VANIA FERESHETIAN, ‘A PUTECA ‘E LL’ARTE

Da venticinque anni impegnata nel campo dell’associazionismo, Vania Fereshetian è la fondatrice e responsabile dell’associazione culturale ‘A PUTECA ‘E LL’ARTE con sede a Pozzuoli in Località San Martino.

Vania da quanto tempo esiste “’a puteca ‘e ll’arte”?

Da tre anni anche se sono ben venticinque che mi interesso di associazionismo: con mia sorella fondammo l’associazione Il Filo della Fortuna. Poi lei si ammalò e per diverso tempo sono rimasta ferma, ma alla fine l’amore per l’arte ha prevalso e ho ripreso le mie attività. Nello specifico ‘a pu­teca fa parte di un progetto molto più vasto qual è l’Associazione San Martino che si occupa di tante altre cose. Ci siamo divisi un poco i compiti, io mi interesso di arte, spettacolo e cultura.

Qual è realmente la tua professione?

Sono insegnante elementare, al momento insegno psicomotricità. In campo artistico sono sceneggiatrice e regista.

Come regista cosa hai fatto?

Diverse cose di teatro. Non a caso ho sempre avuto un’associazione con una compagnia teatrale. Oggi abbiamo la possibilità di avere questa bella struttura e il nostro intento è di essere presenti attivamente sul territorio flegreo.

Perché questo “intento” ambizioso, se posso permettermi?

Io credo che la nuova generazione debba crescere nel rispetto della cultura. Attraverso la nostra associazione ci proponiamo di curare specifici aspetti culturali come la tradizione napoletana.

In tre anni di attività cosa avete fatto?

Tanto! Ci siamo molto mossi sul territorio: siamo stati negli ospedali, abbiamo fatto spettacoli per raccolte di beneficenza, siamo stati nei canili. In generale cerchiamo di essere molto attenti e propositivi rispetto alle problematiche che ci circondano. Abbiamo realizzato anche eventi riguardanti appunto la cultura napoletana.

Per essere più precisi, voi vi occupate solo di teatro o spaziate nei vari campi artistici?

Per noi tutto è arte, non solo la scrittura, che io amo, o la pittura ma può esserlo anche il ritaglio del giornale fatto in un certo modo. Secondo me arte è tutto ciò che viene dal cuore e dalla manipolazione mettendosi in gioco con se stessi e con gli altri.

Voi fate anche laboratori?

Sì! Cerchiamo di incentivare i laboratori teatrali e musicali; facciamo propedeutica musicale per i più piccoli per avvicinarli all’arte intesa come crescita dell’anima e quindi crescita interiore. Considera che abbiamo a che fare con bambini “speciali” ai quali questo tipo di attività serve per renderli fantastici più di quanto già non sono.

Sul territorio esattamente che cosa avete fatto?

Per lo più eventi musicali anche se devo ammettere con rammarico che abbiamo qualche difficoltà a “muoverci” nell’area flegrea…

In che senso?

Ho la sensazione che in generale le persone siano restie ad avvicinarsi e ad avvicinare i propri figli a questo tipo di attività, forse perché ne minimizzano il valore rispetto all’andare in palestre o al frequentare una scuola calcio. Ecco noi vorremmo che la gente capisse l’importanza di questo tipo di attività finalizzate allo sviluppo interiore dell’essere.

Avete anche collaborato con le scuole?

Sì, ma purtroppo anche in quel caso non abbiamo avuto dei riscontri entusiasmanti ma non saprei dirti il perché!

Avete una programmazione?

La programmazione la facciamo di volta in volta dato che a me non piace stringermi e operare su una specifica cosa perché programmata a monte su carta. Mi piace invece tener conto delle esigenze del momento e muovermi rispetto a quelle per cercare di soddisfare i bisogni attuali delle persone. Oddio, una programmazione in linea generale l’abbiamo nel senso che già so cosa faremo – laboratori, eventi -, ma spaziando senza restrizioni. I nostri laboratori sono “aperti”, ossia i partecipanti non sono assoggettati a una singola idea su cui lavorare bensì sono liberi di dare spazio alla propria creatività senza vincoli tematici e di altro genere.

La vostra sala può ospitare fino a cento posti a sedere, come spettacoli teatrali cosa avete realizzato?

Per lo più spettacoli legati alla tradizione napoletana: l’ultimo riguardava la “posteggia” a cui hanno aderito tanti artisti napoletani famosi che ebbero la sensibilità di capire quanto fosse importante dare un contributo all’associazione e soprattutto alla causa per cui ci battevamo.

La risposta del pubblico come fu?

Certamente non negativa, anche se non mi sarebbe dispiaciuta qualche presenza in più.

Per l’anno in corso che progetti avete?

Cercare di far sì che i ragazzi si avvicinino alle nostre attività, essendo loro la fonte del domani. Dico questo perché avendo già lavorato in passato con i giovani, soprattutto con gli adolescenti, ho avuto modo di appurare che la vicinanza all’arte li rende migliori; acquisiscono una buona capacità di reazione con il mondo esterno dove purtroppo l’etica e la morale assurgono sempre più a utopie! Rischiando di sembrare immodesta, lasciami dire che molti di quelli che in passato hanno lavorato con noi ancora oggi mi chiamano per ringraziarmi. Alcuni attualmente sono all’accademia a Roma o sono diventati importanti a livello musicale, ma non chiedermi di fare nomi perché per rispetto non li farò mai. Attraverso questa attività ho avuto più di una testimonianza di come l’arte possa risolversi in maniera positiva per il futuro dei giovani. Ovviamente con l’ausilio delle famiglie, senza quello sarebbe difficile se non addirittura impossibile!

 

INTERVISTA AL MAESTRO ZEN VINCENZO CROSIO

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Di seguito la versione integrale dell’intervista a Vincenzo Crosio pubblicata su comunicaresenzafrontiere.it; a margine la successiva puntualizzazione di Vincenzo in un commento su Facebook

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Pozzuoli. Sabato 12 gennaio, per la rassegna “Quattro Chiacchiere Con L’Autore”, presso Lux In Fabula si è svolto l’incontro con il maestro zen Vincenzo Crosio che, presentando il  suo libro IL KOAN DEL RAMO SPEZZATO edito da Aletti Editore dove si affronta il tema dell’ikebana, l’arte giapponese di disporre in un vaso i fiori spezzati, ha discusso in maniera diffusa della filosofia zen e del concetto secondo cui nell’universo nulla è perfetto ma perfettibile, ossia migliorabile.

Per essere più chiaro Vincenzo ha mostrato ai presenti prima una composizione di fiori e foglie colti e disposti da lui stesso nel vaso in modo da formare con le loro estremità una spirale tendente verso l’alto, simbolo della vita in eterna evoluzione; quindi una tazza  di ceramica  giapponese: mostrandone il fondo grezzo, ha spiegato che non si trattava di un errore dell’artigiano bensì di una caratteristica voluta apposta per testimoniare che nell’universo nulla di perfetto; che si parte dal grezzo per ottenere, dopo un lungo processo di raffinazione mediante il lavoro, la tazza e le sue delicate decorazioni.

Poiché tale procedimento di purificazione, secondo lo zen, sarebbe infinito, ecco il motivo della presenza di un piccolo errore in qualsiasi opera si rifaccia a tale filosofia. Ciò ricalca il concetto, sempre cinese, dello yin e dello yang, il nero e il bianco, dove nel nero vi è una goccia di bianco e viceversa a testimonianza che gli opposti non sono mai separati l’uno dall’altro.

A fine serata abbiamo posto alcune domanda al maestro Crosio.

E’ un’anomalia che un occidentale rivesta il ruolo di maestro zen o rientra nella norma?

Rientra nella norma perché l’incontro tra Oriente e Occidente è destinato a verificarsi. In fondo si tratta di capirsi: due più due fa quattro sia in Oriente che in Occidente, come diceva Newton.

Enzo come ti sei avvicinato a questa realtà?

Da giovane ho avuto un’esperienza molto dura, la mia generazione negli anni settanta si è impattata con gli anni di piombo. Mi trovai a Parma e fui letteralmente ospitato, curato ed educato dal monastero zen di Fudenji in quanto ero un samurai sconfitto.

In che senso eri un samurai sconfitto?…

Sono stato un guerriero del movimento del settantasette. Alla fine tutto questo cozzava contro le imperizie, una non conoscenza che lo Zen invece ha formato.

Oggi che attività svolgi?

Sono pensionato. La mia attività era quella di insegnante e sono stato anche rettore e direttore del seminario teologico avendo l’attitudine a quella che definisco la teologia della grazia: io sono un teologo della grazia, spero che gli uomini siano felici!

Quindi il tuo ruolo di maestro zen ti sarà stato di aiuto nel rapporto con gli studenti…

Moltissimo! Non lo dico per vanteria ma capire tutte le dinamiche di una ragazzo, soprattutto quelle di chi viveva nei rioni a rischio, ha significato letteralmente salvare dalla criminalità, dalla droga e dall’alcol tanti giovani. A scuola avevamo una “scuola del samurai” che era molto disciplinata ma nello stesso tempo molto aperta alle affettività. Tutto ciò l’ho sempre considerato come un compito affidatomi da Dio di cui non ne ero consapevole: di fronte al dolore estremo di alcune persone è come se mi fossi gettato nel fuoco insieme a loro per salvarle.

Suggeriresti a chiunque di avvicinarsi all’ikebana?

Si! Ordinare i fiori nel vaso, che sembrerebbe una sciocchezza, introduce a un fatto pratico, ossia le mani devono comporre un vaso di fiori seguendo dei criteri personali ma che ubbidiscono a un gusto che alla fine fa sì che questo gesto semplice produca la bellezza in un salotto, in una cucina, perfino in un bagno. Attraverso l’ikebana possiamo rendere vivibili anche gli spazi più imbarazzanti, a conferma che gli opposti, in questo caso bello e brutto, si compenetrano l’uno nell’altro. Proprio come indicano i simboli dello yin e dello yang!

Secondo alcuni, noi occidentali in virtù del nostro vivere caotico non saremmo portati per le dottrine meditative di tipo orientale. Tu che da occidentale sei assurto al grado di maestro zen ovviamente sconfessi questa teoria…

Assolutamente sì! Ogni popolo ha dentro di sé un cuore zen, ossia generoso, e una delle città occidentali dove si attua in maniera inconsapevole la filosofia zen è Napoli, essendo per natura disposta all’accoglienza e alla generosità verso il prossimo. In qualche modo l’incontro tra Oriente e Occidente è esattamente l’incontro che descrive il mio maestro il quale chiese a un monaco tibetano “scusi ma l’occidente non le ha insegnato niente?”.

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Commento all’articolo di Vincenzo Crosio apparso su Facebook: “Grazie a Vincenzo Giarritiello, una persona colta e molto disponibile…anche se chiamarmi maestro e poi maestro zen è un po’ eccessivo. Ho raggiunto nella ordinazione laica – ripeto laica- il grado di Maestro assistente I, che non è poi così oneroso, anzi. L’unico maestro per me è uno solo, il principio creatore, l’infinita misteriosa genesi ed evoluzione del tutto. Sono solo un praticante e nemmeno così bravo! Come spiego nell’intervista la ‘regola morale’ ,la ‘paramita’ , mi ha forgiato all’attenzione degli altri, questo sì e lo devo ai miei maestri del Monastero Zen di Salsomaggiore che ho avuto l’onore di servire per oltre 20 anni con dedizione. In cambio ne ho ricevuto educazione, nutrimento e sapienza. Mi ha forgiato come uomo, consapevole che esistono delle pratiche e dei doveri, in cui tutti siamo chiamati ad agire. Agire oggi significa aver cura di sé e degli altri, dell’uno e dei molti, con una felice espressione di un famosissimo Sutra , il ‘Sandokai’, la via dell’uno e dei molti. Ecco la via di mezzo è esattamente la via dell’uno e di molti.”

INTERVISTA AL PITTORE CIRO D’ALESSIO

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Di seguito l’intervista integrale al pittore Ciro D’Alessio pubblicata su comunicaresenzafrontiere.it 

Ciro sei napoletano o puteolano?

Napoletano.

Come mai hai lo studio a Pozzuoli?

Pozzuoli è una città tranquilla, vivibile, piena di storia e, per quanto mi riguarda, molto interes­sata alle manifestazioni artistiche per cui quando trovai questo gruppo di amici che esponeva sulle Rampe Causa decisi di unirmi a loro e successivamente aprii questo mio spazio proprio accanto alla sede di Terra di Pozzuoli. (Via Marconi, 3A – nei pressi del Rione Terra)

Esporre sulle Rampe Causa cosa rappresenta per un pittore di professione come te?

Rispetto ad altre esposizioni di questo genere che si fanno a Napoli e in tante altre città, questo è un luogo in cui si sta tra amici. Per cui questa familiarità rende l’esposizione un momento non solo professionale ma di simpatica aggregazione. Oltre ovviamente alla visibilità che ne deriva per chi espone in quanto le rampe, congiungendo la zona alta di Pozzuoli con quella del porto, sono frequentatissime soprattutto nei fine settimana.

Osservando i tuoi dipinti mi sembra di capire che tu ami dipingere con la spatola…

Sì, sono oli applicati a spatola.

Hai dei riferimenti artistici?

No, seguo il mio percorso cercando di ricavarmi un mio spazio nel mondo dell’arte contemporanea. Certo, faccio riferimento sia alla lezione ottocentesca prestando attenzione alla natura, sia a quella novecentesca dove l’arte viene intesa come una forma autonoma, ovvero espressione di un pensiero tramite colori e gesti.

I tuoi quadri sono pieni di luce. Poiché si dice che l’espressione artistica riflette lo stato interiore di chi la manifesta, ciò indicherebbe che sei una persona solare!

Non saprei: la nostra interiorità è complicata per cui a volte le manifestazioni artistiche sono solari ma l’intimità di chi le realizza vive una condizione totalmente diversa che non esterna quel che si è ma ciò che si vorrebbe essere. Se non addirittura qualcosa di molto più profondo che va al di là della personalità descrittiva dell’individuo.

Ogni artista ha qualcosa da comunicare, il tuo messaggio qual è?

Non credo di avere un messaggio specifico da comunicare, diversamente non sarebbe arte ma opera messianica. Personalmente ritengo che l’arte sia la sintesi tra l’universale e il particolare che si esprime in un’immagine; l’incontro tra relativo e assoluto da cui ha origine la vita stessa, in questo caso rappresentata dall’espressione artistica!

Tu dipingi in quanto senti il bisogno naturale di dipingere…

Certo, ma penso che questo valga per tutti essendo l’arte una necessità espressiva.

Quindi il significato delle tue opere lo deleghi all’interpretazione di chi le ammira?

Anche! Per me dipingere è un giocare, un dialogare con l’osservatore: io propongo l’immagine, lui la completa con la sua immaginazione interpretativa.

Volendo accostarti a un grande pittore, alcuni tuoi quadri mi ricordano Van Gogh, Renoir, Mo­net…

Grazie per l’accostamento che mi lusinga molto. Per quanto mi riguarda cerco di fare il mio per­corso individuale, anche se ci sono dei grandi maestri che sono punti di riferimento imprescindibili per chiunque dipinga, ma ognuno deve rilucere di luce propria attraverso un lavoro di ricerca perso­nale, altrimenti non “fai” ma “rifai”, il che è diverso! Sicuramente ciò che accomuna me e tanti altri artisti ai grandi pittori da lei citati è il gusto per la materia intesa come materia pittorica che non si riduce a immagine ma che fuoriesce dalla superficie e sembra avere una vita propria.

Tu dipingi da che eri ragazzo?

Sì! Ho fatto il mio primo quadro a olio a diciassette anni e da allora non ho più smesso.

Hai fatto studi specifici?

No! Presi la licenza classica e successivamente iniziai a studiare filosofia. Inizialmente la pittura rappresen­tava un momento di svago dalla fatica degli studi. Poi quel momento diventò più importan­te dello studio e decisi di farne il mio lavoro.

Auspici per il 2019?

Da poco ho allestito questo studio e spero diventi un punto d’incontro e di riferimento per chi ha interesse per la pittura. Fare parte di Terra di Pozzuoli mi consente di confrontarmi con altri pittori ricevendo sempre nuovi stimoli e idee e, spero, dando a mia volta suggerimenti utili agli altri. Del resto ritengo sia questo il senso dell’associazionismo: crescere insieme!

 

INTERVISTA A SALVATORE VOLPE, COORDINATORE DI “TERRA DI POZZUOLI”

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Di seguito l’intervista integrale pubblicata su comunicaresenzarontiere.it

Come nasce l’idea di fondare Terra di Pozzuoli?

A Pozzuoli e in generale sul territorio flegreo abbiamo sempre avuto la necessità di esprimere arte in quanto riteniamo fosse necessario dare spazio ai tanti artisti, non solo pittori, che abitano in loco.

Anche perché da sempre Pozzuoli porta la nomea di avere una sua scuola e un suo stato di artisti. Per cui il nostro scopo iniziale, a partire da Nino D’Amore fondatore e Presidente dell’associazione, era quello di raccogliere principalmente artisti di origine flegrea. Seppure in parte, ci siamo riusciti e per il secondo anno consecutivo ci proporremo sul territorio. A riguardo abbiamo già presentato la richiesta al Comune per poter nuovamente usufruire di quelle che ormai riteniamo le “nostre” scale, le Rampe Raffaello Causa, su cui esponiamo in maniera da dare visibilità ai nostri associati.

Dell’associazione fanno parte solo artisti flegrei?

Purtroppo pochi e questo è un nostro grande rammarico! A Pozzuoli vivono tantissimi artisti di valore ma, non so perché, sono restii a partecipare. Alla nostra associazione sono iscritti artisti provenienti da ogni parte di Napoli, dal giuglianese, perfino dalla provincia di Avellino. Non capisco perché invece quelli puteolani e flegrei latitino.

Ha cercato di dare una spiegazione a questa latitanza?

Personalmente in alcuni casi ho riscontrato una sorta di ritrosia ad esporre o perché timidi o perché non si reputassero all’altezza per un confronto pubblico: diciamo mancanza di autostima.

Voi raccogliete solo pittori o anche artisti di altro genere?

Siamo aperti a tutte le forme d’arte. A esempio quella presepiale, la ceramica, la scultura. In particolare l’arte presepiale è legatissima alla cultura napoletana ed è molto bella sia da praticarsi che da vedersi.

Chi ebbe l’idea di “occupare” artisticamente le rampe Causa?

In passato esisteva già un’associazione di artisti flegrei, Arte/Artisti di cui anch’io facevo parte, presieduta da Lino Chiaromonte con cui siamo rimasti amici, che usufruiva di questo spazio per esporre. Entrambi frequentavamo il bar Il Grottino che sta sulle scale. Originariamente Lino aveva un’associazione a Napoli, ma nel momento in cui si trasferì a vivere a Pozzuoli e ci conoscemmo, a entrambi venne l’idea di “adottare” le scale come luogo di esposizione. Successivamente, quando con Nino D’Amore abbiamo fondato Terra di Pozzuoli, ritenemmo giusto proseguire su questa linea in quanto, essendo le Rampe Causa frequentatissime, si prestavano a dare visibilità a coloro che vi avrebbero esposto. Inizialmente all’associazione eravamo cinque o sei iscritti, fino ad arrivare a un massimo di cinquanta. Poiché in seguito il Comune ci ridusse lo spazio espositivo per timore che sulle scale si potessero creare degli assembramenti e qualcuno si potesse fare male, per conseguenza logica si è anche ridotto il numero di iscritti. A tutt’oggi siamo una ventina.

Presumo che la riduzione di spazio avrà ridotto anche i vostri progetti futuri…

Certamente! Le nostre ambizioni organizzative contemplavano tra l’altro delle estemporanee e delle manifestazioni allargate sul territorio, oltre a laboratori di pittura che teniamo in sede. Purtroppo tale limitazione ci ha costretti a rivedere i piani originari, lasciandone molti nel cassetto con il proposito di riprenderli in futuro.

Quali sono i vostri propositi per il 2019?

Fermo restando la possibilità di continuare a usufruire delle Rampe Causa – cosa che sapremo non prima di febbraio perché solo allora il Comune dovrebbe rispondere alla nostra richiesta di riutilizzo delle stesse – le quali per noi hanno un significato affettivo in quanto la gente ha imparato a conoscerci in virtù della nostra presenza sulle Rampe, gli obiettivi per il 2019 contemplano la crescita sia in termini di associati che di organizzazione di eventi; sperando che quest’anno collaborino con noi anche altri artisti flegrei in modo da sfatare l’antipatica voce secondo cui a Pozzuoli è impossibile fare comunità. Se ci riuscissimo, potremmo dire di avere ottenuto un grosso risultato!

Auguri!

PERE CATAPERE, LA GUIDA SU NAPOLI DI ERNESTO NOCERA

ernesto nocera. pere catapere

Di seguito la versione integrale della recensione pubblicata su comunicaresenzafrontiere.it 

Solo il sincero amore per la propria città poteva consentire a Ernesto Nocera, classe 1931, la realizzazione di una brillante e dettagliatissima guida turistica qual è Père Catapère, edito da Il Quaderno Edizioni, che ha il merito di presentare Napoli alla napoletana; abbinando alla storia, alla cultura, alle indicazioni gastronomiche e curiosità generali, il gusto dell’aneddotica popolare frammista a considerazioni personali che arricchiscono di contenuti e colori la storia di una città mito nel mondo. Come avviene quando si chiacchiera tra amici, utilizzando un linguaggio semplice, chiaro ma incisivo, spesso ironico, l’autore ci guida in una passeggiata ideale tra le strade, le piazze e i vicoli di quella che per secoli fu una delle capitali più apprezzate d’Europa e tuttora, malgrado le infinite contraddizioni che la caratterizzano, è tra le città più visitate di Italia e del mondo. Per questa sua “passeggiata” l’autore propone un itinerario particolarmente suggestivo che inizia nel caos di Montesanto; attraversa la Pignasecca e il suo pittoresco mercato e, inerpicandosi in funicolare sulla collina del Vomero, converge a  San Martino dove svetta Castel Sant’Elmo con la certosa e il suo ricco museo poco più in basso; per poi scendere la Pedamentina, la lunga scalinata panoramica che da San Martino arriva  fin giù Montesanto intersecando il Corso Vittorio Emanuele, congiungendosi con il decumano maggiore, meglio noto come Spaccanapoli, che come una ferita mai rimarginata, taglia per oltre un chilometro il centro storico della città, vera anima di Napoli. In quel chilometro attraversato da un’infinità di strade, vicoli, piazze e piazzette ornati da monumenti, residenze storiche, chiese e locali tutti con una personalissima  storia che arricchisce ulteriormente il bagaglio storico/culturale della città e dei suoi misteri, si è sviluppata e si condensa la millenaria storia partenopea. In questo denso dedalo di anime, da buon napoletano, l’autore si muove con maestria, non limitandosi a segnalare al turista i luoghi da visitare ma dove potersi fermare per sorbire un buon caffè e un’ottima sfogliatella, o in quale pizzeria e trattoria recarsi a mangiare per gustare una buona pizza e assaggiare le prelibatezze della cucina napoletana, spendendo poco.  A dimostrazione che Napoli è davvero una città a dimensione d’uomo. Personalmente mi sentirei di suggerire la lettura del libro non solo ai turisti ma, prima di tutto, a quei tanti napoletani che hanno la presunzione di conoscere la città come le proprie tasche: li invito a mettersi in “viaggio” libro alla mano, seguendo dettagliatamente le indicazioni di Ernesto Nocera. Scommetto che i primi a scoprire aspetti ignoti della città sarebbero loro stessi. Non escludendo che in questo modo imparerebbero ad amarla più di quanto realmente dicono e, soprattutto, dimostrano di farlo con i fatti. Del resto lo stesso autore in uno dei suoi tanti spunti personali evidenzia come, essendo Napoli un monumento a cielo aperto, spesso i napoletani non sanno di camminare in una via storica o di trovarsi a ridosso di un palazzo dove in passato si svolsero eventi tragici o vi risedette un personaggio di prestigio mondiale. Per apprezzare il valore delle cose bisogna conoscerle. Con la sua guida Ernesto Nocera ce ne dà la possibilità.

INCONTRO CON LA PITTRICE ANNA VARRIALE

ANNA VARRIALE

Di seguito l’intervista integrale alla pittrice Anna Varriale pubblicata su comunicaresenzafrontiere.it

La sensazione che si ha ammirando i dipinti di Anna Varriale è che hanno un anima. La Natività, un quadro realizzato quest’anno, emana vibrazioni che rapiscono, emozionano oltre una semplice tela dipinta.

Anna la tua passione per la pittura nasce da bambina?

Assolutamente no. Avevo ventidue anni quando ho iniziato a dipingere. Fu una persona a me molto vicina che, vedendo un mio disegno, mi spinse a proseguire su questa strada regalandomi tutto il necessario per dipingere, cavalletti inclusi.

Quali sono i tuoi soggetti preferiti?

Non prediligo soggetti particolari. Mi piace spaziare; dipingo tutto ciò che mi colpisce e mi piace, dai paesaggi alle nature morte.

So che nella tua vita artistica per un lungo periodo non hai più dipinto, solo da un po’ hai ripreso?

Si, per molto tempo ho abbandonato la pittura.

Per quale motivo?

Non credevo in me in quanto, essendo autodidatta, non avendo fatto studi d’arte, mi sentivo un pesce fuor d’acqua. A questa mia insicurezza si sono aggiunte problematica esistenziali che mi hanno spinta ad abbandonare la pittura. Solo da qualche anno ho ricominciato a dipingere. 

I tuoi quadri hanno una vaga impronta fotografica, sbaglio?

Sì, mi piace ritrarre dal vivo senza alterare la realtà. Se dovessi darmi una collocazione stilistica, mi definirei impressionista.

Quali sono i tuoi riferimenti artistici? A quali pittori ti rifai?

Da giovane ero attratta dalla pittura classica. In particolare mi piacevano Caravaggio, Rembrandt, nonché i pittori del 400/500. Conto di ritornarci. Al momento sono in una fase di sperimentazione.

Caravaggio e Rembrandt erano pittori che lavoravano molto col chiaro/scuro mentre i tuoi quadri sono pieni di luce…

Adesso sì! Ecco perché ho detto che sto sperimentando. Mi sto approcciando anche a un altro tipo di pittura.

ANNA VARRIALE 1

Si dice che i vari periodi che caratterizzano lo sviluppo artistico di un pittore sarebbero conseguenza delle variazioni del suoi stati d’animo. Questo tuo periodo di luminosità artistica potrebbe essere conseguenza di un momento di serenità interiore che stai attualmente attraversando?

Non saprei. Ripeto, sono in una fase di sperimentazione. Tuttavia, se la vogliamo mettere così, diciamo che questo momento di luminosità rappresenta una mia rinascita interiore. Prima i miei quadri erano poveri di luce, probabilmente perché artisticamente non avevo il coraggio di manifestare tutto ciò che avrei voluto mettere su tela.

Oltre a esporre qui a Pozzuoli sulle Rampe Causa, hai già esposto altrove?

Sì, il 24 novembre in una galleria a Via Merliani.

A livello di soddisfazioni la pittura ti gratifica solo moralmente oppure anche in altri termini?

Al momento artisticamente sono alla ricerca di un riscontro che attestasse finalmente il mio effettivo valore di pittrice. Già quello sarebbe tanto.

Come artista sei “libera” o fai parte di un’associazione?

Pur essendo indipendente, mi sono iscritta all’associazione di artisti puteolani Terra di Pozzuoli coordinata dal pittore Nino D’amore.

Non vivendo d’arte, come fai a conciliare la tua passione per la pittura con il lavoro?

Con fatica. Ma ci riesco. Per spostarmi durante un evento con i miei quadri, non avendo nessuno accanto, mi organizzo da sola. Come lavoro faccio la dama di compagnia. Di notte lavoro, di giorno ho tempo per dipingere. Quando c’è la passione a sostenerti, non esista ostacolo che possa fermarti!

Pensi che davvero, come qualcuno sostiene, l’arte possa salvare l’umanità?

Sì, assolutamente! L’arte è un rifugio e uno sfogo per la fantasia. Penso che chiunque riesca a manifestare le proprie fantasie attraverso l’arte, sotto qualunque forma la esprima, può trasmettere un messaggio positivo per la società. L’arte è comunicazione di anime! Oggi purtroppo la gente comunica senza riflettere, ripetendo come un mantra quello che sente dire in televisione o legge sui giornali. L’arte invece obbliga a riflettere, dunque impone di far funzionare il cervello e il cuore sia dell’artista che dello spettatore. Ecco perché penso che possa salvare l’umanità!

 

WALTER MOLINO E LA SUA WEBAPP PER I CAMPI FLEGREI

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Di seguito in versione inegrale l’intervista pubblicata su comunicaresenzafrontiere.it  a Rosario Walter Molino ideatore della webapp www.totemgo.com


Pozzuoli presso l’ Associazione, Lux In Fabula, nell’ambito della manifestazione “QUATTRO CHIACCHIERE CON L’AUTORE”, si è svolto l’incontro con l’informatico  Rosario Walter Molino ideatore della web-app www.totemgo.com.

TOTEMGO  è un’applicazione multimediale e interattiva finalizzata a far conoscere il territorio flegreo. Al termine dell’ incontro abbiamo intervistato Molino.

Qual è lo scopo di TotemGo?

Poter divulgare le peculiarità della mia città, Pozzuoli, al mondo intero, creando un maggiore senso di consapevolezza di cosa sono i campi flegrei nel complessivo.

Perché l’hai battezzata TotemGo?

Il nome TotemGo deriva dall’unione delle parole “totem” e “go”. Totem perché la App utilizza il paradigma dei totem per descrivere un luogo. Quindi non più in maniera monolitica ma frammentata su più punti grazie all’utilizzo del gps: se voglio descrivere un luogo, non lo descrivo su un’unica pagina bensì frammentato su più punti e geolocalizzato con il gps. L’altra parola, go, che in inglese significa andare , indica la possibilità che la app ti concede di spostarti da un luogo all’altro virtualmente.

Perché creare una web-app anziché la classica app?

La web-app ti garantisce l’universalità, con qualsiasi dispositivo riusciamo a connetterci a TotemGo, per cui c’è la libertà di accesso a qualunque informazione senza dover installare alcune applicazione sul proprio dispositivo.

TotemGo nasce nel 2015, da allora a oggi come si è sviluppato?

Il 31 marzo 2015 sono state create le caratteristiche basilari della app: la creazione dei totem con il gps, le guide, la possibilità di leggere ciò che gli utenti hanno scritto, di fare il download in pdf delle guide e dei totem creati, e la possibilità di creare una sorta di caccia al tesoro con il gps. Il 2016 è stato l’anno della connettività, consentendo agli utenti la possibilità di creare degli eventi legati a una città e con il sistema rss feed far sì che sulla app arrivino i titoli dei quotidiani presenti su internet legati alla città in questione. A esempio per Pozzuoli la connettività permette di consultare i giornali locali online, ovviamente previo consenso da parte loro. Il 2017 è stato l’anno dei geobooks e della realtà aumentata la quale permette che foto e dipinti dell’epoca possono essere sovrapposti a ciò che si sta guardando al momento con lo smartphone, consentendo di appurare le differenze del sito tra ieri e oggi. I geobook è un sistema innovativo che consente di collegare il luogo che si sta guardando ai libri che ne parlano. Se dovessi trovarmi in prossimità del Tempio di Serapide, mi arriveranno i link riguardanti i libri che ne parlano, mediante la connessione con librerie online tipo Città Vulcano messa a punto da Lux In Fabula in cui sono archiviati in forma digitale tutta una serie di volumi che parlano di Pozzuoli e dei Campi Flegrei. Il 2018 è stato l’anno della realtà virtuale, della ricerca e della scrittura vocale. La realtà virtuale permette di inserire foto a 360 gradi, permettendo all’utente di compiere un viaggio virtuale inserendo il proprio smartphone negli occhialini di realtà virtuale. In tal senso la caratteristica di TotemGo è quella di creare in automatico un percorso virtuale servendosi del meccanismo dei totem e del gps.

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Poiché TotemGo consente agli utenti che si registrano di interagire attivamente con la app inserendo foto, creando percorsi, giochi e quant’altro, possiamo paragonarlo a Wikipedia?

Tipo wikipedia in quanto nel nostro caso è il solo utente il gestore delle proprie informazioni, gli altri non possono modificarle; ma possono segnalare se sul portale viene inserito qualcosa di offensivo o inopportuno, permettendo agli amministratori di intervenire per levarlo e bloccare per sempre chi li aveva inseriti.

Progetti per il futuro?

Al momento sono talmente immerso nello sviluppo e propaganda di questo progetto che non ho tempo di pensare ad altro.

A noi non resta che utilizzare l’ app e augurare un forte in bocca al lupo all’ intraprendente informatico/geniale puteolano!

ROSARIA ANTONACCI, IL CORAGGIO DI UNA DONNA

 

Di seguito la versione integrale dell’articolo apparso su comunicaresenzafrontiere in cui si racconta la drammatica vicenda di Rosaria Antonacci.


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La storia di Rosaria Antonacci è quella di una donna che alcuni anni fa, a causa dell’occlusione dell’arteria femorale, ha subito l’amputazione di entrambe le gambe a distanza di due anni l’una dall’altra.

All’età di trentadue anni Rosaria iniziò ad accusare lancinanti dolori al piede sinistro che la costrinsero a continui ricoveri ospedalieri senza che le fosse diagnosticato alcun problema circolatorio. Addirittura ci fu chi attribuì i dolori come conseguenza dei piedi piatti, di cui non era affetta, obbligandola a portare dei plantari costosissimi. Poiché, nonostante i plantari, i dolori non cessavano, Rosaria si rivolse al Professor Bianchi di Pozzuoli il quale escluse l’origine ortopedica del fastidio, suggerendole di fare un ecodoppler:

<<A quella richiesta, feci presente al professore che di ecodoppler ne avevo già fatti tanti, tutti con esito negativo. Lui insistette, dicendo che mi mandava da un collega per approfondire. Fu così che appresi di avere l’arteria femorale completamente occlusa. Ricordo ancora le parole di quel dottore, “Mi spiace signora, ma da oggi la sua vita cambierà”. Piansi per tutto il tragitto dall’ospedale a casa. Io sono fatta così, piango per qualche ora, poi dopo asciugo le lacrime ed inizio a pensare a come risolvere il problema. E così iniziò il mio calvario, il cui esito è purtroppo noto!>>.

A distanza di anni, dopo aver fatto visionare a un medico legale le varie cartelle cliniche di cui è in possesso, s’è sentita rispondere che c’erano gli estremi per avviare un’azione legale contro l’ospedale che tracciò inesorabilmente il suo destino, ma purtroppo i tempo tecnici per farlo sono scaduti:

<<A quel primo intervento ne sono seguiti tanti, circa quaranta, ho smesso di contarli! Ho percorso tutte le strade per salvare la mia gamba, poi mi sono arresa. La cancrena divorava il mio piede e il mio cervello. Pensavo che dopo l’amputazione non sarei più entrata nella stanza fredda, ma non è stato così!>>.

Secondo il medico legale dalle carte si evincerebbero anche delle superficialità negli ultimi interventi chirurgici subiti ai monconi, per cui si potrebbe aprire una controversia legale su questo fronte, ma Rosaria è stanca e diffidente:

<<Aprire un contenzioso? Sono stanca!>>

Ciò che Rosaria non tollera è la discriminazione che ha riscontrato esistere tra il trattamento che ricevono gli amputati ASL rispetto a quelli INAIL , una diversità burocratica

<<A quelli INAIL è concesso di tutto e di più. Lo so perché essendo iscritta in più gruppi social di amputati, quando ci confrontiamo in chat, noto che gli amputati INAIL hanno diversi privilegi che noi amputati ASL invece non abbiamo. Sulla mia pelle sto scoprendo che esistono amputati di serie A e di serie B. Una cosa che non dovrebbe esistere! Io appartengo alla serie B, ci riconosci, siamo quelli seduti in carrozzella che aspettano la maturazione dei tempi burocratici, anche per una modifica di invaso. A tale proposito lasciami ringraziare il Centro Ortopedico Corpora, che fornisce gli ausili per disabili che verso noi invalidi si comporta in maniera più che umana, facendoci spesso anche da autista prelevandoci a casa con i propri mezzi per accompagnarci al laboratorio a misurare la protesi e poi riaccompagnarci nuovamente a casa, in maniera del tutto gratuita. >>

A dispetto degli infiniti problemi derivanti dalla propria disabilità, Rosaria non si è persa d’animo e si è rifatta una vita. Approfittando del tempo libero di cui dispone, ha rispolverato la passione giovanile per la pittura e si è avvicinata alla ceramica, creando un’infinità di oggetti che regala agli amici o tiene per sé in casa. Ha anche creato un b&b, Pozzuoli 100%, a Via Napoli, nell’appartamento dove ha vissuto per 51 anni situato al secondo piano di un palazzo senza ascensore adiacente a quello dove da un anno si è trasferita a vivere dopo l’infarto, sempre a Via Napoli, perché situato al piano terra e dunque molto più comodo per muoversi.

Rosaria la scorsa estate è stata a mare e si è fatta i bagni coprendosi le protesi con delle calze nere autoreggenti di latex:

<<L’estetico per le protesi non è convenzionato e costa troppo per le mie tasche. Per quanto è possibile, la mia disabilità cerco di viverla nel migliore dei modi. Di vita ce ne è una sola. La perdita di entrambe le gambe mi limita, ma non mi impedisce di vivere. Spesso alla domanda, “Cosa fai di bello?”, rispondo “Sono in ricostruzione, mi sto inventando la vita giorno per giorno!”. Gli impedimenti veri nascono qui!>>, dice toccandosi la testa.

Come darle torto?

Nel salutarci, Rosaria mi fa dono di un piccolo corno di ceramica fatto da lei. Guardandola sorridere mentre me lo porge, mi sembra impossibile che quel sorriso luminoso e sincero appartenga a una persona che avrebbe mille ragioni per essere arrabbiata con la vita e invece!?…

LA REGISTA MARIA DI RAZZA SI RACCONTA

maria di razza

Di seguito la versione integrale dell’intervista alla regista Maria Di Razza pubblicata su comunicaresenzafrontiere


Maria Di Razza: regista, nata a Pozzuoli, Campania. Nel 2007 dirige Ipazia. Nel 2013 realizza il premiatissimo cortometraggio di animazione Forbici sul tema del femminicidio, menzione speciale ai Nastri d’Argento 2014. Con il cortometraggio in animazione Facing off  è finalista ai Nastri d’argento 2015, a cui segue (In)Felix, una fantasia animata distopica sulla Terra dei fuochi. 2018 con “Goodbye Marilyn”, cortometraggio animato,  partecipa nella sezione Eventi speciali delle Giornate degli Autori alla 75° Mostra del cinema di Venezia. 

Maria Di Razza, regista per caso o per passione?

Sicuramente per passione. Da che ero piccola mi piaceva il cinema. Soprattutto mi incuriosiva capire come nascesse un film, cosa si nascondesse dietro quello spettacolo proiettato su un telone bianco appeso al muro.

Lei è diventata famosa grazie ai film di animazione, eppure il suo primo film non è un cartone.

Prima di cimentarmi con i cartoni animati, mi venne voglia di raccontare il personaggio di Ipazia, la filosofa/scienziata greca uccisa dal fanatismo cristiano. Eravamo nel 2007. L’idea mi venne leggendo il romanzo Il Teorema del Pappagallo dove a un certo punto si accenna a questa donna. Da lì’ iniziai a documentarmi su di lei. Il cortometraggio, un lavoro di finzione anziché di animazione, è un prodotto artigianale che, quando lo rivedo, ci trovo sempre delle ingenuità da correggere. Quella era la prima volta che stavo sul set cinematografico, per giunta  dietro la macchina da presa, e avevo la timidezza perfino di dire stop! Dopo quel lavoro, mi presi una lunga pausa. Poi nel 2012 l’incontro con la regista Antonietta  De Lillo ha segnato la mia carriera. Antonietta aveva intenzione di fare un film corale sull’amore, mettendo in gioco il punto di vista di più persone per realizzare una fotografia dell’amore in tutte le sue sfaccettature. Indagandone le facce buie. E fu lei che mi dette lo spunto di raccontare del femminicidio come aspetto di amore-buio, l’amore che si trasforma nel tempo diventando altro. Così nacque Forbici!

“Forbici”  narra di un episodio di cronaca…

Sì, avvenuto a Palma Campania, dove il marito, durante la notte, mentre i figli dormivano, armato di due paia di forbici, uccise la moglie. La nascita di Forbici, se non l’ha cambiata, ha sicuramente dato una sterzata alla mia vita perché da questo piccolo racconto di animazione che dura tre minuti e mezzo, in bianco e nero, fatto con estrema  semplicità, si è scatenato l’incredibile: il film ha girato il mondo, partecipando a decine di festival; ha vinto un mare di premi; ha avuto una menzione speciale ai nastri d’argento.

Perché ha scelto di dedicarsi al cinema di animazione?

Prima di tutto per questioni economiche: l’animazione fatta in maniera semplice costa poco rispetto a un lavoro tecnologicamente curato tipo Disney. E poi l’animazione è un grande escamotage, permette di raccontare qualsiasi storia, perfino quella di un asino che vola! Ci sono due lungometraggi di animazione molto semplici cui sono molto legata, Valzer con Bashir e Persepolis, che pur nella loro semplicità, hanno raccontato storie potentissime arrivando agli Oscar. Il definirli semplici non è riduttivo ma sta a indicarne la diversità rispetto ai cartoni animati delle grandi produzioni i quali hanno un impianto tecnologico notevole, con effetti speciali tali che, nella loro grandiosità, stupiscono lo spettatore ma, probabilmente, lo distraggono dal messaggio contenuto nel film. Un lavoro di animazione “semplice”, per giunta senza sonoro, che racconta una storia potente, evidenzia la forza dell’immagine.

I suoi primi tre corto animati, oltre che per la semplicità, sono muti: ciò allo scopo di dare appunto valore alla forza delle immagini?

Anche. Ma soprattutto per dare spazio alle tematiche, consentendo allo spettatore, attraverso le immagini, di riflettere su quanto sta vedendo. In Facing Off il mio secondo corto animato, affronto il tema della chirurgia plastica cui molte persone ricorrono per migliorare il proprio aspetto a scapito dell’identità. Il film è stato anche un pretesto per fare un omaggio  ai grandi del cinema dato che nel suo interno vi sono richiami a capolavori del pasato. Partendo da Hitchcock, il mio mito, per poi proseguire   con Kubrik e tanti altri.

Parliamo del suo terzo corto (In)Felix: lei ha pubblicamente affermato che, tra tutti i film che finora ha realizzato, è quello cui è particolarmente legata.    

Vi sono legata prima di tutto perché parlo di uno spaccato della mia terra martoriata dal dramma della Terra dei fuochi. Precisamente della discarica Resit che, come ha confermato la perizia fatta dal geologo Balestri, sta inquinando le falde acquifere al punto che entro il 2064 lì non ci sarà più vita. Lo spunto lo presi leggendo la perizia di Balestri che si può scaricare da internet, un faldone di oltre duecento pagine, molto complicata perché ricca di termini tecnici. Nel leggerla, apprendendo quello che vi è sotterrato, mi pianse il cuore. Mi sembrava impossibile come l’essere umano potesse uccidere in quella maniera il proprio territorio. Ma, attenzione, la Resit non è un caso isolato. In molte zone di Italia e del mondo vi sono tante altre “Resit”, solo che non lo sappiamo!

(In)Felix è caratterizzato dalla bellezza dei disegni

Sì, sono di una bellezza incredibile. L’autore è Domenico Di Francia che ha fatto duecento tavole a china, rigorosamente a mano libera, che poi con Costantino Sgamato abbiamo digitalizzato e animato. Ogni disegno è un quadro: io ce li ho tutti conservati, sono spettacolari.

Se non erro lei per i primi tre corto si è servita di un equipe puteolana!?

Sì, perché anche Angela Aragozzini che ha animato Facing Off è di Pozzuoli. In (In)Felix ci sono le musiche di Antonio Fresa, napoletano, che ha poi fatto la colonna sonora di Goodbye Marilyn.

Con Goodbye Marilyn ha partecipato all’ultimo Festival del Cinema di Venezia, riscuotendo un grosso successo di critica e di pubblico. Pubblicamente non ha avuto problemi a dichiarare che quando ricevette la notizia che il film era stato selezionato per il festival per due giorni è stata su una nuvola.

Penso che chiunque al posto mio avrebbe avuto la stessa reazione. Per anni sono andata a Venezia da spettatrice. Ritrovarmi all’improvviso da protagonista è stata una cosa bellissima. Partecipare a Venezia era il mio sogno e l’ho realizzato! In questo devo ringraziare la casa di produzione Marechiaro Film di Antonietta De Lillo, che ha prodotto il film, per avermi lasciata libera di scegliere a quale festival partecipare, senza intervenire in alcun modo. L’idea di girare Goodbye Marilyn me l’ha data, seppure indirettamente, proprio Antonietta regalandomi a Natale il romanzo da cui ho poi tratto il film. All’epoca ero impegnata nella stesura di un progetto completamente diverso. Non appena lessi il romanzo, mi innamorai della storia e decisi di accantonare il vecchio progetto per realizzare il film su Marilyn che però non poteva essere raccontato senza le parole. A quel punto decisi di fare il cosiddetto salto di qualità.

Lei ha avuto l’ardire di far doppiare Marilyn a Maria Pia Di Meo, la più grande doppiatrice italiana che presta la propria voce a Meryl Streep, e l’intervistatore di Marilyn a Gianni Canova, giornalista di Sky nonché Pro-rettore dell’università IULM.

Riguardo all’ardire, personalmente non so quante doti artistiche possiedo. Quando mi sento definire regista, pensando a Hitchcok o Scorsese, non credo di meritare quest’appellativo. Di sicuro sono una persona determinata. Mi ero  ripromessa di fare il salto di qualità. O lo facevo con queste caratteristiche, oppure tutto finiva ai primi tre corto. Per cui, lentamente, ho iniziato a lavorare al film la cui realizzazione ha richiesto complessivamente un anno e mezzo.

Al di là della delicatezza della storia di Goodbye Marilyn, personalmente, ho molto apprezzato  la colonna sonora di Antonio Fresia.

Ad Antonio ho dato carta bianca. Non sono voluta assolutamente intervenire in quanto con (In)Felix feci l’errore di dargli dei suggerimenti. In particolare sul finale del film, dove c’è la trasformazione degli animali, dissi che mi sarebbe piaciuta una musica del tipo La Cavalcata delle Valchirie di Wagner. Lui invece disse che ci voleva l’opposto perché una musica forte come intendevo io sarebbe stata didascalica. Quindi per Marilyn gli diedi campo libero.

E poi con il suo ardire telefonò alla doppiatrice ufficiale di Meryl Streep

Quella telefonata fu incredibile. Solo per reperire il numero ci avrò messo circa un mese. Poi, attraverso una doppiatrice, finalmente riuscii ad averlo. La chiamai, mi presentai e lei, “ma chi sei?” rispose. Le spiegai il motivo per cui la stavo chiamando. Inizialmente disse di no. Del resto, giustamente: io non sono una regista famosa; il film è un cortometraggio; lei doppia attrici e film da Oscar. Accettando era come se sminuisse la propria professionalità. Probabilmente anch’io avrei fatto lo stesso al suo posto.  Ciononostante, insistetti perché leggesse la storia e visionasse i disegni. Fatto ciò, se ne innamorò e disse sì. Il film le è molto piaciuto. Durante una telefonata dopo Venezia mi ha ringraziata per averle concesso la possibilità di doppiare Marilyn Monroe, seppure in forma animata, dicendosi speranzosa di poter lavorare ancora con me, lusingandomi molto.

La voce maschile è invece di Gianni Canova di Sky 

Altro mio mito: da appassionata di cinema, vedo i film su Sky e lui racconta i film in un modo che ti fa vedere certe cose che sfuggono finanche a un attento osservatore. Mi fa fare delle riflessioni su dei film che diversamente mai avrei fatta da sola. Con lui ci siamo conosciuti all’Ischia Film Festival dove presentavo Infelix che gli piacque molto, facendo una bellissima recensione. Quando gli chiesi se avesse voluto doppiare Goodbye Marilyn, immediatamente rispose di sì! Quando il film è stato proiettato a Venezia, lui era seduto al mio fianco durante la proiezione per la stampa: non credo di esagerare se dico che fosse più emozionato di me!

È tipico dei vincenti puntare in grande, lei punta all’oscar 2020?

A riguardo ci tengo a fare una precisazione. Quando al Rione Terra dissi di puntare magari all’Oscar 2020, lo dissi poiché il mio film è stato selezionato al Tirana International Film, un festival prestigiosissimo dove chi vince passa di diritto alle preselezioni dell’Oscar. Ovvio che se poi arrivasse l’Oscar ne sarei felicissima. Sarebbe una cosa meravigliosa. Ma da buon matematico punto i piedi per terra e evito di lasciarmi prendere dall’entusiasmo. Tenga presente che a livello personale la mia vita non è cambiata affatto: per vivere faccio l’impiegata; continuo a fare la mamma e la casalinga.

Progetti per il futuro?

Questa è una bella domanda. Come ho già detto, prima di lavorare a Marilyn ero impegnata in un altro progetto che ho poi accantonato e non so se lo riprenderò. Ora sono alla ricerca di una storia che mi appassioni come è accaduto per Marilyn, quindi non so nemmeno se il prossimo film sarà un lungometraggio o se continuerò a cimentarmi con il corto. Un lungometraggio di animazione significano almeno cinque anni di lavoro. Non percependo alcun contributo istituzionale per i miei film, finora ho fatto enormi sacrifici economici e ho avuto l’aiuto delle persone che mi vogliono bene. Anche se devo dare atto alla Regione Campania di essersi fatta carico in maniera postuma delle spese inerenti il soggiorno a Venezia di una parte del cast di Marilyn. Per questo motivo, se devo fare un nuovo lavoro, devo trovare una storia convincente che valga i sacrifici necessari per realizzarla.  

Ha mai pensato di fare un film di animazione ambientato a Pozzuoli o nei campi flegrei?

Francamente non ci ho mai pensato. Ma non perché non ami la mia terra. Come lo stesso sindaco Figliolia ha pubblicamente riconosciuto, in tutte le interviste che ho rilasciato a Venezia ho sempre citato Pozzuoli cui sono molto legata al punto che se mi regalassero una casa altrove, rifiuterei. Le mie radici sono qui, a Pozzuoli!

Vincenzo Giarritiello

QUATTRO CHIACCHIERE CON ENZO GIARRITIELLO

serata lux in fabula

Sabato 10 novembre ha preso il via a Pozzuoli, presso l’associazione culturale Lux In Fabula, la rassegna Quattro Chiacchiere Con L’Autore, una serie di incontri quindicinali con scrittori, poeti, pittori, autori vari in cui ogni artista si racconta.

Ha inaugurato la manifestazione lo scrittore Vincenzo Giarritiello il quale, intervistato dalla poetessa Luisa De Franchis, ha raccontato la genesi dei suoi due primi romanzi, L’Ultima Notte e Signature Rerum-il sussurro della sibilla , di cui si sono letti alcuni estratti; dei laboratori di scrittura creativa per ragazzi che ha tenuto nel corso degli anni in una libreria per ragazzi a Pozzuoli, al IV Circolo didattico di Pozzuoli e alla sezione femminile del carcere minorile di Nisida.

Sollecitato dalla De Franchis, l’autore si è a lungo soffermato su quest’ultima esperienza, definendola in assoluto “la più tosta ma anche la più formativa a livello umano” tra le proprie esperienze legate alla scrittura.

Entrando nel merito della propria attività di scrittore – oltre a L’ULTIMA NOTTE e SIGNATURE RERUM, ha pubblicato la raccolta di racconti LA SCELTA con le Edizioni Tracce di Pescara –, esortato dalle domande della De Franchis sui suoi interessi ermetici che si riflettono in maniera evidente in entrambe le opere, in particolare in SIGNATURE RERUM  al cui inizio è posta una frase di Giamblico tratta da I Misteri Egiziani, (invece quelli che sono migliori di noi conoscono tutta intera la vita dell’anima e tutte le vite precedenti di essa […]) ,  l’autore ha parlato della propria formazione culturale di matrice ermetica,  spiegando che vivere in una terra ricca di storia e, soprattutto, di mistero, come i campi flegrei, è per lui motivo di profonda riflessione e studio sulla vita e su se stesso.

In particolare, riferendosi al mito della sibilla Cumana, argomento di spunto per Signature Rerum, l’autore ha espresso la propria convinzione che l’acropoli di Cuma incarni una sorta di cammino iniziatico visto che l’itinerario si dipana dalle tenebre alla luce:  si parte dall’oscurità dell’antro della sibilla per poi lentamente salire fin su al tempio di Giove, transitando per quello di Apollo posto a metà del percorso.  Schema che ritroviamo tracciato in tante opere di matrice iniziatica tra cui La Divina Commedia di Dante.

La serata è stata allietata dalla presenza del cantautore Nicola Dragotto che, intervallandosi ai relatori, ha suonato alcuni brani tratti dal suo cd L’Ultima Causa.

Il prossimo incontro sarà sabato 24 novembre con il saggista/ studioso di religioni Enzo Di Bonito.