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XXIV

Post n°107 pubblicato il 20 Marzo 2017 da call.me.Ishmael








La Casa di Paglia XXIV

Emiliano Maccani lasciò Involsi fuori dalla porta di casa dopo che
questi l'aveva accompagnato per un breve tratto proteggendolo
dall'acqua che scendeva dal cielo. Si salutarono senza enfasi e un
peso fastidioso sul cuore. Il questore aprì il portone dell'edificio e si
infilò dentro cominciando a risalire la scalinata imperiale che lo
avrebbe condotto al suo grande loft. Da quando Elisabetta lo aveva
lasciato l'enorme sala appariva ancor più desolata e deserta, come
una spiaggia senza palme o una riva senza mare. Gettò il cappotto
sull'attaccapanni e si versò due dita di bourbon per ritrovare un poco
di calore. Con suo stupore, mentre si sedeva sul divano con il bicchiere
tra le dita, si ritrovò a pensare ad Adebanke Adhiambo e al suo viso
dolce e schivo intrappolato fra le smorfie di Matteo Giustiniani, la pelle
rugosa di Emanuele Radice e la sua stessa faccia da ragazzino
perfettamente sbarbato e pulito. Pensò che forse solo lei era libera
dai doppi giochi, dalle ambizioni non rivelate, dai tiri sporchi e dagli
sgambetti che la società occidentale metteva pesantemente in campo.
Solo lei manteneva una purezza e una dignità incomparabili, un tepore
confortante e una serenità che tutti gli italiani coinvolti in quella faccenda
si erano lasciati sfuggire. Lui stesso per primo. Vuotò il bicchiere e lo
riempì nuovamente. Guardò sul tavolo l'opale che Elisabetta gli aveva
restituito prima di andarsene, e pensò quanto sarebbe stato carino
al collo di quella ragazza discreta e vagamente intimidita. Ci pensò
e poi si attaccò alla bottiglia con lo stesso trasporto che si prova per
un giubbotto di salvataggio. Non era un grande bevitore, ma quella
notte la solitudine stava compiendo la sua ellissi. Adebanke, giunta al
convento, non riusciva a prendere sonno. Fissava il soffitto e vedeva
dei funghi dalla forma strana spuntare dall'alto e cangiare continuamente
colore sotto la luce dei lampioni che filtrava attraverso le tapparelle.
Alcuni prendevano la forma di mongolfiere, altri di piccoli vermi striscianti,
altri ancora assumevano volti umani deformati ma non cattivi, come
quegli uomini che aveva lasciato poco prima; così apparentemente
determinati e forti ma nella realtà indecisi e confusi. Lei non riusciva
a comprendere come si fosse finiti in quella situazione e rimpiangeva
Kumasi e le sue strutture all'avanguardia, Kumasi e il suo calore umano,
Kumasi e l'allegria che vi regnava malgrado la sofferenza. Ora lei e gli
altri degenti erano prigionieri in una struttura minuscola, ostaggi dei
giochi di potere fra persone sfuggenti che non riusciva pienamente ad
inquadrare. E lei avrebbe tanto voluto tornare nel suo amato continente
e riprendere la vita di sempre, anche se era poco quella che gli restava.
Guardò sfrecciare sulla parete i fari delle automobili e pensò al questore:
quel signor Maccani esile e magrissimo, con una gran massa di capelli
biondo-scuri, occhiali sottili e gambe lievemente arcuate. Istintivamente
provò un moto di simpatia. Non che odiasse il dottor Radice e l'altro
giovane pazzo, Matteo Giustiniani, ma le pareva che la battaglia
di Maccani assomigliasse tanto a quella contro dei mulini a vento.
Gli appariva tanto solo e provava istintivo affetto per l'impegno che
profondeva nella ricerca di una sistemazione per loro. Al tempo stesso,
però, subiva anche sofferenza degli uomini e delle donne della Casa
di Paglia. Pur nella diversità erano soggetti come loro, che sarebbero
stati scacciati da un edificio nel quale avevano piantato profonde radici.
Un dolore profondo le si insinuò nello stomaco, si girò nel letto per
quanto glielo concedesse la malattia, poi fu preda di un sonno leggero.








(Continua)











 
 
 
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Un blog di: call.me.Ishmael
Data di creazione: 04/06/2014
 

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