiesto al legislatore di intervenire in materia di fine vita, il parlamento non ha emanato una legge che preveda per le persone malate il diritto di autodeterminarsi nel proprio fine vita, inclusa la possibilità di accedere all’eutanasia“.

Ascoltare le testimonianze di chi ha vissuto o sta vivendo la nostra stessa tragedia; apprendere che a distanza di anni dai fatti che ho narrato – papà finì l’8 maggio del 2011 dopo essere stato allettato per quattro anni, ma la malattia si manifestò alla fine degli anni novanta – le problematiche continuano a essere le stesse, seppure la ricerca, pare, stia facendo passi importanti, mi fa una rabbia che non vi dico.

Quando si parla di assistenza a un ammalato di Alzheimer, o a qualsiasi ammalato che richiede attenzione e cure ventiquattratt’ore su ventiquattro, non ci si riferisce solo al malato ma al contesto familiare che gli gravita intorno che ha bisogno a sua volta di assistenza per non impazzire fino a disgregarsi.

Se esistono famiglie facoltose che possono permettersi di ricoverarlo in clinica per poi andare trovarlo minimo un paio di volte a settimana, vi sono altrettante famiglie che, al di là delle disponibilità economiche, preferiscono tenerlo in casa per stargli vicino fino all’ultimo per godere della sua presenza seppure lui o lei non è più in grado di riconoscerli. A riguardo mi sovviene una storia: un tizio andava tutti i giorni in clinica a trovare la propria moglie affetta di Alzheimer. A chi gli faceva notare che era inutile che vi andasse quotidianamente perché lei ormai non era più in grado di riconoscerlo, lui rispondeva “ma io so lei chi è!”.

Proprio perché sappiamo chi è lui o lei giacente in un letto, la cui mente è ormai svanita al punto da non riconoscerci, chiedendoci “Tu chi sei?” con gli occhi spenti, penso sia nostro dovere attivarci fino alla fine al suo fianco per non fargli mancare la presenza del nostro amore. Rispettandone la volontà di farla finita con quella vita non vita, se l’avesse manifestata per iscritto e firmata in calce.

L‘Alzheimer è una malattia terribile che cancella la dignità dell’ammalato e nello stesso tempo mette a dura prova la resistenza nervosa di chi gli sta accanto, spesso inducendolo a imprecare e a invocare la morte del malato quale liberazione per tutti. In quel caso non è egoismo ma estrema umanità coniugata alla disperazione di non poter far nulla se non allungargli l’agonia continuando a curarlo.

Penso che molti di noi se solo immaginassero che un giorno, a causa dell’Alzheimer o di qualsiasi altra malattia, sarebbero costretti a giacere in un letto come ebeti, costringendo i propri cari a sacrificare la propria vita per accudirli senza alcuna speranza di guarirli ma, anzi, con la consapevolezza che la sua condizione potrà solo peggiorare, soffrendo fino alla fine le pene dell’inferno, non avrebbero alcuna difficoltà a firmare il testamento biologico per autorizzare i propri familiari a “staccare la spina” laddove la loro esistenza si riducesse a una vita non vita.

Penso che in una società civile agli individui dovrebbe essere concessa tale possibilità di decisione. Ognuno di noi è padrone della propria vita. In Italia la legge c’è ma va migliorata.

Aggrapparsi alla religione o alla filosofia può aiutare fino a un certo punto chi assite un ammalato. Solo chi ha la sventura di vivere una tragedia simile può capire quel che prova chi la sta vivendo o l’ha vissuta.  Tra i tanti significati che appartanegono al verbo amare rientra anche rispettare la volontà di chi ci sta a cuore. Per cui anche porre fine alle sue sofferenze, se è questo che vuole. Non dimentichiamoci che perfino la Chiesa è contraria all’accanimento terapeutico.

Soprattutto di questo si è parlato martedì. Grazie a quanti sono intervenuti.

Per vedere il video della presentazione cliccare qui

Relatrici: Enza D’Esculapio, scrittrice; Raffaella Villani, dottoressa

Coordinatrice: Annamaria Varriale, scrittrice

Lettrice: prof.ssa Floriana Vernola

Si rigraziano Gabriella e Claudio titolari della libreria Mondadori di Napoli, Piazzale Tecchio – Stazione FS di Campi Flegrei

Se da un lato il Ministro ha ragione nel mettere in evidenza che chi ha deciso di vivere nei Campi Flegrei è consapevole dei rischi che corre, dall'altro dovrebbe spiegare perché quando si decide di costruire abusivamente, da nord a sud, in aree a rischio  - non solo nelle zone vulvaniche ma anche a ridosso degli argini di un fiume o sulle pendici di colline disboscate senza criterio dove facili sono le frane a seguito di un temporale - vengono rilasciati i contratti per l'allacciamento delle varie utenze. Se davvero si volesse arginare l'abusivismo edilizio basterebbe negare per legge i contratti di luce, acqua, gas e telefono laddove non si può costruire.

A volte, se tacesse, la politica renderebbe un servizio prima di tutto a stessa

Dopo il violento sciame sismico, effetto del bradisismo, di lunedì 20 maggio che dalle 19,51 alle 22,30 ha fatto registrare nei campi flegrei sei scosse di magnitudo superiore a 3.0, di cui una di 4.4 alle 20,10, con oltre 150 scosse tra lunedì sera e martedì mattina, alla stima dei danni diversi edifici sono risultati inagibili e gli sfollati ospitati provvisoriamente da parenti/amici, nelle tendopoli o negli alberghi.

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A seguito di ciò ci si aspettavano parole di conforto e di incoraggiamento verso la popolazione da parte di un Governo presieduto da una donna che si dice orgogliosa di essere del popolo. Viceversa anche il Ministro della Protezione Civile Nello Musumeci non si è risparmiato una dichiarazione al veleno, che sa quasi di gaffe – dopo quella del Ministro degli Interni Piantedosi sui migranti morti a Cutro che colpevolizzava i genitori dei bambini annegati per averli imbarcati, o quella, tra le tante, del Ministro dell’Agricoltura  Lollobrigida cognato della Premier il quale in Parlamento disse testuale: “Per fortuna la siccità ha colpito al Sud e in particolare la Sicilia” . Parole che lasciano presagire quanti e quali benefici, ovviamente detto in senso ironico, l’autonomia differenziata porterà al Sud. Fermo restando che la riforma parte dalla modifica del Titolo V° della Costituzione approvata dal Governo Amato II, governo di centrosinistra, e poi confermata con un referendum popolare il 7 ottobre 2001.

Il Ministro Musumeci, pur affermando che il Governo stanzierà 500 milioni di euro per mettere in sicurezza gli edifici nella zona rossa e aiuterà economicamente chi vorrà lasciare i Campi Flegrei, ha aggiunto con un pizzico di polemica, “Ma chi ha scelto di vivere lì sapeva che era un’area difficile, che presenta rischi. Ce ne ricordiamo solo quando la terra trema e questo è un grande limite, serve una convivenza vigile col pericolo. Se decidi di stare in quel luogo ci devi aiutare a promuovere una convivenza responsabile con una maggiore consapevolezza“.

Se da un lato il Ministro ha ragione nel mettere in evidenza che chi ha deciso di vivere nei Campi Flegrei è consapevole dei rischi che corre, dall’altro dovrebbe spiegare perché quando si decide di costruire abusivamente, da nord a sud, in aree a rischio  – non solo nelle zone vulcaniche e a rischio sismico ma anche a ridosso degli argini di un fiume o sulle pendici di colline disboscate senza criterio dove facili sono le frane a seguito di un temporale – vengono rilasciati i contratti delle varie utenze. Se davvero si volesse arginare l’abusivismo edilizio basterebbe negare per legge gli allacciamenti di luce, acqua, gas e telefono laddove non si può costruire.

Se a questo paradosso si aggiunge che spesso i governi, non solo di centrodestra, emanano condoni edilizi per rimpinguare le casse dello Stato e accativarsi le simpatie elettorali della gente, rendendosi in tal modo indirettamente complici dei successivi eventuali disastri che si verificherebbero nelle aree condonate a seguito delle stesse cause che le rendevano inedificabili, sarebbe stato meglio se Musumeci si fosse risparmiato la cazziata a chi ha deciso di vivere nei Campi Flegrei, soprattutto se c’è nato.

Facile scaricare le responsabilità sulle spalle dei cittadini.  A volte, se tacesse, la politica renderebbe un servizio prima di tutto a se stessa.

Come spesso accade quando un evento drammatico costringe un'intera comunità ad abbandonare in maniera precauzionale e repentina le abitazioni, gli sciacalli, ovvero coloro che si nutrono delle altrui sventure, sono pronti a entrare in azione.

Emergenza bradisismo, attenti agli sciacalli.

 

Come spesso accade quando un evento drammatico costringe un’intera comunità ad abbandonare in maniera precauzionale e repentina le proprie abitazioni, gli sciacalli, ovvero coloro che si nutrono delle altrui sventure, sono pronti a entrare in azione.

Se dopo un terremoto gli sciacalli vanno in giro per le case abbandonate per depredarle di ogni bene, in queste ore di tensione in cui la terra flegrea sta facendo i capricci costringendo sempre più persone ad abbandonare le abitazioni a causa dei danni provocati dalle scosse o semplicemente perché ha paura di starsene in casa, si rincorrono le segnalazioni di pseudotecnici che, muniti di cartellino ben in vista sul petto, bussano alle porte degli appartamenti dichiarando di dover controllare se ci fossero danni strutturali e, una volta in casa, ne approfitterebbero per rubare.

Perfino se si presentassero vigili urbani o vigili del fuoco in divisa, se non fossero stati chiamati da chi abita nell’appartamento o non fossero accompagnati dall’amministratore dello stabile, non sono autorizzati per nessun motivo a entrare in casa.

Come sempre le prede più appetibili di questi schifosi criminali sono le persone anziane.

Stiamo in campana, non lasciamo gli anziani e le persone fragili in balia di gente senza scrupoli.

Da quel maledetto 7 ottobre 2023, giorno in cui Hamas sferrò un attacco durante il festival musicale Supernova nel deserto del Negev, nel sud di Israele, uccidendo almeno 1200 israeliani e rapendone 253 tra cui alcuni bambini, la risposta militare israeliana per stanare e distruggere hamas è stata considerata da molti governi smisurata, perfino da quello americano alleato storico di Israele.

Guerra ad Hamas: mentre nel mondo i giornali accusano apertamente Israele di genocidio, la stampa italiana – non tutta – cerca sinonimi per non irritare il governo Netanyahu

 

Non è vero che tutti gli israeliani sono antipalestinesi al punto da definire i palestinesi ratti, come ci informa Shane Baurer nel suo articolo LA GUERRA SANTA DEI COLONI apparso su The New Yorker e pubblicato sul numero 1559/2024 de L’Internazionale. Basta leggere alcuni degli articoli pubblicati dai giornali israeliani, tra cui Haaretz, riprodotti sul settimanale italiano in edicola il sabato, o guardare le trasmissioni di informazione di qualche tv italiana libera da condizionamenti filoisraeliani per rendersi conto che parte dell’opinione pubblica israeliana è schierata contro il proprio governo e con i palestinesi – sempre Shane Bauer nel suo articolo sopraccitato ci fa sapere che esistono associazioni israeliane che aiutano i palestinesi, subendo a loro volta violenze dall’esercito con l’accusa di collaborazionismo con i terroristi di hamas.

Da quel maledetto 7 ottobre 2023, giorno in cui Hamas sferrò un attacco durante il festival musicale Supernova nel deserto del Negev, nel sud di Israele, uccidendo almeno 1200 israeliani e rapendone 253 tra cui alcuni bambini, la risposta militare israeliana per stanare e distruggere hamas è stata considerata da molti governi smisurata, perfino da quello americano alleato storico di Israele.

Ad oggi i morti palestinesi vittime della caccia israeliana ai terroristi sarebbero oltre 35.000 di cui almeno la metà bambini. L’esorbitante computo di morte e distruzione seminato da Israele sulla striscia di Gaza è frutto di un calcolo cinico che in situazioni normali, ovvero prima del 7 ottobre, considerava ammissibile in nome della salvaguardia d’Israele il sacrificio di 3/4 civili palestinesi per ogni terrorista da uccidere. Dopo quella tragica data, il computo di vittime civili da sacrificare per stanare e uccidere un terrorista di hamas è lievitato in maniera esponenziale.

Ciò ha determinato l’accusa di genocidio nei confronti di Israele da parte del Sud Africa. E di genocidio accusano Israele molti giornalisti occidentali tra cui la giornalista e scrittrice Naomi Klein la cui opinione è riportata a pagina 39 dell’Internazionale numero 1558/2024.

In Italia se qualcuno si permettesse di accusare Israele di genocidio rischierebbe come minimo l’accusa di antisemitismo. In altre parti del mondo, invece, molti giornalisti, personalità della cultura e dello spettacolo lo fanno senza alcun timore, anche perché in quei paesi la stampa è davvero libera e funge da cane da guardia del potere. Qui da noi, invece, una certa stampa sembra essere lo zerbino del potere, riportando quanto le viene imposto di riferire come sembra facciano molti giornali e telegiornali italiani.

La mattanza umana in corso nella striscia di Gaza, dove hanno perso la vita anche operatori umanitari internazionali e giornalisti molti di nazionalità palestinese – a quelli stranieri è vietato l’accesso nell’area probabilmente per evitare che la verità venga resa pubblica e il governo israeliano subisca ulteriori critiche per i crimini che sta commettendo contro i palestinesi – alimenta il dubbio che per il governo israeliano tutti i palestinesi, inclusi i bambini, sono potenziali terroristi per cui è giusto sterminarli prima che crescano  e possano dare vita ad ulteriori attentati.

Se a ciò aggiungiamo le violenze che subiscono i palestinesi dal 1948, ossia da quando, subito dopo la fondazione dello Stato di Israele iniziò la guerra arabo-israeliana con l’occupazione dei territori arabi da parte israeliana, ricordata dai palestinesi con il termine Nakba, è forte la sensazione che per alcuni israeliani,  – i sionisti che da anni si appropriano senza scrupoli delle terre dei palestinesi con il sostegno dei militari – l’orrore dell’olocausto vissuto dal popolo ebraico durante il nazifascismo è il paravento dietro cui celarsi per giustificare i propri crimini e nefandezze contro i palestenisi.

C’è una tale contraddizione in questo atteggiamento israeliano verso i palestinesi che non stupisce se in tanti si domandino come sia possibile che una nazione in passato vittima dell’olocausto possa a sua volta avere atteggiamenti intransigenti, razzisti e criminali verso un altro popolo distruggendogli le case, requisendogli le terre, tagliandogli le fornuture d’acqua, impedendo agli aiuti umanitari di portargli un minimo di conforto costringendolo a una diaspora.

Di conseguenza non stupiscono le manifestazioni studentesche pro-Palestina in corso in tutto il mondo occidentale. Si presume che gli studenti, soprattutto quelli universitari, la storia la conoscano bene. Le loro proteste, sedate con la violenza dalla polizia sia in stati dove governa la destra (Italia) che la sinistra (?) (USA) sono la conferma che, per quanto l’informazione possa essere pilotata dai cosiddetti poteri forti affinché l’opinione pubblica accetti pedissequamente una certa verità, ci sono delle fasce di libertà – internet e i social – dove l’informazione alternativa e vera trova spazio per sconfessare quella ufficiale.

Se si fosse proprietari di un palazzo e un giorno il governo venisse a requisire un appartamento per darlo a una famiglia senza casa e se, subito dopo aver preso possesso dell’appartamento requisito, quella stessa famiglia iniziasse a occupare tutti gli altri appartamenti con la forza, i legittimi proprietari dello stabile se ne starebbero a guardare o reagirebbero per riapprioparsi di quanto gli appartiene?

Seppure ho semplificato in maniera estrema, è quanto stanno facendo dal 1948 i palestinesi che si ribellano agli espropri territoriali di Isreale (non a caso si parla di territori occupati)

In risposta a Netanyahu che il 24 aprile, commentando le proteste pro-palestinesi nei campus americani, disse “Tutto questo mi ricorda le università tedesche negli anni trenta”, il senatore Bernie Sanders, democratico ed ebreo, ha risposto: “Non è antisemita chiedere conto delle sue azioni, signor Netanyahu” […] “No, signor Netanyahu non è antisemita o pro-Hamas sottolineare che, in poco più di sei mesi, il suo governo estremista ha ucciso 34 mila palestinesi e ferito più di 78 mila, il 70 per cento dei quali sono donne e bambini.”

Sanders concluse il suo intervento con una frase che non merita ulteriori commenti: “Signor Netanyahu, l’antisemitismo è una forma vile e disgustosa di fanatismo che ha portato dolore per milioni di persone. Ma, per favore non insulti l’intelligenza del popolo americano ( e del mondo intero, ndr) con il tentativo di distrarci dalle politiche immorali e illegali del suo governo estremista e razzista. Non è antisemita chiedere conto delle sue azioni.”

Tutto questo in Italia si può dire e diffondere o facendolo si rischia l’accusa di antisemitismo, qualche manganellata o addirittura il pestaggio da parte di prsesunti fanatici filoisraeliani come sarebbe successo allo chef Rubio?

Mai come in questo momento il passaggio del Giro d'Italia è servito a stemperare per un attimo la tensione tra la popolazione. Anziché inveire contro il Giro, sarebbe il caso di ringraziarlo per il momento di allegria e serenità che ci ha fatto vivere.

POZZUOLI: PER UN ATTIMO IL GIRO D’ITALIA AIUTA A DIMENTICARE IL BRADISISMO

Da mesi a Pozzuoli e in tutta l’area flegrea è in corso una crisi bradisismica con sciami sismici quotidiani anche di trenta e più scosse al giorno, alcune con magnitudo importanti. A seguito di tale situazione, le cui controverse spiegazioni degli esperti non fanno che aumentare l’incertezza anziché sopirla, nella popolazione serpeggiano tensione e paura, alimentando stress non solo nei bambini ma anche negli adulti che spesso la notte faticano a dormire per il timore di essere colti di sorpresa dal terremoto.

A seguito di ciò in tanti mostravano forti perplessità per la tappa del Giro d’Italia Avezzano-Napoli che proprio oggi sarebbe transitata per l’area flegrea attraversando i comuni di Monte di Procida, Bacoli e Pozzuoli. Giustamente chi manifestava le proprie reticenze le motivava con il timore che se durante il giro ci fosse stata una forte scossa, dove si sarebbe dovuto fuggire visto che la circolazione veicolare era interdetta dalle 13 alle 17,30?

Pur comprendendo le ragioni di quanti ragionavano così, se applicassimo la stessa logica alla quotidianetà dovremmo chiudere le scuole, bloccare ogni tipo di attività. In pratica dovremmo fermare la città senza se e senza ma. Purtroppo il terremoto, stando a quanto sostengono gli esperti, non si può prevedere. Ma, sempre stando a quanto sostengono gli esperti, al momento, non ci sono segnali che farebbero presagire al peggio. La crisi in corso rientrerebbe nella normalità del caso specifico.

Nonostante la preoccupazione, ad attendere e salutare il passaggio dei girini lungo le strade c’era tanta gente: famiglie con bambini e anziani che applaudivano al passaggio dei ciclisti; molti scattavano foto e giravano video con i telefonini. Qualcuno addirittura effettuava la diretta Facebook. Una festa che per un attimo ha aiutato le pesone a dimenticare il bradisismo.

Purtroppo, come spesso accade, anche questo evento ha funto da pretesto perché si scatenassero una sequela di polemiche. Non solo per quanto concerne la sicurezza, ma anche il danno economico che il blocco della circolazione avrebbe apportato ai ristoratori, soprattutto nel giorno della festa della mamma.

Tenuto conto che il Giro si svolge una volta all’anno e l’ultima volta che la carovana rosa passò per Pozzuoli fu esattamente due anni fa, pur comprendendo le ragioni dei ristoratori, sorge la domanda se le stesse polemiche si scatenano in quelle città italiane ed estere dove ogni anno si svolgono puntualmente da decine d’anni, a volte oltre cento, eventi sportivi di livello internazionale qual è il Giro d’Italia.

E’ statisticamente dimostrato che in quei luoghi dove si sposano sport e turismo, grazie all’intelligente sinergia tra le amministrazioni locali e le varie associazioni di categoria – commercianti, albergatori, ristoratori – c’è un incremento dell’economia prima durante e dopo la giornata sportiva che, una volta terminato l’evento, già si pensa alla prossima edizione.

Vista l’allerta bradissimo è molto più probabile che la scarsità di avventori nei locali di Pozzuoli, se davvero ci fosse stata, sarebbe da attribuirsi al timore del terremoto anziché al blocco della circolazione.

Mai come in questo momento il passaggio del Giro d’Italia è servito a stemperare per un attimo la tensione tra la popolazione. Anziché inveire contro il Giro, sarebbe il caso di ringraziarlo per il momento di allegria e serenità che ci ha fatto vivere. In tanti ne avevano bisogno!

Come qualcuno ha candidamente supposto, non si può escludere che Fassino possa essere affetto da cleptomania. Ma a questo punto bisogna presumere che anche in altri contesti l’onorevole potrebbe aver trafugato qualcosa sotto lo sguardo sconcertato dei dipendenti e dei vigilanti i quali, presumibilmente intimoriti dal ruolo pubblico del personaggio, hanno preferito glissare sull’episodio nella speranza che non si ripetesse.

FASSINO E QUEL PROFUMO IRRESISTIBILE

Cosa possa aver spinto l’onorevole Piero Fassino del Pd a trafugare dal duty free dell’Aeroporto di Roma, non una ma addirittura tre volte, una boccetta di profumo Chanel Chance dal valore commerciale di 135 euro è difficile da immaginare. Da un politico ci si aspetterebbe un atteggiamento onorevole, come impone la Costituzione. E invece sono anni, ormai, che siamo sempre più assuefatti a più rappresentanti politici, in maniera trasversale da destra a sinistra passando per il centro, che compiono azioni quanto meno riprovevoli, non certo consone a chi, ricoprendo un ruolo istituzionale, dovrebbe onorare il proprio paese e dare l’esempio ai cittadini.

Abituati, aimè, a politici collusi con la criminalità organizzata, corrotti e corruttori, puttanieri (“utilizzatore finale”, citando il compianto avvocato Ghedini di berlusconiana memoria), forse addirittura cocainomani e pedofili o poco meno, l’idea che qualcuno di loro possa svendere la propria dignità rubando una boccettina di profumo fa tristezza, non solo rabbia.

Il pensiero di Fassino che, una volta fermato dalla vigilanza, invitato a mostrare ciò che ha in tasca, affermerebbe “Lei non sa chi sono io!” richiama alla mente quelle commedie cinematografiche degli anni sessanta/settanta in cui si ironizzava sul malcostume degli italiani.

Come qualcuno ha giustamente supposto, non si può escludere che Fassino possa essere affetto da cleptomania. Ma a questo punto bisogna presumere che anche in altri contesti l’onorevole potrebbe aver trafugato qualcosa sotto lo sguardo sconcertato di dipendenti e vigilanti i quali, presumibilmente intimoriti dal ruolo pubblico del personaggio, hanno preferito glissare sull’episodio nella speranza che non si ripetesse.

Ieri sul Fatto Quotidiano Vicenzo Iurillo ha scritto un articolo intitolato Quando chi ruba è “plebeo”, il furto non è mai tenue in cui si ipotizza, in base alle dichiarazioni di un principe del foro, che l’onorevole Fassino potrebbe essere assolto dall’accusa per tenuità del fatto, ovvero per aver compiuto un reato “a responsabilità limitata” come avrebbe detto Cardone del film La Banda degli Onesti con Totò.

Attenuante di cui invece non hanno potuto usufruire alcuni normali cittadini sorpresi a loro volta a rubare nei supermercati merce per pochi euro perché affamati e senza soldi e quindi rinchiusi per mesi nelle patrie galere.

In attesa che dal Pd qualcuno intervenga sulla vicenda per fare chiarimenti, l’imbarazzante silenzio del partito di cui Fassino è un importante rappresentante rimbomba in maniera assordante.

Negli ultimi tempi, a seguito di una serie di episodi sconcertanti che hanno visto protagonisti membri di governo, si è messa in discussione la qualità della classe dirigente dell’attuale esecutivo e della sua maggioranza.

Minimizzare sulla vicenda Fassino, che sta passando in maniera silenziosa su molti giornali e tv, e più che altro in maniera ironica sui social, sarebbe, secondo me, per il Pd un errore che potrebbe ulteriormente aumentare la voglia di astenersi dal votare di una fetta di elettorato del tutto schifato da certa politica.

Se Fassino risultasse affetto da cleptomania si dimettesse e si curasse, premesso che dalla cleptomania ci si possa curare. Diversamente, seppure fosse assolto per tenuità del fatto, agli occhi di molti italiani sarebbe comunque un ladro, seppure a responsabilità limitata, e dunque a sua volta poco credibile come politico.

In quest’ultimo caso cosa farebbe quel partito, che da anni invoca la questione morale in ambito politico, nel momento in cui si troverebbe nelle sua fila un ladro, seppure di boccette di profumo?

 

Quelle scarpette che ora pendono mestamente al chiodo sono il libro che le contengono perché queste storie sono parte della mia vita. Averle vissute lo considero un privilegio, un regalo della vita. Nulla e nessuno può cancellarle, nemmeno l’osteopenia.

Scarpette appese al chiodo ma i ricordi restano vivi.

Chiunque pratichi sport da quando era ragazzo e, raggiunta una certa età, continua inesorabilmente a praticarlo, nel corso degli anni si sarà sicuramente sentito ripetere ironicamente, “ma quando ti decidi ad appendere le scarpette al chiodo?”, se gioca a calcio o corre. Oppure, “ma quando ti decidi ad appendere al chiodo …” qualsiasi altro oggetto caratterizzi la propria passione sportiva.

Io che corro, anzi correvo, dall’età di diciannove anni – tra poco meno di un mese compirò sessant’anni – questa frase me la sono sentita ripetere centinaia di volte. E la mia risposta è stata sempre la stessa, “chi si ferma è perduto!”.

Ora che a causa di un’osteopenia che mi sta lentamente consumando l’osso della caviglia sinistra sono costretto a dover appendere per forza maggiore le scarpette al chiodo, quella frase mi riecheggia in testa in maniera ossessiva come se fosse una sorta di maledizione lanciatami inconsapevolmente e in buona fede da chi ironizzava sulla mia passione sportiva.

Per anni, da solo o con agli amici, ho macinato chilometri con il solo intento di stare bene fisicamente, rilassarmi mentalmente e divertirmi.  Fu grazie alla corsa che conobbi Gennaro con cui mi sono allenato per oltre vent’anni, cementando un’amicizia tuttora viva. E fu sempre grazie alla corsa che successivamente conobbi gli amici della Pozzuoli Marathon e mi accostai all’agonismo.

Non sono mai stato assillato dal tempo. Tuttavia devo ammettere che anche io, soprattutto in gara, mentre correvo lanciavo uno sguardo al cronometro. È inutile negarlo, corsa e tempo sono un mix imprescindibile. Il risultato finale testimonia se i sacrifici che hai fatto in allenamento hanno dato i loro frutti. Quando corri, prima di tutto ti confronti con te stesso. E l’esito del confronto è sancito dal tempo in cui chiudi la gara, ti piaccia o meno. Un secondo in più o in meno rispetto alla prestazione precedente hanno un valore inestimabile che può comprendere solo chi corre.

Al di là delle sfumature agonistiche, personalmente la corsa ha sempre rappresentato un momento di aggregazione e di divertimento. Ricordo con piacevole nostalgia le uscite mattutine con Gennaro; quelle con il gruppo di Luisa del quale faceva parte il compianto Peppe.  Le uscite domenicali con gli amici della Pozzuoli Marathon. Il pianto di gioia di Paolo durante l’ultimo lungo in vista della maratona di Roma, la sua prima maratona. Non credeva a se stesso, dopo oltre venticinque chilometri di corsa, di avere nelle gambe la forza di accelerare senza alcuna fatica: “Vince’, le gambe vanno, le gambe vanno!” urlava felice come un ragazzino con le lacrime agli occhi.

Non dimenticherò mai la dura confessione di un amico, del rancore che nutriva verso il padre per avergli imposto di andare a lavorare subito dopo aver completato la terza media mentre agli altri fratelli aveva permesso di diplomarsi e di intraprendere delle attività professionali di tutto rispetto. A un certo punto, mentre raccontava, iniziò a piangere chiedendosi “Perché? Perché solo a me ha fatto questo?”.

Non dimenticherò mai le tante sfide che inscenavamo tra di noi mentre ci allenavamo e gli sfottò al termine della “competizione”.

Non dimenticherò mai la mia prima Napoli–Pompei di 28 km; le difficoltà organizzative che la caratterizzarono e la scostumatezza di una vigilessa che, mentre transitavamo per Torre Annunziata, anziché fermare il traffico per farci passare, ci mandò candidamente a quel paese.

Non dimenticherò mai la gioia che provai quando tagliai il traguardo della Coast to Coast (Sorrento –Amalfi) Un’emozione indescrivibile testimoniata dal mio sorriso immortalato dal fotografo di gara all’arrivo dopo 34 km di corsa di cui oltre venti sui tornanti della costiera amalfitana.

Non dimenticherò mai la mia prima maratona. Decisi di correrla a Napoli, motivando quella scelta con il presupposto che, se non l’avessi terminata, avrei preso la metro per tornare a casa. In quell’occasione ad affiancarmi c’era Nunzio, amico di tante avventure in gara con il quale feci anche un pellegrinaggio a piedi da Pozzuoli a Pompei. Un momento indimenticabile che, purtroppo, non potrò ripetere sempre a causa di questa maledetta osteopenia.

Non dimenticherò mai le lunghe corse tra le colline del Casentino Toscano quando con la famiglia mi trasferivo a Raggiolo, in provincia di Arezzo, – cosa che faccio tuttora – per trascorrere le vacanze estive. Una mattina di agosto, in previsione della maratona di Firenze che si sarebbe svolta a fine novembre, corsi poco meno di trenta chilometri. Partii da San Piero in Frassino; risalii verso Poppi per poi proseguire per Bibbiena. A Bibbiena salii fin su il paese per poi scendere dal versante opposto a Corsalone e ritornare a San Piero. Un’emozione unica ma una stanchezza non da poco!

Non dimenticherò mai le risate a Telese dove eravamo per la 10 km. Pioveva a dirotto e, in attesa che si facesse l’orario della partenza, ci riparammo in uno dei gazebo allestiti per i top runner. A un certo punto entrò una hostess e cortesemente ci chiese di uscire perché quelle erano le postazione per i top runner. “Signorina, lì c’è il signor Punziano”, dissi risentito indicandogli Nunzio. “Signor Punziano, mi scusi, non l’avevo riconosciuta” rispose lei intimidita. “Non si preoccupi” rispose lui con aria di sufficienza, seduto sul divano con le gamba accavallate come se davvero fosse stato un top. Quando la poverina uscì ci fu una risata corale.

Non dimenticherò mai i tuffi a mare, subito dopo corso, la domenica mattina sul lungomare di Pozzuoli; le risate e le imprecazioni al termine di una gara; la ricerca disperata di un bagno o di un luogo appartato per svotare la vescica prima della partenza.

Non dimenticherò mai la mattina che con Gennaro intavolammo una lunga discussione su quello che entrambi reputavamo fosse il significato della vita. Per oltre un’ora, mentre correvamo, discutemmo in maniera appassionata, esponendo ognuno le proprie considerazioni. La discussione evaporò al sole nel momento in cui i nostri sguardi si posarono su due bei culi di donna che correvano davanti a noi. In un attimo Platone e la spiritualità lasciarono spazio a ragionamenti e commenti ben più pratici …

Non dimenticherò mai la telefonata allarmata di un amico che mi annunciava il decesso in allenamento di un runner di nostra conoscenza. Decesso poi smentito dallo stesso runner quando un amico chiamò a casa sua per accertarsi di quanto fondata fosse la notizia.

Non dimenticherò mai la telefonata in cui mi si annunciò che lo stesso runner oggetto della falsa notizia di alcuni mesi prima quella mattina era stato colto da un malore ed era grave in ospedale: ci lasciò dopo un mese trascorso in terapia intensiva. Paradossi della vita!

Non dimenticherò mai quella volta che, dopo quasi due settimane di stop forzato dovuto a un’influenza, seppure non fossi guarito del tutto, decisi che l’indomani mattina sarei andato a correre. Mentre mi preparavo gli indumenti per la corsa, il mio secongenito che all’epoca avrà avuto tre/quattro anni mi spiava da dietro la porta. All’improvviso corse in cucina dalla mamma e disse, “Mamma, menomale, papà è guarito, domani va a correre!”.

La corsa è stata non solo il termometro con cui misurare il mio stato di salute, ma anche il mezzo attraverso cui scaricare le tensioni della quotidianità. Quelle volte che rientravo da lavoro incazzato nero e bastava una sciocchezza perché esplodessi in maniera rabbiosa, mia moglie mi suggeriva – per essere siceri più che un suggerimento era un’imposizione -, “Perché non vai a correre?”. Sapeva che quello era l’unico modo che avevo per rilassarmi. In effetti, man mano che correvo, era come se mi alleggerissi dai pensieri e dai problemi della quotidianità, lasciando dietro di me un’invisibile scia di negatività. Quando rientravo a casa da quelle sgambate terapeutiche in cui forzavo sull’acceleratore per sconfiggere il mondo ero talmente rilassato che sembravo un agnellino.

Non dimenticherò mai lo stop obbligatorio imposto dal governo ai runner per arginare il covid. Durante il lockdown, la mattina mi alzavo all’alba, scendevo di casa e correvo facendo un’infinità di giri intorno al palazzo con la consapevolezza che dietro alle finestre qualcuno mi spiava, riconoscendo in me un potenziale untore da denunciare alle autorità. Una cosa alienante ma mai come, penso, dovesse essere correre sul balcone o in casa come in quel periodo fecero tanti runner. Qualcuno, addirittura, correndo tra le pareti domestiche, riuscì a completare una maratona: allucinante!

Non dimenticherò mai la gioia che provai quando il governo finalmente decretò che si poteva tornare a correre in strada, seppure imponendo tutta una serie di misure restrittive. Come al solito con cli amici ci davamo appuntamento giù Via Napoli, ma non dovevamo correre in più di due altrimenti rapppresentavamo un gruppo e potevamo essere sanzionati dalle autorità che vigilavano in strada. Per cui corrrevamo defilati uno dietro l’altro, alternandoci al fianco per scambiare quattro chiacchiere, tenendoci distanziati di un metro, come imposto all’epoca dalla legge, per non correre il rischio di infettarci, essere fermati e denunciati. Oggi tutto ciò sembra un’assurdità ma all’epoca era necessario per fronteggiare il “nemico” invisibile.

Poiché le scarpette vanno cambiate mediamente ogni 500/600 chilometri in quanto la suola, consumandosi, perde l’ammortizzazione diventando pericolosa per le articolazioni, negli anni di scarpette ne ho cambiate un bel po’. Ogni paio che ho calzato lo considero un quaderno su cui ho scritto le mie storie di runner.

Quelle scarpette che ora pendono mestamente al chiodo sono il libro che le contengono tutte perché queste storie sono parte della mia vita. Averle vissute lo considero un privilegio, un regalo della vita. Nulla e nessuno può cancellarle, nemmeno l’osteopenia.

Di certo l’accaduto denota un’assoluta ignoranza in campo comunicativo di chi ha preso tale decisione. Possibile che costui non immaginasse che nell’era di internet, ponendo il veto al monologo, in rete si sarebbe scatenato il passaparola, consentendo al testo di diffondersi in maniera esponenziale dagli Appennini alle Ande, incuriosendo e inducendo alla lettura anche coloro che di argomenti simili di solito non se ne interessano?

CASO SCURATI, PIU’ CHE CENSURA SI TRATTEREBBE DI UN AUTOGOL DI REGIME

Se davvero l’intento fosse stato censorio, la cancellazione del monologo sul 25 aprile che lo scrittore Antonio Scurati avrebbe dovuto leggere ieri sera a Che sarà di Serena Bortone si è rivelato un boomerang di dimensioni cosmiche per i vertici RAI e per il Governo.

Dal momento in cui la notizia si è diffusa, tanto da costringere finanche la Premier Giorgia Meloni a intervenire e a pubblicare sul proprio profilo Facebook il testo del monologo per smentire chi parlava di censura, attraverso i social il testo ha iniziato a espandersi a macchia d’olio, raggiungendo un pubblico ben più vasto di quello che presumibilmente avrebbe ottenuto se fosse stato letto in trasmissione.

Quali fossero le reali cause della cancellazione del monologo, probabilmente, non lo sapremo mai – la RAI parla di una richiesta esosa dello scrittore per leggerlo; lo scrittore parla invece di censura e cita un comunicato della RAI in cui si motiva la cancellazione come una scelta editoriale.

Di certo l’accaduto denota un’assoluta ignoranza in campo comunicativo di chi ha preso tale decisione. Possibile che costui non immaginasse che nell’era di internet, ponendo il veto al monologo, in rete si sarebbe scatenato il passaparola, consentendo al testo di diffondersi in maniera esponenziale dagli Appennini alle Ande, incuriosendo e inducendo alla lettura perfino coloro che di argomenti simili di solito non se ne interessano?

Ciò denota l’assoluta inadeguatezza dei vertici RAI – si presume che chi comanda uno strumento mediatico, e soprattutto i suoi collaboratori, debba avere competenze in scienze della comunicazione -e alimenta il dubbio legittimo se chi li ha insigniti in quel ruolo lo abbia fatto perché li reputava effettivamente qualificati o per altri motivi ignoti.

A pochi mesi dalle elezioni europee il caso Scurati potrebbe rivelarsi una rogna non da poco per la Premier e il suo partito che puntano a bissare il successo elettorale delle scorse elezioni politiche.

È vero, i messaggi che girano in rete sono talmente tanti che non hanno tempo di attecchire nella mente delle persone, diradandosi come nebbia al sole per lasciare spazio ai successivi.

Ma intanto il monologo dello scrittore da ieri sta riecheggiando prepotentemente sui social e la sua onda non accenna a placarsi tanto da far supporre che, più che censura, si tratterebbe di un grottesco autogol di regime.

intervista

LA MIA INTERVISTA SU “ENTI E ISTITUZIONI TV”

Mercoledì 3 aprile ho avuto il privilegio di inaugurare la rubrica di interviste SOCIALIZZIAMO de Il Blog di Gio’ di Giovanna Di Francia sull’emittente ENTI E ISTITUZIONI TV. Ho parlato della mia attività di scrittore, del mio rapporto con la scrittura e, ovviamente dei miei libri. In particolare di UN UOMO BUONO -mio padre malato di Alzheimer (Edizioni Helicon). 

E’ stata una piacevole chiacchierata con una seria e brava professionista sensibile alle tematiche sociali.

Per vedere l’intervista cliccate qui

Povere Creature, il film del regista greco Yorgos Lanthimos, interpretato da Emma Stone, Willem Dafoe, Mark Ruffalo, molto probabilmente farà storcere il naso a coloro che vivono il sesso come un tabù; identificando in esso un mero strumento per la procreazione della specie e non anche un mezzo di crescita personale; imparando a conoscere se stessi regalandosi piacere, da soli o in compagnia, svelando i misteri racchiusi nel proprio corpo; vivendo la promiscuità sessuale come una condizione imprescindibile per stabilire ciò di cui si ha bisogno da ciò di cui si può fare volentieri a meno.

“POVERE CREATURE”, IL SESSO COME STRUMENTO DI CONOSCENZA E CRESCITA INTERIORE DI UNA DONNA

Povere Creature, il film del regista greco Yorgos Lanthimos, interpretato da Emma Stone, Willem Dafoe, Mark Ruffalo, molto probabilmente farà storcere il naso a quanti vivono il sesso come un tabù, identificando in esso un mero strumento per la procreazione della specie e non anche un mezzo di crescita personale, imparando a conoscere se stessi regalandosi il piacere sensuale, da soli o in compagnia, svelando in questo modo i misteri del proprio corpo; vivendo la promiscuità sessuale come una condizione imprescindibile per stabilire ciò di cui si ha realmente bisogno da ciò di cui si può fare volentieri a meno.

Il film, tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore scozzese Alasdair Gray, racconta la storia di Bella Baxter, interpretata da Emma Stone che per questa interpretazione ha vinto l’oscar 2024 come miglior attrice protagonista – il film ha vinto altri tre oscar su undici candidature: Miglior trucco, Miglior Costumi, Miglior Scenografie. Una storia che per molti versi ricorda Frankenstein. Seppure, a mio parere, qui l’atmosfera gotica è ammortizzata dalla verve ironica della sceneggiatura e surreale della scenografia e dalle riprese che in più di un inquadratura ricordano le opere dei grandi pittori surrealisti, in particolare Hescher.

La trama è una sorta di apologia del sesso quale mezzo di ricerca e di sviluppo interiore. Attraverso la scoperta del sesso, Bella evolve come donna, servendosi degli uomini come oggetto per il proprio piacere sessuale. Anche quando si prostituisce, condizione in cui l’oggetto di piacere dovrebbe essere lei, la figura maschile risulta schiava di quella femminile a cui basta pronunciare un semplice Formidable dopo il rapporto per compiacere il maschio.

Per la complessità della vicenda narrata, il soggetto riporta alla mente anche la biblica figura di Eva che, ammaliata dal serpente, mangiò la mela del peccato, offrendola poi ad Adamo affinché a sua volta ne apprezzasse il gustoso sapore. Disubbidendo così alla volontà di Dio che per questa loro trasgressione li punì scacciandoli dal paradiso, condannandoli alle sofferenze della vita terrena.

Più di un esegeta biblico ha identificato nel serpente della Genesi un simbo fallico. Se davvero così fosse, quando Eva accettò di mordere la mela, in realtà acconsentì di giacere con il serpente, scoprendo le gioie del sesso che poi condivise con Adamo.

Questa chiave di lettura fa sì che la conoscenza acquisita da Adamo ed Eva non fosse solo quella del piacere sessuale, ma anche quella scientifica dato che attraverso il propagarsi della specie tramite il sesso avviene il diffondersi delle conoscenze nel corso delle generazioni da cui deriva lo sviluppo degli uomini e delle società.

Il film è una metafora esistenziale dove l’esasperata ricerca del piacere fisico unita alle manipolazioni genetiche perpetrate dalla scienza non solo possono creare mostri, ma possono condurre all’asservimento delle masse come pecore belanti verso chi possiede la conoscenza.

Al di là delle disquisizioni filosofiche, politiche e sociali alimentate dal film, l’interpretazione della Stone è magistrale e da sola vale il prezzo del biglietto.