Torn & Frayedsottomarini di superficie |
Dopo che il Parsi fu sparito, avvenne che fossi io colui che le Parche destinarono a prodiere di Achab, quando quel prodiere prese il posto vacante; e sempre io colui che, quando l'ultimo giorno i tre uomini furono sbalzati fuori dalla lancia rollante, fu sbattuto a poppa. Così, galleggiando ai bordi della scena che seguì ed essendone in tutto spettatore, quando il risucchio affievolito della nave affondata mi raggiunse, allora venni trascinato, ma lentamente, verso il vortice che si chiudeva. Quando vi giunsi, si era placato in una pozza di lattea schiuma. In tondo, allora, sempre in tondo a circoli via via più stretti che mi avvicinavano alla bolla nera simile a un bottone, sull'asse di quel cerchio che roteava lento, novello Issione io girai. Infine, toccando quel centro vitale, la bolla nera scoppiò; e allora, liberata dalla sua molla ingegnosa e risalita con gran forza, per la sua leggerezza, alla superficie, la bara-salvagente sfrecciò in tutta la sua lunghezza fuor d'acqua, ricadde, e mi galleggiò accanto. Tenuto su da quella bara, quasi per tutto il corso d'un giorno e d'una notte fluttuai su di un oceano molle e funereo. Inoffensivi, i pescicani mi guizzavano accanto come se avessero un catenaccio alla bocca; i selvaggi falchi marini trascorrevano via col becco inguainato. Il secondo giorno, un veliero si avvicinò e mi raccolse, finalmente. Era la «Rachele» che incrociava raminga e che, tornando sui suoi passi alla ricerca dei figli perduti, trovò solo un altro orfano.
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Post n°100 pubblicato il 03 Febbraio 2017 da call.me.Ishmael
La Casa di Paglia XVII Il questore Maccani andava avanti e indietro per il suo ufficio. Attendeva qualcuno e questo Qualcuno si faceva attendere. Aveva parlato al telefono con Radice che gli aveva promesso un'ambasciata entro le diciannove di quella sera. L'Ufficiale aveva guardato tutti i suoi sottoposti evaporare e ora insisteva ad aspettare. Fu verso le 19.10 che udì dei passi sulle scale e poi farsi vicini alla sua residenza. Aveva lasciato dire al custode di lasciare passare chiunque fosse venuto dalla Casa di Paglia. Spalancò la porta nervosamente, ancora prima che bussassero, e si trovò davanti il ghigno beffardo di Matteo Giustiniani. "Tu che c'entri?" Furono le sue prime parole spontanee. Il matto si mise a ridere e chiese se poteva entrare. Maccani non poteva pensare ad altro che a una beffa di del Dottore; la considerava una specie di dichiarazione di guerra. Giustiniani si accomodò su una vasta poltrona e mugugnò: "Non se la prenda con me, faccio solo da rappresentante ufficiale." "E Io dovrei fidarmi di te?" "Sì, perché lo fa anche lo psichiatra." "Cos'hai da comunicarmi che lui non poteva dirmi al telefono?" Matteo si fece improvvisamente serio e passò due dita sui baffi che stava cercando di fare crescere: "Vuole che lei si fidi di me." "E perché dovrei, di grazia?" "Perché posso far saltare in aria tutto il baraccone così." E schioccò le dita. "Lei non ha da ragionare solo con Radice, ma anche con il sotto scritto. Io rappresentò i degenti della Casa di Paglia." E fischiò sottile fra le labbra. "Mi stai minacciando? Stai paventando una rivolta?" "Oh no. Se tutti faranno la loro parte non ci sarà nessuna rivolta. E non ci sarà bisogno di gas lacrimogeni, di scudi ed elmetti. Mi stia a sentire ...il Dottore mi ha confidato che fra i negri c'è una specie di rappresentante, un leader. Ecco, Io voglio discutere faccia a faccia con questa persona. Se troviamo un terreno comune tutto si accomoderà." Il questore andò subito con il pensiero ad Adebanke Adhiambo, che aveva conosciuto al loro sbarco nel paesino. L'aveva trovata estremamente razionale e limpida, un individuo ragionevole e modesto. Fissò al contempo Matteo, le sue labbra serrate, gli occhi spalancati, i capelli disordinati e l'aspetto sostanzialmente rancido. "Sì, mi sta prendendo in trappola." Rifletté "Sta solo cercando di guadagnare tempo per fare montare la rabbia e la resistenza civile all'arrivo dei disabili africani. Cerca di pigliarmi per il naso e mi manda questo psicotico pretendendo che sia la stessa persona di Adebanke. Non capisce nulla e pensa che tra matti possano intendersi, oppure, se vi sarà uno scontro, scaricherà tutto sul Giustiniani". Stava per rispondere che non se ne parlava nemmeno quando un pizzico di pensiero suggestivo gli si sparse nel cranio. Improvvisamente l'idea di quella spazzatura bianca e dissociata che si confrontava con la ragazza di colore prese ad affascinarlo. Come una suggestiva partita a scacchi. Se era il gioco duro che voleva Radice, ebbene sarebbe stato servito, e non avrebbe cambiato di una virgola la sua determinazione a sgomberare la Casa di Paglia per spostare i pazzi nel nuovo Centro Polifunzionale, a tre chilometri di distanza. "Cosa sai dei disabili che sono arrivati dal Ghana?" "So che sono dei negri che ci vogliono cacciare dalla nostra Casa. Dei maledetti invasori..." E una lacrima spuntò fra le ciglia dello schizofrenico "Ma non ci allontaneranno. Abbiamo faticato tanto per trovare un terreno in cui mettere radici e nessuna spedizione di stranieri ci smuoverà dal nostro territorio..." Poi sorrise, con un improvviso mutamento d'umore: "Ma su tutto si può discutere. L'uomo è fatto per dialogare, non per spingere le situazioni al limite..." "Proprio quello che stava succedendo" Rifletté Maccani e la frase "Fumo negli occhi" gli si era piantata in mezzo alla fronte. Prese il cellulare e contattò il suo vice Involsi. (Continua) |
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