Quando la neve cade, lo fa in silenzio. Una forma di pudore che si addice al  suo candore. Se poi lo fa di notte, nessuno se ne accorge. Solo quando, una volta svegli, si alzano le persiane se ne acquisisce consapevolezza perché si ha la sorpresa di ritrovarsi in uno scenario dove il paesaggio multicolore che fino al giorno prima animava la montagna, ha lasciato spazio a quella tinta uniforma che richiama alla mente le vesti degli angeli, la purezza dei fanciulli, la virtù delle vergini.

Raggiolo innevata, una candida poesia

Quando la neve cade, lo fa in silenzio. Una forma di pudore che si addice alla sua sincerità. Se poi lo fa di notte, nessuno se ne accorge. Solo quando, una volta svegli, si alzano le persiane se ne acquisisce consapevolezza perché si ha la sorpresa di ritrovarsi in uno scenario dove il paesaggio multicolore che fino al giorno prima animava la montagna, ha lasciato spazio a quella tinta uniforme che richiama alla mente le vesti degli angeli, la purezza dei fanciulli, la virtù delle vergini. Ed è allora che, guardandoti intorno, hai la sensazione di vivere in una dimensione surreale, dove il tempo sembra essersi fermato e il paradiso trasferitosi in terra.

Osservando il paesaggio immacolato ti sembra di ritrovarti davanti a un foglio di carta su cui una mano d’artista ha cancellato in più punti il disegno che lo ravviva, svelandone la naturale purezza. E allora è come se percepissi la tua anima sussurrare una semplice parola, “casa”, perché quello scenario le ricorda la sua patria divina. Quella patria cui, si dice, ritornerà quando avrà concluso il proprio cammino terreno. Ovviamente se si crede nell’esistenza e nell’immortalità dell’anima. Diversamente si resterà ammaliati da quello scenario così come accade quando si ammira un’opera d’arte, magari chiedendosi chi ne sia l’artefice per complimentarsi con lui. […]

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angelo

GLI ANGELI HANNO BISOGNO D’AMORE (racconto)

Ogni volta che si trasferiva nella casa in collina lasciatagli dal nonno per trascorrere un periodo di vacanza, Federico era solito ripetere i gesti di quando, ragazzino, vi trascorreva le estati. In quel modo, diceva, aveva l’illusione di rallentare lo scorrere del tempo, di sconfiggere la vecchiaia.

Quella mattina si alzò che il cielo appena rischiariva all’orizzonte. Zaino in spalla, uscì di casa e si avviò su in paese da dove avrebbe poi proseguito sul sentiero del bosco fino alla pozza d’acqua posta a mille metri. Per raggiungerla avrebbe dovuto camminare almeno per un paio di ore, da solo, per un dislivello di quasi seicento metri immerso nella fitta boscaglia.

Quando giunse in piazza notò una strana agitazione: un nutrito gruppo di persone discuteva animatamente attorno a una pattuglia dei carabinieri. Accanto alla gazzella dell’arma era parcheggiata una jeep della protezione civile.

Incuriosito si avvicinò per capire cosa stesse succedendo: un bambino mancava da casa dal pomeriggio del giorno prima. I genitori, una coppia romana in vacanza, dopo averlo cercato a lungo nel bosco, in serata avevano dato l’allarme. Le ricerche si erano protratte per tutta la notte alla luce delle torce e delle fotoelettriche con esito negativo. Ora si stava facendo il punto sulla cartina geografica aperta sul cofano della pattuglia, dividendo i soccorritori in gruppi di due, affidando a ognuno un’area precisa in cui effettuare le ricerche.

“Tu dove vai?” gli chiese il maresciallo che stava tracciando una linea rossa sulla carta.

“Salgo alla pozza”

“Bene, ti lascio il mio cellullare, se dovessi vedere o trovare qualcosa che indichi la presenza del bambino, chiama subito!”

“Va bene! Come si chiama il bambino?

“Valerio!” […]

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