RENZI DA BERLINGUER, DETTO E NON DETTO

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Ieri sera intervistato a Carta Bianca da Bianca Berlinguer, parlando dell’inchiesta CONSIP, nemmeno per un attimo né Renzi né la giornalista hanno accennato al fatto che tra gli indagati per traffico di influenze c’è Tiziano Renzi, papà del segretario del Pd, né che l’ex ad di CONSIP Marroni, posto in quel ruolo dall’allora Premer Renzi, davanti ai pm di Roma ha confermato quanto aveva già dichiarato a quelli di Napoli, ossia di aver avuto la soffiata delle sistemate cimici nel proprio ufficio – sulla scia di questa informazione Marroni fece “bonificare” l’ufficio, mandando all’aria l’indagine – dall’allora sottosegratario alla Presidenza del Consiglio, attualmente Ministro dello Sport, Luca Lotti e dai due generali dei carabinieri Tullio Del Sette e Emanuele Saltalamacchia, a loro volta sotto inchiesta per la diffusione di notizie, tanto da essere stato costretto a dimettersi da chi lì lo aveva posto, il Pd…
Anche ieri sera, malgrado l’insistenza della Berlinguer che lo rintuzzava affinché rispondesse alle domande senza divagare, alla fine, a mio avviso, abbiamo assistito al solito detto e non detto, teso più a confondere le idee ai cittadini che a chiarirle. Soprattutto a quelli che si informano solo attraverso il mezzo televisivo.
Al di là di ciò, va riconosciuto a Renzi il merito di non essersi spinto oltre – parlando ad esempio di complotto o addirittura di colpo di stato, come invece hanno fatto alcuni esponenti del suo partito, e lo stesso Berlusconi commentando la propria estromissione da Palazzo Chigi nel 2011 – in riferimento agli ultimi sviluppi dell’inchiesta CONSIP da cui risulterebbe che alcuni ufficiali dei carabinieri avrebbero manomesso le prove per incastrarlo. Ma di aver espresso massima fiducia al lavoro dei magistrati, all’arma dei carabinieri e ai servizi segreti. Aggiungendo però, giustamente, con fare deciso che chi ha sbagliato pagherà!
Per quanto riguardo la politica, più volte il segretario del Pd, parlando del M5S, ha ribadito “un partito fondato da un pregiudicato”, riferendosi a Grillo condannato in definitiva per omicidio colposo in seguito a un incidente automobilistico in cui perì una coppia di amici… Nessuno in studio, la Berlimnuer o giornalisti presenti gli ha fatto notare che all’epoca del Patto del Nazareno lui, Renzi, non si fece alcuno scrupoli di dialogare con Berlusconi condannato in definitiva a quattro anni per frode fiscale, e proprio per questo decaduto dai pubblici uffici e impossibilitato a sedere in Parlamento per via della Legge Severino approvata dallo stesso centrodestra di cui era leader; nonché indicato dal boss Giuseppe Graviano, intercettato durante un colloquio in carcere con un altro detenuto, quale possibile mandante delle stragi di mafia degli anni 90…
Anche qui il doppiopesismo l’ha fatta da padrone.

BOMBE D’ACQUA, ALIBI BIPARTISAN

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Da alcuni anni – credo non più di quattro/cinque al massimo – i meteorologi italiani hanno coniato il termine bomba d’acqua per indicare “un gavettone di pioggia dannoso e imprevedibile” conseguenza del riscaldamento globale.

Da quando questo “neologismo” s’è diffuso, gli enti locali, comuni e regioni, hanno trovato un alibi di ferro per giustificare le proprie inadempienze nella prevenzione dei danni prodotti da quello che non è altro se non il nubifragio di vecchio stampo. Nemmeno tanto imprevedibile per l’intensità della pioggia che scaricherà in terra, considerando i costanti bollettini meteo diffusi dall’aeronautica militare per allertare le zone che saranno interessate dal fenomeno affinché gli amministartori prendano i dovuti provvedimenti per evitare il peggio.

Provvedimenti come la pulizia delle caditoie e dei tombini fognari o la pulizia degli alvei dei fiumi e dei torrenti e il rafforzamento dei loro argini, che per la verità dovrebbero essere effettuati periodicamente, a prescindere dall’allerta meteo, al fine di non farsi trovare impreparati quando la natura, soprattutto a fine estate, si scatenerà. Come puntualmente avviene ogni anno, da che mondo è mondo.

Come dicevamo l’utilizzo di questo neologismo s’è rivelato un alibi di ferro per gli enti locali i quali, ogni qualvolta la furia del maltempo provoca distruzione e morte, allargano le braccia desolati, dando ad intendere che nulla possono contro l’imprevedibilità e la forza della natura. Pazienza che a smentirli ci sarebbero i bollettini di allerta meteo diffusi loro dalla protezione civile.

Ogni anno Liguria, Toscana, Lazio, Campania, solo per citare alcune delle regioni maggiormente martoriate dalla furia degli elementi tra settembre e novembre, subiscono vere e proprie tempeste tropicali con violente precipitazioni che in poche ore riversano al suolo la stessa quantità d’acqua che solitamente si riversa nel corso di alcuni mesi. Con danni ingenti per persone e cose prodotti dall’otturazione delle fogne, dallo straripamento dei fiumi, dal crollo dei ponti e delle strade, dallo smottamento del sottosuolo con violente frane.

Tutti questi danni non sono però imputabili alla natura ma alla negligenza umana: fiumi e torrenti che tracimano perché chi avrebbe dovuto non s’è premurato di dragare gli alvei per pulirli dai detriti che li ostruiscano al fine di rendere fluido il corso dell’acqua alla foce, oppure perché non si sono rafforzati gli argini, o perché, se lo si è fatto, si sono rotti in quanto consolidati con il polistirolo; ponti e strade costruiti con materiali scadenti, pertanto incapaci di resistere alla forza della natura, che vengono giù come birilli, mietendo spesso vittime; frane che si verificano in zone dove d’estate la mano criminale dei piromani ha appiccato incendi, bruciando flora e fauna, privando il terreno delle radici degli alberi che, fungendo da filtro, drenano l’acqua dal sottosuolo evitando che ristagni nel terreno fino a farlo franare; strade e piazze metropolitane invase dall’acqua e dal fango perché nessuno ha avuto il buon senso di dare mandato agli addetti al servizio fognario di sturare tombini e caditoie dalla sporcizia e di spurgare le fogne per evitare che con le prime piogge si ingrossino facendo saltare i tombini e fuoriuscendo per le vie, allagando negozi, box auto, sottoscale, sottopassi, rendendo un inferno la vita dei cittadini.

Tutto ciò non si può certo imputare alla natura ma alla sprovvedutezza umana che, anziché intervenire a monte per evitare il peggio, interviene solo dopo che i danni sono stati fatti, attribuendo la responsabilità alla forza della natura. Non alla propria dabbenaggine.

Qualunque sia il colore delle amministrazioni, da nord a sud della penisola, isole incluse, tutte le volte che il maltempo fa danni, malgrado sia evidente che le cause dei disastri contingenti sono da addebitarsi alla mancanza di prevenzione di chi amministra, tutti scaricano le responsabilità sulla forza della natura.

Forse convinti che i cittadini hanno la memoria corta e che, una volta passata la tempesta, quando sarà il momento opportuno, nell’urna rinnoveranno la fiducia a chi, davanti al disastro, non ha saputo fare di meglio che versare lacrime di coccodrillo, chiamando il medico quando ormai per il paziente non c’era più niente da fare!

CIRCO ZUZZURELLONI, CRESCENDO CON ALLEGRIA A RAGGIOLO

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La prima volta che a Raggiolo sentii parlare del Circo Zuzzurelloni fu nell’estate del 1998. Mentre con l’auto entravamo nel paese, due cartelloni pubblicitari su cui erano ritratti un pagliaccio e un circo, sistemati uno all’ingresso del centro abitato, l’altro a ridosso della piazza, ne annunciavano lo spettacolo poco prima di ferragosto.

All’epoca Lorenzo e Alessandro, i miei figli, avevano rispettivamente 5 e 3 anni. Le due piccole pesti, non appena intravidero, attraverso i vetri dell’auto, i manifesti che annunciavano l’imminente spettacolo, pur non sapendo leggere, intuirono di cosa si trattava e furono preda di un incontenibile entusiasmo: “papà, il circo!”, urlarono in coro. “Quando ci sarà?” chiesero, poi. Mia moglie e io ci guardammo, sorridenti: “tra pochi giorni”, rispose la mamma,  girandosi a guardarli agitarsi felici sul sedile posteriore.

I giorni che precedettero lo spettacolo furono un continuo ripetersi  di ammonimenti da parte nostra e del nonno alle due pesti affinché facessero i bravi altrimenti per punizione non avrebbero visto il circo. Per tutta risposta, i diavoletti si trasformarono in angioletti, o quasi, stupendoci per la solerzia con cui ubbidivano, seppure malvolentieri, alle nostre richieste: lavatevi le mani, mangiate composti, andate a riposare, non litigate con nessuno, non date confidenza agli estranei e non andate con loro seppure vi dicessero che li mandiamo noi, non fate tardi .

“Ci vorrebbe un circo al giorno per  tutto l’anno” sentenziò mia moglie, particolarmente soddisfatta per quell’insolita disponibilità dei figli ad ubbidire.

Finalmente giunse il fatidico giorno. Lo spettacolo sarebbe iniziato in piazza alle 20,30. Alle 20 le pesti avevano già cenato, s’erano lavate mani e denti  ed erano pronte per avviarsi su per prendere i posti migliori.

Essendo Raggiolo un piccolo borgo dove tutti conoscono tutti, i miei figli erano noti con l’appellativo di “i nipoti del pittore” – mio suocero era pittore, nonché professore di scenografia all’accademia delle belle arti di Napoli, baritono e regista lirico. Aveva acquistato lì una piccola proprietà per dare vita a una casa d’arte museo in cui raccogliere la propria produzione artistica.

Fin da quando furono in grado di camminare da soli, a Raggiolo i miei figli si sono sempre mossi autonomamente, salendo in piazza per giocare insieme agli altri bambini sotto lo sguardo vigile, ma discreto, dei vecchi del luogo seduti sulle sedie sistemate fuori agli usci delle case che affacciavano sull’ampio slargo.

Quella sera solenne mia moglie affidò Alessandro a Lorenzo: “Mi raccomando, Lorenzo, tu sei il più grande e devi vigilare su tuo fratello perché non gli capiti nulla”. Poi si rivolse a Alessandro, “tu devi ubbidire a Lorenzo, non devi mai allontanarti da lui, capito?”. Per tutta risposta Ale fece più volte di sì con la testolina, scalpitando perché non vedeva l’ora di salire a vedere il circo.

Vedendosi insignito di quell’enorme responsabilità, Lorenzo rispose impettito, “non ti preoccupare, mamma”. Prese tra la sua la manina di Alessandro e insieme si incamminarono sulla salita che conduceva alpaese.

Guardandoli salire tenendosi per mano, facendo forza sulle esili gambette che fuoriuscivano dai pantaloncini, mia moglie  e io fummo colti da un moto di commozione.

Abituati a vederli continuamente litigare tra di loro per qualunque sciocchezza, osservarli tenersi per mano in maniera tanto tenera fu una gioia che tuttora si ripete mentre la memoria rivà a quegli attimi.

Sistemata velocemente casa, anche noi salimmo in piazza, non perché fossimo attratti dallo spettacolo ma per vedere i nostri figli cosa stavano facendo.

“Cerchiamo di non farci vedere”, disse mia moglie quando fummo su. Attenti a non mostrarci, sbirciammo da dietro il muro di pietre che delimita la piazza nel centro dove erano sistemate le file di sedie. In prima fila c’erano loro, Lorenzo e Alessandro, che continuavano a tenersi per mano in trepidante attesa.

Non mi vergogno ad ammettere che sia i miei occhi che quelli di mia moglie si riempirono di lacrime di gioia. Per quanto fossimo consapevoli che quell’idillio sarebbe terminato subito dopo lo spettacolo, in quell’attimo avemmo la consapevolezza che i due fratellini si volevano bene più di quanto immaginavamo.

Con il passare degli anni , tale convinzione è rimasta immutata: anche oggi che hanno rispettivamente ventiquattro e ventidue anni, e spesso non lesinano a litigare, dando a volte l’impressione di essere a un passo dal venire alle mani, ci sono momenti  in cui i due fratelli mostrano una complicità e una solidarietà  da cui capisci che, pur non sembrando, si vogliono bene più di quanto si pensi.

Chiedo scusa per questa lunga digressione di nostalgia: come già ho avuto modo di scrivere in precedenti post, a Raggiolo mi legano ricordi indimenticabili dell’infanzia e dell’adolescenza dei miei figli e non appena ho l’opportunità di parlarne, mi è impossibile non cadere nei sentimentalismi.

Il circo Zuzzurelloni  è una compagnia di artisti di strada, presumo tedeschi, austriaci o svizzeri visto l’idioma che parlano, che d’estate gira per il casentino toscano. Ma non escludo che tocchi anche altre regioni del centro Italia. Da diciannove anni, poco prima di ferragosto, la compagnia puntualmente tiene uno spettacolo nella piazza di Raggiolo che per l’occasione si gremisce di gente che giunge anche dai paesi vicini.

Dopo diversi anni che non assistevo allo spettacolo, quest’anno mi sono concesso il piacere di guardarlo.

A spingermi è stata soprattutto la curiosità di vedere se i membri della compagnia e i loro numeri fossero gli stessi degli anniscorsi o se, nel tempo, c’era stato un naturale cambio generazionale e di programma.

Molti degli artisti erano gli stessi di diciannove anni fa. In primis Hans, il “direttore” del circo. Su di sé sembra che il tempo non abbia infierito, vuoi per il fisico tuttora asciutto, vuoi  per il trucco marcato che gli copriva il viso, nascondendo possibili rughe. Credo che Hans abbia più o meno la mia stessa età. Gli invidio la possibilità, la capacità e il coraggio di fare ciò che più gli piace con estrema semplicità, coinvolgendo gli altri come se fosse un gioco di ruolo. E forse per lui e la sua troupe il circo un gioco di ruolo lo è davvero…

In alcuni degli artisti che quest’anno hanno dato vita allo spettacolo ho riconosciuto diversi bambini e ragazzi che negli anni addietro facevano da spalla ai funamboli dell’epoca. Non escludo che qualcuno di loro che quest’anno si è cimentato nel ruolo di mangiafuoco, acrobata, pagliaccio, equilibrista o semplice comparsa, diciannove anni fa riempisse il pancione di alcune delle donne che facevano da supporto al circo, suonando nell’orchestra o girando con il piattino tra il pubblico a fine spettacolo per raccogliere le offerte, unico sostentamento economico del circo Zuzzurelloni.

Tra i tanti giovani che si sono alternati sulla scena, ho riconosciuto in uno biondo con il codino alla vichinga il ragazzino biondo che anni addietro dava una mano ad allestire il palco, a smontarlo e a pulire la piazza dalle tante bottiglie di birra che gli artisti del circo bevono prima, durante e dopo lo spettacolo.  Osservandolo esibirsi nelle vesti di giocoliere facendo roteare tra le mani birilli e palline, ho fatto mentalmente i conti, chiedendomi quanti anni potesse avere. Come termine di paragone, manco a dirlo, ho preso i miei figli: se all’epoca in cui Lorenzo aveva cinque, quindi diciannove anni fa, lui era poco meno di un adolescente, oggi non doveva avere più di trent’anni. Quindi mi domandavo cosa facesse nella vita reale, dando per scontato che quella del circo è un’attività secondaria, un mezzo per girare la Toscana e altre regioni d’Italia divertendosi facendo divertire la gente.

Con piacere ho assistito alle due ore di spettacolo, circondato da una folla di gente divertita come me dalle performance di quegli artisti di strada. E quando volgevo lo sguardo dietro le “quinte” coperte da un telo appeso a un filo le cui estremità erano tese ai lati della piazza, intravedendo un bambino o una bambina di pochi anni schizzare come un fulmine da dietro il panno e intrufolarsi, correndo, tra la gente, inseguito dalla mamma sorridente, non ho potuto fare a meno di chiedermi se tra qualche anno quegli stessi bambini prenderanno il posto degli artisti che in quel momento animavano il circo.

Penso che si possa affermare senza suscitare il biasimo di alcuno che il circo Zuzzurelloni è diventata una realtà radicata delle estati di Raggiolo.

Seppure  lo spettacolo si tiene una sola volta l’anno, come la notte di San Lorenzo, questo circo di stelle di strada, che per lo più si regge sull’improvvisazione di molti dei suoi componenti,  malgrado lo spettacolo si dipana su un canovaccio teatrale ben strutturato, merita d’essere visto. Non fosse altro per l’allegria che sprizza da tutti i suoi membri che, come una piacevole epidemia, contagia il pubblico in piazza, strappando più di un sorriso e di una risata che, mai come di questi tempi, sono merce sempre più rara.

Il circo Zuzzurelloni è uno dei tanti bagliori di luce che Raggiolo regala d’estate ai turisti e ai suoi cittadini.  Nello stesso tempo il circo zuzzurelloni è una delle preziose perle che compongono la collana dei miei ricordi di padre.

Averlo rivisto, dopo tanto tempo, ha arricchito la collana!

 

1 settembre 2017

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In undici anni e passa di blog ho affrontato tematiche di ogni genere, senza mai pormi più di tanto il problema se i miei post suscitassero o meno l’approvazione di quanti, anche solo per mero caso, li leggevano. Consapevole come sono che, nel momento in cui si ha il coraggio di rendere pubblico il proprio pensiero- in maniera scritta, orale o altro non fa distinzione – ci si espone al consenso generale o alla pubblica gogna, incorrendo spesso in critiche che travalicano il buon gusto, ho sempre cercato di affrontare in maniera equilibrata qualunque argomento, preoccupandomi soprattutto di non offendere alcuno dei soggetti dei miei scritti.

Impegnandomi a non contravvenire  mai meno a queste premesse, ho trattato di tutto e di più. L’unico argomento verso cui ho sempre nutrito una sorta di reticenza, tanto che penso di averlo affrontato solo una volta, è quello dell’immigrazione. Tale ritrosia è conseguenza della delicatezza e della complessità della questione. Se è difficile in poche righe cercare di esprimere chiaramente il proprio pensiero riguardo un qualsiasi argomento di attualità, soprattutto politico, parlare di immigrazione risulta ulteriormente problematico in quanto si rischia di essere tacciati di razzismo, senza esserlo, solo perché non si è riusciti a spiegare in maniera esaustiva il proprio pensiero.

I fatti di questi ultimi giorni, mi riferisco agli stupri perpetrati molto probabilmente da immigrati clandestini o da immigrati regolari verso cui era stato emesso successivamente un mandato di espulsione per essersi già resi protagonisti di crimini del genere, stanno alimentando una scia di polemiche allargando il fronte che separa  chi è pro immigrati e chi è contro.

Ma soprattutto ogni giorno che passa si percepisce crescere in una buona fetta di opinione pubblica l’avversione contro gli immigrati.

In molti quest’avversione è alimentata da chi politicamente sfrutta gli immigrati per fini politici, facendo credere loro che lo Stato tutela più gli stranieri che i cittadini. Omettendo di parlare dei vari accordi internazionali che impongono alle nazioni di garantire la sicurezza agli immigrati.

Il punto è che tale tutela contempla i cosiddetti immigrati regolari, non i tanti “clandestini” che fino a pochi giorni fa sbarcavano a migliaia sulle coste italiane dai barconi provenienti dalla Libia mettendo in crisi i vari centri di raccolta sparsi sul territorio nazionale.

La recente vicenda di alcune ONG – secondo la magistratura, facevano la spola nel mediterraneo per caricare sulle proprie navi i profughi lasciati alla deriva sui barconi dai trafficanti di uomini, in combutta con gli stessi i trafficanti, e, proprio per le inchieste in corso, hanno smesso di svolgere questa funzione umanitaria, anche perché contrarie a imbarcare uomini delle forze dell’ordine regolarmente armati -, ha dimostrato una volta di più quanto difficile sia la gestione della vicenda.

Puntare il dito contro gli immigrati è come sparare sulla croce rossa. Ma se ciò avviene probabilmente è perché, da come finora ha gestito la questione, lo Stato ha dato impressione di precarietà mista a inefficienza o poco meno, (com’è possibile che un espulso continui a vagare per le strade nazionali giungendo a violentare una donna?)….

In un paese come il nostro con un alto tasso di disoccupazione soprattutto giovanile, è facile che il malessere dei cittadini identifichi nell’immigrato l’origine dei propri mali solo perché vede con quanto interesse le istituzioni si preoccupano di lui. Fa niente che i soldi devoluti per la sua assistenza provengano dalle organizzazioni internazionali preposte alla gestione dell’immigrazione in europa.

Altrettanto è difficile per un cittadino comprendere come sia possibile che una comunità di immigrati occupi un intero stabile in un quartiere, aumentandone il degrado sociale, se non addirittura creandolo senza che nessuno intervenga per mettere ordine!?

Ecco, forse il malessere di tanti italiani nei confronti degli immigrati, che molti definiscono razzismo, in realtà non èa ltro che la reazione alla volontà repressa di molti italiani di non potersi rivalere contro lo stato per la cattiva gestione dell’immigrazione, della pubblica sicurezza e per la mancata garanzia di un lavoro dignitoso per tutti come prevede la Costituzione.

Credo che razzisti non lo si nasca. Bensì lo si diventa nel momento in cui chi dovrebbe garantire l’ordine, il benssere ela sicurezza nella società, si mostra incapace di adempiere al proprio ruolo.

A quel punto la paura di vedere i proprio diritti calpestati a favore della salvaguardia di quelli del “diverso” sarebbe conseguenziale, originando l’avversione verso lui.

Da lì al razzismo il passo, purtroppo, è breve!

 

ABUSIVISMO, CONDONO E CROLLI UNA PRASSI TUTTA ITALIANA

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Per quanto siano comprensibili le prese di posizione dei sindaci ischitani all’indomani del terremoto di martedì sera che, malgrado la magnitudo medio-bassa del 4° della scala Richter, ha causato, soprattutto a Casamicciola alta e Lacco Ameno, crolli, vittime, feriti e sfollati (260), per i quali i crolli non sono da attribuirsi all’abusivismo edilizio che, stando ai media, sarebbe imperante sull’isola, bensì alla vetustà degli edifici crollati, fin dalle prime ore i tecnici giunti sul luogo del disastro hanno parlato di strutture costruite con materiali scadenti. Se a questo si aggiunge che la casa crollata sotto le cui macerie hanno rischiato di morire sepolti vivi tre fratellini sarebbe stata ampliata in maniera non conforme tanto da preoccupare gli stessi vicini per la stabilità, è evidente che, seppure l’isola non fosse il paradiso dell’abusivismo edilizio descritto dalle cronache di questi giorni, sulla questione edilizia isolana ci sarebbe comunque qualcosa che non funziona. Non a caso perfino il Ministro Del Rio ha ammesso che una scossa del 4° dovrebbe provocare solo paura. Mentre la Procura di Napoli sta valutando la possibilità di aprire un fascicolo contro ignoti per disastro colposo e omicidio colposo multiplo.

In contrapposizione alla posizione difensivista dei sindaci ischitani, la manifestazione del 2010, sempre a Casamicciola, di 300 persone che non si fecero scrupoli di lanciare pietre contro le forze dell’ordine pur di evitare l’abbattimento di una villetta abusiva.

Ma la vicenda di Ischia è solo l’ultimo di una lunga serie di episodi in cui si evince quanto l’abusivismo edilizio sia di prassi nel nostro paese in virtù che ad ogni abuso, o quasi, corrisponde nel tempo un condono che per lo stato vuol dire entrata di soldi.

Ecco, più che essere il paese degli abusi, siamo il paese dei condoni. Ed è questa la vera vergogna.

Quel che mi piacerebbe sapere è se anche negli altri paesi occidentali esiste un simile fenomeno. O se il condono e i suoi derivati sono esclusiva usanza italiana.

Se una persona commette un reato, è giusto che venga sanzionata in base alla legge. Punto.

La consapevolezza che commettendo un abuso, successivamente esso sarà condonato mediante un’ammenda pecuniaria, anziché scoraggiare, induce i più irriducibili a commetterlo. Soprattutto se esso è finalizzato a scopo di lucro o comunque a rendere più agevole il proprio vivere e quello dei familiari.

Il problema lo si potrebbe arginare alla fonte imponendo ai proprietari degli stabili abusivi l’obbligo, all’atto in cui presenteranno le richieste per gli allacciamenti delle varie utenze, di presentare un certificato rilasciato dal comune che accerti la regolarità dello stabile. Senza di esso non sarà possibile usufruire di alcun servizio. E dunque la casa non avrà ragione d’esistere.

Volendo essere ulteriormente inflessibili, basterebbe che i vigili urbani, vigilando per il territorio di loro appartenenza, notando la presenza di una struttura insolita in un’area precedentemente sgombra o non adibita a uso edile, approfondiscano quello che sta avvenendo, denunciandone la presenza alle autorità competenti.

A riguardo tuttora ci si domanda come sia stato possibile che nel corso degli anni a Napoli sorgesse un intero quartiere abusivo, Pianura, i cui edifici, palazzi interi, hanno poi usufruito dei vari condoni che si sono succeduti nel tempo.

Probabilmente se chi di dovere facesse al meglio il proprio lavoro, tanti scempi si eviterebbero. E soprattutto si eviterebbero tante tragedie.

Ascoltare il Presidente della Regione Campania De Luca prima schierarsi contro gli abbattimenti degli immobili abusivi voluti dal governo, giustificandoli come “abusivismo di necessità”; successivamente attribuire all’abusivismo le cause dei crolli e delle vittime di Casamicciola, lascia alquanto perplessi. Un abuso è un abuso, dunque è un reato. Che io sappia, non esiste nessuna legge che regolamenti gli abusi. Dunque una gerarchia dei reati.

Come sempre accade quando si verifica una tragedia annunciata, anche nel caso del terremoto di Ischia è iniziato lo scaricabarile di responsabilità.

Se sull’isola ci si fosse premurati di attuare un’opera di prevenzione in considerazione della natura vulcanica del territorio, controllando la stabilità degli edifici, imponendo il rafforzamento di quelli non a norma o antichi come la chiesa crollata risalente al 1800 e la casa ristrutturata abusivamente implosa sui tre bambini, probabilmente ora staremmo parlando d’altro.

Un’ultima considerazione: da tempo si parla del rischio eruzione del supervulcano dei Campi Flegrei ritenuto dagli esperti più pericoloso del Vesuvio per l’estensione del cratere. Dopo quanto avvenuto a Ischia non sarebbe il caso che le autorità dei comuni flegrei attuino una campagna di controllo sui vari edifici, pubblici e privati, per valutare la stabilità di quelli vecchi, se edificati con norme antisismiche quelli recenti?

Non vorremmo che un domani anche a Pozzuoli, Quarto, Baia, Bacoli, Monte di Procida per una scossa di bassa entità dovremmo registrare crolli e piangere morti. Assistendo anche in quel caso all’increscioso rimpallo di responsabilità!

TERREMOTO A ISCHIA E LACRIME DI COCCODRILLO

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Diciamocelo senza inutili giri di parole, tutti, o quasi tutti, non appena abbiamo appreso l’entità del terremoto che ieri sera, poco prima delle 21, ha scosso l’isola di Ischia, mietendo vittime – al momento 2 morti – , feriti, distruzione e sfollati, soprattutto a Casamicciola famosa per il terremoto che il 28 luglio del 1883 la rase completamente al suolo uccidendo oltre duemila persone tra cui la famiglia del filosofo Benedetto Croce, abbiamo fatto un comune pensiero: come è possibile che un terremoto del 4° grado della scala Richter possa provocare una simile devastazione?

Tale atroce dubbio è avallato dalle dichiarazione degli esperti per i quali è “allucinante che si continui a morire per sismi di questa entità”, Francesco Peduto, Presidente del Consiglio nazionale dei geologi.

La replica del cittadino comune all’affermazione/denuncia degli esperti è: “semplice, siamo in Italia, paese dove, nei fatti, è ignoto il significato del vocabolo prevenzione”. Non certo quello di abusivismo di necessità che il Presidente della Campania De Luca vorrebbe condonare in barba a quanto previsto dal governo che invece le case abusive le vorrebbe demolire.

Seppure è prematuro definire abusivi gli edifici crollati a Ischia, dalle immagine e dalle foto trasmesse in televisione o postate sui vari social, a un primo sguardo, è evidente che si tratta di costruzione nuove venute giù come burro.

Di conseguenza il loro sgretolarsi o lesionarsi all’atto della scossa di ieri sera, inizialmente sottostimata al livello di 3,6° Richter e successivamente rivista a 4°, testimonierebbe che nella loro edificazione o ristrutturazione – nel caso degli alberghi lesionati si potrebbe ipotizzare un ampliamento non conforme, finalizzato a costruire ulteriori camere in cui ospitare turisti a scopo di lucro – molto probabilmente non furono seguiti tutti i crismi antisismici previsti dalla legge. Seppure Ischia sia territorio a alto rischio sismico trovandosi nella caldera dei campi flegrei che preoccupa gli esperti più del Vesuvio.

Nello stesso tempo il cittadino si domanda se anche in questo caso, come avvenne per il terremoto dell’Aquila, qualche imprenditore abbia gioito pensando agli affari che ne ricaverà dalla ricostruzione.

In quest’ultimo caso però l’entusiasmo dovrebbe essere frenato da quanto sta avvenendo nelle zone del centro Italia colpite dal terremoto giusto un anno fa, dove, malgrado gli impegni assunti prima da Renzi e poi da Gentiloni, la ricostruzione va a rilento, per non dire che è praticamente ferma, come ammise il commissario Vasco Errani. Senza contare che dopo oltre otto anni dal terremoto, la città dell’Aquila è ancora un cantiere a cielo aperto.

Ritardi che, ottimisticamente parlando, potrebbero essere conseguenza di una certosina azione di controllo da parte delle autorità per evitare di assegnare a imprese in odore mafia i lavori della ricostruzione. Ma che, molto più realisticamente, agli occhi del cittadino sono l’ennesima conferma dell’inefficienza dei politici nostrani i quali, a parole, sono in grado di cambiare il mondo.

Peccato che puntualmente si smentiscano da soli con i fatti!

Le vittime e i crolli provocati dal terremoto di ieri vanno a accrescere ulteriormente il carico di responsabilità delle autorità locali e nazionali le quali, anziché preoccuparsi di prevenire i disastri con adeguate politiche a tutela del territorio e della sicurezza dei cittadini, pensano a condonare edifici costruiti abusivamente.

Forse perché condonare porta voti. Demolire o bloccare i lavori, no!

 

CARPE DIEM

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Il rientro dalle vacanze è sempre un piccolo trauma, soprattutto se le ferie sono state particolarmente rilassanti, riflessive, allegre, appassionate. Ma prima di tutto trascorse in piacevole compagnia.

Mai come quest’anno tutto ciò non mi è mancato. Trascorse ormai da diversi anni a Raggiolo, un paesino in provincia di Arezzo, arroccato ai piedi del Pratomagno nel casentino toscano, le ferie di quest’anno già in partenza avevano un sapore particolare: lo scorso anno, di questi tempi, eravamo alle prese con un artrite settica contratta da Alessandro, il mio secondogenito, a seguito di un intervento al ginocchio che ci tenne sulle spine per tutta l’estate. Quindi, già solo il fatto di poter partire senza preoccupazioni – con i ragazzi rispettivamente impegnati a lavoro, come barman Alessandro; con lo studio, il lavoro e la ragazza Lorenzo, il primogenito – era il massimo che potessi desiderare.

Se a ciò associo la piacevole compagnia di mia moglie, alla quale s’è aggiunta dall’inizio della seconda settimana di vacanze quella di mia sorella con il marito, già solo per questo le ferie di quest’anno possono definirsi belle.

Tuttavia alcuni fatti di cronaca che hanno insanguinato questo mese di agosto – la morte del ventitreenne fiorentino in una discoteca di Lloret de Mar in Costa Brava, durante un litigio con tre giovani ceceni; l’attentato a Barcellona e quello in Finlandia a opera di terroristi islamici con un bilancio complessivo di oltre 20 morti e un centinaio di feriti – non possono lasciare nell’animo di un uomo e di un padre una ferita che, per quanto rimarginerà del tutto senza troppa fatica grazie al trascorrere del tempo, sarà sempre ravvivata dallo spiacevole ricordo della telefonata del 30 luglio con la quale un amico mi comunicava del malore che aveva colto in allenamento un runner puteolano di mia conoscenza. Un vero top runner, dal portamento atletico invidiabile conseguenza di uno stile di vita sano.

Se avessimo dovuto stilare una statistica tra i presunti soggetti a rischio, nessuno lo avrebbe inserito nemmeno all’ultimo posto. E invece…

Fin dall’inizio che stramazzò al suolo davanti a tutti fu chiaro che le sue condizioni erano critiche. Purtroppo oggi, in tarda mattinata, è giunta la notizia che non ce l’ha fatta, che il suo cuore s’è fermato per sempre.

È in questi momenti che ti rendi conto di quanto devi reputarti fortunato allorché la vita ti offre la possibilità di condividere scampoli di serenità e allegria con le persone a te più care. Così come quanto debba reputarti fortunato nell’avere dei figli che si industriano concretamente per costruirsi il proprio futuro.

In un istante la vita del giovane fiorentino aggredito in discoteca, delle vittime degli attentati in Spagna e in Finlandia, del povero runner si sono spente o modificate in maniera drammatica per sempre.

È in questi momenti che percepisci concretamente quanto labile sia il confine tra la vita e la morte. Ed è allora che, seppure con la consapevolezza che non deve trattarsi di un mero pretesto per sentirti autorizzato a fare i tuoi comodi in barba alle regole del saper vivere mancando di rispetto agli altri, realizzi che, forse, nella vita l’unica regola che davvero vale la pena rispettare per essere felici o poco meno è riflessa nel motto latino Carpe Diem, cogli l’attimo.

Tutto il resto sono chiacchiere che trovano il tempo che trovano.

 

LA BOSCHI NON QUERELA DE BORTOLI E I DUBBI AUMENTANO

boschi de bortoli capitolo due.

Apprendere che, contrariamente a quanto lei stessa aveva dichiarato, Maria Elena Boschi non querelerà Ferruccio De Bortoli reo di aver scritto nel suo ultimo libro POTERI FORTI(ma non troppo) quella che secondo lei sarebbe una menzogna – ossia che, all’epoca in cui la Boschi, attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ricopriva il ruolo di Ministro delle Riforme, si interessò in prima persona, malgrado non rientrasse nelle proprie competenze e alimentasse un immane conflitto di interessi, che UNICREDIT rilevasse Banca Etruria, di cui il suo papà era vicepresidente, per trarla dalle difficoltà ben note, interpellando direttamente l’allora ad della banca Federico Ghizzoni – mi suscita un forte senso di ilarità mista a indignazione in quanto  una volta di più un singolo episodio dimostrerebbe l’inadeguatezza dell’attuale classe dirigente alla guida del paese.

Mi spiego. Se la Boschi avesse davvero querelato De Bortoli, per difendersi, il giornalista sarebbe stato costretto a mostrare in tribunale le prove della veridicità di quanto asserito nel libro incriminato. Viceversa tutto rimarrà avvolto nel mistero. Seppure la mancata querela alimenta forte i dubbi che tra la Boschi e l’ex direttore del Corriere della Sera,  a mentire non sarebbe stato quest’ultimo.

Può consentirsi il paese un simile dubbio? No, se fossimo un paese normale, dove chi ricopre incarichi pubblici è tenuto a un atteggiamento irreprensibile affinché nei cittadini non sorga il dubbio di essere governati da una masnada di chiacchieroni che si riempiono la bocca di belle parole ma che poi, nei fatti, lascerebbero alquanto a desiderare. Magari con la complicità dei media che, invece di fungere da guardiani del potere, se ne rivelano nella gran parte servi, tendendo a tacitare o a minimizzare atteggiamenti o asserzioni che se un politico li compisse o le asserisse in qualunque altra nazione cosiddetta civile e democratica sarebbe costretto a dimettersi, uscendone con le ossa rotte.

Invece da noi la notizia, a parte qualche giornale reazionario come il Fatto che stamattina la dava in prima pagina e la sviluppava in un ampio articolo a pagina 3, è relegate nelle pagine interne in articoletti di poche righe che difficilmente attraggono l’attenzione del lettore.

Tenuto conto che quando scoppiò il caso Banca Etruria, rispondendo in Parlamento a un’interpellanza parlamentare delle opposizione che l’accusavano di essersi interessata in prima persona della vicenda Banca Etruria, la Boschi giurò il contrario, sarebbe stato interessante sapere se l’allora Ministro offese o no il Parlamento e le istituzioni tutte mentendo spudoratamente.

L’avremmo certamente saputo se la Boschi avesse querelato De Bortoli.

Senza la querela niente verità. Solo un pensiero comune nelle menti dei cittadini che non depone certamente a favore della Boschi. Ma così come non si possono fare processi alle intenzioni, non si possono accusare le persone se le intenzioni di colpevolezza non sono avallate dalle prove!

ATAC: RENZI ATTACCA IL M5S E INGUAIA LA BOSCHI?

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Chissà come avrà reagito Maria Elena Boschi alla notizia che Virginia Raggi ha intenzione di querelare Matteo Renzi per aver affermato durante la presentazione del suo libro Avanti, ad Agerola, in riferimento alla vicenda ATAC, “I grillini fanno come gli altri, anzi peggio: raccomandano gli amici degli amici”.

Già, perché se la Raggi in veste di sindaco di Roma, o chi per essa, nel qual caso il M5S, dovesse davvero querelare Renzi, portandolo in tribunale affinché dimostri, prove alla mano, la veridicità delle proprie accuse, c’è da supporre che, nel momento in cui verrà depositata la querela per diffamazione contro il segretario del Pd, il M5S non perderà l’occasione di far notare che loro, diversamente da alcuni illustri esponenti del Pd – leggi Maria Elena Boschi attuale Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ex Ministro delle Riforme nel passato governo Renzi – le querele non si limitano a annunciarle pubblicamente per fare scalpore, ma poi non le presentano per timore d’essere smentiti dalla controparte in tribunale.

Abbiamo citato la Boschi perché in tanti siamo ancora in attesa di sapere se ci sarà la tanto minacciata querela della stessa a Ferruccio De Bortoli per aver scritto nel suo ultimo libro Poteri Forti che la Boschi, all’epoca in cui era Ministro, contattò l’allora ad di Unicredit Ghizzoni perché valutasse l’acquisto di Banca Etruria a un passo dalla bancarotta.

Poiché all’epoca dei fatti  il papà dell’ex ministro era vice presidente di Banca Etruria, se la Boschi avesse fatto davvero una cosa del genere, avrebbe non solo commesso un abnorme conflitto di interesse ma avrebbe anche umiliato il Parlamento visto che, rispondendo in aula a un’ interpellanza presentata dal M5S affinché chiarisse il proprio ruolo nella vicenda Banca Etruria, lei ha sempre  smentito un proprio interessamento in tal senso

Due azioni illegali, le presunti pressioni su Ghizzoni e la falsa smentita in aula, per cui, se davvero De Bortoli non mente, la Boschi si dovrebbe dimettere su due piedi da ogni incarico istituzionale e politico.

Dal canto suo  De Bortoli conferma quanto ha scritto, dicendosi pronto, nel caso la querela arrivasse, a presentare  in tribunale le prove di quanto afferma.

Mentre l’ex ad di Unicredit, Ghizzoni, non ha mai smentito il giornalista, limitandosi a un laconico ma eloquente, “non si può mettere in mano a un privato cittadino le sorti del governo”.  Dicendosi pronto a parlare in commissione d’inchiesta!

Come si evince gli ingredienti ci sarebbero tutti perché l’ennesima inveterata anti grillini di Renzi – il Segretario Pd è già in campagna elettorale -rischi di trasformarsi in un clamoroso boomerang. Non solo per  lo stesso Renzi, il quale se, come traspare dalle sue stesse parole,  fosse a conoscenza che “altri” sono usi a raccomandare aziende e uomini in ambito pubblico, sarebbe il caso facesse i nomi. O forse il Segretario del Pd si riferiva in maniera implicita, lapsus freudiano?, alla vicenda CONSIP in cui sono indagati tra gli altri il Ministro Lotti e suo padre Tiziano,e a Mafia Capitale?

Ma addirittura contro l’incolpevole Maria Elena Boschi la quale, lo ribadiamo, se la Raggi querelasse Renzi, si deve aspettare un fuoco incrociato su di sé da parte delle opposizioni, M5S in testa, che le chiederanno conto del perché la tanto annunciata querela a De Bortoli su un suo presunto interessamento nella vicenda Banca Etruria ancora non arrivi!?

Verrebbe da dire, chi di querela annunciata ferisce di querela presentata perisce.

Stiamo facendo solo mera dietrologia? Staremo a vedere!

 

IL SILENZIO, LA PEGGIOR STRONCATURA

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Se davvero fosse che “il maggior disprezzo è la non curanza”, credo che l’attenzione – in alcuni casi quasi rasentante la morbosità – che alcuni giornali antirenziani da settimane, ossia da prima che uscisse in libreria, “regalandoci” delle anticipazioni, stanno riservando a Avanti, l’ultima fatica letteraria di Matteo Renzi, è un regalo insperato allo statista di Rignano sull’Arno e alla Feltrinelli che lo ha pubblicato.

È vero che in alcuni casi, Il Fatto in particolare, tutti gli articoli e le recensioni attinenti sono un mero sfottò all’autore. Ma è altresì vero che, comunque, parlandone, seppure in termini assolutamente ironici, si dà visibilità al libro inoculando curiosità nei lettori.

E dunque non si può escludere che molti lettori de Il Fatto o di Libero, anche se solo per interesse indotto dalle recensioni, non si siano recati in libreria ad acquistarne una copia. Magari conservando lo scontrino per poi farsi rimborsare i 16 euro spesi perché lo hanno trovato un prodotto insignificante, come raccontato da Selvaggia Lucarelli su Il Fatto alcuni giorni fa.

Altrettanto comprensibile è l’indignazione dei giornali di opposizione per la diretta televisiva di mezz’ora organizzata giovedì 20 luglio da Rai News in occasione della presentazione, una delle tante, del libro del segretario del Pd presso un centro commerciale di Roma.

Non ricoprendo Renzi alcun ruolo istituzionale, non si riesce a capire né il motivo della diretta Rai, con annesso investimento di soldi pubblici, né la presenza di Antonio Di Bella direttore di Rai News come presentatore/intervistatore.

Tuttavia, considerando che Rai News è un canale di informazione full time, e che la sua programmazione non è annunciata né sui giornali né su riviste specializzate, a meno che uno non se la vada a cercare certosinamente in rete, si può ipotizzare che lo share sarà stato bassissimo tanto da non giustificare il costo per il dispiegamento di mezzi e di uomini necessario per la diretta.

Di cui, per inciso, molti hanno appreso leggendo i giornali il giorno dopo.

È chiaro che i quotidiani antirenziani tentino con ogni mezzo di sminuire l’operato letterario del Segretario del Pd, mettendo in risalto quelli che loro considerano gli aspetti ridicoli e contraddittori del suo lavoro.

Ma poiché tutti i loro articoli tendono quanto meno a stroncare il libro, a questo punto se non ne parlassero proprio, o si limitassero a dedicargli giusto qualche “finestra” all’interno per informare i lettori della sua uscita e del suo non eclatante volume di vendite, sarebbe molto meglio.

Dedicargli, seppure col proposito di ridicolizzare l’autore, editoriali in prima pagina, a mio avviso, significa comunque fargli indirettamente una notevole pubblicità.

E dunque un involontario piacere sia a lui che all’editore.

Se si volesse davvero stroncare il libro, meglio sarebbe non parlarne proprio!