Torn & Frayedsottomarini di superficie |
Dopo che il Parsi fu sparito, avvenne che fossi io colui che le Parche destinarono a prodiere di Achab, quando quel prodiere prese il posto vacante; e sempre io colui che, quando l'ultimo giorno i tre uomini furono sbalzati fuori dalla lancia rollante, fu sbattuto a poppa. Così, galleggiando ai bordi della scena che seguì ed essendone in tutto spettatore, quando il risucchio affievolito della nave affondata mi raggiunse, allora venni trascinato, ma lentamente, verso il vortice che si chiudeva. Quando vi giunsi, si era placato in una pozza di lattea schiuma. In tondo, allora, sempre in tondo a circoli via via più stretti che mi avvicinavano alla bolla nera simile a un bottone, sull'asse di quel cerchio che roteava lento, novello Issione io girai. Infine, toccando quel centro vitale, la bolla nera scoppiò; e allora, liberata dalla sua molla ingegnosa e risalita con gran forza, per la sua leggerezza, alla superficie, la bara-salvagente sfrecciò in tutta la sua lunghezza fuor d'acqua, ricadde, e mi galleggiò accanto. Tenuto su da quella bara, quasi per tutto il corso d'un giorno e d'una notte fluttuai su di un oceano molle e funereo. Inoffensivi, i pescicani mi guizzavano accanto come se avessero un catenaccio alla bocca; i selvaggi falchi marini trascorrevano via col becco inguainato. Il secondo giorno, un veliero si avvicinò e mi raccolse, finalmente. Era la «Rachele» che incrociava raminga e che, tornando sui suoi passi alla ricerca dei figli perduti, trovò solo un altro orfano.
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XXVI
Post n°109 pubblicato il 29 Marzo 2017 da call.me.Ishmael
La Casa di Paglia XXVI Passò qualche giorno ed Emanuele Radice faticava a pigliare sonno mentre passeggiava per la sua stanza all'ultimo piano della Casa di Paglia. L'indomani era previsto l'inizio dello sgombero dell'edificio e i degenti avevano ammassato tutto quello che poteva esserli utile per una resistenza attiva e passiva. Si erano innalzate barricate rudimentali, si erano segate le gambe delle sedie per farne dei rudimentali bastoni, si erano piazzati gli scheletri dei letti davanti alle porte, si erano costruite delle rudimentali bombe incendiarie e ammassato sassi e sanpietrini in grossi mucchi. Sempre per l'indomani si attendeva l'arrivo di pullman persino da fuori regione per sostenere la lotta dei presenti sul posto. Si contava molto sul supporto della società civile e degli abitanti inferociti della città. Insomma, pure nella disgrazia le cose non sembravano mettersi male. Allora cosa lo tormentava nel suo interminabile scalpicciare sul pavimento? Nel pomeriggio aveva visto Matteo Giustiniani e ne aveva colto l'aria trasfigurata. Con la sua barba e i suoi lunghi capelli, gli occhi spiritati, la bocca semiaperta e un fremito che lo percorreva tutto. Sembrava in ogni cosa simile ai primi cristiani e al loro entusiasmo per il martirio. Radice temeva per la prima volta che l'azione delle truppe antisommossa si trasformasse in un bagno di sangue o qualcosa di molto vicino. Gli sembrava quasi di percepire l'abbandono fatalista del suo grande avversario: Emiliano Maccani. Comprendeva perfettamente che quel giovane questore non aveva nulla da perdere. Era il perfetto contraltare di Matteo Giustiniani. Con mollezza quasi femminea allestiva i reparti e incitava, strascicando le parole, all'azione e a terminare nei tempi più rapidi possibili l'occupazione da parte dei folli della Casa di Paglia. Precisava che avrebbero avuto di fronte uomini e donne in carne e ossa, non sedati e quindi ancor più pericolosi, uomini e donne esaltati e fanatizzati, guidati da un medico ambizioso e dal suo guardaspalle psicotico. Non potevano aspettarsi sconti. Una volta terminata l'operazione i ribelli sarebbero stati caricati su pullman blindati e condotti a San Giorgio. In seguito si sarebbe provveduto ad installare i malati africani nella Casa di Paglia, ripulita e riattata. Emanuele Radice poteva leggere nel pensiero del suo nemico, e per la prima volta, sentiva la paura affiorargli dalla pelle e tendergli i peli sulle braccia. Nulla, sino a quel momento, lo aveva fatto recedere dalla sua olimpica serenità, ma le cose stavano evolvendo rapidamente e tragicamente e non v'era più spazio per le tattiche e i giochi pesanti. "Che voglia veramente spazzarmi via?" Rifletté e prese in mano il cellulare cliccando sul numero personale di Emiliano Maccani. "Cambiato idea?" Sentì la voce vagamente insonnolita dall'altro capo. "Devi essere pazzo. Lo sai cosa ti porterà tutto questo? Un bel trasferimento e un abbassamento di grado. Addio speranze di alta carriera. Sono psichiatra ma fatico a comprenderti. Puoi ancora lavartene le mani e tirarti indietro. Scatenerai un putiferio. Si faranno sentire da Roma e finirai nei guai grossi. Credi di avere le spalle coperte ma il commissario del governo e il prefetto si sono eclissati. Sei solo, caro Maccani! Solo con i tuoi negri contro una comunità coesa e ben determinata. Ti faranno la pelle allo scoppio dei primi disordini. Una struttura di assistenza mentale presa d'assalto dai celerini! Ti sto venendo incontro, Maccani. Fai un passo indietro e rimetti in moto le cellule cerebrali." "Io applico la legge e lo farò fino in fondo. Ho i massimi poteri quando si tratta di ordine pubblico e ho intenzione di esercitarli. La situazione nel convento delle Orsoline è al collasso, ma a te, del resto, cosa può interessare? Verrai chiamato a ruoli importanti, forse sovrintenderai a tutte le strutture psichiatriche della Nazione dopo avere fatto l'eroe e il resistente. Per il mio destino questo ormai conta poco o nulla." E interruppe la linea. Radice restò con il telefonino in mano a guardare il buio fuori dalle finestre. Per la prima volta sentì, lui, la tentazione di cedere. (Continua) |
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