Torn & Frayedsottomarini di superficie |
Dopo che il Parsi fu sparito, avvenne che fossi io colui che le Parche destinarono a prodiere di Achab, quando quel prodiere prese il posto vacante; e sempre io colui che, quando l'ultimo giorno i tre uomini furono sbalzati fuori dalla lancia rollante, fu sbattuto a poppa. Così, galleggiando ai bordi della scena che seguì ed essendone in tutto spettatore, quando il risucchio affievolito della nave affondata mi raggiunse, allora venni trascinato, ma lentamente, verso il vortice che si chiudeva. Quando vi giunsi, si era placato in una pozza di lattea schiuma. In tondo, allora, sempre in tondo a circoli via via più stretti che mi avvicinavano alla bolla nera simile a un bottone, sull'asse di quel cerchio che roteava lento, novello Issione io girai. Infine, toccando quel centro vitale, la bolla nera scoppiò; e allora, liberata dalla sua molla ingegnosa e risalita con gran forza, per la sua leggerezza, alla superficie, la bara-salvagente sfrecciò in tutta la sua lunghezza fuor d'acqua, ricadde, e mi galleggiò accanto. Tenuto su da quella bara, quasi per tutto il corso d'un giorno e d'una notte fluttuai su di un oceano molle e funereo. Inoffensivi, i pescicani mi guizzavano accanto come se avessero un catenaccio alla bocca; i selvaggi falchi marini trascorrevano via col becco inguainato. Il secondo giorno, un veliero si avvicinò e mi raccolse, finalmente. Era la «Rachele» che incrociava raminga e che, tornando sui suoi passi alla ricerca dei figli perduti, trovò solo un altro orfano.
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XIV
Post n°97 pubblicato il 21 Gennaio 2017 da call.me.Ishmael
La Casa di Paglia XIV Adebanke Adhiambo stava osservando anche lei la sera farsi notte e un profondo malessere si era impadronito della sua figura bella ma distrofica. Regolò il poggiatesta schiacciando un bottone e lasciò colmarsi i polmoni della buona aria della campagna, che tanto le ricordava i giorni terribili ma anche importanti, prima della sua fuga dalla Nigeria al Ghana. Rammentava...caricata con l'ultimo biplano che lasciava la pista del villaggio di Nagaré, trasportata in spalla da un volenteroso e generoso parente, si era salvata per il rotto della cuffia. Non ci sarebbe stato spazio per lei nel dominion che i guerriglieri avevano in mente, Lei, considerata tutt'al più una spastica inutile e irritante sarebbe stata liquidata con un proiettile nel cervello da Boko Haram e abbandonata a fare da pasto alle iene del bush. Invece in quel momento stava sorvolando la terra della sua agonia ed esclusione, provandone, comunque in segreto, un profondo rimpianto. Malgrado non avesse mai avuto una tecnologia a sua disposizione per muoversi, malgrado fosse considerata una disgrazia persino dalla sua famiglia e reclusa in una specie di pagliaio in disuso che le forniva un riparo alquanto rozzo ed elementare. La sua malattia era tabù in quelle remote zone agricole: non poteva correre quando era bambina e non poteva aiutare in casa più tardi. La madre si lamentava pubblicamente della disgrazia e la attribuiva a un malocchio che le era stato lanciato contro mentre era ancora incinta. Lei sapeva anche chi era stata a produrre quel disastro: sua cognata, con la quale non aveva mai stabilito un rapporto equilibrato. Prima della nascita di Adebanke si azzuffavano in cucina, si strappavano i capelli, si minacciavano con attizzatoi. La cognata le aveva promesso disgrazie, e siccome era una nota fattucchiera i risultati non si erano fatti attendere. Ed erano comparsi sotto forma di quella bambina che non aveva nessun controllo sui suoi muscoli. Un peso morto, una maledizione. Fin da piccola era stata emarginata e posta negli angoli bui perché non allargasse la sventura agli altri membri del clan. Poi, raggiunti gli undici anni, era stata messa nel fienile diroccato con un po' di pane giornaliero e una ciotola d'acqua, qualche pezzo di carne ogni tanto e la possibilità di non essere seccata da nessuno. Una prospettiva interessante per lei che provava in ogni fibra l'inutilità, ma anche una decisione foriera di un'immensa solitudine e tanto simile a un precoce seppellimento. Ogni notte temeva che i suoi fratelli sarebbero arrivati, armati di machete per farla a pezzi e disperderla nel bush. Così dormiva con un occhio solo e si trascinava sui gomiti da una parte all'altra del vasto e marcio edificio. Medici non ne aveva mia visti, solo stregoni che nutrivano per lei il più profondo disprezzo e la più fottuta paura. La riempivano di esorcismi e poi se ne andavano dopo essersi fatti pagare in alcolici per il oro disturbo. Il padre, un cristiano di nome Joseph era l'unico a venirla a trovare portandole qualche rara leccornia, poi la teneva fra le braccia fissandola con immenso dolore. Quindi se ne andava lento, scrollando la testa sotto l'ampio cappello. Poi, dopo diversi anni di vita vegetativa la guerra di Boko Haram s'era avvicinato al paesino che s'era deciso di evacuare al più presto possibile. La madre di Adebanke avrebbe voluto lasciare la ragazza a terra, sbarazzarsene finalmente. Ma papà Joseph se l'era caricata in spalle e l'aveva portata di corsa sotto le ali del biplano, imbarcandola e rifocillandola. Vicino allo sguardo critico dei superstiti di Nagaré, l'adolescente aveva fatto un voto e s'era ripromessa che nessuno, mai più, l'avrebbe giudicata dall'alto verso il basso ma, al contrario, avrebbe dovuto scostare le pupille ogni volta che queste avessero incrociato le sue. Ebbene, fu da quel momento che Adebanke Adhiambo divenne quello che divenne. (Continua) |
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