Torn & Frayedsottomarini di superficie |
Dopo che il Parsi fu sparito, avvenne che fossi io colui che le Parche destinarono a prodiere di Achab, quando quel prodiere prese il posto vacante; e sempre io colui che, quando l'ultimo giorno i tre uomini furono sbalzati fuori dalla lancia rollante, fu sbattuto a poppa. Così, galleggiando ai bordi della scena che seguì ed essendone in tutto spettatore, quando il risucchio affievolito della nave affondata mi raggiunse, allora venni trascinato, ma lentamente, verso il vortice che si chiudeva. Quando vi giunsi, si era placato in una pozza di lattea schiuma. In tondo, allora, sempre in tondo a circoli via via più stretti che mi avvicinavano alla bolla nera simile a un bottone, sull'asse di quel cerchio che roteava lento, novello Issione io girai. Infine, toccando quel centro vitale, la bolla nera scoppiò; e allora, liberata dalla sua molla ingegnosa e risalita con gran forza, per la sua leggerezza, alla superficie, la bara-salvagente sfrecciò in tutta la sua lunghezza fuor d'acqua, ricadde, e mi galleggiò accanto. Tenuto su da quella bara, quasi per tutto il corso d'un giorno e d'una notte fluttuai su di un oceano molle e funereo. Inoffensivi, i pescicani mi guizzavano accanto come se avessero un catenaccio alla bocca; i selvaggi falchi marini trascorrevano via col becco inguainato. Il secondo giorno, un veliero si avvicinò e mi raccolse, finalmente. Era la «Rachele» che incrociava raminga e che, tornando sui suoi passi alla ricerca dei figli perduti, trovò solo un altro orfano.
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XXIV
Post n°107 pubblicato il 20 Marzo 2017 da call.me.Ishmael
La Casa di Paglia XXIV Emiliano Maccani lasciò Involsi fuori dalla porta di casa dopo che questi l'aveva accompagnato per un breve tratto proteggendolo dall'acqua che scendeva dal cielo. Si salutarono senza enfasi e un peso fastidioso sul cuore. Il questore aprì il portone dell'edificio e si infilò dentro cominciando a risalire la scalinata imperiale che lo avrebbe condotto al suo grande loft. Da quando Elisabetta lo aveva lasciato l'enorme sala appariva ancor più desolata e deserta, come una spiaggia senza palme o una riva senza mare. Gettò il cappotto sull'attaccapanni e si versò due dita di bourbon per ritrovare un poco di calore. Con suo stupore, mentre si sedeva sul divano con il bicchiere tra le dita, si ritrovò a pensare ad Adebanke Adhiambo e al suo viso dolce e schivo intrappolato fra le smorfie di Matteo Giustiniani, la pelle rugosa di Emanuele Radice e la sua stessa faccia da ragazzino perfettamente sbarbato e pulito. Pensò che forse solo lei era libera dai doppi giochi, dalle ambizioni non rivelate, dai tiri sporchi e dagli sgambetti che la società occidentale metteva pesantemente in campo. Solo lei manteneva una purezza e una dignità incomparabili, un tepore confortante e una serenità che tutti gli italiani coinvolti in quella faccenda si erano lasciati sfuggire. Lui stesso per primo. Vuotò il bicchiere e lo riempì nuovamente. Guardò sul tavolo l'opale che Elisabetta gli aveva restituito prima di andarsene, e pensò quanto sarebbe stato carino al collo di quella ragazza discreta e vagamente intimidita. Ci pensò e poi si attaccò alla bottiglia con lo stesso trasporto che si prova per un giubbotto di salvataggio. Non era un grande bevitore, ma quella notte la solitudine stava compiendo la sua ellissi. Adebanke, giunta al convento, non riusciva a prendere sonno. Fissava il soffitto e vedeva dei funghi dalla forma strana spuntare dall'alto e cangiare continuamente colore sotto la luce dei lampioni che filtrava attraverso le tapparelle. Alcuni prendevano la forma di mongolfiere, altri di piccoli vermi striscianti, altri ancora assumevano volti umani deformati ma non cattivi, come quegli uomini che aveva lasciato poco prima; così apparentemente determinati e forti ma nella realtà indecisi e confusi. Lei non riusciva a comprendere come si fosse finiti in quella situazione e rimpiangeva Kumasi e le sue strutture all'avanguardia, Kumasi e il suo calore umano, Kumasi e l'allegria che vi regnava malgrado la sofferenza. Ora lei e gli altri degenti erano prigionieri in una struttura minuscola, ostaggi dei giochi di potere fra persone sfuggenti che non riusciva pienamente ad inquadrare. E lei avrebbe tanto voluto tornare nel suo amato continente e riprendere la vita di sempre, anche se era poco quella che gli restava. Guardò sfrecciare sulla parete i fari delle automobili e pensò al questore: quel signor Maccani esile e magrissimo, con una gran massa di capelli biondo-scuri, occhiali sottili e gambe lievemente arcuate. Istintivamente provò un moto di simpatia. Non che odiasse il dottor Radice e l'altro giovane pazzo, Matteo Giustiniani, ma le pareva che la battaglia di Maccani assomigliasse tanto a quella contro dei mulini a vento. Gli appariva tanto solo e provava istintivo affetto per l'impegno che profondeva nella ricerca di una sistemazione per loro. Al tempo stesso, però, subiva anche sofferenza degli uomini e delle donne della Casa di Paglia. Pur nella diversità erano soggetti come loro, che sarebbero stati scacciati da un edificio nel quale avevano piantato profonde radici. Un dolore profondo le si insinuò nello stomaco, si girò nel letto per quanto glielo concedesse la malattia, poi fu preda di un sonno leggero. (Continua) |
Inviato da: cassetta2
il 11/11/2020 alle 18:29
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Inviato da: Estelle_k
il 31/10/2019 alle 14:09
Inviato da: Indicativoimperfetto
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