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Post n°122 pubblicato il 02 Settembre 2019 da call.me.Ishmael

 












Robbins

Quando conobbi Gianfranco Robbins Lui era una di quelle
persone che Ti scolpiscono la mente, senza avere bisogno
né di marmo né di scalpello.
Alto, molto più della norma, non soffriva di alopecia o
calvizie incipiente ma, al contrario, regolava la criniera
in maniera esemplare e non la spalmava di tinture
nemmeno a 62 anni. Era un individuo magro ma
non esile, saldo ma non ingessato, imponente ma non
allampanato. Aveva due occhi azzurri farciti e languidi,
bocca sottile e naso equilibrato, poche rughe, e tutte piazzate
orizzontalmente sulla fronte in modo da non stonargli
ma semmai, di accrescere la sua impressione di riflessività
e carisma.

I vestiti erano impeccabili, cashmere e tweed, con
un foulard azzurro nella tasca sinistra della giacca.
Non potevo fare a meno di chiedermi cosa ci facesse una
persona del genere nella sala d'attesa del Centro di Salute
Mentale.
Ricordo che cominciammo a parlare dei bambini perché Lui
 mi mostrò la foto su una rivista di un bell'infante pasciuto e
 sorridente.
"Bello, vero? Io ho un'autentica passione per i  fanciulli.
Ho due piccole, anzi ormai grandi: Lorena ed Ester."

Io gli risposi con cortesia. Non rientrava nelle mie competenze
il reparto pediatrico dei ricordi di un individuo, e nei miei primi
quarant'anni non avevo avuto modo di fornire la luce a dei
frugoletti quindi, dopo il primo attimo di gentilezza, me ne
restai zitto.
Lui continuò a parlare alzando le mani e Io non potei fare a
meno di incantarmi su quelle dita, incongruamente
macchiate di nicotina, e quei due polsi segnati da imponenti
cicatrici.
Non ci riflettei troppo su e presi a deviare il discorso
portandolo sui nostri rispettivi psichiatri e i farmaci che
assumevamo.
Era un terreno più familiare rispetto a marmocchi
e lattanti e, chissà perché, mi dava più tranquillità che
non sentirlo sproloquiare di pappette e omogeneizzati.
Semplicemente non mi sembrava congruo per un uomo
di sessantadue anni.
Tutto qui.

L'attesa si protrasse a lungo e avemmo modo di
percorrere tutta una serie di argomenti in lungo e
in largo.
Fuori dalle finestre cominciava a incombere la lunga sera
invernale e qualche fiocco rado appariva fra i riflessi delle luci
artificiali.
Poi, fui finalmente chiamato dal mio Psichiatra, un
gran pettegolo ritardatario, ed entrai nello studio
salutando il
signor Gianfranco Robbins con una lunga stretta di mano.
"Pensi a lasciare un figlio alle sue spalle, è importante."
Misussurrò prima di separarsi
"Si sentirà meno solo".
Io annuì, quasi commosso, e mi infilai nella stanzetta.
Mi sedetti mentre lo psichiatra Visconti si era già accomodato 
e stava con il volto puntato sull'oscurità, fuori dal vetro.
Tossì per attirare la sua attenzione ma in Lui pareva essersi
eclissato il buontempone e cicalone.
Quando lo sentì parlare possedeva una voce che sembrava
appena affiorata dall'oltretomba.

"Conosce Robbins?". Mi chiese.
"C'ho parlato appena adesso" Risposi "Per la prima volta."
"Un tipo particolare" Mormorò Lui quasi seguendo il flusso
dei propri pensieri...
"Un tempo sua moglie Gli aveva portato via le bambine e
Lui andò a riprendersele. Percorse 400 chilometri fra Bratislava
e l'Italia, poi strangolò le bambine e le gettò nel Po, poco prima
di tentare di tagliarsi le vene con una specie temperino.
Diceva che non sarebbero potute stare senza di loro, sa com'è,
diceva di amarle davvero tanto. Poi a Lui hanno salvato la pelle
e si è fatto 13 anni di galera."

La luce della lampadina era spenta e lo rimase per almeno
10 minuti, mentre Io e Visconti continuavamo ad osservare
i fiocchi farsi più fitti e ricoprire il tetto del palazzo di fronte.

Poi Lui scattò in piedi e schiacciò l'interruttore mentre il vecchio
sorriso gli scattava sulla bocca.
"Allora, torniamo a Noi.... Dove eravamo rimasti?".




Fine










 
 
 
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Un blog di: call.me.Ishmael
Data di creazione: 04/06/2014
 

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