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“DELITTO AL TEMPIO DI SERAPIDE. UN GIALLO AMBIENTATO NELLA POZZUOLI ESOTERICA

Di seguito la recensione al mio nuovo romanzo DELITTO AL TEMPIO DI SERAPIDE (Edizioni Helicon) su QuiCampiFlegrei.it

Ci mancava un giallo ambientato a Pozzuoli. Finalmente lo abbiamo grazie allo scrittore flegreo Vincenzo Giarritiello.

Città ricca di suggestioni millenarie, Pozzuoli è la scenario naturale in cui ambientare una storia intrisa di intrigo e mistero. Un luogo che non ha nulla da invidiare alla Vigata di Montalbano, alla Napoli del commissario Ricciardi e dei Bastardi di Pizzo Falcone, alla città di Aosta di Nero Schiavone, alla Parigi del commissario Maigret, alla Londra di Sherlock Holmes e a tante altre città di famosi detective di romanzi gialli di ieri e di oggi. Pozzuoli ha una sua personalissima storia ed era giusto che in un racconto fungesse da protagonista anziché da comprimaria alla città di Napoli.

DELITTO AL TEMPIO DI SERAPIDE (Edizioni Helicon) si apre con il rinvenimento del cadavere martoriato da pugnalate di una donna nuda all’interno del macellum, meglio noto come Tempio di Serapide. 

A indagare sul delitto sarà il commissario Antonio Costa del commissariato di Pozzuoli, coadiuvato dall’ispettore Procolo Caiazzo. Tutti gli indizi fanno presumere che la vittima fosse di origini slave e possa essere stata uccisa durante una messa nera.

Partendo da queste tracce Costa e Caiazzo indagheranno nella comunità slava tra Pozzuoli e Napoli; faranno la conoscenza di Nunziatina, una veggente che vive nelle campagne di Cigliano, e della signorina Franchini, una donna pregna di fascino, amante dell’occulto e degli uomini giovani; loro malgrado si troveranno faccia a faccia con personaggi della Napoli bene alla ricerca di forti emozioni praticando giochi erotici particolari; si confronteranno con i pescatori del porto di Pozzuoli che, nella loro semplicità, si riveleranno un valido sostegno nel corso delle indagini.

Scritto in un linguaggio asciutto e veloce, supportato da dialoghi convincenti dove spesso il napoletano spadroneggia, il romanzo si interseca nelle strade e nelle piazze del capoluogo flegreo con ripetuti sconfinamenti a Napoli, toccando spesso il Rione Terra nelle cui grotte la fervida fantasia dell’autore fa celebrare, in un passato lontano, rituali magici per evocare il demonio e dare vita ai morti.

L’abbinamento alla seria e professionale figura del commissario Costa con quella ruspante e machista dell’ispettore Caiazzo si rivela un gustoso cocktail in grado di strappare più di un sorriso al lettore, facendo sorgere il dubbio su chi dei due è la spalla dell’altro. Le leggere venature erotiche che arricchiscono il romanzo sono conseguenza del carattere irriverente di Caiazzo, amante delle donne e dei piaceri della vita che, nella sua ruvidità, al momento opportuno sa rivelarsi uomo garbato e ricco di charme in grado di fare presa su qualsiasi tipo di donna.    

La trama lineare e avvincente del romanzo, in cui le sorprese si incalzano intervallandosi con spaccati sulla vita privata di Costa e della sua compagna Lucia, accompagnerà il lettore verso l’imprevedibile epilogo che, a seguito dei tanti tasselli disposti dall’autore lungo il percorso narrativo come pezzi di un puzzle da ricomporre, gli apparirà possibile seppure incredibile.

Siamo certi che questa non sarà la prima e unica avventura che vedrà come protagonisti Costa e Caiazzo del commissariato di Pozzuoli.

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L’angelo della morte

“Come abbiamo accettato di affidare le nostre vite a quest’angelo della morte?”

A porsi questa domanda non è il protagonista di un thriller né di un horror ma la giornalista e attivista politica israeliana Orly Noy nel suo articolo Gli ostaggi sacrificati per un’inutile vendetta, pubblicato sul Local Call di Israele e riproposto in Italia sull’Internazionale n. 1579 del 6/12 settembre 2024.

Tanti sono gli articoli di giornalisti e scrittori israeliani, pubblicati dal settimanle italiano, in totale dissenso con la politica stragista – molti organi internazionali accusano Israele di genocidio – che il governo isreliano sta portando avanti nella Striscia di Gaza come risposta agli attacchi di hamas del 7 ottobre 2023 che costarono la vita a più di 1200 israeliani e con oltre 300 ostaggi nelle mani dei terroristi palestinesi.

Il paradosso è che mentre in Israele cresce il fronte di protesta contro la mattanza di Gaza, in Italia molta stampa, soprattutto di centrodestra, sostiene la politica stragista di Netanyahu affermando che è giusto che Israele si difenda.

Molto probabilmente questi signori dimenticano che quanto sta avvenendo nella Striscia di Gaza non è una guerra – si parla di guerra quando ad affrontarsi sono gli eserciti di due nazioni belligeranti.

A Gaza, invece, uno degli eserciti più forti al mondo, per stanare un gruppo di terroristi, sta seminando morte e distruzione in maniera indiscriminata, distruggendo scuole e ospedali. Facendo strage di civili, inclusi gli operatori di pace di organizzazioni internazionali e giornalisti.

E’ come se, per stanare un gruppo terrorista in Italia, si radesse al suolo la città dove si presume si nascondono gli affiliati, distruggendo i palazzi e sterminando la popolazione civile la cui unica colpa è quella di abitare nella stessa città.

Attraverso questa visione criminale del diritto all’autodifesa, ad oggi sono decine di migliaia le vittime palestinesi tra cui migliaia di donne e bambini.

Malgrado gli appelli da più parti, inclusi gli USA alleati storici di Israele, per fermare lo sterminio, il governo israeliano non solo dimostra di non ascoltare e di non prendere in considerazione le proposte di cessate il fuoco, ma giustifica e sostiene finanche la azioni di terrore contro i palestinesi dei coloni ortodossi nei territori occupati della Cisgiordania che spesso agiscono con la complicità dell’esercito e della polizia israeliana.

In Italia di tutto questo si sa ben poco. A esempio i tg della Rai hanno passato in sordina le parole di denuncia pronunciate dalla regista israeliana Sarah Friedland durante la premiazione all’ultima Mostra del Cinema di Venezia: “Accetto questo premio nel 336° giorno del genocidio di Israele a Gaza e nel 76° anno di occupazione. È nostra responsabilità, come registi, utilizzare le piattaforme istituzionali in cui lavoriamo per affrontare l’impunità di Israele sulla scena globale”. Del resto da un tg che trasforma in applausi i fischi diretti al ministro della cultura durante un evento pubblico che ti vuoi aspettare?

Di impunità di Israele e di genocidio in corso a Gaza ha parlato anche il Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca. Eppure le sue dichiarazioni sono state amplificate solo grazie ai social che le hanno riprese e diffuse a palla.

E’ impossibile giustificare quanto fatto da hamas il 7 ottobre 2023. Ma è altrettanto impossibile giustificare quanto sta facendo l’esercito israeliano nella Striscia di Gaza come ritornsione a quel tragico giorno!

Se un giornalista israeliano si permette di definire Netanyaha “angelo della morte”, perché molti giornalisti italiani storcono il naso se qualcuno in Italia spara a zero contro il primo ministro israeliano e il suo governo accusandoli di genocidio?

Molti affermano che in Italia sta crescendo l’antisemitismo. Personalmente non so se ciò corrisponde al vero. Ma se chi fa informazione la fecesse in maniera seria e imparziale, dando spazio anche a chi in Israele condanna Netanyhau, probabilmente l’antisemitismo in Italia, anziché crescere, si spegnerebbe.

A deviare le menti è la falsa verità. La Verità fa male solo a chi ha tutto l’interesse a non diffonderla!

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LICOLA, VIA MADONNA DEL PANTANO: UNA VERGOGNA SENZA FINE

Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, Via Madonna del Pantano esiste davvero, non è una burla di natura toponomastica. La strada si trova precisamente a Licola, nel comune di Giugliano, alle spalle del depuratore. Da anni, non appena inizia a piovere, si allaga di liquami che sorgono dal sottosuolo o si riversano dalla “cascate” d’acqua nera che precipitano sull’asfalto dai tubi nascosti nella fitta vegetazione che ricopre la massicciata a bordo strada, rendendo impraticabile lo spostamento agli abitanti i quali, oltre a dover fare i salti mortali per attraversarla, sono anche costretti a respirare i miasmi che si levano da quel mare di merda (scusate il francesismo).

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Quando non piove comunque la via tende a essere perennemente bagnata a causa di una perdita della condotta principale delle rete fognaria.

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A nulla, sembra, sono finora valse le ripetute denunce e manifestazioni di protesta da parte dei cittadini affinché gli enti preposti – Regione Campania e Comune di Giugliano – intervenissero per porre fine a tale vergogna.

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Come si conviene a dei veri napoletani gli abitanti di Via Madonna del Pantano, non avendo finora trovato riscontro alle loro giuste proteste da parte della autorità, oltre a fare sentire pubblicamente la loro voce con sit-in davanti al depuratore, interventi televisivi, articoli sui giornali e sui social, si sono affidati all’ironia dando vita a una canzone dal titolo Via Madonna Del Pantano.

Come ci ha riferito proprio ieri Antonio Lamberti membro del Comitato Piazza Cristoforo Colombo e dell’Associazione Licola Mare Pulito: “Da alcuni giorni la strada è asciutta. Speriamo che non sia solo conseguenza del caldo torrido di questi giorni ma finalmente l’atteso segnale che qualche intervento strutturale si è fatto o si sta facendo sulla rete fognaria per risolvere il problema. Per averne conferma non ci resta che aspettare le prossime piogge. Incrociamo le dita!”

Foto e filmati gentilmente concessi da Antonio Lamberti

 

 

 

 

È facile dire di un suicida, “non ci stava con la testa”; oppure, “stava vivendo un momento difficile”; o ancora, “non ha avuto la forza di reagire”. Difficile è considerarne i gesti, gli sguardi, il tono della voce e le frasi che sussurra prima di compiere il gesto estremo. Se ponessimo la giusta attenzione a questo poker di messaggi inconsci molto probabilmente saremmo in grado di individuarlo e potremmo correre in suo aiuto prima che sia troppo tardi.

Suicidio, quando l’anima va in tilt.

Il suicidio è un gesto estremo, sintomo di un malessere interiore che l’individuo non era più un grado di sopportare. Se, poi, chi lo compie trascina con sé nell’incognita della morte anche chi ama – è accaduto l’altro ieri mattina in un quartiere di Rimini dove una donna di quarant’anni si è gettata dal tetto di un condominio di cinque piani con in braccio il figlio di sei anni, entrambi sono morti sul colpo – compie, paradossalmente, anche un estremo atto d’amore in quanto, nella sua logica malata, è convinto che senza di sé la persona amata resterebbe per sempre sola soffrendo le pene dell’inferno.

Ho usato il termine logica malata perché quando si compie un gesto estremo è segno che chi lo compie ha perso i lumi della ragione. Nel caso sopraccitato pare che la donna fosse preda della depressione, un male subdolo che erode lentamente le certezze e l’autostima di chi ne è affetto fino a farlo sentire inutile, immeritevole di vivere. La sua origine sarebbe la risposta psicologica a un evento traumatico che mina le fondamenta su cui edifichiamo la vita: la fine di un amore in cui credevamo, la perdita del lavoro che ci garantiva la dignità di esistere, stress e altro.

Al di là delle cause scatenanti, solo chi ha avuto la sventura di confrontarsi con lo spettro della depressione, seppure di sfuggita, sa bene che spesso i depressi non palesano alcun segnale esteriore che lasci intuire il loro malessere. Al massimo possono apparire infelici, svogliati, stanchi. Ma, non appena glielo si fa notare, si illuminano con un freddo sorriso per smentirti, affermando: “tutto bene, sono solo un po’ stanco!”.

Eppure basterebbe un minimo di attenzione per comprendere quando ci si trova al cospetto di un’anima malata. Purtroppo, persi nei vertiginosi ritmi imposti dalla società, quasi sempre lanciamo un’occhiata fugace al prossimo, senza minimamente curarci di lui, impegnati come siamo nel dover raggiungere ad ogni costo gli obiettivi che ci eravamo preposti perché se non li realizzassimo ci sentiremmo dei falliti.

Con questo non voglio assolutamente insinuare che la donna che si è suicidata a Rimini, così come tanti altri suicidi, non fosse oggetto d’attenzione da parte dei propri cari. Ma, come ben sa chi ha dovuto lottare contro la depressione, nel momento in cui nella mente iniziano ad affacciarsi strani pensieri si cerca l’aiuto degli altri. Seppure con fare incerto, tanto che spesso la richiesta d’aiuto è scambiata per mera ricerca di compassione o bisogno di attirare su di sé l’attenzione. Per questo molti depressi nascondono il proprio malessere interiore. A nessuno piace sentirsi criticato, offeso, deriso, considerato un incapace, un disadattato.

Il malessere interiore, però, lo si può nascondere fino a che si è ancora in una condizione mentale dove i fragili equilibri che regolano l’Io non si rompono del tutto. Fino allora si è ancora in grado di badare a se stessi. Tuttavia è proprio in quei momenti che occorrerebbe avere accanto chi sappia farci sentire importanti e utili, sappia dare un senso alla nostra vita, sappia fungere da pilastro a cui appoggiarci nel momento in cui stiamo per crollare.

Quando tutto questo viene a mancare e i medicinali, se assunti, iniziano ad alimentare nella mente strani pensieri – uno degli effetti collaterali degli antidepressivi è l’insorgenza di manie suicide – il passo verso il baratro è quasi inevitabile.

È facile dire di un suicida “non ci stava con la testa”, “stava vivendo un momento difficile”, “non ha avuto la forza di reagire”. Difficile è considerarne i gesti, gli sguardi, il tono della voce e le frasi che sussurra prima di compiere il gesto estremo. Se ponessimo la giusta attenzione a questo poker di messaggi inconsci molto probabilmente potremmo correre in suo aiuto prima che sia troppo tardi.

Come ho già detto spesso il depresso sa nascondere il proprio malessere mostrandosi ilare, solare, di buona compagnia. Per cui a nessuno verrebbe in mente che quella stessa persona starebbe pianificando di farla finita.

Sì, pianificare! Il suicidio lo si studia nei minimi dettagli. Questi sono i pensieri strani a cui mi riferivo all’inizio di questo breve scritto. Quando si è stanchi di vivere ci si inizia a guardare intorno, cercando il modo più sicuro per farla finita: si misurano con lo sguardo le altezze dei palazzi per stabilire da dove converrebbe buttarsi per essere certi che il volo risulti letale; si consultano i siti internet per individuare il metodo meno doloroso e più sicuro per porre fine alla propria esistenza.

Tali accortezze non sono solo mirate ad accertarsi che saremmo in grado di riuscirvi davvero, ma anche perché vogliamo che chi amiamo e ci ama soffra soltanto per la nostra scomparsa. Senza doversi curare di noi per il resto dei suoi giorni nel caso in cui, anziché morire, restassimo invalidi.

L’anima ha pudore, le sue grida d’aiuto sono sussurri sopraffatti dalle stridenti e volgari urla dell’egoismo materiale. Questo, secondo me, è il vero dramma. Il suicida ne è una vittima. Criticarlo, giudicarlo è una mancanza di rispetto.

Se si ha fede, bisogna pregare per la sua anima. Se si è atei, bisogna tacere nel rispetto del suo gesto estremo. Tutto il resto sono chiacchiere vuote di significato.

Le esternazioni del Ministro Sangiuliano, il quale durante la serata finale del Premio Strega, alla conduttrice che lo intervistava, promise che avrebbe poi letto i libri per cui aveva votato, suscitando lo stupore della stessa, sono l’emblema di una classe politica che alla cultura attribuisce valore zero o poco più.

MISTERI, ANZI MINISTRI ITALIANI

È comprensibile che i colleghi di governo e gli alleati politici nonché i media filogovernativi minimizzino sulle gaffe e gli strafalcioni geografici e storici del Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. Tuttavia sarebbe il caso che gli stessi cercassero per un momento di porsi nei panni di quei tanti candidati a un concorso pubblico o a un qualsiasi esame. Cosa devono pensare questi ultimi, che se sbagliano una o più domande di un quiz vedono minata in maniera irreparabile il proprio passaggio alla fase successiva del concorso o compromesso il voto finale, di un Ministro della Cultura che localizza Times Square a Londra invece che a New York o che attribuisce la scoperta dell’America “alle teorie di Galileo”, peccato che Galileo nacque nel 1564 mentre l’America fu scoperta nel 1492.

È vero, tutti possiamo incorrere in una gaffe, ma se poi la stessa persona le reitera qualche dubbio sullo stato reale del suo livello culturale ci coglie, alimentando il dubbio che probabilmente è inadatta a ricoprire quel ruolo. A meno che non lo ricopra per grazia ricevuta, ma da chi e, soprattutto, perché?

Quando ci si trova al cospetto di situazioni del genere sorgono forti dubbi che in Italia i cittadini sono davvero uguali tra di loro come sancisce l’articolo 3 della Costituzione.

Sono ormai più di trent’anni che in questo paese la cultura viene derisa, umiliata da una certa classe politica che sembra nutrire verso di essa una sorta di fastidioso rigetto. Non è un caso se alcuni anni fa l’allora Ministro Giulio Tremonti affermò “la cultura non si mangia.

Le esternazioni del Ministro Sangiuliano, il quale durante la serata finale del Premio Strega, alla conduttrice che lo intervistava, promise che avrebbe poi letto i libri per cui aveva votato, suscitando lo stupore della stessa che non potè fare a meno di chiedersi in che modo avesse votato visto che non li aveva letti, sono l’emblema di una classe politica che alla cultura attribuisce valore zero o poco più.

Il problema è che molti italiani, scoprendosi ignoranti alla stregua di un Ministro della Repubblica, si sentono in pace con la coscienza e dunque giustificati a non leggere manco un libro nell’arco dell’anno. Non comprendendo che l’ignoranza del popolo è il propellente che sta trascinando speditamente il paese incontro a un passato che credevamo sepolto per sempre.

Le gaffe di Sangiuliano, unitamente a quelle di altri Ministri di questo governo secondo cui i poveri mangiano meglio dei ricchiLollobrigida, altro campione di gaffe – non devono soltanto far ridere ma prima di tutto devono far riflettere sul reale livello culturale di una parte dell’attuale classe politica italiana.

Come si può bocciare un candidato a un concorso o mettere in discussione un maturando o un laureando perché sbaglia una risposta se poi abbiamo un Ministro, per giunta della cultura, che dimostra di avere un livello culturale alquanto discutibile?

Misteri, anzi ministri italiani.

 

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UN UOMO BUONO, una presentazione ricca di spunti di riflessione

Foto di copertina, partendo da destra: dott.ssa Raffaella Villani, Gabriella, scrittrice Annamaria Varriale, l’autore, prof.ssa Floriana Vernola, scrittrice Enza D’Esculapio

Come qualunque cosa che si reitera nel tempo acquista un sapore sempre diverso a ogni replica, lo stesso accade, almeno per me, per la presentazione di un mio libro. Nel caso specifico mi riferisco alla presentazione tenutasi martedì 18 giugno presso la Mondadori di Napoli/Piazzale Tecchio di UN BUONO – mio padre malato di Alzheimer (Edizioni Helicon) in cui ho raccontato la tragedia che vivemmo con la mia famiglia quando papà si ammalò di Alzheimer.

Durante ogni presentazione del libro, in base ai relatori, vengono evidenziati aspetti diversi sviluppati nel testo – da quello religioso a quello socio/sanitario – e la partecipazione di pubblico è condizionata sia dal luogo sia dal giorno in cui avverrà. Ci sono presentazioni ricche di pubblico altre, invece, povere. Così funziona e bisogna accettarlo serenamente. Non lasciandosi né esaltare dalla nutrita presenza di gente in sala né deprimere dalle tante sedie vuote.

Personalmente ciò che importa è la partecipazione attiva dei presenti all’eventuale dibattito che potrebbe nascere dagli interventi dei relatori e dell’autore.

La presentazione di UN UOMO BUONO di martedì scorso, è stata, lasciatemelo dire, un successo sia di pubblico sia di partecipazione al dibattito che ne è seguito dove è stato messo in particolare risalto che, malgrado in Italia dal 31 gennaio 2018 è entrata in vigore la Legge 219, ossia il testamento biologico, che permette a qualunque cittadino in grado di intedere e di volere di stabilire a monte davanti a un notaio o a un pubblico ufficiale cosa fare della propria vita se si scoprisse affetto da una grave malattia come l’Alzheimer, nel nostro paese continui a esserci un atteggiamento timido da parte della politica che, “nonostante i ripetuti solleciti della Corte costituzionale con cui ha chiesto al legislatore di intervenire in materia di fine vita, il parlamento non ha emanato una legge che preveda per le persone malate il diritto di autodeterminarsi nel proprio fine vita, inclusa la possibilità di accedere all’eutanasia“.

Ascoltare le testimonianze di chi ha vissuto o sta vivendo la nostra stessa tragedia; apprendere che a distanza di anni dai fatti che ho narrato – papà finì l’8 maggio del 2011 dopo essere stato allettato per quattro anni, ma la malattia si manifestò alla fine degli anni novanta – le problematiche continuano a essere le stesse, seppure la ricerca, pare, stia facendo passi importanti, mi fa una rabbia che non vi dico.

Quando si parla di assistenza a un ammalato di Alzheimer, o a qualsiasi ammalato che richiede attenzione e cure ventiquattratt’ore su ventiquattro, non ci si riferisce solo al malato ma al contesto familiare che gli gravita intorno che ha bisogno a sua volta di assistenza per non impazzire fino a disgregarsi.

Se esistono famiglie facoltose che possono permettersi di ricoverarlo in clinica per poi andare trovarlo minimo un paio di volte a settimana, vi sono altrettante famiglie che, al di là delle disponibilità economiche, preferiscono tenerlo in casa per stargli vicino fino all’ultimo per godere della sua presenza seppure lui o lei non è più in grado di riconoscerli. A riguardo mi sovviene una storia: un tizio andava tutti i giorni in clinica a trovare la propria moglie affetta di Alzheimer. A chi gli faceva notare che era inutile che vi andasse quotidianamente perché lei ormai non era più in grado di riconoscerlo, lui rispondeva “ma io so lei chi è!”.

Proprio perché sappiamo chi è lui o lei giacente in un letto, la cui mente è ormai svanita al punto da non riconoscerci, chiedendoci “Tu chi sei?” con gli occhi spenti, penso sia nostro dovere attivarci fino alla fine al suo fianco per non fargli mancare la presenza del nostro amore. Rispettandone la volontà di farla finita con quella vita non vita, se l’avesse manifestata per iscritto e firmata in calce.

L‘Alzheimer è una malattia terribile che cancella la dignità dell’ammalato e nello stesso tempo mette a dura prova la resistenza nervosa di chi gli sta accanto, spesso inducendolo a imprecare e a invocare la morte del malato quale liberazione per tutti. In quel caso non è egoismo ma estrema umanità coniugata alla disperazione di non poter far nulla se non allungargli l’agonia continuando a curarlo.

Penso che molti di noi se solo immaginassero che un giorno, a causa dell’Alzheimer o di qualsiasi altra malattia, sarebbero costretti a giacere in un letto come ebeti, costringendo i propri cari a sacrificare la propria vita per accudirli senza alcuna speranza di guarirli ma, anzi, con la consapevolezza che la sua condizione potrà solo peggiorare, soffrendo fino alla fine le pene dell’inferno, non avrebbero alcuna difficoltà a firmare il testamento biologico per autorizzare i propri familiari a “staccare la spina” laddove la loro esistenza si riducesse a una vita non vita.

Penso che in una società civile agli individui dovrebbe essere concessa tale possibilità di decisione. Ognuno di noi è padrone della propria vita. In Italia la legge c’è ma va migliorata.

Aggrapparsi alla religione o alla filosofia può aiutare fino a un certo punto chi assite un ammalato. Solo chi ha la sventura di vivere una tragedia simile può capire quel che prova chi la sta vivendo o l’ha vissuta.  Tra i tanti significati che appartanegono al verbo amare rientra anche rispettare la volontà di chi ci sta a cuore. Per cui anche porre fine alle sue sofferenze, se è questo che vuole. Non dimentichiamoci che perfino la Chiesa è contraria all’accanimento terapeutico.

Soprattutto di questo si è parlato martedì. Grazie a quanti sono intervenuti.

Per vedere il video della presentazione cliccare qui

Relatrici: Enza D’Esculapio, scrittrice; Raffaella Villani, dottoressa

Coordinatrice: Annamaria Varriale, scrittrice

Lettrice: prof.ssa Floriana Vernola

Si rigraziano Gabriella e Claudio titolari della libreria Mondadori di Napoli, Piazzale Tecchio – Stazione FS di Campi Flegrei

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Il poeta e il boss (racconto)

(Foto di copertina: Caspar David Friedrich, Due uomini che contemplano la luna (1819; olio su tela, 34,9 x 43,8 cm; Ne York, The Metropolitan Museum of Art)

All’anagrafe il suo nome era Antonio C. ma fin da ragazzino tutti lo chiamavano ‘o poeta per via della sua innata verve a comporre versi, in qualunque occasione. Quando in famiglia c’era un evento importante, i familiari gli chiedevano una frase da scrivere su un biglietto d’auguri o da declamare durante una cerimonia. Tutto ciò lo faceva sentire importante. E ancora più importante iniziò a sentirsi quando, a scuola, prima i compagni di classe e poi anche i professori, venuti a conoscenza delle sue qualità poetiche, lo avvicinavano per chiedergli qualche verso da dedicare a una ragazza o a un ragazzo, a una donna o a un uomo, a un figlio o a una figlia.

Tutto andò per il verso giusto fino a quando non iniziò a lavorare. L’impatto con la realtà lavorativa gli svelò quanto fossero distanti tra loro il mondo del lavoro e quello della poesia. Se da un lato i colleghi lo cercavano perché scrivesse loro brevi frasi da riportare sui bigliettini d’auguri, dall’altro i titolari, temendo che lui sacrificasse il lavoro per la poesia trascinando anche gli altri, lo sorvegliavano nemmeno fosse il peggiore dei criminali. E non appena si presentò l’occasione per poter tagliare il personale senza incorrere nelle maglie della giustizia, il primo che fecero fuori fu lui.

Mentre i familiari e i gli amici si preoccupavano del suo futuro, lui sembrava non darci peso. Anziché impegnarsi nella ricerca di un nuovo lavoro, trascorreva giornate intere a passeggiare per le vie della città guardandosi circospetto intorno alla ricerca dell’ispirazione, fissando su di un quadernetto che portava nella tasca dei pantaloni i pensieri che gli sovvenivano. Non aveva alcuna difficoltà a ispirarsi in una bella donna che incrociava per strada, in un barbone ubriaco sdraiato sul marciapiede o in una torma schiamazzante di ragazzi che giocavano a per strada.

La sua presenza discreta e nello stesso tempo tangibile per via del suo fisico possente – era alto un metro e novanta e aveva un fisico da culturista, pur non avendo messo mai piede in palestra – per le vie dei quartieri, in particolar modo quelli dove la malavita era radicata, inizialmente suscitò preoccupazione al punto che le “vedette” lo seguivano come un’ombra temendo che fosse un Killer di un clan rivale o un infiltrato della polizia.

Quando fu chiaro a tutti che non era né l’uno né l’altro, ma solo uno “spostato”, uno che non ci stava con la testa, che scriveva poesie mentre camminava, tutti iniziarono a guardarlo con simpatia. Qualcuno addirittura iniziò a volergli bene.

Essendo una persona istruita qualcuno gli propose di dare lezioni ai ragazzini dei quartieri. Lui fu ben felice di fungere da istitutore e iniziò a collaborare con la parrocchia e con le associazioni di volontariato per il recupero dei ragazzi a rischio.

Tutto andò per il meglio fino a quando il figlio di un boss che seguiva con costanza le sue lezioni non iniziò anche lui ad appassionarsi alla poesia in maniera viscerale divenendo la sua “ombra” durante le sue lunghe e solitarie passeggiate che faceva per i vicoli.

Una mattina due uomini dai tratti somatici cruenti lo avvicinarono nei pressi di un bar e lo invitarono a seguirli. Intuendo che non poteva rifiutarsi, seppure a malincuore, ubbidì. Lo condussero in una palazzina dalla facciata fatiscente. Salirono la scalinata dagli enormi lastroni in pietra ed entrarono in un appartamento enorme, arredato in stile moderno che stonava con l’esterno sgarrupato dell’a’edificio. Era la residenza del boss del quartiere che lo attendava seduto su un trono dalle bordature di oro zecchino

<<Benvenuto, prufessò>>.

<<Grazie>>.

<<Prufessò, a me nun piace perdere tiempo, dunque vi spiego subito perché siete qui>>.

<<Posso immaginarlo>>.

<<Ah, sì? Me fa piacere, accussì mi risparmiate ‘e perdere tiempo: vuje ‘a cca ve n’ata i’!>>.

<<Perché a vostro figlio piace la poesia?>>.

<<Pe’ meza vostra, mio figlio nun se sape fa rispettà!>>:

<<Vostro figlio ha un animo nobile, ha la poesia nel cuore>>.

<<E ‘sta cosa nun va bene>>.

<<Perché?>>.

Il boss scese dal trono, gli si fece incontro, lo prese per il braccio e lo portò davanti a un enorme specchio ovale.

<<Che vedite dinto ‘o specchio?>> domandò.

<<Voi e io>>.

<<Sulamente chesto?>>

<<Che altro dovrei vedere?>>

<<Na perzona elegante e nu pezzente!>>

<<Il pezzente sarei io?>>

<<E chi, sennò? Guardate comme site cunciate: tutto spuorco, paretite nu barbone!>>

<<L’abito non fa il monaco>>.

<<E chi l’ha ditta ‘sta strunzata?>> Il boss scoppiò a ridere, una risata grassa. <<Prufessò, l’abito fa il monaco pecché quand’ l’ommo veste elegante significa ca tene e sorde>>.

<<Per voi contano solo i soldi nella vita?>>

<<Pecché, ce sta coccosa cchiù importanete de’ sorde?>> Tacque e osservò a lungo le loro immagini riflesse nello specchio. <<Prufessò, nun voglio ca mio figlio fa ‘a stessa fina vostra. A ccà ve n’ata i’!>>.

<<Se mi rifiutassi?>>.

<<Significa ca teneti curaggio, ca ‘a morte nun ve fa appaura!>>.

<<Perché dovrei temere di morire? La morte è solo un cambiamento di stato, l’anima è immortale.>>

Il boss lo fissò a lungo. <<Dunque nun ve ne volete andare?>>

<<No!>> rispose deciso.

<<E va bene>>. Il boss si rivolse ai due guardaspalla che gli avevano portato il poeta. <<Accompagnate il signore alla porta>>.

Quando fu in strada il poeta tirò un lungo respiro. Poi si incamminò tra i vicoli. Era così preso dai suoi pensieri che non si avvide della motocicletta che sopraggiungeva alle sue spalle a folle velocità. Si voltò solo quando sentì il rombo assordante riecheggiargli nelle orecchie. Fu un attimo. L’ultima cosa che vide fu la motocicletta piombargli addosso e sbalzarlo lontano dopo un volo durante il quale gli passò davanti tutta la vita.

I funerali furono fatti con una colletta degli abitanti del quartiere. La chiesa era stracolma. A celebrare il rito funebre fu lo stesso prete che segnalava al poeta i ragazzi da recuperare.

<<Chiunque abbia fatto questo, non immagina il male che ha arrecato a se stesso. Antonio era un sant’uomo. E quando si toccano i santi, si tocca Dio. E Dio non solo è amore ma è anche vendetta!>> disse concludendo la sua omelia.

Alcuni giorni dopo i funerali, il boss iniziò a sognare il poeta demaclargli le sue poesie in maniera ossessiva. Quel sogno diventò un incubo tanto che il boss non riusciva più a dormire.

Stanco e spossato dalla vita insonne, il boss una mattina chiamò suo figlio.

<<Da domani sostituisci il poeta>>.

<<In che senso?>> domandò il ragazzo incredulo.

<<Ti occuperai tu di insegnare a leggere e a scrivere ai ragazzi del quartiere. Se davvero hai la poesia nell’anima, come lui diceva, non ti sarà difficile sostituirlo>>.

<<Sei stato tu!>> mormorò fissando il padre con lo sguardo iniettato di sangue. <<Sei stato tu a ucciderlo! Perché?>>.

<<Le domande non servono a niente. Da domani tu prenderai il suo posto>>.

<<Sì, ma a una condizione>>.

<<Quale?>>

<<Indosserò i suoi abiti!>>

Il boss lo fissò a lungo in silenzio. <<Va bene>> disse alla fine.

Quando il figlio andò via, il boss si avvicinò al mobile alle sue spalle. Aprì un cassetto, prese la pistola che vi era custodita, se la puntò alla tempia e tirò il grilletto. Lo sparò riecheggiò nella casa, ma lui era ancora vivo.

Con la pistola tra le mani si parò davanti allo specchio. Il vetro non rifletteva la sua immagina.

<<Ma allora sono morto>> mormorò tra i denti.

<<No, non sei morto>>. Il poeta apparve al suo fianco. <<Te l’avevo detto, la morte è solo un cambiamento di stato. L’anima è immortale.>> Con lo sguardo indicò il corpo riverso sul pavimento in una pozza di sangue.

<<E ora che succederà?>> domandò il boss fissando il proprio cadavere.

<<Nulla. Fortunatamente ti sei lasciato intimorire dal sognarmi ripetutamente e alla fine hai messo da parte le tue reticenze e la tua prosopopea, permettendo a tuo figlio di seguire la sua strada. Ti sembrerà strano ma con questo gesto hai salvato te stesso. Ma non basterà per garantirti una vita serena nella prossima esistenza>>.

<<Cosa devo fare?>>

<<Andare in sogno a tutti quelli che erano ai tuoi ordini e infondere nelle loro anime pensieri d’amore>>.

<<Pensi davvero che basterà loro sognarmi per abbandonare il crimine?>>.

<<I sogni sono il linguaggio dell’anima. Tu coltiva i loro sogni con messaggi d’amore e vedrai come cambieranno strada.>>

<<Grazie!>> mormorò il boss.

<<Non devi ringraziare me ma te stesso!>>

<<Me stesso?>> domandò incredulo.

<<Anche tu da ragazzo, come tuo figlio, sognavi di essere un poeta, ma poi il tuo sogno lo hai chiuso a chiave nel cassetto perdendolo di vista.>>

<<Sì, è vero, mio padre mi impose di diventare un boss come lui e non ho mai più né scritto né letto poesie.>>

<<Ma la tua anima il tuo sogno da ragazzo non lo ha mai perso di vista e, con tua moglie avete concepito vostro figlio, quel sogno lo ha trasfuso in lui perché si realizzasse.>>

Il boss sorrise.

<<Te l’ho detto>> continuò il poeta <<l’anima non muore mai e con lei i nostri sogni. La morte non esiste, è solo un cambiamento di stato. Così come quando, dopo morti, ritorneremo a vivere in nuovi corpi, così i nostri sogni cambieranno di stato realizzandosi nelle vite successive o attraverso noi stessi o mediante i nostri figli. Gli uomini non sono altro che sogni in eterna espansione in quanto la vita non è altro che un sogno infinito.>>

Detto ciò sia lui che il boss si dissolsero come nebbia al sole.

Il nuovo giorno stava per nascere, un nuovo sogno stava per cominciare.

Se da un lato il Ministro ha ragione nel mettere in evidenza che chi ha deciso di vivere nei Campi Flegrei è consapevole dei rischi che corre, dall'altro dovrebbe spiegare perché quando si decide di costruire abusivamente, da nord a sud, in aree a rischio  - non solo nelle zone vulvaniche ma anche a ridosso degli argini di un fiume o sulle pendici di colline disboscate senza criterio dove facili sono le frane a seguito di un temporale - vengono rilasciati i contratti per l'allacciamento delle varie utenze. Se davvero si volesse arginare l'abusivismo edilizio basterebbe negare per legge i contratti di luce, acqua, gas e telefono laddove non si può costruire.

A volte, se tacesse, la politica renderebbe un servizio prima di tutto a stessa

Dopo il violento sciame sismico, effetto del bradisismo, di lunedì 20 maggio che dalle 19,51 alle 22,30 ha fatto registrare nei campi flegrei sei scosse di magnitudo superiore a 3.0, di cui una di 4.4 alle 20,10, con oltre 150 scosse tra lunedì sera e martedì mattina, alla stima dei danni diversi edifici sono risultati inagibili e gli sfollati ospitati provvisoriamente da parenti/amici, nelle tendopoli o negli alberghi.

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A seguito di ciò ci si aspettavano parole di conforto e di incoraggiamento verso la popolazione da parte di un Governo presieduto da una donna che si dice orgogliosa di essere del popolo. Viceversa anche il Ministro della Protezione Civile Nello Musumeci non si è risparmiato una dichiarazione al veleno, che sa quasi di gaffe – dopo quella del Ministro degli Interni Piantedosi sui migranti morti a Cutro che colpevolizzava i genitori dei bambini annegati per averli imbarcati, o quella, tra le tante, del Ministro dell’Agricoltura  Lollobrigida cognato della Premier il quale in Parlamento disse testuale: “Per fortuna la siccità ha colpito al Sud e in particolare la Sicilia” . Parole che lasciano presagire quanti e quali benefici, ovviamente detto in senso ironico, l’autonomia differenziata porterà al Sud. Fermo restando che la riforma parte dalla modifica del Titolo V° della Costituzione approvata dal Governo Amato II, governo di centrosinistra, e poi confermata con un referendum popolare il 7 ottobre 2001.

Il Ministro Musumeci, pur affermando che il Governo stanzierà 500 milioni di euro per mettere in sicurezza gli edifici nella zona rossa e aiuterà economicamente chi vorrà lasciare i Campi Flegrei, ha aggiunto con un pizzico di polemica, “Ma chi ha scelto di vivere lì sapeva che era un’area difficile, che presenta rischi. Ce ne ricordiamo solo quando la terra trema e questo è un grande limite, serve una convivenza vigile col pericolo. Se decidi di stare in quel luogo ci devi aiutare a promuovere una convivenza responsabile con una maggiore consapevolezza“.

Se da un lato il Ministro ha ragione nel mettere in evidenza che chi ha deciso di vivere nei Campi Flegrei è consapevole dei rischi che corre, dall’altro dovrebbe spiegare perché quando si decide di costruire abusivamente, da nord a sud, in aree a rischio  – non solo nelle zone vulcaniche e a rischio sismico ma anche a ridosso degli argini di un fiume o sulle pendici di colline disboscate senza criterio dove facili sono le frane a seguito di un temporale – vengono rilasciati i contratti delle varie utenze. Se davvero si volesse arginare l’abusivismo edilizio basterebbe negare per legge gli allacciamenti di luce, acqua, gas e telefono laddove non si può costruire.

Se a questo paradosso si aggiunge che spesso i governi, non solo di centrodestra, emanano condoni edilizi per rimpinguare le casse dello Stato e accativarsi le simpatie elettorali della gente, rendendosi in tal modo indirettamente complici dei successivi eventuali disastri che si verificherebbero nelle aree condonate a seguito delle stesse cause che le rendevano inedificabili, sarebbe stato meglio se Musumeci si fosse risparmiato la cazziata a chi ha deciso di vivere nei Campi Flegrei, soprattutto se c’è nato.

Facile scaricare le responsabilità sulle spalle dei cittadini.  A volte, se tacesse, la politica renderebbe un servizio prima di tutto a se stessa.

Come spesso accade quando un evento drammatico costringe un'intera comunità ad abbandonare in maniera precauzionale e repentina le abitazioni, gli sciacalli, ovvero coloro che si nutrono delle altrui sventure, sono pronti a entrare in azione.

Emergenza bradisismo, attenti agli sciacalli.

 

Come spesso accade quando un evento drammatico costringe un’intera comunità ad abbandonare in maniera precauzionale e repentina le proprie abitazioni, gli sciacalli, ovvero coloro che si nutrono delle altrui sventure, sono pronti a entrare in azione.

Se dopo un terremoto gli sciacalli vanno in giro per le case abbandonate per depredarle di ogni bene, in queste ore di tensione in cui la terra flegrea sta facendo i capricci costringendo sempre più persone ad abbandonare le abitazioni a causa dei danni provocati dalle scosse o semplicemente perché ha paura di starsene in casa, si rincorrono le segnalazioni di pseudotecnici che, muniti di cartellino ben in vista sul petto, bussano alle porte degli appartamenti dichiarando di dover controllare se ci fossero danni strutturali e, una volta in casa, ne approfitterebbero per rubare.

Perfino se si presentassero vigili urbani o vigili del fuoco in divisa, se non fossero stati chiamati da chi abita nell’appartamento o non fossero accompagnati dall’amministratore dello stabile, non sono autorizzati per nessun motivo a entrare in casa.

Come sempre le prede più appetibili di questi schifosi criminali sono le persone anziane.

Stiamo in campana, non lasciamo gli anziani e le persone fragili in balia di gente senza scrupoli.

Il bradisismo scuote Pozzuoli e tutta l’area flegrea, aumenta l’angoscia e la rabbia dei cittadini

Aleggia un silenzio surreale e assordante questa mattina su Pozzuoli e su tutta l’area flegrea. Dalle 19,51 di ieri sera è in corso uno sciame sismico, effetto del bradisismo, che finora ha fatto registrare oltre 150 scosse.  Quella più forte alle 20:09 di magnitudo 4.4. Preceduta e seguita da altre scosse di magnitudo importanti (3.5, 3.9, 3.1, 3.6) come segnalato dall’INGV.

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A seguito di ciò centinaia di persone hanno preferito trascorrere la notte in auto o nelle tendopoli allestite prontamente dalla protezione civile in varie aree del capoluogo flegreo.

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Lo stato d’animo della cittadinanza oscilla tra il timoroso, il rassegnato e l’arrabbiato.

Il timore è alimentato dall’insicurezza conseguente a una situazione che va avanti ormai da più di un anno in un crescendo di sciami e scosse di media e forte entità che non accenna a placarsi.

La rassegnazione per l’impossibilità di far fronte a un evento i cui sviluppi futuri nel breve e lungo termine sono ignoti prima di tutto ai cosiddetti esperti i quali, se da un lato tendono a tranquillazzare la popolazione che quanto sta avvenendo rientra nella norma del caso, dall’altro non escludono che in futuro non possano esservi ulteriori eventi sismici di entità superiore, non escludendo un’eventuale eruzione come avvenne nel 1538 determinando la nascita di Monte Nuovo.

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La rabbia per quello che agli sguardi di molti cittadini appare un lento e tentennante muoversi delle autorità, locali e nazionali, nel pianificare efficaci azioni preventive affinché, nella peggiore delle ipotesi, si possa avvertire ed evacuare in tempo la popolazione nel caso di un’eruzione.

Nell’attesa che qualcuno si assuma la responsabilità di spiegare alla gente cosa deve aspettarsi nei prossimi giorni e cosa eventualmente fare per evitare il peggio, questa precarietà informativa, denunciata dal professor Luongo ex direttore dell’Osservatorio Vesuviano,  accresce lo stato di disagio nelle persone le quali si sentono abbandonate a se stesse.

C’è da augurarsi che la presenza del Presidente De Luca giunto in tarda serata ieri a Pozzuoli per incontrare il sindaco e rendersi conto di persona di quanto stava accadendo non fosse solo una mera passerella politica, ma un segnale forte e sincero della presenza dello Stato al fianco della popolazione.

In queste ore drammatiche l’unica cosa di cui i puteolani e tutti gli abitanti dell’area flegrea non hanno assolutamente bisogno è covare il dubbio che le loro angosce siano strumentalizzate dalla politica.