Torn & Frayedsottomarini di superficie |
Dopo che il Parsi fu sparito, avvenne che fossi io colui che le Parche destinarono a prodiere di Achab, quando quel prodiere prese il posto vacante; e sempre io colui che, quando l'ultimo giorno i tre uomini furono sbalzati fuori dalla lancia rollante, fu sbattuto a poppa. Così, galleggiando ai bordi della scena che seguì ed essendone in tutto spettatore, quando il risucchio affievolito della nave affondata mi raggiunse, allora venni trascinato, ma lentamente, verso il vortice che si chiudeva. Quando vi giunsi, si era placato in una pozza di lattea schiuma. In tondo, allora, sempre in tondo a circoli via via più stretti che mi avvicinavano alla bolla nera simile a un bottone, sull'asse di quel cerchio che roteava lento, novello Issione io girai. Infine, toccando quel centro vitale, la bolla nera scoppiò; e allora, liberata dalla sua molla ingegnosa e risalita con gran forza, per la sua leggerezza, alla superficie, la bara-salvagente sfrecciò in tutta la sua lunghezza fuor d'acqua, ricadde, e mi galleggiò accanto. Tenuto su da quella bara, quasi per tutto il corso d'un giorno e d'una notte fluttuai su di un oceano molle e funereo. Inoffensivi, i pescicani mi guizzavano accanto come se avessero un catenaccio alla bocca; i selvaggi falchi marini trascorrevano via col becco inguainato. Il secondo giorno, un veliero si avvicinò e mi raccolse, finalmente. Era la «Rachele» che incrociava raminga e che, tornando sui suoi passi alla ricerca dei figli perduti, trovò solo un altro orfano.
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Giorni a terra. XIV.
Post n°54 pubblicato il 27 Agosto 2015 da call.me.Ishmael
Giorni a terra. XIV. Gironzolammo attorno al "Lebanon" per un bel pezzo, studiandolo e prendendone le misure con silenziosa attenzione. L'ultima parte dell'equipaggio stava sgomberando lentamente mentre sulla coffa restava solo quello che poteva essere l'armatore e il suo capitano, impegnati in una conversazione serena e distaccata, quanto possono essere le nuvole di fumo. Non indugiammo oltre e ci portammo sotto il Legno continuando ad osservarlo con apparente noncuranza sotto un reale, vivo interesse. Al momento l'armatore, un omino basso e corpulento che nulla aveva nei tratti del libanese, ci ignorò bellamente. Poi, finalmente, quando ebbe scambiato anche l'ultima parola con il suo dipendente al massimo grado, abbassò gli occhi su Noi tre, che eravamo persi tra le superbe velature del due alberi e non staccavamo, al contempo la curiosità verso il signore appollaiato in coffa. Lui, senza dire motto, cominciò laboriosamente a scendere per la scaletta e, una volta raggiunto la solidità del molo, prese a dirigersi verso di Noi, dopo essersi acceso, con molta calma, una pipa in madreperla e avere accennato alcuni passi di una buffissima, involontaria danza nelle scarpette che parevano essergli parecchio scomode. Venuto nella nostra direzione, prese a parlare come sovrappensiero in un accento nasale ma non fastidioso. "Delle calzature si occupa mia moglie, e quante volte gli ho detto di prestare attenzione. Ma, niente, sbaglia sempre di un pezzo di misura e Io Mi ritrovo a camminare dentro una bara di chiodi." Esalò con fare cogitabondo. "Le scarpe e le donne hanno sempre la stessa misura: scomoda". Se ne uscì Osterberg per offrire il destro al simpatico ometto. "Attenzione! Non sarai mica uno di quei peccatori sventurati sempre a caccia di sottane, figliolo! La tua battuta è gradevole, ma rivela una comunanza con quel demonio chiamato Femmina che non può non farmi sollevare un sopracciglio." Osterberg era sul punto di rispondere nello stesso tono scherzoso quando sollevai la mano e Mi feci notare dal piccolo armatore. Era tutto molto bello, ma sentivo (a proposito di Demoni) di avere il Diavolo alle calcagna e una gran fretta mi pungeva i piedi e le parole. "Chiedo scusa, Signore. Ma la bisogna dovuta a talune circostanze Mi impone di essere lievemente sgarbato e di chiederle se questa goletta è di sua propria appartenenza. Io sono il capitano Emerald Proctor Thompson." E gli allungai la mano con sollecitudine. Il Tizio, come sorpreso di essere stato interrotto nel suo scambio di motteggi con il mio Secondo, Mi sogguardò sornione dal basso verso l'alto, come studiandomi. Poi, dopo qualche eterno secondo ricambiò la stretta presentandosi come il Dottor Joshua Albert Dawson, armatore nonché proprietario del "Lebanon" in questione. Stemmo per un momento indefinito a scrutarci con allegria e circospezione poi il Dottor Dawson chiosò (evidentemente soddisfatto) la proposizione di Osterberg un'ultima volta. "Sempre meglio che camminare a piedi nudi, figliolo. Sempre meglio." |
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