PERCORSI FLEGREI, MALAZE’

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Di seguito la mia intervista su cominucaresenzafrontiere a Rosario Mattera, fondatore e Presidente di Malazè, l’evento acheo-eno-gastronomico che si svolge nei campi flegrei, giunto alla XIII edizione.

Giunta alla 13° edizioni è uno degli eventi di punta dei campi flegrei. Rosario Mattera, fondatore e Presidente di Malazè, intervista.

D: che significa Malazè?

R: La parola è di derivazione araba e indica il magazzino dei pescatori. Di sicuro è una distorsione dialettale che dalla Sicilia si è modificata, man mano che si risale il continente, almeno fino a Pozzuoli. Grazie per la domanda perché molti ritengono Malazè un acronimo o un gioco di parole.

D: Rosario, molti anni fa ti sei inventato Malazè, da dove nasce il progetto?

Risposta: L’edizione di quest’anno sarà la tredicesima, un bel viaggio. Diciamo subito che Malazè ha una mamma che lo ha generato, l’Associazione Campi Flegrei a Tavola. L’associazione nacque con l’intento di mettere a sistema e generare una forma di economia attraverso quello che io ritenevo e ritengo fosse uno dei giacimenti economici di questo territorio, ovvero l’enogastronomia. Soprattutto all’epoca che fondammo l’associazione, reputavo la gastronomia il grimaldello per far sviluppare economie in crisi o in via di estinzione, soprattutto la pesca e la piccola agricoltura che sono molto residuali per motivi diversi: la piccola pesca è andata a finire per scelte scellerate della comunità europea; l’agricoltura, ahimè, è andata a sua volta a esaurirsi in quanto abbiamo consumato tutto il terreno a nostra disposizione. Un po’ a causa degli eventi legati al bradisismo. Molto per via della speculazione edilizia che ha letteralmente violentato il territorio. Da qui l’idea di dare vita a un sistema per far sì che il ristorante potesse dare ancora linfa al piccolo produttore, non esistendo più giustificazioni affinché si facesse agricoltura. L’idea era quella di sostenere queste piccole aziende agricole che magari c’hanno ancora un piccolo numero di galline, un po’ d’uva, un po’ di ortaggi caratteristici del territorio. Poiché nel tempo le cose si evolvono, ed essendo questo un progetto che io ho sempre ritenuto work in progress, da lì poi è nata l’idea di Malazè.  Anzi, più che un’idea, un vero e proprio moto di ribellione nei confronti di chi millantava nel mondo il nome dei campi flegrei, da sempre oggetto di predazione,  per fare business. Nel senso che qualsiasi soggetto veniva da queste parti, in nome e per conto dei campi flegrei, si sentiva in diritto di presentare qualsiasi evento gastronomico organizzasse con l’appellativo “la cucina flegrea nel mondo”, seppure i piatti presentati non avessero niente da spartire con la tradizione flegrea. Viceversa noi ci preoccupavamo di recuperare le vecchie ricette, essendo consapevoli che la vera tradizione culinaria flegrea era tutt’altra cosa rispetto a quella presentata sui banchetti cui partecipavamo anche noi come associazione. E siccome non c’era nessun baluardo a tali ambiguità, tipo una forte rete di associazionismo, che tuttora manca sul territorio, o comunque qualcosa che rappresentasse e tutelasse il territorio da sempre terra di conquista, ecco l’idea di Malazè!

D: Rosario professionalmente hai legami con il settore della gastronomia?

RNessuno! Io arrivo a questo traguardo da grande appassionato. Sono sommelier e degustatore di olio.

D: Quindi un legame comunque  c’è, seppur labile…

R: Il legame c’è nel senso che io sono sempre stato amante della gastronomia, mi sono sempre piaciute le ricette. Anche se cucino in maniera amatoriale, sto dietro ai fornelli da che avevo l’età di quindici anni. Mamma non sapeva cucinare il pesce, in quanto di origine contadina. A me invece piaceva molto il pesce, e considerando che papà, in contrapposizione a mamma, era un isolano, dunque un uomo di mare, mi dissi che dovevo imparare a cucinare il pesce come meritava, anziché limitarmi a cuocerlo con il pomodoro come faceva mamma. Per cui  iniziai ad alimentare la passione della cucina, coltivandola in maniera scrupolosa fino a raffinarla. E poi ho fatto un lungo percorso di osservazione,come penso debbano fare un po’ tutti coloro che decidono da fare il cuoco o comunque di avvicinarsi alla cucina. Prima di fare ciò, ho girato l’Italia anche attraverso tour operator e altre associazioni. Mi sono trovato invitato più volte in consorzi all’estero attraverso canali cui ho avuto la fortuna di avvicinarmi. E alla fine di ognuno di questi viaggi, ogni volta che tornavo a casa, mi guardavo allo specchio chiedendomi, “mò che faccio?”. E la prima cosa che mi venne in mente fu di organizzare un evento enogastronomico sul Rione Terra.

D: Perché il Rione Terra?

RMolti degli eventi cui partecipavo si svolgevano in Toscana, precisamente nei castelli. A esempio mi ricordo una manifestazione che si chiamava “Amiata a tavola” , qualcosa di incredibile. Oppure feste che si svolgevano tra Arcidosso e Castel del Piano, e chi più ne ha più ne metta. Durante questi spostamenti, guardandomi intorno, pensavo a come sarebbe stato bello organizzare un evento del genere sul Rione Terra. Questa cosa riuscii a realizzarla nel 2003 con Le domeniche di Repubblica: demmo vita a  un evento bellissimo in cui coinvolgemmo una serie di operatori del settore gastronomico. E da qui venne poi quasi naturale organizzare Malazè che personalmente non considero un evento bensì un personale impegno civile nei confronti del territorio.

D: A proposito della riscoperta dei prodotti tipici del territorio flegreo, è noto che ti sei molto adoperato per la riscoperta e salvaguardia della chichierchia flegrea.

RIncominciamo col dire che il nome corretto è cicerchia, chichierchia è in dialetto. Il territorio flegreo è  famoso per la sua biodiversità. Molti non sanno che la cicerchia dei campi flegrei, in particolare quella di Bacoli, risalirebbe a circa duemila anni fa. A ciò è stato possibile risalire sottoponendo il germoplasma del legume all’esame della banca del seme, da cui si è rivelato che tuttora, il seme dell’odierna cicerchia, malgrado l’imbastardimento avvenuto nel corso delle epoche, ha ancora un residuato originario risalente a duemila anni fa, ovvero al periodo degli antichi romani. Non è fantastico? Inoltre  la necessità di salvaguardarla non è solamente legata all’aspetto squisitamente storico/scientifico, ma vi è anche un che di opportunistico. Mi spiego: diversamente dal territorio vesuviano, questa terra non ha elementi produttivi che la contraddistinguono. A esempio il Vesuvio ci ha l’albicocca, il pomodoro del piennolo che nascono solo lì e sono tutelati come prodotti tipici del territorio da tutta una serie di enti e associazioni. Anche qui nei campi flegrei ci sono prodotti tipicamente autoctoni come il pomodorino cannellino. Ma solo adesso, dopo anni e anni di nostre battaglie per la sua difesa, si è fondata un’associazione a tutela del prodotto che non escludo possa trasformarsi addirittura in un consorzio. La cicerchia dei campi flegrei ufficialmente nasce sedici/diciassette anni fa, appunto grazie al mio interessamento, tanto che alcuni la identificano come la cicerchia di Rosario Mattera;  anche perché a ogni manifestazione gastronomica cui ci presentavamo, uscivamo con questo grosso tegame colmo di cicerchia tanto che dopo due/tre anni dalla prima apparizione, della cicerchia dei campi flegrei ne parlò addirittura una rivista americana. La nostra necessità era quella di trovare un elemento gastronomico che contraddistinguesse in maniera indiscutibile i campi flegrei. E la cicerchia ci sembrò il giusto emblema. Considera che inizialmente la si produceva in piccole quantità che non superavano i 50/60 kg. Insistendo, nel tempo la cicerchia è entrata far parte della comunità del cibo, seppure i suoi costi, almeno a livello di produzione artigianale, sfiorano i 10 euro al kg in quanto, essendo un legume molto piccolo, la sue resa non vale il tempo e l’impegno richiesto dalla sua coltivazione. So bene che oggi se ti rechi in un qualsiasi centro commerciale, puoi trovare una scatola di legumi a 2/3 euro. Il problema è che di quel prodotto non conosci l’esatta provenienza. Probabilmente viene dal Sudamerica. Per cui non mangi un prodotto tipico del tuo territorio. La cicerchia, proprio in virtù della propria piccolezza e difficoltà che ne deriva dal coltivarla e pulirla,  non consente una produzione industriale. O almeno non la consentiva fino a due anni fa, quando nel salernitano non si è installato un laboratorio che la pulisce in maniera industriale per cui il produttore porta i sacchi di cicerchia lì per farle sgusciare. Ergo, se vuoi mangiare la cicerchia dei campi flegrei, devi venire per forza da queste parti. Punto!

D: Malgrado la denunciata difficoltà nel riuscire a creare una rete associativa nei campi flegrei, oggi esiste una  realtà di livello internazionale, Malazè, quale il suo percorso?

R: In primo luogo la massima trasparenza: vista dall’esterno Malazè può sembrare una realtà che muove, e soprattutto fa incassare a chi lo organizza, chissà quanti soldi. Niente di tutto ciò. Seppure non ho mai negato che se un giorno Malazè dovesse rivelarsi per me fonte di reddito, non me ne vergognerei. Altro elemento di successo, il basso budget di investimento. Vista dall’esterno, l’organizzazione di Malazè viene reputata  come un qualcosa di mastodontico, la cui spesa realizzativa chissà a quanto ammonta.  Per realizzare Malazè vengono spesi non più di 10 mila euro; chi vi partecipa, non deve pagare nulla; ma sa benissimo che, mettendo a disposizione la propria realtà imprenditoriale, ne riceverà in cambio notevole visibilità. A scanso di equivoci, ci tengo a precisare che Malazè mi appartiene. Nel senso che il marchio è registrato a nome mio; io ne sono il presidente e io ho l’ultima parola in qualunque decisione si deve prendere, seppure mi piace confrontarmi con i miei collaboratori. Questo mi consente di non dover dare conto a nessuno per ciò che devo fare, solo a me stesso, sia nel bene che nel male. Non nego che in questo modo mi sono fatto qualche nemico. Ma così ho tutelato Malazè da eventuali speculatori e forse, proprio per questo motivo, siamo arrivati alla tredicesima edizione che si svolgerà dal 15 al 25 settembre prossimo,  non più sull’intero territorio bensì in tre distinte location: Castello di Baia, Rione Terra, cratere degli Astroni. Decisione presa di comune accordo con Fabio Borghese, l’altra spina forte di Malazè, fondatore e direttore di CREATIVITAS – CREATIVE ECONOMY LAB, dopo aver ponderato tutta una serie di questioni organizzative che per un momento mi avevano addirittura convinto a non continuare con Malazè per dare vita a un nuovo progetto di cui non voglio parlare, essendo evaporato. E meglio è stato perché mi stava rubando solo energie psichiche alla realizzazione della nuova edizione di Malazè. 

D: malgrado molti siti archeologici dei campi flegrei sono abbandonati all’incuria e al degrado, voi abbinando visite archeologiche guidate con soste in aziende agricole per gustare prodotti tipici del territorio, avete trovato il modo di attirare un turismo di elite, anno per anno. Una bella soddisfazione!

R:  Malazè è l’unico evento in Italia, anzi l’unico festival archeo-eno-gastromonico. Noi questo siamo: questa è stata la sfida. E dico anche di più: in tempi non sospetti ho affermato che il problema di fare turismo in questo territorio non erano i siti chiusi, perché c’è la possibilità, al di là che molti siti non sono fruibili, di fare turismo archeo-eno-gastronomico. Perché rispetto a dieci anni fa oggi ci sono le cantine che fanno accoglienza, fanno turismo internazionale, organizzando corsi di cucina e degustazione a 100 euro al giorno. Poche persone ma di alta qualità. C’è un turismo che non si conosce, che è canalizzato, di qualità a cui noi abbiamo sempre ambito e a cui abbiamo lavorato perché il nostro modello è proprio questo e l’abbiamo creato all’interno di un discorso mentre tutti si lamentavano del fatto che non si facesse turismo a Pozzuoli e nei campi flegrei perché i siti erano chiusi. Io ho sempre detto pubblicamente, in più occasioni, perfino in televisione, che la scusa che qui non si facesse turismo perché i siti non erano accessibili dava l’alibi alle amministrazioni di scaricare le responsabilità sulla soprintendenza e ai giovani di questo territorio di dire che non ci sono opportunità. Io invece dico che ci sono opportunità, che i giovani molto spesso sono fermi. E dietro il ragionamento secondo cui “qua non si può fare” c’è la risposta del perché tutto rimane immobile. E dirò di più: la mia preoccupazione è che se domani mattina mettessimo a sistema il discorso dei siti archeologici, mancherebbe un numero adeguato di guide turistiche e figure simili. E non è un caso che queste figure stanno arrivando da Napoli, guidando gruppi di turisti. Consentimi di fare un paragone per meglio chiarire il concetto di immobilismo cui mi riferisco: il Rione Terra ha distrutto nella fantasia di noi puteolani un modello di sviluppo diverso. Io provocatoriamente davanti al sindaco dissi durante un incontro al Rione Terra, “io provo a chiudere gli occhi e mi chiedo: se non ci fosse stato il Rione Terra e questi 300 milioni di euro li avessimo spesi per fare altro, forse oggi Pozzuoli non sarebbe ancora in stand by per decidere che fare sulla rocca”. Per me il Rione Terra non è il volano bensì la morte del turismo sul nostro territorio. Se queste risorse fossero state investite in una mobilità interna alternativa, forse oggi Pozzuoli sarebbe turisticamente al top. Il problema, a mio modo di vedere, è che non c’è mai stata una visione di creare un turismo diverso e di qualità. E tuttora un’idea del genere non c’è!

D: a Pozzuoli perché, salvo eccezioni, molte  realtà non decollano ?

RIo, anzi noi ci siamo riusciti ma, fondamentalmente perché abbiamo creato un modello. Adesso ci vorrebbe la cosa più importante, chi dà l’accelerazione. In questo territorio, secondo me, è mancato un vero e proprio cantiere di progettazione dove chi fa una certa cosa, chi ha un’idea trovasse chi lo ascoltasse e lo aiutasse nel realizzarla. Noi ci abbiamo messo quindici anni per arrivare dove siamo arrivati. Probabilmente se avessimo trovato a livello istituzionale qualcuno che ci avesse ascoltati,  avremmo impiegato la metà del tempo. Ma io la politica la capisco, essa ha un atteggiamento predatorio, non intenso in senso offensivo: essa è consapevole che oggi c’è, domani non è detto, per cui deve guardare al momento non al domani per dimostrare ai cittadini di avere fatto. Purtroppo per fare le cose ci vuole lungimiranza e pazienza! Tutte queste cose di cui stiamo parlando io le ho portate nei tavoli istituzionali, da cui poi mi sono allontanato. Noi abbiamo una rete di soggetti rappresentata da Claudio Boccia, direttore generale di FederCultura; Fabio Renzi, il Segretario Generale della Fondazione Symbola; Salvatore Cozzolino, professore di design, Presidente dell’AD Campania  e altri soggetti di alto livello. Con questi signori parli di cultura in funzione del 2020/2030. Parli di futuro! E alla fine, dopo che fai tanto per questo territorio, devi anche sentirti additato come uno snob o chissà che! Per esperienza ho imparato che quando ti criticano significa che stai facendo bene. Per cui io vado avanti per la mia strada. Che per ora resta Malazè! 

Dal 15 settembre tutti invitati .

STACCATE L’AUDIO A SALVINI PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI

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Probabilmente nessuno se ne sarà accorto, o forse qualcuno sì chissà, ma è da tempo che non scrivevo sul mio blog. Non perché dal 19 luglio, ultimo giorno in cui ho aggiornato il “diario” con un pezzo relativo all’inaugurazione dell’illuminazione del Macellum di Pozzuoli, a livello locale, nazionale o internazionale non si siano verificati eventi che mi suscitassero spunti di riflessione, condivisibile o meno è relativo. Ma perché sto attraversando un momento di stress mentale conseguente a situazioni strettamente personali, di cui per ora non ho intenzione di fare alcun accenno, per cui la mente non riusciva e non tuttora non riesce a concentrarsi in una riflessione alquanto ragionata, l’umiltà è d’obbligo.

Tuttavia i reiterati episodi di razzismo che si stanno registrando nel paese, da nord a sud, dove rom o immigrati vengono addirittura scambiati come bersagli da impallinare nemmeno fossero sagome di un tirassegno o piccioni, la dice lunga sul clima che si sta respirando in Italia da quando Salvini è assurto al Ministero degli Interni, non risparmiandoci battute su battute sui migranti in crociera, rom da censire e altre chicche dall’amaro sapore xenofobo che riportano indietro di oltre settant’anni, a un passato di cui come italiani dovremmo solo vergognarci.

Ma che dalla bocca del Ministro degli interni fuoriescano proclami razzisti che, seppure involontariamente(?) alimentano il l’intolleranza celata nell’animo di una parte dell’opinione pubblica, è di una gravità inaudita. Così come è altrettanto di una gravità inaudita che né il Premier Conte né l’altro viceministro Di Maio non condannino l’inquilino del Viminale; bensì lo difendono, o comunque tendono a sminuirne le dichiarazioni, accusando l’opposizione di strumentalizzarle.

Pur avendo votato il 4 marzo M5S, non ho mai gradito il contratto di governo stipulato dai pentastellati con la Lega, tanto da scrivere una lettera aperta a Luigi Di Maio dove palesavo al leader grillino il mio totale dissenso per quell’alleanza di governo, perché di alleanza si tratta; ammettendo senza remore che mai li avrei votati se solo avessi immaginato che, pur di governare, non si sarebbero fatti scrupoli ad allearsi con Salvini.

Da quando il governo del cambiamento ha visto la luce, non si fa altro che ascoltare la voce di Salvini scagliarsi praticamente ogni giorno o poco più contro immigrati clandestini, rom e ong, dimenticandosi che come Ministro degli Interni il proprio compito non è solo quello di attaccare e , soprattutto, combattere clandestini e zingari ma anche mafiosi o presunti tali. In tal senso sarebbe gradito sapere cosa ne pensa Salvini dell’inchiesta della Procura di Firenze in cui Berlusconi, insieme a Dell’Utri, è indagato come probabile mandante delle stragi di mafia dei primi anni novanta.

A volte si ha come la sensazione, sottolineo sensazione, che Salvini attizzi volutamente gli animi contro i disperati e i “diversi” per alienare l’attenzione da problematiche criminali autoctone quali appunto la criminalità organizzata che da anni “governa” il paese con la complicità di una politica corrotta che, anziché servirla, depreda l’Italia e gli italiani, senza preoccuparsi seriamente di risolvere l’annoso problema della disoccupazione al punto che oggi oltre cinque milioni di italiani vivono in assoluta povertà.

Per carità, fa bene Salvini a fare il braccio di ferro con l’Europa affinché non solo l’Italia sia porto d’attracco per le navi che raccolgono migranti in balia del mare al largo delle coste libiche, per poi scaricarli sulle proprie coste in centri di raccolta al limite della vivibilità e, spesso, gestite dalle organizzazioni criminali, Mafia capitale docet.

Ma alimentare la sensazione che il male provenga solo dal mare o dai campi rom è pericoloso. Prima di tutto perché dà adito alle menti instabili di identificare nel diverso il nemico da streminare; in secondo luogo anestetizza le coscienza sul problema mafia!

Sarebbe il caso che Salvini seguisse il suggerimento che gli dette all’epoca il suo predecessore Minniti, invitandolo a utilizzare un linguaggio confacente al ruolo istituzionale che ricopre anziché da campagna elettorale.

Diversamente forse sarebbe il caso che qualcuno staccasse l’audio al Ministro degli Interni, prima che la situazione diventi irreversibile e lo spettro del ventennio riprenda forma e sostanza!

POZZUOLI, IL MACELLUM ILLUMINATO TRA ENTUSIASMI E CRITICHE

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Mercoledì 18 luglio, con l’evento LE  COLONNE SONORE, un concerto di temi musicali cinematografici eseguito dalla THE MODERN MOVIE CLASSIC ORCHESTRA diretta da Giovanni Borrelli, all’interno del Macellum, alias Tempio di Serapide, è stata inaugurata la nuova illuminazione a led del sito archeologico puteolano ideata dal designer Fabio Cannata e realizzato da Graded in collaborazione con Led Generation con l’utilizzo di corpi illuminanti di ultima generazione composti da 149 led gestibili a remoto.

La realizzazione del progetto è stata resa possibile grazie all’impegno del Premio Civitas presieduto da Paolo Lubrano, in sinergia con il Parco Archeologico dei Campi Flegrei.

Migliaia le persone entusiaste che per l’occasione si sono affacciate da ogni angolo del capoluogo flegreo che dà sul Macellum per assistere all’evento il cui proposito è restituire alla cittadinanza e ai turisti la possibilità di camminare all’interno del “tempio”, costruito tra la fine del I secolo a. C. e l’inizio del II secolo d. C., uno dei pochi mercati dell’antichità giunti a noi nella quasi totale integrità.

Tuttavia chi tra ieri e oggi si fosse fatta una panoramica sui vari social network tipo Facebook, leggendo i vari commenti e le discussioni  riguardanti l’evento postati  sulle bacheche dei singoli cittadini o dei gruppi di Pozzuoli, avrà notato che, come accade in quella reale, anche nella vita virtuale non sono mancate le critiche e le polemiche. In alcuni casi anche aspre, rasentando l’offesa verso chi dissentiva dall’iniziativa non ritenendola né un vero evento culturale – questa tesi dissertava  sull’etimo, ossia origine,  del vocabolo cultura che, derivando da coltivare, implica che cultura è tutto ciò che accresce e arricchisce l’animo umano, mentre il tempio illuminato sarebbe solo un gioco di luci che, al pari di una chiesa barocca, stordisce lo sguardo del visitatore per lo sfarzo senza però arricchirne l’animo – bensì un apprezzabile maquillage di uno dei siti archeologici più famosi al mondo; né qualcosa di bello da vedersi in quanto quei punti luminosi altererebbero la naturale bellezza del Tempio di Serapide, senza però considerare che già tanti altri siti archeologici nel mondo sono illuminati allo stesso modo.

Punti di vista legittimi che, seppur non condivisibili, non giustificano però l’accanimento da gogna pubblica, o il linguaggio per niente forbito che in alcuni casi è stato utilizzato pubblicamente per denigrare, o offendere,  generalizzando senza fare nomi, chi criticava l’illuminazione del Macellum.

A prescindere dalle polemiche, è indiscutibile che il recupero del Tempio di Serapide è un segnale positivo che fa ben sperare che in un futuro non lontano verranno recuperati tutti gli altri siti archeologici puteolani che attualmente versano nell’assoluto abbandono e degrado. Uno su tutto la necropoli sottostante il Ponte Azzurro di cui ci siamo ampiamente occupati alcune settimane fa con la giornalista Danila Mancini della Voce di Napoli.

Le critiche e le polemiche ben vengano, se portano qualcosa di buono per la città e per la  cittadinanza. Viceversa, se fossero solo il pretesto per dare adito a personali rancori pregressi, sarebbe meglio fossero tenute nel congelatore per il bene di tutti.

Il mio personale plauso a chi, senza far rumore, si è assunto l’onere, ma anche l’onore, di riportare in auge Pozzuoli, attraverso il recupero dei sui siti archeologici. Il cammino è ancora lungo ma la strada intrapresa per una rinascita turistica della città sembra essere quella giusta!

A PASSEGGIO CON ANTONIO ISABETTINI, IL MAESTRO D’ARTE

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Di seguito la mia intervista per comunicaresenzafrontiere al maestro d’arte Antonio Isabettini


Ininterrotti quarant’anni di attività artistica, classe 1955, Antonio Isabettini, di origini puteolane, è oggi un punto fermo per gli appassionati dell’area flegrea raccontata attraverso la pittura.  Una sera d’estate a passeggio per il Rione Terra si racconta all’amico VincenzoCome nasce Antonio Isabettini pittore?

Risposta: sicuramente per passione. Fin da ragazzino nutrivo una forte predisposizione al disegno e alla conseguente pittura. Ovviamente il talento e la passione sono importanti, ma, se non vi si abbinano l’impegno e lo studio, difficilmente si va avanti. Per raffinarmi stilisticamente ho frequentato l’istituto d’arte e successivamente l’Accademia di Belle Arti.
D.: i tuoi  esordi giovanili?
R.: nel 1970, all’età di quindici anni, ho vissuto in prima persona il trauma dello sgombero del Rione Terra, l’anima di Pozzuoli. Abitavo a cento metri dal rione ricordo i camion dell’esercito e i pullman su cui venivano caricati gli sfollati per essere trasferiti provvisoriamente al costruendo ospedale del Frullone a Miano. Una tragedia epocale, una pulizia etnica di cui ancora oggi, a distanza di quasi cinquant’anni, non riesco a capacitarmi. A seguito di questi  eventi, negli anni successivi, desideroso di immortalare il quartiere abbandonato, vagavo per il Rione insieme a un gruppo di pittori puteolani, molto più grandi e bravi di me, a cui spesso portavo il cavalletto, rubando il mestiere. Il Rione Terra era interamente transennato, e per ritrarne i palazzi, i vicoli, le piazzette in modo da serbarne il ricordo per le generazioni a venire, scavalcavamo i muri perimetrali, aggirandoci tra macerie e sterpaglie che ormai prendevano il sopravvento. Nel 1972, all’età di diciassette anni, un amico gallerista di Napoli, mi organizzò la prima personale, portando nel capoluogo il grido d’allarme per quello che irrimediabilmente si stava perdendo.
D.: è da qui che nasce la tua  identificazione come  memoria storica di Pozzuoli?
R.: Certamente fu il periodo che incominciai ad appassionarmi per la storia della mia città. Il mio punto di riferimento artistico deriva dalla scuola di Posillipo, famosa per i suoi vedutisti, gli stessi che hanno dipinto questi luoghi all’epoca del Grand Tour. Vivere in un contesto storico/culturale ricco di monumenti e di storia come Pozzuoli e i Campi Flegrei ha alimentato la mia passione per i paesaggi, spingendomi non solo a dipingere ma a documentarmi per avere maggiore consapevolezza su ciò che ritraevo. La mia finalità è che ogni mio quadro non sia una “semplice” cartolina romantica, ma un vero e proprio “racconto storico”, per quanto sia possibile. A scanso di equivoci, ci tengo a precisare che non sono uno storico bensì un appassionato della storia del territorio flegreo: il mio non è un lavoro da studioso, bensì di chi è innamorato della propria terra, delle proprie tradizioni e cerca con tutte le proprie forze di immortalarle su tela, sperando di suscitare emozioni in chi guarderà quei quadri, affinché non cadano mestamente nel dimenticatoio!
D.: Oltre che pittorico il tuo impegno è a tutto tondo su Pozzuoli e Campi Flegrei?
R: certo, elencare tutti gli eventi, manifestazioni, convegni, mostre a cui ho partecipato oppure ho dato il mio contributo sarebbe un lavoro immane. Essendo innamorato della mia terra e della mia città, per quanto posso, cerco di tenere vivo l’interesse della cittadinanza, illustrando pubblicamente non solo la mia arte, ma soprattutto ciò che essa rappresenta e, in particolare, perché si ostina a rappresentare proprio quello. Come tanti, anch’io sono convinto che se non si rinverdisce nella gente la memoria storica del luogo in cui è nata e vive, quel luogo è condannato a morire. Torniamo per un attimo al Rione Terra, in particolare ai lavori di ristrutturazione incrementati negli ultimi tempi, vedi l’inaugurazione del duomo di Pozzuoli e i sottostanti scavi archeologici: più volte, pubblicamente, in presenza delle autorità e di chi era responsabile dei lavori di recupero della rocca, ho sbattuto i pugni sul tavolo, contestando che i lavori si stavano facendo senza amore e, in qualche caso, obliando la memoria storica – vedi le cappelle votive del rione -; suggerendo che nel progetto di riqualificazione si prevedesse di riproporre nel suo stato originale un antico “basso” in modo da consentire alle generazioni future di avere modo di vedere come si viveva negli anni addietro lassù. Invece, nulla. A scanso di equivoci, sia chiaro che io non ho niente contro ciò che diventerà domani il Rione Terra. Solo che avrei gradito si salvaguardasse meglio la sua originalità per non alterarne, o addirittura cancellarne  la storia e di esempi ce ne sarebbero tanti. Prendiamo l’ex palazzo Migliaresi. Io ho avuto la possibilità di visionare documenti in cui la presenza di palazzo Migliaresi risale addirittura al 1300. Bene: oggi palazzo Migliaresi è un palazzo vecchio di vent’anni: della struttura originale non è rimasto nulla; in  pratica un falso storico.
D.: spostiamoci per un attimo sull’annosa questione relativa all’abbandono e al degrado in cui versano diversi siti archeologici di Pozzuoli e dei Campi Flegrei. Anche questa vergogna sarebbe conseguenza del disamore che alcune persone nutrono verso il territorio?
R.: disamore e interessi economici sicuramente hanno determinato negli anni che alcuni siti archeologici fossero privilegiati rispetto ad altri. E ciò mi ferisce profondamente, non solo come puteolano ma prima di tutto come cittadino del mondo. Mi chiedo come certa gente non si renda conto che la salvaguardia del patrimonio archeologico, non solo garantisce la memoria storica di un territorio ma può farne la sua fortuna economica. Non di pochi ma di tutti! Prendiamo la strada romana e la fiancheggiante necropoli ricca di colombari, ipogei, e mausolei, del tutto abbandonata, del Ponte della solfatara, che si prolungherebbe per circa tre chilometri, fino a incontrare quella di via Celle fino a San Vito. O la Stadio di Antonino Pio, o le Taberne di via Luciano. Senza contare l’anfiteatro Flavio, la Grotta di Cocceio e la pseudo grotta della Sibilla sul lago d’Averno… È mai possibile che non ci si renda conto che il ripristino di questi siti possa fungere da grande catalizzatore turistico al punto che Pozzuoli potrebbe competere con Pompei? Possibile che mentre a Verona, nell’arena, per tutto l’anno organizzano spettacoli di ogni tipo con un ricco cartellone di livello internazionale, nell’anfiteatro di Pozzuoli, dove in un recente passato si sono organizzati spettacoli con artisti di calibro internazionale, ormai da anni non si riesca a organizzare nulla? Possibile che in questa città debba vigere la filosofia del turismo “zeppole e panzarotti”?…
D.: sarebbe a dire?
R.: se il sabato e la domenica sera scendi a Pozzuoli, guardandoti intorno, hai la sensazione di trovarti nella più grossa friggitoria d’Europa. Per carità, mi rendo conto che ai tanti ristoratori che svolgono l’attività in piazza e nel centro storico, ciò va benissimo. Quello che mi fa rabbia è che gli stessi dovrebbero capire che se la città si rivalutasse turisticamente, attirando un turismo di livello superiore, loro non ci perderebbero nulla. Anzi ci guadagnerebbero in quanto i turisti che verrebbero non sarebbero quelli del “magna e fuggi”, che spesso provocano anche problemi di ordine pubblico, ma persone interessate a tutto il contesto storico/culturale del luogo , non solo all’aspetto culinario.
D.: progetti per il futuro?
R.: sto preparando una raccolta di tavole in cui illustro la Pozzuoli scomparsa, ovviamente supportato da un approfondito lavoro di ricerca in quanto la storia di un luogo non la si può abbandonare alla fantasia o al sentito dire.
Saluto Antonio Isabettini, nei pressi del porto di Pozzuoli, ricordandogli quanto detto in convegno presso l’ex convitto delle monachelle ad Arcofelice: “dopo avermi ascoltato, se soltanto uno di voi inizierà a far sue notizie e informazioni, avvicinandosi con amore al territorio, potrei dirmi soddisfatto” . Certo, Vincenzo : in questa società dove sembra si faccia di tutto per sedare la memoria delle persone,  dove pensare con la propria testa sempre più spesso equivale a un crimine, il nostro messaggio di artisti viene recepito da uno su mille, possiamo già essere soddisfatti!

SIGNATURE RERUM, RECENSIONE DI LUISA DE FRANCHIS

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Di seguito la recensione della poetessa/giornalista Luisa de Franchis al mio romanzo SIGNATURE RERUM pubblicata su CAPRIEVENT


Un romanzo che si legge tutto d’un fiato aprendosi con una citazione filosofico-religiosa di Giamblico e già questo scritto mi colpisce perché apre teorie in cui credo sui processi dell’anima.
La realtà di Riccardo protagonista della storia è quella di aver investito la sua esistenza in un sentimento illusorio. L’ entusiasmo di Monica la donna che dovrebbe sposare si è spento e all’ultimo momento lei si tira indietro in questo loro progetto, perché accecata dal lavoro e dall’arrivismo, non desiderando che lui entri nei suoi spazi.
Inizia un momento di disequilibrio dove ricerca se stesso allontanandosi. Le sue decisioni vacillano e per lui si aprono due strade, quelle del bene e quelle del male.
La vita necessita di coraggio ed entusiasmo e ci si dovrebbe saper fermare nel rapporto con il partner nel momento in cui l’altro non è disposto ad accoglierci, si eviterebbero dolorose separazioni.
L’incontro con la giovane Laura lo apre oltre alla passione amorosa e a quella per la corsa.
E’ così che riesce a trovare chiarezza nei pensieri, perché attraverso la corsa fluiscono le sue idee, che come due strade convogliano in un fiume di pensieri sciolti ,belli e brutti e sta a lui optare per gli uni o per gli altri.
Inizia la competizione con se stesso nel tentativo di sfuggire alla paura di due mondi, quelli delle scelte.
La corsa un percorso di vita che certe volte è attraversato anche da persone che ci hanno deliberatamente fatto del male ed umiliato, ma che bisogna saper perdonare per accrescere la nostra anima per portarla ad evolversi in senso positivo. Lo scrittore sa guardare con i suoi occhi e serbare nel suo cuore la traccia inDelebile che lascia chi ferisce. Le parole nel racconto scivolano leggere, sapendo descrivere anche l’amplesso senza dare scandalo alcuno, con ricchezza di particolari ti cala nella storia in maniera avvincente.
Ben presto sopraggiunge anche la seconda delusione verso un futuro diverso che aveva progettato con la giovane Laura, mentre ci sono i ripensamenti di Monica che rivede valido il loro rapporto e con un suo gesto estremo riaccende la sua attenzione Signature Rerum “ simboli che si alternano e che attraggono entità astrali benigne o maligne attraverso profumi emanati , odori dolci, odori acri.Letto il racconto io e lo scrittore ci sentiamo e lui mi pone la stessa domanda che nella storia chiede ad un runner che incontra percorrendo il Lungomare di Pozzuoli.

Dire che mi sia piaciuto lo trovo riduttivo, perché i messaggi nel racconto mi riportano a tutti i percorsi dell’anima che ho fatto, quasi a testimoniare che Io e lui abbiamo la stessa spiccata sensibilità su certi argomenti. La vita ci mette nelle condizioni di trovare coloro che percepiscono emozioni sulla stessa lunghezza d’onda, creando anche delle situazioni affinchè si possano realizzare dei progetti a noi destinati.
E… dove finisce la fantasia e dove inizia la realtà?

ARCOBALENO BIANCO, QUANDO IL TEATRO FA DA ARGINE AL DEGRADO SOCIALE

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Domenica 9 luglio l’Associazione Teatrale “Arcobaleno Bianco” di Irene Ascolese e Pino Verdosci ha ricevuto dalla Parrocchia di Sant’Artema di Monterusciello a Pozzuoli una targa al merito per avere animato la IV° edizione di “UN’ESTATE DA FAVOLA”, organizzando una serie di attività ludico/teatrali a tema favolistico – quest’anno l’argomento era Robin Hood – finalizzate a coinvolgere i bambini e i ragazzi del quartiere alla periferia di Pozzuoli che, come purtroppo accade per tutte le periferie del mondo, è abbandonato al degrado urbano e sociale cui si frappone l’impegno di associazioni locali, quasi sempre di volontariato, per strappare dalla strada i bambini e i ragazzi meno abbienti, offrendo loro alternative concrete, divertenti e costruttive per impiegare il tempo libero, soprattutto d’estate, affinché non cadano vittime della droga e della malavita.

Da quando fu fondato nel 2008, l’Arcobaleno Bianco si è distinto per il proprio impegno sociale, esteso da tre anni anche ai ragazzi disabili sempre mediante allestimenti di spettacoli teatrali.

Tuttavia il progetto Arcobaleno Bianco nasce nel 2005 in una piccola scuola situata nel lotto 10 a Monterusciello collegata con il Circolo didattico Anna Maria Ortese dove Irene mise in scena con Totò Sapore, nel 2006 seguì Pinocchio Napoletano. Il successo dello spettacolo fu tale che lo spettacolo fu rappresentato nel carcere minorile di Nisida dove Irene conobbe Don Elio il parroco di Sant’Artema a Monterusciello che le chiese di coordinare un’attività teatrale a sfondo sociale.

Fu così che nel 2008 nacque ufficialmente l’Arcobaleno Bianco, laboratorio teatrale per ragazzi coadiuvato da Irene Ascolese presidente dell’associazione, dal marito Pino Verdosci e da un gruppo di amici, che inaugurò l’attività con la commedia “Pulcinella alla corte del re”, libera rivisitazione di “Totò Sapore”, arricchita con svariati riferimenti alla tradizione magico/fantastica napoletana. La commedia fu rappresentata il 16 maggio 2008 presso il teatro della chiesa “Santa Maria Degli Angeli e Santa Chiara” a Monterusciello.

Sempre nel 2008 l’Arcobaleno Bianco presentò, questa volta con attori adulti, la commedia “’O muort dint’o muro”, tratta da “Donna Chiarina pronto soccorso” di Di Maio, per la regia di Mario Fucito, e la commedia “E’ muort ‘o nonno”, tratta da “Comm’ è stato” di Corrado Taranto. Quest’ultima rappresentazione scenica, oltre a essere stata replicata per ben due volte al teatro di “Santa Maria degli angeli e Santa Chiara”, fu rappresentata nel carcere minorile di Nisida alla presenza dei ragazzi detenuti.

Il 27 ottobre del 2013, nell’ambito della manifestazione per la prevenzione contro i tumori “Un Ponte sul Bioscanner”, sempre nel teatro della chiesa di “Santa Maria degli Angeli e Santa Chiara”, andò in scena la commedia “Felici Condoglianze” il cui ricavato fu devoluto in beneficenza. L’evento, dedicato alla memoria di Lia Di Francia, fu organizzato dall’ACLI di Pozzuoli presieduta dall’avvocato Giovanni Di Francia.

Nel 2015 l’Arcobaleno Bianco presentò la commedia “Ferdinando e l’elisir dell’amore”, scritta da Pino Verdosci. Nel 2016 c’è stata una vera e propria escalation comica con Spettacolando, una piece teatrale strutturata su una serie di gag comiche con le musiche del prof. Boccardi, “Storia evolutiva della musica napoletana”, il cui incasso fu devoluto per il restauro della Madonnina sulle rampe dei Cappuccini.

Sempre nel 2016 con l’Arcobaleno Bianco juniors, (solo ragazzi) Irene portò in scena “Una favola”: gli attori erano tutti ragazzi disabili che giustamente lei definisce “speciali”.

Tra le tante iniziative di cui si fa promotore o a cui collabora sul territorio flegreo, il 2 giugno di quest’anno l’Arcobaleno Bianco ha partecipato presso l’acropoli di Cuma a un evento storico/teatrale organizzato da Rosario Lubrano in collaborazione con il Parco Archeologico dei Campi Flegrei: all’interno dell’antro della sibilla, Irene e la sua compagnia hanno allestito uno spettacolo in costumi d’epoca romana, raccontando il mito della sibilla cumana interpretata da Irene.

Seppure tra mille difficoltà, soprattutto di natura economica – l’associazione non percepisce alcun tipo di finanziamento pubblico o privato, a parte un obolo ricevuto due anni fa per la collaborazione al progetto “Teatrando” sostenuto da alcune scuole puteolane tra cui il liceo Ettore Maiorano – l’attività dell’Arcobaleno Bianco è sempre in continua evoluzione a testimonianza della passione che alimenta Irene, Pino e i loro compagni di avventura.

L’Arcobaleno Bianco è la conferma che la cultura può davvero fungere da argine al degrado sociale. A patto che gli intenti fossero sempre nobili come quelli dell’Arcobaleno Bianco.

POZZUOLI: UN’ESTATE DA VIVERE TRA MUSICA, CINEMA E CULTURA

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Per luglio e agosto, l’amministrazione comunale di Pozzuoli, guidata dal Sindaco Vincenzo Figliolia, ha varato un cartellone ricco di eventi culturali e di intrattenimenti musicali e cinematografici per i cittadini e per i tanti turisti che transiteranno per il capoluogo flegreo.

Da giovedì 5 luglio, e per i successivi tre giovedì del mese, a Palazzo Toledo sede della biblioteca comunale alle ore 17 si svolgerà Agorà Flegrea, una serie di incontri con personaggi dello spettacolo e della cultura. Si parte giovedì 5 con Cristina Donadio, la Chanel di Gomorra, che dialogherà con l’attrice Adele Pandolfi; il 12 con l’attore/regista Ettore Moscato; il 19 con la scrittrice Wanda Marasco e il 26 con il campione di basket Massimo Antonelli.

Dal 5 al 22 luglio nel  suggestivo scenario del Parco archeologico dei Campi Flegrei  – Terme di Baia, Castello di Baia, Scavi di Cuma, Città bassa di Cuma, lago Lucrino e Misero – si svolgerà la IX edizione del Pozzuoli Jazz Festival con artisti di livello internazionale.

Si partirà giovedì 5 al Cala Moresca di Bacoli con il quartetto di Emilia Zamuner; il 7 luglio alla Città bassa di Cuma con New Talet Jazz Orchestra diretta da Mario Corvini; il 13 luglio alla maison Toledo a Pozzuoli si esibiranno il Dr. Jazz&Dirty Bucks Swing Band; il 14 e il 15 luglio alle Terme di Baia si esibiranno gli Yamandu Costa (14 luglio), Abbey Lincoln (15 luglio); il 19 luglio al Lago Lucrino presso AkademiaCucina&More, suoneranno in coppia Lorenzo Hellenger e Giovanni Campagnoli; il 21 luglio il festival chiuderà al Castello di Baia con il compositore/pianista Enrico Intra che accompagnerà la cantante afroamericana Joyce Yuille.

Per chi ama il cinema, e anche d’estate non vuole rinunciare alla propria passione, dal 12 al 31 luglio, ogni sera alle ore 21 sul Rione Terra  ci sarà la proiezione di un film all’aperto. Da segnalare il 16 Dogman di Matteo Garrone, vincitore a Cannes per la Palma d’Oro come miglio attore protagonista con Matteo Fonte; il 17 NAPOLI VELATA di Ferzan Ozpetek; il 22 AMORE E MALAVITA di Manetti bross; il 27 il cartone animato GATTA CENERENTOLA; il 31 ELLA & JOHN di Paolo Virzì. Il costo del biglietto d’ingresso è di euro 5.

Per il mese di agosto sono previsti una serie di concerti in vari quartieri di Pozzuoli: il 3 di agosto in  in Piazza Severino a Monterusciello si esibiranno i Foia; il 10 al rione Toiano ci sarà il concerto di Ciro Giustiniani e dei Pooh Pazzi; il 13, nel residence Villa Avellino, Franco Castiglia proporrà una rivisitazioni di brani napoletani dal 500 all’800; il 14 agosto a Piazza a mare si esibirà Luigi Libra con il progetto Terra Viva; il 15 agosto, Festa dell’Assunta, nella Darsena ci sarà il tradizionale Pennone a Mare, competizione “molto sentita” tra i pescatori.

Il 23 settembre a Palazzo Toledo si terrà il torneo internazionale di scacchi. L’estate puteolana si concluderà con una rassegna di street art a Monterusciello e dal 29 settembre al 7 ottobre con la mostra di pittura TRE PASSI NELL’ARTE.

Buone vacanze!

 

A QUANDO IL POZZUOLI EXPRESS?

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Così come è noto che la regione Campania possiede uno tra i più ricchi patrimoni archeologici d’Italia e del mondo, è altrettanto noto che una delle aree regionali con la più alta densità di siti archeologici è quella dei campi Flegrei.

Non a caso domenica 1 luglio, alla presenza del responsabile della promozione del Parco Archelogico dei Campi Flegrei Pierfrancesco Talamo, dei sindaci di Pozzuoli e di Monte di Procida Vincenzo Figliolia e Giuseppe Pugliese, e del commissario prefettizio di Bacoli Francesco Tarricone, si è inaugurato il Cuma Express, un convoglio dell’ EAV, che fino al 30 settembre la domenica e i giorni festivi effettuerà quattro corse giornaliere andata-ritorno sulla tratta della cumana da Montesanto a Cuma, effettuando solo quattro fermate intermedie – Mostra, Pozzuoli, Fusaro e Torregavata – al costo maggiorato di euro 2 rispetto a quello del biglietto standard con cui i possessori, oltre al viaggio, potranno visitare i siti archeologici dei campi Flegrei: Anfiteatro Flavio, Terme di Baia, Castello di Baia e Scavi di Cuma.

Iniziativa lodevole, che certamente incrementerà nell’area flegrea e nell’intera regione il turismo, consentendo non solo la valorizzazione del territorio ma anche un incremento economico consistente, non solo per i siti specifici ma per l’intero indotto dato che il turismo è un volano di ricchezza economica laddove si attuano politiche per incentivarlo.

Pertanto lascia perplessi che, in contrapposizione alla partenza in pompa magna del Cuma Express, sempre nell’area flegra, molti siti archeologici versano in uno stato di assoluto abbandono e degrado, nonostante le reiterate denunce da parte di testate giornalistiche locali e nazionali, trasmissioni televisive, semplici cittadini e associazioni cultuali radicate sul territorio che da anni si battono inutilmente per il loro recupero.

Esempio eclatante, a Pozzuoli, la necropoli sottostante il ponte Copin, alias ponte Azzurro, che collega via Fascione con via Solfatara. Un sito archeologico dall’inestimabile valore storico/culturale, ormai completamente ricoperto dalla fitta vegetazione, nemmeno fosse localizzato nella foresta amazzonica; sul cui cancello di accesso sfondato un cartello ne sancisce la tutela della Soprintendenza dei beni culturali di Napoli e Caserta.,

Se lo si liberasse dalla erbacce e rendesse accessibile al pubblico, il sito potrebbe incrementare in maniera esponenziale il turismo in zona, con tutti i benefici economici che ne deriverebbero.

Se poi ci si adoperasse per ripulire e ripristinare al pubblico tutti gli altri siti archeologici presenti nella sola di zona di Pozzuoli – lo stadio Antonino Pio sulla domiziana; la necropoli di via Celle, naturale congiungimento di quella del ponte Copin; i resti archeologici di via Fascione, e tanti altri che al momento mi sfuggono – di sicuro Pozzuoli e l’intera area flegrea potrebbero competere per attrattiva turistica con Ercolano e, soprattutto Pompei, i cui scavi archeologici sono il perno dell’economia locale, unitamente al turismo religioso rappresentato dal santuario.

Considerando che il duomo di Pozzuoli fu costruito sui resti del Tempio di Augusto e che al suo interno vi sono conservate opere di autori di prestigio, tra cui due dipinti di Artemisia Gentilischi, se si studiasse un adeguato piano di recupero dell’intera area archeoligica, includendovi anche il Rione Terra con il Duomo, più che il Cuma Express, si dovrebbe attivare il Pozzuoli Express!

Speriamo che le autorità competenti non scartino questa possibilità, limitandosi a sfruttare i siti già disponibili. Per Pozzuoli e i puteuolani, in primis i giovani, rappresenterebbe una notevole opportunità di lavoro con cui fronteggiare la dilagante disoccupazione giovanile. Vi sembra poco?

POZZUOLI, IL DEGRADO ARCHEOLOGICO E’ SENZA LIMITI

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Questa mattina insieme alla giornalista Danila Mancini del giornale online Voce di Napoli – fu lei che domenica scorsa mi contattò su Messanger, dopo aver letto sul mio blog l’intervista che anni fa feci a Carlo Santillo l’ultimo custode della Grotta della Sibilla sul lago d’Averno – ci siamo recati a fare un giro di perlustrazione nell’area flegrea per verificare lo stato di degrado e di abbandono in cui versano alcuni siti archeologici.

La prima tappa è stato il lago d’Averno con la pseudo grotta della Sibilla, per la cui riapertura al pubblico Danila ha intenzione di battersi con determinazione. Contrariamente a quanto immaginavamo, una volta superata la sterpaglia che ostruisce l’ingresso del viale di accesso, la strada non risulta impraticabile e, passando sotto un cunicolo di sterpi, con relativa facilità si arriva al cancello di accesso chiuso da una spessa catena con catenaccio. Facendoci luce con le torce degli smartphone, siamo riusciti a illuminare l’interno dove sono visibili le suppellettili di don Carlo.

Lateralmente al camminamento finale che conduce al sito archeologico, un tratto della rete di contenimento a protezione da eventuali frane è divelto, non si capisce se a causa di un cedimento del terreno  – a riguardo sul suolo non ci sono segni che lascerebbero presagire ciò – o per opera dell’uomo, nel qual caso bisognerebbe capirne lo scopo.

Avendo spiegato a Danila che la pseudo grotta della Sibilla è una delle tante grotte scavate dai soldati romani sulla collina all’epoca, circa il 30 a. C.,  in cui nel lago era ancorata la flotta romana – lo specchio d’acqua risultava collegato direttamente al mare grazie a un canale di accesso, oggi ridotto a uno stretto naviglio che corre parallelo alla strada asfaltata – non ho potuto tacerle della Grotta di Cocceio, così denominata perché costruita nel 37 a. C. dall’ingegnere romano Lucio Cocceio Aucto su incarico del generale Marco Vipsanio Agrippa, la cui apertura al pubblico, dopo ben settantacinque anni, era stata data per certa entro quest’anno dalle varie autorità competenti.

Diversamente, tuttora la Grotta di Cocceio è chiusa, seppure agli inizi di marzo ne fu celebrata l’apertura in pompa magna alla presenza delle varie cariche istituzionali locali. In relazione a questa apparente riapertura, stando a quanto riferitomi dal pittore Antonio Isabettini, memoria storica di Pozzuoli e dei campi Flegrei, nel corso degli anni nella grotta hanno nidificato diverse specie distinte e protette di pipistrelli la cui caratteristica è quella di accoppiarsi una volta all’anno nel silenzio assoluto. Pertanto fino a quando questo problema non verrà risolto, è difficile che la grotta divenga accessibile al pubblico.

Proseguendo la nostra escursione sulle sponde del lago, ci siamo imbattuti in quello che impropriamente è ritenuto il tempio di Apollo, trattandosi invece dei resti di una delle stufe che all’epoca romana componevano il sito termale di Baia.

Anche qui il degrado è visibile, seppure la spianata su cui sorge il sito sia stata ripulita dalle erbacce che in passato ne rendevano impossibile l’accesso.

Tuttavia parlare di degrado, per quanto riguarda i siti archeologici citati, è relativo rispetto all’abbandono in cui versa la necropoli romana sottostante il Ponte Azzurro che collega via Fascione con via Solfatara.

Quando vi siamo giunti, Danila è rimasta letteralmente senza parole: ai nostri sguardi si è presentato uno scempio indicibile. Una lunga spianata di mura romane complete di archi e pilastri è del tutto inghiottita dalla sterpaglia, nemmeno fossimo nella foresta amazzonica. Mentre la copertura di lamiere e bitume, posta a protezione dello scavo dalla pioggia, in alcuni punti è divelta tanto che l’acqua non ha problemi a riversarsi nel sito arrecandovi danni che si possono ben immaginare.

Addirittura su una lamiera sono evidenti i resti di un uccello in avanzato stato di decomposizione, ulteriore conferma, se ce ne fosse bisogno, dell’assoluto abbandono in cui versa un simile patrimonio archeologico che in qualunque altra parte del mondo sarebbe protetto e valorizzato come attrattiva turistica con conseguente arricchimento economico per l’intera comunità locale.

Mentre a Pozzuoli, non si capisce perché, tale tesoro è lasciato morire nell’assoluta indifferenza istituzionale, come testimonia il cancello d’ingresso sfondato da cui chiunque più accedervi e perpetrare ogni sorta di scempio archeologico.

Per vedere filmati e foto, cliccare sui sottostanti link:

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APPELLO DI UNA LETTRICE, SALVIAMO LA GROTTA DELLA SIBILLA

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Era più o meno la fine del 2003 quando ebbi modo di intervistare per il Bollettino Flegreo Carlo Santillo, l’ultimo custode della Grotta della Sibilla situata all’interno della boscaglia che circonda il Lago d’averno. Lo stesso articolo lo riproposi sul mio blog, seppure in forma ridotta, il 7 maggio 2014.

Ed è grazie a questo post che in mattinata sono stato contattato su Messanger da una signora, di cui ovviamente non  farò il nome per tutelarne la privacy, la quale, dopo aver letto l’intervista a don Carlo, mi ha scritto quanto segue: “Difficile spiegarLe tramite un messaggio così freddo il motivo per cui Le scrivo. Mi riferisco a questo. Oggi sono tornata in uno dei luoghi che ha segnato la mia vita: la grotta della Sibilla dove ho conosciuto il signor Carlo (che io ho sempre chiamato Arturo). Alla vista dello scempio sono rabbrividita: preservativi usati, erbaccia, tronchi d’albero che ne ostacolano il passaggio, calcinacci caduti. Non si può lasciare un luogo di quel grandissimo valore storico in uno stato di abbandono simile. Mi aiuti, La prego. Vorrei smuovere le coscienze per portare la luce nella grotta, ma non so davvero da dove iniziare.”

A margine del messaggio, mi lasciava il suo contatto telefonico e alcune foto dell’ingresso della grotta che allego nel pezzo.

Seppure non fosse mia abitudine telefonare agli sconosciuti, il messaggio mi aveva emotivamente scosso che non ho potuto fare a meno di chiamarla.

Dalle prime battute che ci siamo scambiati ho avuto la percezione che dall’altro capo del telefono vi fosse una persona davvero addolorata per il degrado in cui versa la grotta, ma seriamente decisa a fare qualcosa per recuperarla.

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Non avendo più notizie di don Carlo da oltre due anni, tramite conoscenze comuni mi era stato riferito che fosse passato a miglior vita. Quando glielo ho comunicato, la signora mi ha risposto che invece era vivo e vegeto; che lo aveva sentito al telefono proprio il giorno prima, dopo aver rintracciato il suo recapito su internet mentre faceva una ricerca per capire a chi poteva rivolgersi per avere maggiori informazioni sulla grotta; che quando aveva incominciato a fare domande insistenti sulla grotta, don Carlo aveva bruscamente interrotto la comunicazione, non prima di augurarle buona giornata.

A quel punto le ho chiesto di darmi il numero e l’ho chiamato. Non appena l’inconfondibile voce sottile di don Carlo ha risposto, “chi è?”, la gioia mi ha rallegrato l’animo. Contrariamente a quanto temevo, si è subito ricordato di me. Quando gli ho chiesto notizie della grotta, rammaricato mi ha risposto, “signor Giarritiello, dopo oltre 140 anni che la mia famiglia e io abbiamo preservato la grotta e accompagnato i turisti al suo interno, purtroppo l’ho dovuta abbandonare”.

Alla domanda se fosse stato costretto per problemi di salute – stando per tanti anni a contatto con l’umidità della grotta, don Carlo ha contratto un’artrite reumatoide alle anche che da tempo lo costringe a camminare col bastone – , mi ha risposto: “No, la salute non c’entra niente. Seppure ora sono allettato per altri motivi di salute (ecco spiegato il perché da almeno un paio di anni non lo vedevo più in giro), all’epoca la dovetti abbandonare perché  è pericolante, sia all’esterno che all’interno. Non immagina quante volte è franato davanti al cancello d’ingresso. Meno male che era chiusa altrimenti, prima o poi, la tragedia ci scappava. La mia coscienza non mi permetteva di continuare a condurvi la gente all’interno. Nella grotta non c’è un’uscita di sicurezza. Che senso aveva rischiare?”

“Non si può fare nulla per metterla in sicurezza?” gli ho chiesto. La sua risposta è stata lapidaria: “Seppure si stendesse lungo la collina una rete di protezione per contenere la caduta dei massi, anche all’interno c’è il rischio che frani. Mi creda, oramai la grotta è morta!”

Chi ha avuto la fortuna di visitare la grotta guidato da don Carlo, sa bene con quanto amore e abnegazione egli svolgeva il proprio ruolo di “caronte”, così amava definirsi: la domenica e nei giorni di festa allestiva una scenografia di luci, accendendo lungo tutto il camminamento della grotta una fila di lumini di cera e muniva i visitatori di candele, anziché delle solite torce elettriche, accrescendo con il riverbero delle fiamme la suggestione del luogo.

Per quest’attività di assoluto volontariato don Carlo non percepiva un soldo, se non le offerte dei visitatori che investiva nella manutenzione della grotta.

Oggi anche questa “grotta”, che per quasi un secolo e mezzo ha segnato con orgoglio un pezzo di storia dei Campi Flegrei,  è da archiviare tra i tanti siti archeologici dell’area flegrea abbandonati nell’assoluto degrado. Non si capisce se per questioni burocratiche o altro…

Quante altre persone, come la signora che mi ha scritto, vi si sono recate, vi si recano e vi si recheranno per visitarla e, invece di vivere la suggestiva emozione suscitata dal mistero che vi aleggia, saranno colte dallo sconforto derivante dal degrado che si mostrerà ai loro occhi, uno scempio ingiustificato in un paese civile?

Possibile non si possa fare nulla per recuperare la grotta, riconsegnandola ai vecchi splendori del passato?

Mica bisognerà rivolgersi alla sibilla per conoscere le sorti del suo il suo destino!?